Classi 3° A-B-C Linguistico
Socrate: vicende biografiche.Socrate nasce ad Atene tra il 470 e il 469 a. C. La madre, Fenarete, svolge il lavoro di levatrice, ma solo per le amiche. Il padre, Sofronisco, è invece uno scultore.
Il giovane Socrate viene istruito nell'arte paterna e riceve l'educazione tradizionale impartita ai rampolli delle famiglie benestanti: poesia, musica, ginnastica (la resistenza fisica, frutto degli esercizi ginnici, gli sarà molto utile durante le guerre).
In età adulta impara a suonare la cetra. Il periodo della sua formazione coincide con quello in cui Atene, governata da Pericle, si trasforma in un laboratorio culturale grazie alla presenza di personaggi di rilievo, tra cui Anassagora e Protagora che, più di altri, influenzeranno Socrate.
Da queste esperienze nascono i suoi primi interessi per la retorica e per gli studi naturalistici, in particolare per la fisica e la medicina. Nello stesso clima culturale Socrate acquisisce l'arte della confutazione, tipica della Scuola Eleatica.
Per un certo periodo si lega a scuole religiose e coltiva rapporti di amicizia con la famiglia di Platone. Dopo il fallimento della politica di Pericle, Socrate intraprende un suo originale percorso intellettuale. In età matura, prima a 39, poi a 45 e 46 anni, partecipa a tre guerre che coinvolgono la sua città, combattendo come oplita: questa collocazione nell'esercito testimonia come Socrate, in questo momento, non si trova in condizioni economiche modeste, visto che l'oplita è il militare che possiede le armi più costose. Dopo la guerra del Peloponneso, però, Socrate cade in povertà, una condizione rivelata anche dal suo abbigliamento: indossa una tunica sdrucita, non possiede mantello, né cappello, né scarpe. Fisicamente Socrate è sgraziato: piccolo, con le gambe storte, panciuto e calvo, con il naso schiacciato, occhi sporgenti e sopracciglia spesse, ecco come viene raccontato dai suoi contemporanei.
All'età di 50 anni Socrate sposa Santippe, una donna «accettabile», secondo Platone, e «insopportabile», secondo Antistene. Questo matrimonio genera tre figli, due dei quali saranno ancora molto piccoli al momento del processo a Socrate, all'età di 70 anni. Numerosi sono i suoi ascoltatori abituali: Alcibiade, Antistene, Aristippo di Cirene, Euclide di Megara e Platone. Socrate non lascia alcuna testimonianza scritta del suo pensiero. Viene condannato a morte da un'assemblea democratica e muore nel 399 a. C. dopo aver bevuto la cicuta.
Socrate: il filosofo come cittadino.
Socrate, si è visto, non lascia alcuna testimonianza scritta del proprio pensiero: egli è infatti convinto che la ricerca della verità si possa stimolare solo con il dialogo con il proprio interlocutore, non con la parola scritta che, una volta tracciata, si cristallizza e diventa immodificabile, non potendo tener conto della flessibilità richiesta dal dialogo. Tutto ciò che ci è pervenuto su Socrate, ci è giunto grazie a testimonianze dirette e indirette, tra loro eterogenee.
Nasce così il problema Socrate: qual'è dunque il suo vero messaggio filosofico?
Soltanto l'esame delle diverse fonti, giunte fino a noi, possono contribuire a creare un ritratto composito e fedele del filosofo Socrate.
La prima, dal punto di vista cronologico, è Aristofane, famoso commediografo greco: nella sua commedia, intitolata «Le nuvole», che risale intorno al 423 a. C., Socrate viene rappresentato come un intellettuale pericoloso, in quanto miscredente, sempre impegnato, come Anassagora, nell'indagine sulla natura, un chiacchierone che, dal suo «pensatoio», sospeso a mezz'aria per meglio osservare la natura, corrompe i giovani. Aristofane è un commediografo conservatore che vede Anassagora, i Sofisti e Socrate come dei pericolosi negatori dei valori tradizionali.
Tutte le altre testimonianze sono successive alla morte di Socrate. Policrate, ad es., nell'Accusa contro Socrate, del 393 a. C., dipinge Socrate come un antidemocratico, anzi il cattivo maestro degli esponenti più oltranzisti dell'aristocrazia. Un'altra testimonianza interessante è quella pervenutaci da Senofonte che offre un ritratto di Socrate come predicatore e moralista. Le testimonianze però più ampie ed attendibili, si ritrovano in Platone e nei suoi dialoghi giovanili. Platone sarà il testimone più accurato e fedele del pensiero socratico e il suo allievo più illustre e renderà Socrate protagonista di molti suoi dialoghi. Infine, un'altra fonte interessante su Socrate, è rappresentata da Aristotele che, allievo di Platone, vede in Socrate lo scopritore del concetto.
Socrate, pur prendendo spesso le distanze dai Sofisti, condivide però la loro idea circa il fatto che la verità assoluta non è accessibile all'uomo e che comunque l'orizzonte di indagine filosofico è decisamente focalizzato sull'uomo e sui suoi problemi.
Intento comune sia di Socrate, che dei Sofisti, è l'umanesimo, ossia l'idea che la cultura debba essere centrata sull'uomo, così come un atteggiamento anticonformista nei confronti della tradizione e dei suoi valori.
Tuttavia, rispetto ai Sofisti, Socrate respinge:
- l'assenza di scrupoli morali e la scelta di insegnare a pagamento;
- l'uso del discorso come tecnica di persuasione, completamente separata dai contenuti;
- il relativismo;
- lo scetticismo.
Socrate, inoltre, rifiuta i discorsi di alcuni Sofisti che vedono la politica ridotta a un gioco di puro potere, privo di qualsiasi sapere o di valori. Socrate, rispetto ai Sofisti, vanta la propria superiorità sui Sofisti, che credono di sapere e di poter insegnare tale sapere a pagamento, ma che in realtà non sanno, mentre Socrate sa di non sapere e, quindi, non ha nulla da insegnare agli altri.
È questo la corretta interpretazione del responso dato a Socrate dall'Oracolo di Delfi che aveva affermato essere Socrate l'uomo più sapiente di tutti. Se, infatti, ci si considera sapienti, non si ricerca la verità e quindi, per Socrate, non si fa filosofia.
La consapevolezza di non sapere è per Socrate l'unica condizione che favorisce la ricerca del vero sapere e che i Sofisti, convinti come sono di essere detentori del sapere e di poterlo elargire in modo monopolistico, scoprono invece di non possedere alcuna verità o sapere e, come dirà lo stesso Socrate, d’inseguire ombre e non sapere certo.
Socrate, pur prendendo le distanze dai Sofisti, condivide però con Protagora e Gorgia l’atteggiamento agnostico: é convinto infatti che l’uomo non possa sapere nulla di certo circa le cause ultime dell’universo, poiché solo la divinità conosce la verità e tale mistero rappresenta per l’uomo un enigma irrisolvibile.
Questa consapevolezza socratica non si traduce però in un atteggiamento conoscitivo di tipo scettico: egli é infatti convinto di poter affermare qualcosa su problemi meno complessi, ma più importanti per la vita dell’uomo, cioè i problemi legati all’etica e alla politica.
Da tutto ciò deriva l’atteggiamento socratico del provocare tutti coloro che, ritenendosi sapienti, si dimostrano ignoranti, ostentando certezze incrollabili che in realtà non possiedono, come appunto fanno i Sofisti.
Il dialogo come metodo di ricerca.
La consapevolezza di Socrate di non sapere mette in moto la ricerca della verità, senza la quale l’uomo non sarebbe tale e la sua vita non sarebbe degna di essere vissuta. Una ricerca, quella di Socrate, che tende ad andare oltre i “giochi” dialettici dei Sofisti, i loro lunghi monologhi e il loro uso del linguaggio quale esclusiva tecnica persuasiva.
Socrate crede nel dialogo (dal greco diá che vuol dire tra e lógos che significa discorso: discorso tra persone), filosofare é ricercare assieme, in quanto ricercare é non solo dialogare con se stessi, ma anche con gli altri, allo scopo di liberarli dalla presunzione di sapere, dalle certezze derivate da opinioni consolidate, ma mai sottoposte al vaglio critico del confronto razionale del pensiero, proprio e altrui, dai pregiudizi di qualsiasi tipo essi siano.
Socrate indossa così i panni del provocatore, di colui che incalza il proprio interlocutore con domande, in modo che questi giunga a prendere consapevolezza della propria ignoranza, spogliandosi dell’illusione di un falso sapere.
Siamo nella pars destruens del metodo socratico, cioè in quella fase iniziale in cui Socrate, utilizzando l’ironia (dal greco eironeía = finzione, simulazione), destruttura e smaschera la falsa conoscenza del suo interlocutore e ne dimostra sottilmente la vana presunzione di sapere. L’ironia infatti rappresenta la fase negativa del sapere e del dialogo, una tecnica diversa dai logoi dei Sofisti: non solo perché, a differenza dei lunghi monologhi dei Sofisti, le domande di Socrate sono brevi e dirette, ma anche perché Socrate manifesta il chiaro intento che non si parte da nessuna verità certa e scontata. Socrate infatti rifiuta in modo deciso il ruolo del maestro tradizionale che trasferisce le proprie conoscenze nella mente dell’allievo, anzi afferma chiaramente la propria ignoranza, esagerando volutamente la validità apparente delle conoscenze dell’interlocutore.
Si ha così nel dialogo socratico un duplice processo di disvelamento e di dissimulazione: da un lato l’ignorante Socrate che, inizialmente chiede aiuto al proprio interlocutore per colmare la propria ignoranza, esagerando volutamente la propria inferiorità conoscitiva ed esaltando invece le conoscenze degli altri, la dissimulazione appunto, in cui Socrate finge di condividere ammirato le posizioni dell’altro, dall’altro, via via che il dialogo procede, incalzando l’interlocutore con le sue domande, sino a fargli raggiungere la consapevolezza circa l’infondatezza delle proprie certezze,si ha il disvelamento. E’ a questo punto infatti che l’ironia raggiunge il proprio culmine: la fase ironica infatti vede manifestarsi il chiaro intento socratico di dimostrare al proprio interlocutore che non solo egli non é così sapiente come reputava essere all’inizio, ma che lo stesso Socrate, in quanto consapevole di non sapere, é paradossalmente più sapiente del proprio interlocutore che invece non ha tale consapevolezza e crede di sapere. Il disvelamento (alla lettera togliere il velo dagli occhi), del proprio interlocutore circa la propria reale condizione di ignoranza, diviene il momento catartico della liberazione dalle false certezze e condizione necessaria e preparatoria alla pars costruens, alla fase di ricostruzione e di ricerca condivisa di un vero sapere, in cui Socrate manifesta il suo vero ruolo di guida intellettuale e di stimolo al progredire del percorso dialogico con l’interlocutore in una situazione di parità tra coloro che ricercano la verità.
A tale fase negativa, segue la fase costruttiva o positiva del metodo socratico: la maieutica.
Il termine maieutica (da maieutiké téchne = arte di far partorire), è l'arte della levatrice che aiuta le donne durante il parto. Il riferimento di Socrate alla professione di sua madre Fenarete è qui preciso e puntuale: Socrate rivendica il proprio ruolo di aiutare gli altri a «partorire» la verità. Socrate infatti afferma che, pur essendo lui «sterile» di sapienza, cioè che pur non avendo una propria verità preconfezionata da offrire all'interlocutore, lo aiuta, attraverso il dialogo, a partorire le idee che ha in gestazione, cioè a ragionare. La verità per Socrate non rappresenta infatti qualcosa che si riceve dall'esterno, quanto invece una conquista personale, da sottoporre al vaglio critico della ragione.
Proprio a sottolineare l'importanza di tale ricerca personale, Socrate riprende il motto scritto all'ingresso dell'Oracolo di Delfi: conosci te stesso.
Il conoscere se stessi di Socrate è appunto riferibile al fatto che la verità non può essere frutto di tradizione, ma va cercata riflettendo, ragionando, quindi dialogando.
Solo conoscendo se stessi, secondo Socrate, si può scoprire la vera natura dell'uomo: la ragione che deve controllare ogni comportamento umano e che, in quanto comune ad ogni uomo, permette di ricavare dal dialogo verità universali, valide per tutti e stabili, non relative e mutevoli come quelle dei Sofisti. Per questo motivo la domanda ricorrente che Socrate pone a tutti è: «che cos'è?», (tì esti?), con l'obiettivo di condurre l'interlocutore oltre il punto di vista individuale, allo scopo di scoprire la natura stessa dell'oggetto da definire, la sua essenza. Il metodo di indagine conoscitiva indicato da Socrate, partendo da vari esempi di oggetti e situazioni appartenenti alla stessa tipologia, giungere ad unica caratteristica che riassume tutte le esemplificazioni, superando così la molteplicità della realtà e la soggettività delle opinioni: un sapere condiviso da tutti in quanto sostenuto da argomenti razionali.
La virtù quindi non è la giustizia, piuttosto del coraggio o della pietà, ma è il sapere che le accomuna tutte, che sintetizza tutti i comportamenti virtuosi. La virtù quindi per Socrate è sapere che cosa è bene fare in ogni situazione: ciò che distingue ad es. il coraggioso dal temerario, è che il coraggioso affronta il rischio sapendo di essere in pericolo, lo affronta in modo intelligente, mentre il temerario si butta nel rischio con ignoranza, cioè senza valutarlo.
Secondo Aristotele, il «che cos'è» socratico rappresenta il concetto: il concetto di una cosa, infatti, altro non è che la natura di quella cosa.
Ad es, il concetto di uomo è ciò per cui è uomo e non qualcosa d'altro, esprime la definizione di uomo, un significato stabile e universale.
Aristotele chiamerà ragionamento induttivo il processo logico con il quale Socrate conduce l'interlocutore dal «particolare» all'«universale».
Ad es., per definire il coraggio, Socrate esamina vari esempi di comportamenti riconosciuti come coraggiosi, chiedendosi cosa abbiano in comune: in questo modo, partendo da singoli casi particolari, giunge ad una definizione generale.