Classi 4° A/B/C Linguistico
La deduzione trascendentale.
La soluzione proposta da Kant pone però dei nuovi problemi. Le categorie appartengono alla sfera del pensiero, ma pretendono di essere valide anche per la realtà: Kant ritiene infatti che la conoscenza non riguardi esclusivamente soltanto le nostre idee, ma anche la nostra esperienza.
Tale pretesa da parte del nostro intelletto però dev’essere giustificata o, come dice Kant usando un termine giuridico, dev’essere dedotta: all'interno di un tribunale la deduzione consiste nel dimostrare la legittimità di una questione di fatto, come dimostrare di essere i proprietari della macchina che stiamo guidando e quindi di non averla rubata. Si rende quindi necessario giustificare l'uso delle categorie per organizzare i dati della nostra esperienza, visto che le categorie sono per Kant del tutto indipendenti dall'esperienza stessa. Kant afferma quindi che é necessario presupporre che la conoscenza sia conoscenza di un soggetto, cioè di qualcuno che possiede nel suo intelletto tutte le categorie e che sia in grado di operare una sintesi di tutti i dati che esse gli forniscono.
Kant definisce questo soggetto, che ha il compito di unire e di organizzare tali esperienze, come “Io penso”, riferendosi ad esso non come a singoli individui, ma al soggetto in generale, cioè alla nostra consapevolezza di poter conoscere. Proprio in quanto spazio unitario, all'interno dell'intelletto, che ordina le nostre esperienze mediante le categorie, Kant chiama tale funzione anche appercezione trascendentale, prendendo in prestito il termine da Leibniz, per sottolineare come l'Io penso sia legato alla consapevolezza di ogni individuo di poter conoscere, indipendentemente dal contenuto di conoscenza specifico che é oggetto del nostro pensiero.
Se le categorie possono essere paragonate ad una serie di perle che sono destinate a rimanere staccate l'una dall'altra se non vengono unite insieme, l'Io penso rappresenta proprio il filo che permette alle singole perle di diventare una collana unita e completa.
Un altro esempio che permette di meglio comprendere le relazioni esistenti tra le categorie e l'Io penso é quello di paragonare il nostro intelletto ad una biblioteca in cui le categorie sono i vari scaffali in cui le informazioni sensoriali, i libri, vengono accuratamente archiviati da un bibliotecario solerte, l'Io penso appunto, che ha il compito di classificare le esperienze secondo la loro tipologia e il loro genere: quando noi abbiamo bisogno di un libro specifico, in questo caso particolare di un ricordo specifico, o di più di uno, l'Io penso ha il compito di fornircelo, recuperandolo dallo scaffale giusto e, tramite la memoria, di metterlo in relazione con una qualche esperienza attuale: non é compito dell'Io penso né decidere cosa archiviare e cosa no, né tanto meno decidere di modificare il contenuto dei singoli libri, ma soltanto di organizzare la loro archiviazione e recupero. Secondo Kant l'Io penso é quella funzione che mi permette di dire «Io conosco» e che permette a Kant di superare il problema che era stato posto da Hume che aveva identificato l'io con un fascio di percezioni, criticando l'idea di sostanza.
Kant é d'accordo con Hume in quanto nega in modo deciso che si possa considerare l'Io penso come una sostanza, né tanto meno riferirla all'esistenza di un'anima immortale: Kant sottolinea come si tratti esclusivamente di una funzione dell'intelletto ed esiste soltanto in relazione al processo conoscitivo. Kant sostiene anche che l'Io penso non si deve identificare nemmeno come coscienza dell'individuo, ma come una condizione generale della conoscenza che é presente in tutti gli uomini e per questo é del tutto universale ed impersonale: in ogni uomo, infatti, esiste come funzione della conoscenza che non dipende dalla volontà del singolo individuo, ma che si trova in tutti gli uomini e funziona allo stesso modo, in quanto per Kant le strutture della conoscenza sono logiche, e quindi identiche in tutti gli uomini, e non psicologiche come aveva sostenuto Hume; di conseguenza non variano da un soggetto conoscente ad un altro in quanto sono strutture del conoscere che caratterizzano il funzionamento del pensiero in tutti gli uomini in modo universale e necessario.
Lo schematismo trascendentale.
Dopo aver Kant giustificato sia il ruolo delle categorie, sia dell'Io penso, nella nostra conoscenza, egli cerca la strada per una possibile mediazione tra i dati sensibili da una parte e i concetti puri o categorie dall'altro: il pensiero infatti non può dare forma in modo diretto all'esperienza e ciò rende appunto necessaria una mediazione che sia in grado di dare forma sensibile ai concetti e una dimensione formale ai dati empirici. Tale mediazione é per Kant rappresentata dallo schema trascendentale. Il termine schema di solito viene usato per rappresentare in forma grafica e stilizzata le caratteristiche comuni di una qualche realtà: ad esempio posso voler schematizzare le caratteristiche di un cane in forma stilizzata e il mio disegno schematico non rappresenterà un cane particolare, ma le caratteristiche comuni a tutti i cani, cioè proprie del concetto di cane.
Poiché le categorie o concetti puri dell'intelletto non sono ovviamente in grado di disegnare, i dati della sensazione, che sono organizzati mediante le forme a priori di spazio e tempo, le intuizioni pure della sensibilità, saranno organizzati mediante lo spazio per quanto riguarda l'esperienza esterna e il tempo per quanto riguarda l'esperienza interna e, indirettamente, anche quella esterna, visto che comunque é sempre un'esperienza vissuta dal soggetto. Da ciò ne consegue che il tempo condiziona ogni esperienza possibile e gli schemi trascendentali sono, di conseguenza, organizzati secondo il tempo. Secondo Kant esiste una facoltà specifica, chiamata immaginazione produttiva, che adatta il tempo in modo da renderlo aderente ai concetti puri, costringendo quindi le nostre sensazioni ad organizzarsi secondo una certa forma: ad esempio per la causalità lo schema trascendentale sarà la successione in quanto le sensazioni dovranno presentarsi continue e conseguenti nel tempo: se piove, tale sensazione mi convincerà che allora mi bagnerò se non aprirò l'ombrello; perché infatti vi sia casualità é necessario che due fenomeni siano presenti contemporaneamente, ma anche che entrambi i fenomeni permangano in un dato tempo in modo da permettere al soggetto di poterli percepire come successione.
I principi sintetici dell'intelletto puro.
Kant ha stabilito quindi la legittimità della conoscenza mediante l'Io penso e lo schematismo trascendentale, basata sulle categorie che modellano l'esperienza, cioè giustificano il fatto che le nostre strutture di conoscenza strutturano gli oggetti dell'esperienza. In questo modo Kant riesce anche a giustificare i presupposti della conoscenza scientifica, il cui carattere universale non è dato dall'oggettività delle leggi scientifiche, ma dai concetti a priori che danno forma ai dati dell'esperienza. Affinché la conoscenza possa essere definita come scientifica, l'esperienza deve però seguire delle regole particolari, cioè l'esperienza deve sottomettersi ai principi sintetici dell'intelletto puro: secondo Kant sono tali principi a garantire la scientificità di scienze come la fisica. Kant non ha l'obiettivo di negare il libero arbitrio, ma d’individuare i principi che regolano la fisica quale scienza. Ad ogni categoria corrisponde un principio e, in qualche gruppo di categorie, presenta inoltre un principio generale.
Uno dei principi considerati fondamentali da Kant per regolare la conoscenza scientifica, ad esempio, é il determinismo che indica come i diversi fenomeni presenti in natura sono collegati tra loro in modo necessario e che governa le categorie di relazione; un altro esempio di principio che regola la categoria di sostanza é il principio di conservazione della materia che afferma che in ogni cambiamento dei fenomeni, la sostanza rimane invariata e la sua quantità non aumenta e non diminuisce; il principio, invece, che corrisponde alla categoria di causalità afferma che tutti i cambiamenti tra i fenomeni che avvengono in natura sono legati dal nesso di causa ed effetto, cioè secondo un rigido meccanicismo. Kant afferma che la fisica é regolata da questi principi e che, se vogliamo studiare la natura in modo scientifico, dobbiamo necessariamente seguirli. La conoscenza scientifica della natura é dunque possibile se rispettiamo questi principi. Per quanto riguarda le categorie di quantità e qualità, la formulazione del principio sintetico è unica e stabilisce che i dati della conoscenza scientifica devono essere sempre quantificabili, sia in merito alla quantità, sia per quanto riguarda la loro intensità, la qualità, come quando utilizziamo un termometro per misurare la temperatura, trasformando la percezione del fenomeno da qualitativo a quantitativo.
Kant quindi fa emergere, dalle categorie di relazione, una visione meccanicistica della natura in quanto oggetto di studio scientifico; per le categorie della modalità non c'é un principio comune: é possibile ciò che si accorda con le condizioni formali dell'esperienza, cioè non é contraddittorio; esiste, invece, ciò che é oggetto di esperienza; é necessario ciò che è richiesto dalle condizioni generali dell'esperienza. La conoscenza scientifica richiede quindi di quantificare i dati dell'esperienza e di trattarli secondo un rigido meccanicismo. Kant sostiene che l'uomo può riferire l'esperienza sempre al solo mondo della natura, almeno nei limiti in cui l'uomo può conoscerla. Da ciò ne deriva che i principi sintetici dell'intelletto puro valgono per la natura che dev’essere indagata in modo matematico e meccanicistico, escludendo qualsiasi finalità, libertà o cause diverse da quelle efficienti. La natura di cui Kant parla è quella fenomenica, che è quanto l'uomo può conoscere, ma che non esaurisce tutto ciò che esiste.
Fenomeno e noumeno.
Kant paragona la conoscenza ad un'isola che possiamo esplorare in ogni angolo, ma che é circondata da un mare tempestoso nel quale non possiamo avventurarci. L'isola della metafora di Kant rappresenta la conoscenza fenomenica, il mondo dell'esperienza, così come ci appare e come viene rielaborato dalle nostre strutture a priori. Il mare inesplorato é invece la cosa-in-sé, o noumeno, che va oltre l'esperienza ed é dunque inconoscibile. Ma comunque il noumeno, per quanto non conoscibile dall'uomo mediante l'esperienza, dev’essere comunque presupposto in quanto Kant sottolinea come i dati della sensazione devono derivare da qualcosa di distinto da noi stessi.
Se nella Dissertazione del 1770 Kant era stato ancora convinto circa la possibilità di poter conoscere la cosa-in-sé tramite l'intuizione dell'intelletto, ora, al termine dell'Analitica trascendentale, giunge invece alla conclusione che la conoscenza dell'uomo non possa andare oltre i confini dell'esperienza, visto che le strutture a priori, senza i dati dell'esperienza, non possono produrre nulla. Il termine noumeno indica per Kant la realtà in sé, distinta dal fenomeno, che é la realtà come viene percepita e conosciuta dal soggetto, mentre il noumeno rimane inconoscibile in sede teoretica. Kant tenterà in seguito una spiegazione di tali temi metafisici a livello della morale e dell'analisi del bello, anche se in ambiti d'indagine diversi da quello conoscitivo.
Kant stesso usa un'altra metafora per spiegare i limiti della conoscenza umana e il problema del noumeno: egli dice che la colomba, volando nell'aria, sente la resistenza dell'aria e pensa che potrebbe volare con meno sforzo se l'aria non ci fosse; ma in realtà, dice Kant, senza l'aria sarebbe impossibile lo stesso volo. Allo stesso modo l'intelletto potrebbe ritenere che la conoscenza umana sarebbe più agevole e sicura senza i vincoli posti dall'esperienza, ma senza esperienza Kant sottolinea che non sarebbe invece possibile alcuna conoscenza. Questo era stato secondo Kant l'errore compiuto da Platone che, abbandonando come illusorio il mondo dell'esperienza, per spingersi nel mondo astratto delle idee, l'iperuranio, considerate quale vera conoscenza. Per Kant dunque la conoscenza dell'uomo é solo fenomenica e avviene all'interno dell'esperienza, cioè relativamente ai fatti.
Kant distingue due diversi significati del termine “noumeno”: in senso positivo lo intende come qualcosa che non é oggetto di intuizione sensibile, ma d'intuizione intellettuale che l'uomo però non può avere e dunque é qualcosa di cui non si può parlare; in senso negativo rappresenta qualcosa che supera la nostra sensibilità che noi non possiamo conoscere, ma di cui dobbiamo supporre l'esistenza: in tale seconda accezione il noumeno viene da Kant considerato quale concetto-limite che ci mostra i confini dalla nostra conoscenza e che rimanda ad un mondo distinto da quello fenomenico. Sarà proprio per questi motivi che Kant contrasterà il tentativo di Fichte di rielaborare il pensiero kantiano in termini idealistici. Ma Kant, pur sostenendo che il noumeno é inconoscibile, afferma che non ci é possibile ignorarlo, in quanto la scienza può dirci da quali leggi sono regolati i fenomeni e come funziona il mondo esterno, ma non può dirci nulla né sul suo significato, né su qual'é lo scopo della nostra esistenza. Tali domande che, come Kant dimostrerà nella dialettica trascendentale, oltrepassano i confini di ciò che all'uomo é possibile conoscere, avranno risposta nelle altre due Critiche successive.