Classi 4°A/B/C Linguistico
La Critica del giudizio: il giudizio estetico e il giudizio teleologico.
La terza Critica di Kant é fondamentale sia nel contesto del sistema filosofico di Kant, sia per l'influenza che eserciterà sul Romanticismo e sull'estetica romantica.
Nel sistema filosofico di Kant, la Critica del Giudizio cerca di dare una risposta ai problemi sollevati dalle due Critiche precedenti, operando da anello di congiunzione tra la conoscenza e la morale, pur sfociando in un'analisi del bello più ampia e articolata.
Se la prima Critica, inerente alla conoscenza, aveva fondato la conoscenza del mondo fenomenico nell'attività sintetica dell'intelletto e nell'unione dell'esperienza e dei concetti puri, essa aveva però trovato il proprio limite nel mondo noumenico, che rimaneva all'uomo irraggiungibile dal punto di vista conoscitivo, strettamente ancorato al fenomeno e all'esperienza. La Critica della ragion pratica, procedendo in modo totalmente indipendente dalla prima, aveva fondato invece la moralità, indicando nella libertà il suo postulato fondamentale da cui scaturivano l'autonomia e la formalità dell'imperativo categorico. Tuttavia la moralità, in quanto richiede che ogni comportamento concreto dell'uomo si realizzi non sul piano fenomenico della conoscenza, ma su quello noumenico delle essenze, doveva partire dal fatto che il mondo non rappresenti soltanto una rigida necessità espressa in leggi universali e razionali, ma anche una realtà in grado di offrire delle risposte convincenti alle richieste di senso fortemente sentite dall'uomo.
La Critica del giudizio raccoglie quindi tale esigenza umana di trovare un senso al mondo, permettendo che la realtà concreta si accordi alle istanze morali umane.
Kant stesso esprime tale esigenza distinguendo tra giudizio determinante e giudizio riflettente. Il primo é relativo alla conoscenza ed é da Kant definito come “determinante” in quanto costruisce il mondo fenomenico e struttura in esso ogni nostra esperienza. Tale giudizio presenta sia un aspetto particolare, che un aspetto universale: il particolare é rappresentato dai dati percettivi e sensoriali, mentre l'universale dalle forme a priori.
Nel giudizio riflettente, invece, é dato soltanto il particolare, cioè l'oggetto costruito dal giudizio determinante, mentre l'universale deve essere ricercato: se noi guardiamo un fiore, ad esempio, lo conosciamo in modo scientifico mediante il giudizio determinante, ma ci chiediamo anche perché esso sia “bello”, quale sia il suo scopo nell'universo, come possa suscitare in noi certi sentimenti: questo rappresenta l'oggetto del giudizio riflettente.
Kant distingue, all'interno del giudizio riflettente, tra giudizio estetico e giudizio teleologico. Il primo si interroga sul senso della bellezza, il secondo sulla finalità della natura.
Kant sottolinea come in nessun caso i giudizi riflettenti possono produrre conoscenza, come quelli determinanti, in quanto risulta mancante uno degli elementi della sintesi, cioè l'a priori in grado di dare forma ai dati. Ne consegue che tutto ciò che l'uomo può dire dell'estetica e della finalità della natura riguarda la possibilità o una speranza, ma non una certezza.
La Critica del giudizio, secondo Kant, può dirci cosa possiamo sperare, ma é anche in grado di dimostrare tale speranza in modo razionale, in accordo con la moralità del mondo noumenico, cioè di fondarla razionalmente.
Il giudizio estetico.
Poiché il giudizio riflettente non possiede alcuna validità conoscitiva, esso riguarda la nostra soggettività, esprime cioè ciò che noi sentiamo, ma non ciò che noi possiamo conoscere.
Anche all'interno di questa Critica, come nelle altre due, Kant opera una “una rivoluzione copernicana”, fondando sia la bellezza, sia la finalità della natura sul soggetto, come già aveva fatto in merito alla conoscenza e alla morale.
In merito in particolare all'estetica, Kant opera un rovesciamento rispetto al passato: la bellezza non é più nelle cose e non possono esistere quindi regole o canoni di bellezza che ci permettano di determinare ciò che é bello da ciò che non lo é. Come già in precedenza aveva sottolineato Hume, la bellezza é un sentimento del soggetto e non una qualità dell'oggetto.
Pur essendo soggettivo, il giudizio estetico é comune a tutti gli uomini e Kant opera una distinzione tra il piacevole e il bello: il piacevole é legato alla sensibilità e dipende strettamente dalle caratteristiche individuali e quindi varia da persona a persona; il secondo, invece, é comune a tutti gli uomini. La soggettività, cioè il fatto che il giudizio si riferisca all'individuo e alla sua sensibilità, e l'universalità del bello rappresentano insieme, secondo Kant, una vera “stranezza” del giudizio estetico e costituisce l'antinomia del gusto: da un lato possiamo ritenere che sulla bellezza ci sia un accordo universale, dall'altro però si é consapevoli che “sui gusti non si può giudicare”, come recita un famoso proverbio.
La soluzione che Kant propone per risolvere tale problema é che il sentimento del gusto non deriva dall'esperienza, ma é una struttura a priori e, in quanto tale, é comune a tutti gli uomini: Kant infatti sostiene che il fondamento dell'universalità sia in noi e non nelle cose, e dunque appartiene al soggetto. Tale soggetto, però, non é il singolo individuo, ma é un soggetto universale, totalmente indipendente dalla storia e dalle diversità culturali. Sarebbero tali fattori ad influire per Kant sulla nozione di “bello”: alcune cose vengono considerate belle in alcune culture e non in altre, e ciò che veniva considerato come bello in un'epoca, può non esserlo in un'altra. Kant specifica, però, che in questi casi si tratta più di piacevole, che non di bello, in quanto il piacevole é legato all'individualità e alle peculiarità dei diversi contesti storico-sociali. Ciò che invece definiamo come bello, e non soltanto piacevole, lo é in modo universale: la Monna Lisa, le statue di Fidia, un tramonto o una rosa sono esempi di bello universale, valido per tutti gli uomini e in tutte le epoche.
L'estetica di Kant riguarda in prevalenza la natura, in particolare in relazione al sublime, anche se la definizione che Kant dà dell'artista influenzerà profondamente il Romanticismo. Per Kant, infatti, il genio é “ragione che crea come natura”: accanto all'elemento razionale e intenzionale, nell'artista vero e proprio, é presente anche una produttività spontanea e inconsapevole, e ciò fa si che nell'opera d'arte siano presenti non solo i contenuti razionali voluti dall'autore, ma anche degli altri di cui l'artista non é in alcun modo consapevole e che devono essere oggetto di interpretazione, come ben spiegherà Schelling nella sua filosofia.
Il bello e il sublime.
Il giudizio estetico, secondo Kant, é soggettivo, ma universale, in quanto é riferibile a una facoltà a priori, il sentimento del gusto, che é universale, in quanto comune a tutti gli uomini.
L'estetica kantiana interpreta il bello come accordo tra la natura e il nostro sentimento del gusto, come se la natura stessa fosse, per certi aspetti, indirizzata al nostro piacere estetico, come se trovasse nell'uomo la propria finalità, il proprio senso e il proprio punto di riferimento, come Kant dirà in merito al giudizio teleologico.
La centralità dell'uomo é motivata dal fatto che l'uomo é l'unico essere morale del creato e ciò fa si che estetica e moralità siano strettamente collegate.
All'interno di tale concezione del bello, Kant specifica i significati dell'estetica che verranno ripresi dal movimento romantico. Riprendendo le quattro categorie, Kant riprende il bello in relazione alla qualità, alla quantità, alla relazione e alla modalità, cioè alle quattro categorie kantiane.
Riprendendo lo schema delle categorie, Kant definisce il bello come “ciò che piace senza interesse”, facendo proprio uno dei motivi centrali della riflessione settecentesca, sopratutto di ambito inglese. Il bello, sia dell'arte, sia della natura, é, inoltre, disinteressato, nel senso che non si identifica né con l'utile, né con il bene, né con il piacevole, né, in generale, con il desiderabile: secondo la qualità, Kant definisce quindi il bello come disinteressato; secondo la quantità, il bello é definito da Kant come ciò che é “senza concetto”, cioè che il bello viene rappresentato come un piacere universale: Kant specifica che sul bello non si possa argomentare, cioè che non si possa spiegare perché qualcosa é bello, in quanto il giudizio estetico si basa sul sentimento e non sull'intelletto: secondo Kant si tratta di un piacere universale perché, a differenza del piacere, ciò che é bello lo é per tutti, dato che il sentimento del gusto é comune a tutti gli uomini. In relazione alle categorie di relazione, Kant sottolinea l'aspetto formale del bello: la bellezza viene da Kant definita non in relazione ad uno scopo, ma riferita all'armonia formale tra le parti. Tale caratteristica si rende particolarmente evidente nella musica, ma secondo Kant, vale per ogni altra espressione artistica, indipendentemente dal contenuto socialmente didascalico o impegnato secondo la concezione illuministica. Kant, infatti, sottolinea come anche una poesia possa avere un contenuto di valenza sociale o educativa, ma che non sia tale aspetto a farne un'opera d'arte particolare. Infine, secondo le categorie della modalità, il bello é riconosciuto come “un oggetto di un piacere necessario”, Kant afferma il legame tra il bello e il piacere, ma sottolinea anche che il piacere estetico é «necessario», indipendente dalle caratteristiche e dai gusti individuali, e quindi é possibile formulare giudizi che abbiano validità universale.
In merito alla nozione di «sublime», Kant distingue tra bello e sublime, e in quest'ultimo si mostra più evidente il rapporto tra estetica e moralità. Secondo Kant, tali sentimenti derivano da spettacoli disarmonici, che atterriscono l'uomo e lo disorientano, nella sua fragilità, ma che pongono l'uomo anche di fronte alla sua finitezza, mettendolo più facilmente in rapporto con se stesso, con la propria dimensione spirituale: l'esperienza del sublime apre alle contraddizioni tra l'immensità e la forza della natura e il sentimento della insufficienza dell'uomo. Mentre il bello rapporta alla natura tramite un sentimento piacevole, dato dall'armonia tra uomo e natura, il sublime rappresenta un sentimento contraddittorio e, fondamentalmente, spiacevole, e il piacere che ne deriva é solo indiretto. Kant distingue tra sublime matematico, suscitato dall'immensamente grande, per esempio il cielo stellato, e il sublime dinamico, provocato dalle manifestazioni naturali di potenza della natura che sovrastano l'uomo, facendolo sentire debole e indifeso (come eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti, et.).
Secondo Kant sia il bello, che il sublime non hanno relazioni che riguardino il giudizio determinante, la conoscenza, ma il giudizio riflettente: entrambi risultano essere soggettivi, cioè sono entrambi riferiti alle reazioni del soggetto e non all'oggetto in sé. Mentre nel bello esiste una finalità interna all'oggetto, organizzato in modo da piacerci, mentre nel sublime tale finalità é totalmente assente ed é giocata sulle reazioni personali suscitate nel soggetto. Il sublime sembra presentare un grado di soggettività maggiore rispetto al bello, in quanto tocca maggiormente la coscienza soggettiva. Sia il bello, sia il sublime, sono giudizi riflettenti, ma mentre il primo ha come oggetto le cose, il secondo ha come oggetto la coscienza, cioè la propria interiorità.
Mentre quindi il bello si fonda sull'equilibrio, il sublime si fonda sulla dinamicità delle manifestazioni della natura e sulle nostre reazioni istintive suscitate da esse.
Il giudizio teleologico.
Il bello, come si é visto, apre a un rapporto tra uomo e natura che supera il meccanicismo naturale e si pone in una dimensione noumenica. Kant affronta così il vero problema della Critica del giudizio: cercare il senso della vita umana e della natura. Kant sostiene che se noi non potessimo parlare del mondo se non attraverso cause efficienti e meccaniche, allora il mondo sarebbe privo di significato.
Kant parte dall'osservazione del mondo naturale e, in particolare, di quello organico. Esistono in natura tre diverse finalità distinte:
- un albero riproduce la specie, producendo altri alberi;
- un albero produce se stesso come individuo tramite la crescita;
- un albero conserva se stesso mediante le sue diverse parti che concorrono alla costituzione del tutto.
Il giudizio teleologico non sostituisce la conoscenza scientifica e Kant sottolinea come la scienza non sia in grado di spiegare tutta la realtà, e proprio per questo il giudizio riflettente può immaginare o ipotizzare che esista un'altra realtà, pur se non dimostrabile.
Poiché la finalità interna ad ogni essere non può spiegare e dare risposta alle domande di senso del mondo, Kant afferma che non é sufficiente a spiegare il posto dell'uomo nel mondo, né il senso della natura nella sua totalità.
Kant sottolinea che, se c'é un fine nel mondo, questo dev'essere di tipo morale e che l'unico essere morale é, appunto, l'uomo: l'uomo, quindi, é il fine ultimo di tutta la creazione, ma non si tratta ovviamente di conoscenza scientifica, bensì di una “ragionevole speranza”: ragionevole, in quanto esistono argomenti razionali che sostengono tale tesi; speranza, in quanto attinente al mondo noumenico che sfugge ad ogni conoscenza scientifica.
La possibilità di conoscere il mondo in termini scientifici apre, però, la possibilità all'uomo di insinuarsi nel mondo noumenico, rappresentate dalla libertà dell'uomo e dalla presenza di Dio: tali esigenze dell'uomo non precludono né la conoscenza dei fenomeni, né di presupporre l'esistenza di un essere trascendente.
La religione, la storia e il futuro dell'umanità.
Kant scrive nel 1793 il saggio intitolato La religione nei limiti della semplice ragione e sviluppa l'idea di fondo già presentata nella Critica della ragion pratica: la morale deve precedere qualsiasi religione, e ogni religione dovrebbe condurre esclusivamente ad una morale razionale e autofondata. Kant sostiene che i principi del Cristianesimo siano gli stessi della morale naturale che é raggiungibile mediante la sola ragione dell'uomo. Ciò porta Kant a dire che la rivelazione cristiana non é stata inutile, in quanto ha diffuso tali principi molto tempo prima che l'umanità fosse in grado di fondarsi secondo termini razionali. Kant sottolinea come l'uomo tenda per natura al male, in seguito al peccato originale, e lo sviluppo storico viene visto da Kant come una lotta tra l'inclinazione al male, data dal peccato, e quella al bene, legata alla natura originaria dell'uomo: tale lotta trova in Cristo il punto di svolta, in grado di superare la legge antica, intesa come comandamento e costrizione, per affermare la legge morale, in grado di offrire all'uomo il criterio per poter scegliere il bene: tale svolta dovrebbe portare, secondo Kant, allo svilupparsi di una comunità morale che consentirà il prevalere del bene sul male, realizzando una nuova società in cui virtù e ragione saranno il fondamento dei costumi sociali.
Anche dal punto di vista politico Kant ipotizza uno sviluppo simile a quello morale, in cui l'idea di progresso é legata alla realizzazione della moralità e non allo sviluppo delle scienze e delle tecniche.
La storia viene vista da Kant come una progressiva realizzazione della libertà e della ragione, in cui lo sviluppo morale permetterà l'avvento di una “socievole insocievolezza”: poiché l'uomo allo stato naturale é egoista, tendendo alla propria conservazione e sopravvivenza, tale egoismo lo porta però a ricercare i propri simili allo scopo di garantire meglio i propri bisogni. Se, inizialmente l'uomo ha bisogno dell'autorità di un re per dominare tale istinto naturale egoistico, via via che si afferma la ragione sull'istinto, l'umanità diventerà sempre più consapevole e capace di autogovernarsi. Tale sviluppo positivo viene individuato da Kant nell'Illuminismo che corrisponde all'età della ragione dell'intera umanità e non più soltanto di singoli individui. Tale lotta tra ragione e istinto, a livello sociale, corrisponde alla lotta individuale tra ragione e sensibilità, e non ha mai termine. La storia viene così intesa come progresso all'infinito simile a quello del singolo individuo, sino a realizzare quella che Kant chiama “pace perpetua”, lo stadio in cui verranno superate le divisioni naturali e sarà possibile creare un governo mondiale di stati confederati che avrà il compito di risolvere le controversie tra i vari popoli, facilitando una progressiva unificazione dell'intera umanità.