Classi 3° A/B/C Linguistico
Lo Stato e la missione del filosofo.
La riflessione politica di Platone sullo Stato occupa i diversi libri della Repubblica e, nell'apertura del primo libro, Platone apre la discussione con il dibattito tra Socrate e Trasimaco sul significato della giustizia: mentre Trasimaco sostiene che la giustizia rappresenti l'utile del più forte, per cui un tiranno che impone la propria volontà ai sudditi sarà sicuramente ingiusto, ma comunque più felice di essi; Socrate invece é di parere totalmente contrario e confuta tali tesi, ma il dialogo si chiude senza che i due convergano verso una definizione condivisa di cosa sia la giustizia. Questo primo libro della Repubblica era stato scritto da Platone molto tempo prima degli altri e, originariamente, Platone l'aveva concepito come un dialogo a sé stante.
Nel libro successivo, datato tra le opere della maturità, Socrate propone di risolvere il problema della definizione della giustizia partendo dall'analisi dello Stato, definito come un individuo allargato, in modo da rendere più semplice l'analisi. La scelta di Platone consiste nell'analizzare dapprima la giustizia in ambito politico, per poi considerarla in generale in un secondo momento.
In tal modo Platone sottolinea l'esistenza di un parallelismo tra individuo e Stato che caratterizzerà l'intera Repubblica. Il procedimento che Platone segue per delineare il suo progetto di Stato perfetto é il metodo deduttivo-razionale che, ripercorrendo le diverse tappe di formazione di uno stato, permette poi di descriverne la struttura e le istituzioni che ne consentono il funzionamento adeguato onde garantire la conservazione dei cittadini e la realizzazione della giustizia.
Così come l'anima per Platone risulta essere tripartita, cioè caratterizzata da tre facoltà, ma rimane comunque unica, allo stesso modo anche i cittadini devono essere suddivisi all'interno di tre classi e a ognuna di esse corrisponde una virtù specifica. La giustizia, per Platone, rappresenta proprio il rendere armonica la composizione di queste virtù, in modo da assegnare a ciascuna di esse il ruolo che le compete.
Affinché lo Stato possa funzionare secondo giustizia, sono quindi necessarie tre distinte classi sociali: quella dei filosofi governanti, che corrisponde all'anima razionale, quella dei guerrieri, che devono difendere lo Stato, che corrisponde all'anima irascibile e quella dei produttori, cioè dei lavoratori che producono i beni necessari al mantenimento dello Stato, in cui predomina l'anima concupiscibile.
Platone giustifica la suddivisione in classi riferendosi a un mito fenicio che denomina il mito dei figli della terra, che Platone presenta come una finzione o come un inganno vero e proprio, fatto però a fin di bene.
Tale mito, lo stesso Platone ammette, non ha alcuna corrispondenza reale, ma si dimostra utile per convincere ogni cittadino a svolgere il proprio compito senza ribellarsi.
Il mito racconta come gli dei abbiamo forgiato gli uomini usando oro, argento e ferro: coloro in cui prevale l'oro, cioè l'anima razionale, sono i filosofi che sono destinati al governo della città; gli uomini in cui prevale come metallo l'argento, cioè l'anima irascibile, sono i guerrieri a cui é affidata la difesa della città; mentre coloro in cui prevale il ferro saranno i produttori, coloro in cui prevale l'anima concupiscibile, legata cioè al desiderio, che avranno il compito di sostenere con il loro lavoro le altre due classi.
I cittadini, educati sin dall'infanzia a questo mito, secondo Platone accetteranno come naturale tale divisione in classi, prevista nello Stato platonico.
Per ogni anima, e ogni classe sociale corrispondente, esiste una virtù specifica che lo Stato avrà il compito di tutelare: la sapienza per i filosofi, il coraggio o fortezza per i guerrieri, la temperanza per tutte le classi, ma soprattutto per i produttori. Platone ne desume che la giustizia deriverà dall'armonia tra le diverse componenti, ognuna delle quali dovrà svolgere la propria funzione senza alcuna pretesa di sostituirsi alle altre.
L'organizzazione dello Stato.
Allo scopo di garantire la virtù dei cittadini, Platone prosegue la sua analisi deduttiva sostenendo che, affinché lo Stato possa svolgere tale compito, devono essere rispettate alcune condizioni necessarie che hanno provocato molte critiche al modello di Stato platonico:
- le classi che hanno il compito di custodire lo Stato, governanti e guerrieri, che devono esercitare il potere, non devono usare del loro potere per scopi personali;
- lo Stato deve controllare e organizzare ogni aspetto economico, sociale ed educativo della vita dei suoi cittadini per poter realizzare le finalità etiche che si propone.
Platone sostiene che la prima condizione viene soddisfatta con un'organizzazione di tipo comunista per le classi sociali più alte: i governanti filosofi e i guerrieri non devono possedere né una propria famiglia, né alcuna proprietà privata, solo così si potrà garantire che costoro non potranno usare del potere a proprio esclusivo vantaggio e non per il bene di tutti i cittadini. Platone afferma che sarà compito esclusivo dello Stato di provvedere alle loro necessità. Per questi motivi dovrà essere proibito ai filosofi e ai guerrieri di poter contrarre unioni stabili, come il matrimonio ad esempio, in quanto anche le donne saranno in comune, così come il riconoscimento della paternità, in quanto i figli saranno affidati sin dalla loro tenera età alle cure di istituzioni statali, in modo che i genitori non possano neppure riconoscerli: soltanto così, secondo Platone, i filosofi non potranno usare il proprio potere per arricchire se stessi o le loro famiglie, o per favorire i propri figli.
Ai produttori, invece, non sarà consentito di esercitare alcun tipo di potere, ma potranno conservare sia la proprietà privata, che l'organizzazione familiare, che stimoleranno i produttori a una maggiore operosità con l'obiettivo di produrre di più non soltanto per il bene dello Stato, ma anche con la prospettiva di garantire il benessere proprio e dei propri figli.
Il fatto che le donne siano in comune non significa per Platone che la donna occupi un ruolo di subalternità nello Stato platonico, ma é esclusivamente motivata ad impedire unioni stabili tra i cittadini delle altre due classi. Al contrario Platone sottolinea come il ruolo delle donne nel suo progetto di Stato possiedono compiti e responsabilità in tutto simili a quelle dei cittadini maschi: la donna, infatti, ha diritto alla stessa educazione e allo svolgimento degli stessi compiti dei cittadini maschi e i cittadini si differenziano unicamente in relazione alla natura dei singoli, indipendentemente dal sesso. L’uguaglianza tra uomini e donne viene da Platone definita come “prima ondata” che costituisce la prima di tre tesi molto lontane dallo spirito dell’epoca, che rischiavano di contrastare il senso comune dei suoi contemporanei. La “seconda ondata” riguarda invece la regolamentazione delle unioni e delle nascite: Platone infatti afferma che le unioni sessuali saranno generalmente libere, mentre le unioni che sono finalizzate alla procreazione devono essere controllate dai governanti, in modo tale da assicurare che gli uomini migliori si accoppino soltanto con le donne migliori e quelli peggiori, se è proprio indispensabile che abbiano dei figli, con le donne peggiori. Tale intento però, secondo Platone, non potrà essere apertamente dichiarato dai governanti e, anzi, questi ultimi dovranno adoperare ogni sorta d’inganni e di stratagemmi nei confronti dei cittadini. Un esempio in tal senso lo propone lo stesso Platone: i governanti potrebbero ricorrere a un sorteggio truccato, durante le feste organizzate dallo Stato, per stabilire le unioni, in modo da garantire la purezza della razza dei custodi, senza però che si possa dubitare che l’intero processo sia del tutto casuale e determinato dalla sorte. La “terza ondata” che occupa all’interno del dialogo il ruolo centrale, riguarda la necessità che lo Stato sia amministrato dai filosofi.
Platone delinea così il progetto di uno Stato che deve esercitare un notevole controllo su tutti i cittadini: dalla selezione degli accoppiamenti finalizzati alla procreazione, alla necessità che i filosofi, gli unici a conoscere il bene, guidino i cittadini a realizzarlo, regolando in modo stringente tutti gli aspetti politici e sociali della vita della città. E’ proprio per questi motivi che lo Stato dovrà occuparsi anche dell’educazione dei bambini, dopo che avrà individuato a quale classe sociale assegnare ciascuno sulla base della natura della sua anima: i bambini in cui prevale l’anima razionale saranno destinati a diventare dei filosofi, anche se sono nati nella classe dei produttori o dei guerrieri, lo stesso procedimento verrà seguito per le altre classi. Successivamente i filosofi governanti dovranno provvedere all’educazione di ciascun bambino che sarà diversa secondo la classe a cui è stato associato. Platone dichiara che il controllo delle unioni garantirà la nascita di figli perfetti dai genitori migliori. I filosofi dovranno anche regolare tutti i processi economici dello Stato, amministrare la giustizia e emanare le leggi: nessun aspetto della vita politica secondo Platone dev’essere trascurato, ma tutto sarà stabilito dai filosofi per il bene comune. Platone sottolinea come scopo principale dello Stato sia la realizzazione della virtù e da ciò ne consegue che esso ha il dovere di interessarsi anche della moralità dei propri cittadini, guidandoli e dirigendoli verso il bene comune. Sarà appunto la presenza schiacciante e pervasiva dello Stato, con il progetto di educare e plasmare le coscienze dei singoli cittadini, che permetterà di definire lo Stato platonico come “Stato etico” o anche come “Stato totalitario” da parte dei critici recenti.
L’educazione dei filosofi.
Da quanto emerso finora è comprensibile il ruolo chiave svolto dall’educazione dei futuri filosofi e la necessità di un livello di preparazione adeguata ai delicati compiti che saranno chiamati a svolgere. A motivo dell’importanza dell’argomento, tutta la parte centrale della Repubblica è dedicata all’analisi dell’argomento. Platone sostiene che se è vero che sono necessarie predisposizioni naturali per poter diventare guerrieri o governanti, è però altrettanto vero che tali predisposizioni siano accompagnate da un processo di formazione che sia in grado di valorizzarle, mentre i produttori non necessiterebbero di alcuna formazione, se non di quella ricevuta all’interno della famiglia. La prima parte del percorso formativo è comune sia per i futuri filosofi, che per i guerrieri, mentre la seconda parte prosegue poi soltanto per i filosofi sino a quando raggiungono i cinquant’anni di età, dopo di che i filosofi possono assumere effettivamente delle cariche politiche.
Il modello educativo presentato da Platone assume come formazione di base la “paidéia” greca. Il termine paidéia significa letteralmente educazione, intesa sia nel senso di trasmissione di conoscenze, sia in termini di formazione della personalità, con lo scopo di formare un modello di uomo che esprime i valori che caratterizzano una data società.
I momenti iniziali di questo percorso formativo, comuni ai filosofi e ai guerrieri, comprendono discipline quali la ginnastica e la musica che devono contribuire a strutturare rispettivamente la formazione del corpo e dell’anima dei futuri custodi. All’età di sette anni a queste discipline si aggiunge la matematica che sarà presente durante tutto il percorso formativo: inizialmente soltanto come calcoli e misurazioni applicate alla vita pratica, poi in seguito come studi più articolati e specialistici. La ginnastica oltre che essere finalizzata alla preparazione militare, favorisce la formazione del carattere, educando i giovani al coraggio, alla sopportazione della fatica e all’impegno. Lo studio della musica comprende anche la poesia che, anche se verrà condannata da Platone per quanto riguarda le sue pretese conoscitive, può essere utilizzata nella prima fase del processo formativo a condizione che venga privata delle passioni violente e della descrizione di comportamenti che siano riprovevoli: poiché i testi scolastici più utilizzati nell’antichità erano quelli omerici, Platone indica le revisioni necessarie affinché tali testi non abbiano influenze diseducative. Dai diciotto ai vent’anni Platone prevede per i custodi un periodo di servizio militare, al termine del quale é prevista la selezione dei giovani più promettenti, con la seguente differenziazione dei percorsi di studio tra chi sarà destinato a divenire un guerriero e chi, invece, diventerà un filosofo, cioè un governante. Mentre per i futuri guerrieri si tratterà di una formazione finalizzata al conseguimento di una retta opinione, per i governanti futuri invece inizia lo studio della scienza, articolata in dieci anni di studio dell’aritmetica, della geometria, dell’acustica e dell’astronomia. Queste scienze appartengono tutte alla tradizione pitagorica e sono tutte accomunate dal fatto di basarsi sui numeri: la stessa acustica, infatti, tratta dei rapporti matematici tra i suoni.
All’età di trent’anni si ha una nuova selezione e gli uomini migliori intraprendono gli studi filosofici, approfondendo lo studio della dialettica per la durata di cinque anni. Successivamente i filosofi vengono preparati alla gestione dello Stato mediante un tirocinio politico di quindici anni, durante i quali affiancano i magistrati cittadini nella gestione degli incarichi politici. Platone afferma che soltanto al termine di questo lungo periodo di apprendistato, essi potranno assumere cariche pubbliche e svolgere funzioni di governo in modo autonomo.
L’arte e la condanna platonica dell’arte mimetica.
All’interno del pensiero filosofico di Platone, l’arte occupa un ruolo assolutamente marginale e negativo. I motivi che spingono Platone a condannare l’arte sono molteplici: da un lato essa é strettamente legata al mondo sensibile e alla realtà della natura, quindi per Platone a una realtà ingannevole e illusoria, e non al mondo delle idee; dall’altro esprime di preferenza emozioni e sentimenti, ponendosi come un ostacolo nei confronti della ragione e della conoscenza intellettiva.
Ciò porta Platone a considerare l’arte come fortemente negativa sia per l’oggetto di cui si occupa, sia per le conseguenze che, secondo Platone, esercita sull’uomo che ne fruisce. Per questo motivo Platone nella Repubblica, parlando a proposito del percorso formativo dei futuri filosofi, assegna all’arte un ruolo marginale, salvando da tale condanna i poemi omerici, una volta privati di tutti quegli aspetti che incitano l’uomo a seguire le passioni e a non rispettare i doveri religiosi.
Platone si occupa di analizzare l’arte nel libro X della Repubblica, dove condanna sopratutto l’arte imitativa (pittura, scultura e poesia) in quanto si limita a copiare la natura che é, a sua volta, una copia del mondo delle idee. Platone definisce così l’arte come “imitazione d’imitazione” o “copia di copia” e dimostra le sue convinzioni con una serie articolata di argomenti. Si è già parlato delle motivazioni conoscitive, Platone considera la conoscenza sensoriale ingannevole e priva di ogni verosimiglianza, e di quelle morali, sentimenti e passioni che allontanano dalla contemplazione delle idee e rendono l’uomo schiavo dei propri piaceri e passioni, più simile agli animali che alla dignità dell’uomo razionale. Il filosofo utilizza il termine “arte” secondo il suo significato più ampio di (téchne o tecnica), cioè di sapere applicato e immediatamente spendibile, che può essere appreso e insegnato e distingue tre diverse forme di arte: l’arte di servirsi di qualcosa, quella di costruirla e quella di riprodurla. Platone stesso ne fa un esempio concreto con il morso e le briglie del cavallo: il più esperto nel giudicare se una briglia è fatta bene è chi la usa, come un cavallerizzo o un maestro di equitazione, in quanto sono gli unici in grado di valutare se l’oggetto è utile e adeguato all’uso che se ne deve fare; c’è poi il produttore o costruttore delle briglie, che le costruisce secondo le indicazioni di chi le utilizza; infine abbiamo il pittore che raffigura le briglie nel proprio quadro, ma che non ha alcuna competenza dell’oggetto che è stato riprodotto e la cui arte, per Platone, risulta essere lontana di tre gradi dalla verità. Ma la condanna che Platone fa dell’arte è inerente anche al tipo di conoscenza, sensoriale, che presenta. Se infatti la pittura non corregge gli inganni dei sensi, a volte però amplifica tali inganni e li usa intenzionalmente come avviene nella pittura di illusione; invece le operazioni mentali di calcolare, misurare e pensare permettono per Platone di superare questi inganni e di cogliere la vera realtà delle idee. All’interno del dualismo delineato da Platone di anima e corpo, ragione e sensazione, l’arte costituisce l’elemento negativo, in quanto legata in modo esplicito al corpo e alla sensazione. Le stesse considerazioni valgono per la poesia imitativa. Platone sostiene che esiste un ulteriore motivo che motiva la condanna nei confronti della poesia: essa è strettamente legata al dualismo morale tra ragione e passioni, dove le passioni sono più forti della ragione. Nella poesia di Omero l’uomo tende infatti a identificarsi con le passioni dell’eroe, mentre quando vive realmente queste passioni nella vita quotidiana e riesce a sottometterle alla ragione, egli è orgoglioso di sé stesso perché le passioni non hanno preso il sopravvento sul suo animo. Platone quindi afferma che la poesia esalta e rafforza le parti meno nobili del nostro animo, indebolendo di conseguenza la ragione. La condanna della poesia da parte di Platone non é però totale: tra tutte le idee, infatti, soltanto l’idea di bellezza può manifestarsi anche in forma sensibile, unendo tra loro il mondo sensibile e quello intelligibile. La bellezza, per Platone, manifestandosi ai nostri sensi, ci spinge a mettere le ali all’anima e poterci così sollevarci dal mondo sensibile a quello delle idee. Secondo il filosofo la “divina mania” che consente questo passaggio è di quattro diversi tipi di cui uno è proprio la poesia, non quella imitativa o quella rivolta alle passioni, ma è quella ispirata dalle Muse a essere in grado di spingere l’anima verso il mondo delle idee, oltre la sfera dell’individualità e del sensibile, per aiutare l’uomo a intuire l’idea di bellezza in sé, partendo dalla bellezza delle cose.
Le degenerazioni dello Stato.
Platone, dopo aver descritto le caratteristiche organizzative dello Stato perfetto, analizza le diverse forme di governo esistenti che considera come il progressivo decadimento dello Stato ideale. La prima forma negativa di governo è la timocrazia, che rappresenta la degenerazione dell’aristocrazia, in cui non governano gli uomini migliori, ma soltanto i più ambiziosi che agiscono non per il bene dello Stato, ma per ottenere gloria e onori personali. La timocrazia, però, non costituisce la forma di governo più negativa perché essa può ulteriormente degenerare in oligarchia, dove all’ambizione si aggiunge l’accumulo di ricchezze, fino a rendere la condizione economica, o censo, una condizione per poter esercitare il governo: l’oligarchia è appunto il governo dei ricchi sui poveri. Ma anche l’oligarchia per Platone può facilmente degenerare nella democrazia, che rappresenta il governo di tutti, cioè quando i poveri, resi intemperanti da un governo ingiusto, desiderano anch’essi la ricchezza e si sollevano contro la classe dominante con l’intento di espropriarla dei propri beni. La democrazia rappresenta per Platone una vera e propria anarchia, in cui tutti governano, ma che in realtà non è governata da nessuno, visto che ogni individuo è libero di seguire le proprie inclinazioni egoistiche senza alcun riguardo per il bene pubblico. Questo eccesso di libertà, accompagnato da una totale impreparazione nel gestire l’interesse collettivo, porta a un indebolimento progressivo del carattere dei cittadini che finisce per favorire i violenti, capaci di imporre la propria volontà al popolo. Platone sostiene che, da tale situazione, può scaturire una sola conseguenza: questi uomini violenti finiranno con l’appoggiare qualcuno capace di guidarli e di assumere il comando della città. Platone afferma che si avrà così la forma più bassa e degenerata di governo, cioè la tirannia. Se quindi lo Stato perfetto realizza la virtù, le sue varie degenerazioni derivano da dei vizi: come lo Stato perfetto forma dei cittadini virtuosi, così le degenerazioni rendono viziosi anche i cittadini. Il rapporto tra Stato e cittadini è in realtà di tipo circolare: se infatti l’organizzazione politica esprime i costumi sociali e, allo stesso tempo, li forma e li rende più forti, allora la progressiva degenerazione dello Stato, dalla timocrazia alla tirannia, è anche la causa del progressivo allontanarsi dalla virtù da parte dei cittadini: alla timocrazia corrisponde il carattere ambizioso, all’oligarchia quello avaro e egoista, alla democrazia corrisponde l’individuo dissoluto e dedito a ogni forma di piacere, mentre alla tirannia corrisponde il livello più basso della degradazione dell’uomo, cioè l’emergere dei desideri bestiali, contrari alle leggi e alla divinità, degli istinti violenti e animaleschi che tutti gli uomini possiedono, ma che solitamente sono controllati dalla ragione e dalla società.
La lettera VII.
All’interno dell’abbondante produzione platonica troviamo anche tredici lettere che, nell’antichità, sono state riconosciute come autentiche e citate da vari autori latini come Cicerone e Plutarco.
Soltanto a partire dal sec. XVIII, i critici hanno inizialmente messo in dubbio l’autenticità di alcune delle lettere, fino a considerarle tutte non completamente autentiche, a eccezione appunto della VII. Recentemente però gli studiosi sono giunti alla conclusione che se le lettere VII, VIII e III sono sicuramente autentiche, delle lettere IV, IX e X non si possiede alcuna certezza della loro veridicità.
L’importanza di tali lettere è rappresentata dal fatto che esse testimonierebbero l’influenza di Platone sulla politica dell’epoca. Le lettere risultano essere indirizzate a Dionigi II, a Dione e ai suoi seguaci, ad Archita di Taranto, al re dei macedoni Perdicca e ad altri personaggi minori.
Mentre molte lettere sono brevi, una o due pagine o anche più corte, la lettera VII risulta essere la più lunga, circa venti pagine, e sicuramente la più importante.
Questa lettera è indirizzata ai familiari e agli amici di Dione che, dopo la morte del loro familiare, chiedono a Platone consigli su come proseguire la loro lotta contro il tiranno Dionigi II. Platone ripercorre la storia dei suoi viaggi a Siracusa, facendo anche riferimento alle sue esperienze giovanili, al suo rapporto con il governo dei Trenta Tiranni e alla restaurazione della democrazia, raccontando la sua autobiografia a cui unisce le vicende storiche da lui vissute, con particolare attenzione alle vicende di Siracusa. La lettera si apre con il ricordo del suo primo viaggio a Siracusa, dal quale Platone prende spunto per ripercorrere l’origine delle sue idee politiche.
Platone racconta delle esperienze politiche della sua giovinezza, nell’Atene dei Trenta Tiranni, che sarà rovesciato da un governo democratico, tanto peggiore di quello a esso precedente, da condannare Socrate, un uomo giusto e innocente, alla pena di morte. Quest’esperienza convince il giovane Platone circa la necessità urgente di riformare profondamente la politica e che lo Stato deve essere governato direttamente dai filosofi, oppure i governanti devono diventare essi stessi dei filosofi. Con questo progetto in mente, Platone giunge nella Siracusa del tiranno Dionigi I e cerca di convincere il tiranno a realizzarlo, aiutato dall’allora giovane Dione, entusiasmato dalla filosofia platonica. Platone stesso racconta dell’avventurosa conclusione del suo primo viaggio, in cui Platone stesso rischia di essere venduto come schiavo, e parla del suo secondo viaggio che intraprende su invito di Dione, che considerava il tiranno Dionigi II più aperto all’interesse filosofico rispetto al padre. Il secondo viaggio si conclude con la cacciata di Dione dalla città e con l’esilio che gli viene imposto da Dionigi. Platone racconta dei propri tentativi infruttuosi di convincere il tiranno a modificare le proprie decisioni. Egli racconta poi il ritorno ad Atene e il terzo viaggio, che Platone intraprende su esplicito invito dello stesso Dionigi, che si era detto desideroso di apprendere la filosofia di Platone e che sarà l’ultimo intrapreso dal filosofo.
Anche quest’esperienza si concluderà per Platone in un fallimento a causa della presunzione del tiranno che, dopo pochi colloqui, si riterrà talmente esperto della filosofia di Platone, da voler scrivere un trattato in cui esporre la teoria platonica. Platone, per tutta risposta, lo sconfessa, facendo riferimento alle sue dottrine non scritte e sostenendo che lui non avrebbe mai scritto nulla sui principi fondamentali, come invece aveva fatto Dionigi, perché tali principi possono essere comunicati soltanto oralmente, mediante il rapporto diretto e personale. Per giustificare queste conclusioni, Platone espone in tale occasione una teoria sui gradi del processo conoscitivo che va dal nome, alla definizione, all’immagine e alla conoscenza. Spiegando tali diversi livelli di conoscenza, Platone fa l’esempio del cerchio: il cerchio viene individuato prima attraverso il nome, che deve però essere chiarito tramite la definizione (ciò che ha gli estremi equidistanti da un punto chiamato centro) e che può essere rappresentato mediante immagini ed oggetti che, però, non riguardano il cerchio in sé, in quanto il cerchio rimane integro anche se noi cancelliamo l’immagine di esso disegnato su di un foglio o se distruggiamo l’oggetto di forma circolare che abbiamo costruito. La conoscenza per Platone è data dall’intuizione del cerchio in sé, che è cosa diversa sia dalla sua definizione, che dalla sua rappresentazione. Platone sostiene che mentre i primi gradi della conoscenza possono essere descritti, l’ultimo, cioè l’intuizione, non può essere affidato al linguaggio e tanto meno alle parole scritte, in quanto immobili e prive di flessibilità. La lettera si conclude con il racconto del ritorno in Grecia di Platone e del suo incontro con Dione, che era nel frattempo entrato nell’Accademia platonica quale allievo, al quale Platone rinnova la propria amicizia, rifiutando però di essere ancora coinvolto in prima persona nella lotta di Dione per rovesciare il regime del tiranno Dionigi.