Classi 4°A/B/C Linguistico
La Critica della ragion pratica.
Kant, dopo aver esaminato le modalità di conoscenza dell'uomo in merito al mondo reale, si occupa nella Critica della ragion pratica del problema della morale, cioè dell'agire morale dell'uomo. Kant parte dal presupposto che esiste una morale universale, fondata sulla coscienza, e si pone il problema della sua fondazione.
Egli sostiene che la morale debba essere universale, cioè valida per tutti gli uomini e che non possa essere condizionata né da condizioni esterne, perché altrimenti cambierebbe a seconda delle situazioni, né da fattori soggettivi. Ciò porta Kant ad affermare che la morale debba essere anche autonoma, cioè che deve essere fondata sulla ragione e non su interessi o motivazioni particolari e soggettive. Un'altra caratteristica che Kant ritiene fondamentale é che la morale, dovendo essere autonoma e universale, non può riferirsi a dei contenuti particolari, cioè a dei comportamenti empirici, giusti o sbagliati che siano; la morale deve quindi essere anche formale. Kant si interroga su quali debbano essere le caratteristiche che connotano la morale per poter spiegare l'universalità della coscienza e allo scopo d'individuare delle vere e proprie leggi morali che siano valide, come quelle naturali, in ogni luogo e in ogni tempo.
Massime ed imperativi.
Kant analizza le diverse norme morali e le distingue in massime e imperativi. Le massime sono quelle che non rappresentano norme necessarie e vincolanti che tutti gli uomini devono osservare come quando determinati usi e costumi variano da un popolo all'altro: ad esempio il cannibalismo, ritenuto inaccettabile nella nostra cultura, é considerato comportamento normale in altre culture, oppure la lapidazione per infedeltà che é ritenuta immorale nella nostra cultura, mentre é ritenuta vincolante in altre culture.
Gli imperativi, invece, sono delle norme morali considerate valide universalmente, ma non sono sempre ugualmente vincolanti allo stesso modo. Kant distingue, infatti, due diverse tipologie di imperativi, entrambi preceduti dal “tu devi”, gli imperativi ipotetici e gli imperativi categorici. Gli imperativi ipotetici sono subordinati ad una determinata condizione per cui, se si vuole raggiungere un certo risultato, é necessaria la sua osservanza. Ad esempio se un medico prescrive una data medicina, l'espressione «Se vuoi guarire da questa malattia, devi prendere questa medicina!»; tale affermazione é sicuramente un imperativo, in quanto ha validità universale (tutti coloro che avranno quella malattia dovranno curarsi con quella medicina), indipendentemente dall'area geografica di provenienza, dalla cultura, dai caratteri individuali, et. Tuttavia tali imperativi sono ipotetici in quanto salvaguardano la libertà del paziente, in questo caso, di poter scegliere anche di non volersi curare.
Gli imperativi ipotetici, quindi, indicano una direzione normativa di comportamento, ma non si mostrano ugualmente vincolanti per tutti gli uomini: ognuno può scegliere di seguirli oppure no, accettandone consapevolmente le eventuali conseguenze.
Kant delinea poi le caratteristiche dell'imperativo categorico che non é subordinato ad alcuna condizione, ma che obbliga semplicemente tutti gli uomini ad osservare un certo comportamento, senza che vi siano condizioni che possano esentare un individuo da tale obbligo: ad esempio la norma “Non uccidere” o “Non rubare” é valida per tutti gli uomini e non ammette alcun tipo di deroga o di condizione limitante.
L'interrogativo che Kant si pone é quali caratteristiche devono avere gli imperativi categorici per poter essere considerati tali e tale interrogativo avrà risposta nel proseguo della Critica della ragion pratica.
Una morale formale.
Mentre nella Critica della ragion pura il limite che l'uomo non poteva superare era quello dell'esperienza, in quanto senza esperienza non può esserci alcuna conoscenza, nella Critica della ragion pratica la prospettiva cambia in quanto non abbiamo più a che fare con un oggetto già dato da conoscere, ma con dei principi che l'uomo stesso deve fissare.
Diversamente dall'indagine sulla conoscenza, nella morale non si può partire dall'esperienza o dai singoli fenomeni che ci accadono, le situazioni particolari, altrimenti Kant sostiene che la legge morale non avrebbe più il carattere dell'universalità. In ambito morale, quindi, é necessario partire dall'a priori, cioè dalla ragione, in modo da stabilire norme valide indipendentemente dalle circostanze e dalle caratteristiche individuali, indipendentemente cioè dalle singole esperienze.
Kant afferma che, dovendo prescindere dal piano dell'esperienza, l'imperativo categorico non può indicare dei contenuti specifici, ma soltanto la struttura formale in cui ogni azione umana deve essere compresa per potersi definire morale.
Ecco perché la prima legge della ragion pratica recita:
“Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale”. Tale formula, infatti, non ci impegna a seguire uno specifico contenuto morale, ma offre all'uomo un criterio importante per stabilire quando la sua azione possa ritenersi morale: Kant in essa afferma che ogni nostra azione deve poter essere usata da ogni uomo come comportamento universale in ogni luogo o epoca, senza alcuna distinzione tra soggetti o situazioni specifiche. Secondo Kant, cioè, dobbiamo agire come se la nostra azione contingente fosse una legge morale valida per tutti gli uomini e valutarne le conseguenze: se le conseguenze della nostra azione sono razionali, allora essa deriva dall'imperativo categorico, altrimenti é soltanto un principio soggettivo, privo di universalità.
Kant stesso fa l'esempio di un prestito, richiesto ad un amico, perché ci troviamo in condizioni di difficoltà, ma che non abbiamo l'intenzione di restituire: se estendiamo la nostra azione a livello universale, tutti quelli che chiedono un prestito ad un amico non dovrebbero poi restituirlo; ma tale generalizzazione di questo comportamento sarebbe evidentemente irrazionale, in quanto nessuno concederebbe più prestiti agli amici e, quindi, la nostra azione si rivela essere irrazionale e non morale in quanto basata su una falsa promessa di restituzione.
Kant sostiene quindi che, a tutela dell'universalità della legge morale, essa deve sempre essere conforme a ragione: non é bene ciò che é voluto da Dio, o ciò che rappresenta l'utile per me, ma ciò che é in sé azione razionale.
La sensibilità, la ragione e la morale del dovere.
Kant sostiene quindi che la ragione sia il fondamento della morale. Egli sottolinea come la natura umana sia costituita non soltanto dalla ragione, ma anche dalla sensibilità, intesa come istinti e passioni. Mentre la sensibilità é legata alla materia e all'individualità, in quanto gioia e dolore sono miei come individuo e mi differenziano dagli altri, Kant dirà infatti che la sensibilità individualizza, la ragione, al contrario, universalizza, in quanto funziona allo stesso modo in tutti gli uomini e giunge alle medesime conclusioni razionali. Kant, quindi, dice che l'uomo rappresenta una miscela di sensibilità e di ragione: se l'uomo scegliesse sempre in conformità con la ragione, egli sarebbe un santo e non un semplice uomo, mentre spesso l'uomo deve fare i conti con la propria sensibilità. Kant riconosce che nessuno può vivere scegliendo sempre di agire secondo ragione, anche se ciò sarebbe altamente desiderabile, e che la ragione resta il modello ideale e la guida del comportamento umano, pur con i legami, più o meno forti, con la sensibilità. A causa di questa duplice tendenza presente nella natura umana, ogni scelta morale porta ad un inevitabile conflitto interiore tra le nostre inclinazioni naturali e la nostra ragione.
Kant afferma che, in quanto esseri razionali, noi dovremo sempre scegliere la ragione, anche quando tali scelte ci portano contro il nostro utile o il nostro piacere. La norma indicata dalla ragione é quella del dovere e per questo motivo la morale di Kant viene definita anche come morale del dovere. Non a caso l'imperativo categorico kantiano non recita “tu puoi fare questo”, ma “tu devi fare questo”, indicando l'inderogabilità di una certa azione o scelta morale nel momento che la riteniamo razionale: la morale “del dovere per il dovere” differenzia la morale kantiana dalla morale, ad esempio, cristiana: quella kantiana non é prescrittiva, ma é descrittiva, in quanto non promette premi o punizioni come conseguenza dell'azione morale, né tanto meno ci dice chiaramente cosa fare o non fare: é l'individuo che deve liberamente scegliere come agire seguendo la propria ragione, indipendentemente dalle conseguenze possibili della sua azione e compito della morale kantiana é quello di limitarsi a descrivere come l'uomo, in quanto essere razionale, dovrebbe agire, ma senza che l'imperativo entri in merito alla situazione specifica; al contrario la morale cristiana, o di altre fedi religiose, é prescrittiva, entra chiaramente nel merito di come l'uomo di fede debba agire o non agire se vuole raggiungere un certo obiettivo: il paradiso, la santità, il consenso degli altri uomini, il sentirsi bene con se stesso, etc., oppure per evitare castighi e punizioni se non osserva un determinato comportamento morale. Kant distingue infatti la morale autonoma, frutto di scelte e di convinzioni personali liberamente scelta e di interiorizzazione personale di tali norme e la morale eteronoma, frutto di imposizioni esterne e di educazione, cultura, abitudine, in cui le norme morali di comportamento non sono interiorizzate e vengono promosse dall'esterno del soggetto per scopi diversi. Un esempio di morale eteronoma é rappresentata dal bambino che viene sgridato dagli adulti per aver rubato della cioccolata: piange per la sgridata ma, potendo scegliere se ripetere l'azione, la ripeterà e cercherà di non essere scoperto, in quanto il divieto postogli dagli adulti é per lui pura e semplice imposizione dall'esterno; un esempio, invece, di morale autonoma é dato da un soggetto che lotta per un principio in cui crede e per il quale sarà disposto anche a fare rinunce e sacrifici se li ritiene necessari: un ragazzo che crede nel valore dell'amicizia, ad esempio, si potrà sacrificare per aiutare un amico in difficoltà, anche a scapito dei suoi interessi personali o di eventuali svantaggi che tale azione potrebbe causargli a livello personale.
La morale di Kant si configura come autonoma e razionale e trova nel dovere, sganciato da qualsiasi influenza esterna o interna, dovuta cioè agli stati d'animo o al carattere dell'individuo, il suo fondamento oggettivo e universale.
Il rispetto per l'umanità.
Alla prima legge dell'imperativo categorico, espresso nella Critica della ragion pratica, Kant ne affianca altre due leggi o formule che vengono esposte nella Fondazione della metafisica dei costumi. La seconda regola recita: “Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.
Nella convivenza civile ogni uomo é mezzo o strumento per gli altri uomini: Kant sottolinea cioè la necessità di non usare mai gli altri uomini solo come strumenti per la nostra utilità o il nostro esclusivo benessere, ma di rispettarne sempre la dignità umana: un negoziante vede necessariamente nel proprio cliente il mezzo per guadagnare, così come il cliente vede nel negoziante il mezzo per acquistare da lui delle merci che gli occorrono, ma Kant non critica le relazioni umane di scambio reciproco, bensì sottolinea come ogni uomo, prima di essere per noi uno strumento utile per raggiungere un nostro obiettivo, o un nostro interesse, sia prima di tutto un essere umano dotato di dignità e che merita il nostro rispetto incondizionato in quanto persona. Kant é ancora più specifico nel dire che dobbiamo rispettare tutta l'umanità sia in noi stessi, non adottando mai comportamenti che sviliscano in noi la nostra dignità umana, ne che in qualche modo possano offendere la dignità umana degli altri uomini.
Il fatto che per Kant non siamo autorizzati ad offendere in nessun modo nemmeno l'umanità di cui siamo portatori, si traduce anche nel rifiuto di Kant sia verso il suicidio, sia verso forme di disprezzo dirette verso noi stessi. Ciò vale anche nei confronti di ogni altro uomo, anche del più malvagio e criminale o che consideriamo nostro nemico: l'umanità, secondo Kant, é un principio universale che é sempre degno di rispetto e che, in quanto valore razionale, non può mai essere messo in discussione o umiliato per nessun motivo: poiché tale valore non ce lo siamo dati noi, ogni uomo é tenuto a rispettarlo sempre e comunque, e non può uccidere la dignità, propria o altrui, o privare della vita se stesso o un altro uomo, senza disprezzare la dignità umana di cui ogni uomo é espressione.
L'antropologia kantiana.
Kant, durante tutta la indagine filosofica, si é particolarmente interessato agli studi antropologici inerenti il modo di intendere l'uomo e la sua natura.
Tuttavia ha attribuito un significato più specifico a tali studi rispetto allo studio dell'antropologia tradizionale: egli, infatti, considera lo studio dell'uomo nel suo contesto storico, in relazione ai caratteri specifici che la morale assume nei diversi popoli e nei diversi contesti di vita, a differenza della morale propriamente detta che si occupa, invece, dei principi universali e razionalmente fondati, validi per tutti gli uomini.
Nella Fondazione della metafisica dei costumi del 1785, Kant aveva distinto, all'interno dell'etica, tra la “metafisica dei costumi”, orientata alla definizione dei principi universali che sono oggetto della morale, e lo studio dei costumi particolari dei diversi popoli che é invece oggetto d'indagine da parte dell'antropologia pratica.
Nella Metafisica dei costumi del 1797, Kant parla di «antropologia morale», definendola come quella disciplina dedicata alla ricerca delle condizioni empiriche, quali leggi, ordinamenti e istituzioni, che hanno il compito di diffondere e di consolidare i principi morali, universali e razionali. Kant sottolinea come le norme morali non debbano dipendere dai costumi e dalle tradizioni, o essere influenzate dal contesto politico e sociale di un singolo popolo, ma che devono fondarsi esclusivamente sulla ragione. Soltanto dopo aver fondato razionalmente tali norme, Kant afferma che é possibile studiare i contesti che le favoriscono, come le istituzioni politiche di impronta liberale, e quelli che invece non le favoriscono.
Nel 1798 Kant ritorna ad affrontare argomenti antropologici con uno scritto che li affronta da un punto di vista diverso, intitolato l'Antropologia dal punto di vista pragmatico. Quest'opera si allontana da quelle precedenti in quanto non considera più l'antropologia quale dimensione empirica della morale, ma in quanto studio della natura umana, dell'uomo naturale e dei cambiamenti che derivano dalla nascita della società.
Dal titolo che Kant le attribuisce emerge in modo chiaro lo scopo dell'opera, non tanto quello di descrivere come é fatto l'uomo, Kant chiama tale aspetto il punto di vista fisiologico, ma l'individuazione di ciò che l'uomo deve fare per cambiare se stesso, o punto di vista pragmatico, come lo definisce lo stesso Kant. Mentre la conoscenza fisiologica ci dice ciò che la natura può fare dell'uomo, la conoscenza pragmatica ci dice ciò che l'uomo, in quanto essere libero, fa o può fare di sé stesso. L'opera é divisa in due parti: la prima parte é intitolata Didattica antropologica-Del modo di conoscere l'interno e l'esterno dell'uomo, mentre la seconda é intitolata La caratteristica antropologica-Intorno al modo di conoscere l'interno dell'uomo dal suo esterno.
Nella Didattica prevale la necessità da parte di Kant di valutare i diversi aspetti della natura umana, piuttosto che una sua semplice descrizione. Kant condanna innanzitutto l'egoismo umano, sentimento naturale, ma negativo, dell'uomo che quest'ultimo é chiamato a superare.
Inoltre anche le passioni, così come le emozioni, vengono da Kant condannate: ma mentre le prime sono da lui giudicate come totalmente negative, le seconde, pur definendole disposizioni infelici dell'animo umano, sono altresì negative, ma probabili e non inevitabili, come invece sono le passioni. Ciò non impedisce però a Kant di esaminare i sentimenti umani in modo circostanziato e approfondito, sottolineandone anche aspetti positivi.
La seconda parte dell'opera é dedicata ai metodi che possono essere utilizzati per conoscere l'interiorità di un individuo mediante i segni esterni: Kant si interesserà in modo approfondito di fisiognomica, cioè della disciplina che fa corrispondere ai tratti del volto aspetti del carattere.
Kant mette in relazione il carattere di un individuo con il suo sesso, la popolazione a cui l'individuo appartiene e le diverse razze. Kant insiste, ripetutamente, che l'umanità sviluppi un livello di coesione sempre più alto, progredendo gradualmente verso una concezione di società universale.
Kant però mostra in tal senso uno spiccato pessimismo sul fatto che tale aspirazione possa effettivamente realizzarsi in concreto, per quanto la ipotizzi nel lungo periodo, ritenendola invece più un ideale regolativo, che una possibilità concreta.
All'interrogativo se la razza umana sia buona o cattiva, Kant risponde che l'uomo tende ad essere più folle, che malvagio, e che ogni uomo saggio tende a dissimulare in parte il proprio pensiero per salvaguardare se stesso e non scoprirsi interamente nei confronti degli altri uomini.
L'opera si chiude con un messaggio di speranza: l'uomo non é un essere tendenzialmente malvagio, ma un essere ragionevole che, pur tra mille ostacoli, cerca di migliorare se stesso, allontanandosi dal male e progredendo verso il bene, tentando l'unione con tutti gli altri uomini. L'aspetto cosmopolitico di Kant e il mancato interesse verso le differenze esistenti tra i diversi popoli, porranno Kant in contrasto con il movimento del Romanticismo.
Kant, non tenendo in adeguato conto l'importanza dell'identità di ogni popolo, né il fatto che ciascun popolo possiede un linguaggio e un modo di pensare che ne caratterizzano l'identità specifica, si contrappone ai romantici che sostengono che tale identità non debba essere ignorata in nome di una società cosmopolita, ma che andrebbe valorizzata, nella pluralità di espressioni di identità diverse, allo scopo di arricchire l'umanità intera.