mercoledì 15 novembre 2023

I Sofisti 2 - Protagora e Gorgia.

  Classi 3°A/B/C Linguistico

 Protagora e il relativismo gnoseologico.

Se per i Sofisti il sapere non è semplicemente un dono divino o il risultato di un qualche segreto tramandato da aedi e rapsodi da una generazione a quella successiva, ma è frutto di conquista umana, qualcosa che si può apprendere e insegnare, allora l'uomo diventa l'elemento dominante di tutta la realtà e l'unico depositario di tale sapere e della sua costruzione.
L'uomo per Protagora è quindi la misura di tutte le cose, il fulcro dell'intera realtà: tale concezione si chiama relativista proprio perché tutto viene rapportato all'uomo e alla dimensione della sua esistenza. Il riferimento di Protagora alla centralità dell'uomo non si riferisce in modo esplicito né al  singolo individuo, né all'umanità come genere o come popolo, ma tutti e tre questi aspetti sembrano coesistere all'interno dello stesso concetto.
Protagora quindi rifiuta l'esistenza di verità divine, rivelate da qualche divinità, sottolineando come sia l'uomo l'unico giudice della verità e che tale verità è assolutamente relativa.
Una possibile dimostrazione di intendere l'uomo come singolo individuo è rappresentato dall'esempio, tramandato da Platone, del sano e del malato:
- il malato può percepire come amaro ciò che il sano percepisce come dolce e non avrebbe alcun senso che il sano pretendesse di convincere il malato circa la verità della propria percezione. La conoscenza si basa infatti sulle sensazioni e queste cambiano da un individuo all'altro, e cambiano a seconda delle condizioni psicofisiche o dell'età: non esistono dunque per Protagora sensazioni assolute.
Un'altra possibile interpretazione di uomo è quella intesa come genere umano, come umanità. Protagora sostiene che è impossibile per l'uomo andare oltre all'esperienza umana: non esiste alcuna possibilità per lui di comprendere e padroneggiare verità extra umane o divine. Non esiste quindi alcuna possibilità di sapere se esista o meno la divinità. Protagora afferma che dinanzi a tale evidenza, non rimane all'uomo che di avere un atteggiamento agnostico, confessare cioè la propria ignoranza (agnosticismo religioso): poiché tale argomento è troppo oscuro e misterioso e la vita dell'uomo è troppo breve per risolvere il problema, Protagora vede nell'agnosticismo non una rinuncia a risolvere il problema dell'esistenza della divinità, quanto invece la consapevolezza che tale problema non è risolvibile per l'uomo.
La terza possibilità interpretativa del termine uomo, inteso come comunità o popolo, si fonda sulla relatività dei valori che, oltre alla soggettività della percezione individuale e all'esistenza di una verità tutta umana, è presente nei diversi popoli, che mostrano una grande disparità di valori professati che cambiano da una cultura ad un'altra: ciò che è severamente proibito all'interno di una cultura, spesso è tollerato o addirittura permesso in altre.
Nulla è quindi assoluto: non esistono allora valori e verità che si impongono universalmente a tutti gli uomini in modo evidente: tutto è quindi relativo.
Mancando dei punti di riferimento assoluti, Protagora, come gli altri Sofisti, propone un sapere, quello della retorica, che è del tutto neutro rispetto a qualunque verità, in quanto è una tecnica, un saper fare.
In conseguenza del fatto che anche il linguaggio è totalmente sganciato da ogni verità, Protagora afferma la necessità del metodo delle antilogie, che consiste nel costruire discorsi doppi intorno a uno stesso argomento: proprio perché. Il linguaggio è sganciato dalla verità, occorre esercitarsi nel sostenere sia una tesi, sia quella a lei opposta, sviluppando su uno stesso argomento due argomentazioni tra loro opposte.
Non si tratta di un semplice esercizio linguistico fine a se stesso, ma dell'esistenza di punti di vista differenti che sono presenti nella realtà e sono riscontrabili dall'esperienza di ogni individuo.
Protagora così, riprendendo il concetto dell'armonia degli opposti di Eraclito, rivendica l'assoluta relatività di ogni giudizio o discorso e dell'impossibilità di sostenere l'oggettivitá e la verosimiglianza di qualsiasi argomentazione.

Il criterio dell'utile.

Poiché il discorso è lo strumento necessario per esprimere punti di vista che si scontrano e poter far prevalere il proprio su quello degli altri, sopratutto all'interno dell'assemblea di cittadini, Protagora introduce il criterio dell'utile allo scopo di garantire che il vantaggio ottenuto dalla maggioranza non venga nullificato da poche opinioni contrastanti ad esso. Protagora è infatti convinto circa l'utilità della pólis quale istituzione politica: nonostante l'umanità abbia inventato le tecniche per favorire il proprio progresso e differenziarsi dalle altre specie animali, egli sostiene che ciò a nulla varrebbe senza il dono della politica. Tuttavia il possesso delle tecniche, da solo, non è sufficiente a garantire la sopravvivenza dell'umanità, in quanto solo la politica è in grado di assicurare il rispetto della giustizia e degli altri.
Mentre le tecniche infatti appartengono a pochi specialisti, la politica appartiene potenzialmente a tutti.
Ma per permettere la partecipazione attiva alla vita politica della pólis da parte di tutti i cittadini, è necessario che questi apprendano la retorica, l'arte del ben parlare, che è appunto finalizzata all'utilizzo della comunità.
Non tutti i punti di vista diversi sono equivalenti tra loro: è necessario che prevalgano solo quelli che favoriscono il bene dell'intera comunità e non gli interessi personali ed egoistici.
Ciò rende necessario rendere forte il discorso che persegue l'utilità comune, permettendo il raggiungimento di un utile che vada oltre la convenienza immediata o apparente, per puntare invece ad un vantaggio duraturo e importante.
Poiché rendere forte il discorso significa per Protagora conquistare il consenso della maggioranza alla propria opinione, tale obiettivo richiede di far uso della retorica allo scopo di trasformare una opinione utile alla collettività in legge: solo in questo modo la retorica risulta essere veramente efficace. La legge quindi non nasce per volontà divina o per il volere di un sovrano, non ha nulla di sacro, ma per Protagora è semplice frutto di convenzione da parte della maggioranza di un'assemblea, o per meglio dire, della maggioranza di essa che condivide l'opinione proposta.
Ma ciò non rende la legge meno necessaria: nella misura in cui l'uomo è chiamato a rinunciare ai propri egoismi e all'espressione libera dei propri istinti, differenziandosi dagli altri animali, è soltanto all'interno della vita sociale, nella pólis, che la legge lo vincola e lo protegge dal ritornare allo stato di belva selvaggia, rendendolo effettivamente uomo: solo nella pólis Protagora vede la possibilità concreta che il singolo uomo possa realizzare in pieno la propria umanità, venendo preservato dalle proprie debolezze.

Gorgia da Lentini e il problema dell'essere.

Se con Protagora si consuma la divisione tra linguaggio e verità, pur senza negare l'esistenza del vero e del falso, è però altrettanto vero che il criterio dell'utile da lui introdotto, pone un fermo limite al relativismo: il vero, essendo relativo ad un individuo o a una comunità, non può essere dimostrato oppure no dalle singole affermazioni individuali. Il criterio dell'utile però permetteva a Protagora di sfuggire al totale soggettivismo del linguaggio, cioè conduce oltre la sfera della dimensione puramente soggettiva, accentuando il valore della pólis e delle leggi utili alla comunità.
Il relativismo di Protagora viene riferito quindi all'impossibilità di far riferimento al vero e falso intesi in modo assoluto, ma risulta comunque avere dei limiti ben precisi: l'utile inteso come bene collettivo e non come egoismo soggettivo.
Questi limiti invece per Gorgia non esistono: non soltanto egli demolisce l'intero impianto ideologico dell'essere parmenideo, ma sostiene anche la possibilità di dimostrare la verità di qualsiasi opinione facendo uso della stessa dialettica di Zenone, dimostrando cioè la contraddittorietà delle tesi sostenute dalla Scuola Eleatica, con l'intento esplicito di demolire qualunque pretesa di conoscere la vera struttura ontologica del reale. Secondo Gorgia la ragione umana non è in grado di evitare le contraddizioni logiche in cui il pensiero è immancabilmente destinato a cadere ogni volta che pretende di poter cogliere l'intima natura delle cose.
Se infatti Protagora si era occupato sopratutto di analizzare la retorica e il suo uso, Gorgia si impegna invece nel dimostrare l'inconsistenza delle tesi degli Eleati sull'essere in quanto il pensiero umano non è sempre pensiero dell'essere come voleva Parmenide, affermando che:
- nulla esiste;
- anche se qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile;
- e se anche se qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile.
Il primo punto viene dimostrato per assurdo: se qualcosa esistesse, questo sarebbe eterno o generato, o sarebbe eterno e generato assieme, si avrebbero così tre diverse possibilità che sarebbero tuttavia tutte assurde in quanto: 
 L'essere non è eterno perché: 
- se fosse eterno non potrebbe avere nessun principio (solo ciò che è generato può infatti avere un principio);
- se non avesse nessun principio sarebbe infinito;
- se fosse infinito, non sarebbe in nessun luogo (se fosse in un luogo, infatti, tale luogo sarebbe distinto dall'infinito e, di conseguenza, l'essere non sarebbe infinito);
- se non fosse in alcun luogo l'essere non esisterebbe: come può esistere qualcosa che non è in nessun luogo?
L'essere non è generato:
- se l'essere fosse generato, esso sarebbe generato o dall'essere o dal non essere;
- se derivasse dall'essere, sarebbe già prima e, di conseguenza, non sarebbe generato;
- se invece fosse generato dal non essere, allora si avrebbe l'assurdo che il non essere, pur essendo non essere, avrebbe la capacità di generare l'essere;
- la conseguenza è scontata: l'essere non può essere h.
L'essere non è eterno e generato insieme, in quanto i due termini si escludono a vicenda: 
- se è generato, non può essere eterno; e se è eterno, non è generato.
In conclusione, visto che l'essere non può essere eterno, né generato, né eterno e generato assieme, allora l'essere non esiste.
Analizzando la seconda tesi (se qualcosa esistesse, non sarebbe conoscibile, né pensabile): 
poiché noi siamo in grado di pensare anche a cose che in realtà non esistono, come mostri, fantasie, ecc, questo significa che non tutto quello che noi pensiamo esiste realmente: il pensiero non può quindi essere considerato come lo specchio della realtà.
Quindi, poiché il pensiero e la realtà si collocano su piani diversi, di conseguenza se anche qualcosa esistesse, non sarebbe pensabile o conoscibile.
Inoltre, riguardo alla terza tesi sulla possibilità di poter comunicare l'essere, noi comunichiamo con le parole: quando si parla, si esprimono parole e non delle cose. La parola è quindi realtà diversa dall'oggetto a cui si riferisce e, visto che la cosa non può mai diventare parola, la cosa diventa non esprimibile e quindi non è comunicabile.
Tentare di dimostrare il contrario sarebbe come sostenere che i colori, oggetto della vista, possono essere ascoltati con l'udito.

Gorgia e lo Scetticismo.

Gorgia ha quindi negato finora sia il rapporto tra il linguaggio e la realtà, sia tra pensiero e le cose. Gorgia non nega il valore dell'esperienza: tuttavia afferma l'impossibilità da parte dell'uomo di poter andare al di là dell'apparenza delle cose, di penetrarne la vera essenza, di poter stabilire delle verità assolute.
L'incapacità da parte dell'uomo di stabilire delle verità assolute, siano esse di natura conoscitiva, o gnoseologica, oppure legate all'essere o ontologiche, porta Gorgia ad affermare una concezione agnostica (non conoscenza), che afferma non solo la relatività di ogni sapere o conoscenza, ma che si spinge ben oltre, sino a sfociare nello scetticismo.
Lo scetticismo di Gorgia denota un atteggiamento di totale sfiducia nelle capacità del pensiero, della ragione, di poter conoscere qualcosa di diverso dalle sensazioni.
Non essendoci più alcuna verità assoluta a cui far riferimento, il linguaggio non ha nessun legame con la realtà delle cose e neppure col pensiero. Il linguaggio diventa un valore a sé stante, con la sua capacità di influenzare gli stati d'animo e le opinioni degli ascoltatori, di suscitare forti emozioni, anche contrastanti, negli individui che sono oggetto di tali discorsi.
Il soggetto,  le sue percezioni e i suoi stati d'animo, sono gli unici fattori che contano. Gorgia pone quindi sullo stesso piano il linguaggio, capace di suscitare emozioni, passioni e sentimenti, e l'esperienza, sottolineando come il primo sia in grado di potenziare la seconda, perché le emozioni che il linguaggio è in grado di suscitare, con un discorso ben condotto o con una rappresentazione teatrale, permette l'insorgere di emozioni dotate di un'intensità che la vita quotidiana non sempre è in grado di provocare.
Ma il linguaggio rappresenta anche una forza in grado di soggiogare la volontà altrui, ed è ciò che secondo Gorgia è capitato alla bella Elena di Troia, moglie di Menelao e rapita da Paride, causa della guerra di Troia: nell'Encomio di Elena Gorgia sostiene che Elena non ha alcuna colpa perché è stata rapita da Paride con la violenza, oppure è stata guidata dal Caso e dagli Dei, o ancora è stata vittima dei discorsi persuasivi di Paride.
Solo la retorica, per Gorgia, è l'unico sapere insegnabile, l'unico in grado di perfezionare il sapere di ogni arte, capace di aprire ogni porta e di superare qualsiasi altra competenza specifica.
Secondo il filosofo di Lentini, la retorica è l'unico sapere spendibile all'interno della pólis, è l'unico che si possa insegnare ed apprendere, in quanto si basa sull'abilità di costruire discorsi coerenti, ricchi di immagini, di metafore suggestive e di forza argomentativa: il suo unico scopo è quello di persuadere.
Questo scopo sarà ancora più enfatizzato dall'eristica (dal greco éiro che significa dire, parlare), l'arte del disputare, dello sconfiggere l'avversario nei dibattiti pubblici attraverso l'uso raffinato di artifici retorici, del vincere, anziché di convincere, prescindendo da qualsiasi contenuto. L'eristica segnerà l'inizio del declino della Sofistica, trasformandosi completamente in una tecnica retorica.
La convenzionalità del linguaggio sarà ulteriormente sviluppata da Prodico di Ceo. Secondo Prodico il fatto che il linguaggio sia frutto di una convenzione degli uomini è rappresentato dall'uso dei sinonimi, dall'uso cioè di termini diversi per indicare lo stesso oggetto: ciò secondo Prodico testimonia l'assoluta divisione tra parola e realtà. Tuttavia Prodico non nega l'esistenza di un qualche rapporto tra parole e realtà, dimostrato dall'etimologia: Prodico sostiene infatti che le radici delle parole siano in grado di svelare qualcosa degli oggetti che designano.