Leibniz e le origini della nozione di monade: la fisica.
Leibniz parte dal presupposto che gli antichi filosofi avevano sostenuto che ogni sostanza avesse una sua forma e, pur non intendendo utilizzare tale concezione per spiegare i fenomeni fisici, pur tuttavia è convinto che sia necessario evidenziare i limiti del meccanicismo cartesiano e ripartire proprio da questo punto: Leibniz contesta al meccanicismo di Cartesio di aver identificato i corpi con la loro estensione. Gli sviluppi della fisica dell’epoca permettevano a Leibniz di criticare questa tesi e, infatti, nella sua opera Discorso di metafisica egli propone un importante esperimento onde confutare quello che chiama il memorabile errore di Cartesio consistente nell’aver ridotto la forza a semplice movimento.
Leibniz, infatti, afferma come non sia possibile identificare la materia con una sola delle sue qualità, cioè con l’estensione, né tanto meno spiegare ogni fenomeno inerente la materia con il solo movimento. Leibniz critica infatti le leggi dell’urto di Cartesio, che avevano permesso di spiegare il movimento tra i corpi senza dover ricorrere a forze esterne, affermando che tali leggi sono errate in quanto affermano la conservazione della quantità di movimento, dato dal prodotto della massa di un corpo per la sua velocità, mentre in realtà ciò che si conserva è la forza viva, cioè il prodotto della massa di un corpo per il quadrato della velocità.
Leibniz sostiene, infatti, come la forza sia cosa diversa dal movimento, in quanto ciò è dimostrabile dal fatto che un corpo fermo, privo quindi di movimento, possiede ugualmente una forza che lo rende in grado di resistere eventualmente al movimento, e che un corpo di dimensioni maggiori mostrerà una forza proporzionalmente maggiore di un corpo più piccolo di dimensioni. Un chiaro esempio di tale affermazione è rappresentato da un ragazzo che, immobile, viene spinto da un compagno per farlo cadere: se il ragazzo fermo è debole e gracilino colui che lo spinge avrà maggiori probabilità di farlo cadere ma se, al contrario, il ragazzo spinto fosse più robusto e ben più sviluppato del compagno, allora molto probabilmente non risentirebbe affatto della spinta ricevuta e, anzi, potrebbe essere lui a far cadere l’avversario. Un altro esempio è dato dal gioco del tiro alla fune dove vince non solo chi tira la fune con maggior forza, ma bensì colui che, puntando i piedi, non si fa trascinare nel campo avversario.
Secondo Leibniz, quindi, i corpi sono dotati di energia, mentre non necessariamente sono dotati di estensione: da tutto ciò egli ne deduce che le sostanze sono inestese e che sono pura attività o energia. Mediante il concetto di forza, centrale per la fisica, diventa quindi possibile unire l’ambito fisico a quello metafisico.
Tali conclusioni di Leibniz vengono riprese e ampliate all’interno di un breve trattato del 1695, intitolato Nuovo sistema della natura, della comunicazione delle sostanze e dell’unione esistente tra l’anima e il corpo. In questo trattato Leibniz espone la propria visione del mondo della natura, esaminando le sostanze che lo compongono: l’universo di Leibniz si presenta finalistico e fortemente orientato in senso teologico, dove Dio costituisce il punto di riferimento e lo scopo fondamentale, e animato da un’infinità di sostanze spirituali tra cui emergono gli spiriti autocoscienti, cioè gli uomini o monadi pensanti, che hanno dentro tale universo una posizione privilegiata in quanto sfuggono ad ogni meccanicismo, e le monadi semplici che sono invece soggette a tale meccanicismo, anche se in misura diversa dal meccanicismo cartesiano.
Leibniz e le origini della nozione di monade: la ricerca sugli esseri viventi o biologia.
Il presupposto dell'esistenza di infinite sostanze viventi per Leibniz, anche se scientificamente non confermata, era però sostenuta dalle innumerevoli osservazioni che i suoi contemporanei avevano potuto effettuare mediante il microscopio e che stavano provocando una notevole accelerazione dell'accrescersi delle conoscenze in campo biologico. Mentre infatti la fisica in quegli anni trovava una sua collocazione scientifica, pressoché definitiva grazie ai lavori e alle indagini di Newton, la biologia stava invece ancora muovendo i suoi primi passi per divenire una scienza a pieno titolo e ciò rendeva le leggi del moto e le teorie della meccanica del tutto insufficienti per la spiegazione dei fenomeni. Leibniz, quindi, con le sue critiche a Cartesio prima e a Newton poi, raccoglie esigenze fortemente sentite nella sua epoca.
Leibniz, adattandola alle proprie esigenze, fa sua la teoria della preformazione, secondo cui la conformazione di un organismo e le sue varie parti sono già presenti sin dall'utero materno o nel seme: facendo leva su questa teoria Leibniz può giustificare la propria tesi che le monadi non nascono e non muoiono, nonostante possa apparire che il corpo nasca e muoia.
Pur ancora molto lontano dalla futura genetica, la teoria della preformazione la anticipa in qualche modo, ipotizzando che l'individuo e il suo sviluppo siano interpretabili quali la realizzazione di un progetto già presente all'interno della propria natura.
Leibniz e la monadologia.
Il termine monade, usato prima dai pitagorici e poi da Cusano e Bruno, filosofi rinascimentali, deriva dal greco monàs o monàdos, che significa semplice, non scomponibile, ma anche deriva da monos, che significa unico: entrambi i significati sono presenti nell’uso che Leibniz fa del termine monade. La monade, infatti, è semplice e, in quanto tale, isolata, e non ha nessun rapporto con le altre monadi, almeno direttamente. La monade è la sostanza individuale, inestesa e immateriale, di tutti gli esseri dell’universo fino a Dio, monade suprema, che non differisce, per sostanza, da tutto il resto dell’universo. La monade, vedremo, è anche definita da Leibniz come “atomo psichico”: “atomo” in quanto non divisibile e componente più elementare della realtà, “psichico” in quanto è dotato di percezione. Ulteriore significato che Leibniz attribuisce alla monade è quello di “entelechìa” (dal greco “entelés” cioè perfetto, compiuto; e “échen” cioè possedere, essere compiuto), ad indicare l’autosufficienza della monade che é compiuta in sé stessa.
A questo punto Leibniz ha gradualmente delineato le proprietà che caratterizzano la monade o sostanza individuale:
- Il mondo, in quanto creato da Dio, é razionale sia nel suo complesso, sia nelle sue singole parti, anche quando l'uomo, nel tentativo di conoscerlo, non riesce a percepirne la razionalità a causa dei limiti dei propri strumenti conoscitivi;
- Le sostanze sono individuali e ognuna contiene in sé tutte le ragioni sufficienti in grado di spiegarne ogni predicato, includendo in essi anche ciò che la monade farà o subirà;
- Ogni sostanza risulta essere influenzata da tutte le altre e la sua azione si estende su tutto l'universo anche se per aspetti quasi impercettibili;
La fisica dimostra che le sostanze individuali sono inestese e atomi di attività, cioè composte da pura energia;
In ambito biologico, le nuove scoperte hanno evidenziato che l'intero universo é popolato da un'infinità di esseri animati.
Nel 1714 Leibniz dedica all'esame della nozione di monade un breve trattato sistematico, la Monadologia, nel quale riassume e precisa le caratteristiche delle sostanze individuali.
La monade, per Leibniz, é immateriale, inestesa e semplice e, in quanto tale, non può nascere, né morire, se non per diretto intervento di Dio; inoltre essa comprende in sé tutti i suoi predicati e ciò ha come conseguenza che ogni sostanza non può essere influenzata dalle altre: Leibniz stesso sintetizzerà tale aspetto delle monadi affermando che le monadi non hanno finestre.
Leibniz, però, inizia ad utilizzare il termine monade solo dal 1696, anche se il problema della sostanza individuale si presenta sin dalle origini della sua riflessione filosofica.
La monade, quindi, rappresenta la soluzione a tutta una serie di problemi e riassume le caratteristiche che, secondo Leibniz, ogni sostanza deve possedere.
Per comprendere meglio come la monade non possa comunicare direttamente con l'esterno, né con le altre monadi, é importante rifarsi alla teoria logica di Leibniz da cui il filosofo era partito nella sua indagine: aveva infatti affermato che il soggetto deve contenere in sé tutti i suoi predicati, in quanto i giudizi sono sempre analitici. Ciò porta Leibniz a sostenere che la sostanza deve possedere sin dall'inizio tutte le proprie determinazioni che, nel corso del tempo, si esprimono all'esterno in modo graduale: la monade, infatti, sviluppa semplicemente le determinazioni che sono al suo interno, senza che essa possa ricevere alcuna influenza dall'esterno.
La conoscenza di qualcosa di esterno all'uomo, ciò che definiamo comunemente esperienza, rappresenta per Leibniz la raggiunta coscienza o consapevolezza della monade di alcune sue componenti inconsce che possono così diventare appercezioni: in tal modo la monade non sviluppa nel corso del tempo niente di nuovo che non sia già contenuto nella propria natura, ampliando via via la sua parte cosciente o consapevole.
Uno dei problemi che Leibniz si pone circa le monadi riguarda la loro possibilità di cambiamento non soltanto in riferimento alle monadi più complesse, come gli spiriti, ma anche con riferimento a quelle più semplici: tali mutamenti delle monadi, secondo Leibniz, devono essere originati da un principio interno e riferito alla vita psichica della monade stessa. Il livello più semplice della vita psichica é la percezione, che il filosofo distingue dall'appercezione o coscienza. Ogni monade conosce l'intero universo, in quanto ne costituisce un frammento che si riflette nell'intero, ma anche l'universo si riflette nella singola monade come su di un prisma o su di uno specchio, in quanto la singola monade lo riflette secondo il proprio peculiare punto di vista.
La monade conosce il mondo non attraverso i sensi, ma come rappresentazione psichica, come immagine mentale, del tutto inconscia, che costituisce una conoscenza che può essere più o meno inconsapevole, cioè come semplice percezione.
Le varie monadi possiedono, invece, una percezione cosciente o appercezione di una certa porzione di universo che può essere più o meno vasta: soltanto la monade suprema, cioè Dio, possiede una completa appercezione di tutto l'universo nella sua totalità.
La distinzione tra percezioni e appercezioni permette a Leibniz di spiegare il cambiamento delle monadi senza riferirsi a cambiamenti intervenuti nel loro stato fisico. All'interno di ogni monade, infatti, deve esserci una componente in grado di mutare: non potendo trattarsi di parti materiali complesse, in quanto le monadi sono inestese e semplici, tale mutamento dev'essere di natura psichica, deve cioè riguardare il passaggio da semplici percezioni ad appercezioni.
Nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, Leibniz affronta la questione della realtà inconscia, affermando che l'attività psichica non é esclusivamente costituita dalla coscienza, come invece sosteneva Cartesio che associava la spiritualità alla sola coscienza. Da premesse simili, secondo Leibniz, avrebbero avuto origine: il problema della separazione tra anima e corpo, il riconoscimento della materia come sostanza distinta dal pensiero in quanto priva di coscienza, la riduzione degli organismi a macchine prive di anima e di pensiero. Leibniz afferma che se si considera esclusivamente la razionalità e l'assenza di razionalità, l'uomo, in quanto unico essere dotato di ragione, é nettamente separato dagli agli esseri; se invece si considera il livello di coscienza diversificato per i diversi esseri, allora la razionalità non sarà altro che un livello più elevato, ma non diverso sostanzialmente dagli altri esseri.
Nell'uomo, secondo Leibniz, é possibile il passaggio dalla semplice percezione all'appercezione mediante un principio dinamico che egli chiama appetizione, che é quel principio che permette il passaggio da una percezione all'altra. Tra le monadi esiste, infatti, una gerarchia che é basata sul grado maggiore o minore di appercezione che ciascuna monade riesce a raggiungere. Leibniz distingue così le monadi semplici, poi, ad un livello più elevato, le anime, cioè quelle monadi dotate di percezioni e di memoria come gli animali, e infine gli spiriti, cioè le monadi razionali.
La razionalità, quindi, é data dal grado di appercezione della singola monade e non viceversa.
Oltre a tale gerarchia, esiste una gerarchia più estesa che comprende l'intero universo: tale ordine va dalla monade dotata di massima appercezione e in cui la percezione inconscia non esiste, cioè Dio, al gradino più basso in cui esistono monadi dotate di sola percezione e di nessuna appercezione, cioè la materia. Nel loro mezzo, invece, ci sono un'infinità di monadi con gradualità infinite di livelli di appercezioni poiché non esistono due monadi identiche, che abbiano entrambe lo stesso grado di appercezione.
Leibniz, infatti, afferma che se esistessero due monadi identiche, diverse solo per il numero, non vi sarebbe una ragion sufficiente per la loro esistenza, in quanto non ci sarebbe una differenza tale da motivare la loro creazione da parte di Dio. Leibniz definisce principio dell'identità degli indiscernibili quel principio che afferma che, se due cose hanno in comune tutte le proprietà, allora sono una cosa sola.
Inoltre, in connessione con l'ordine gerarchico dell'universo, Leibniz enuncia il principio di continuità, in cui egli sostiene che la natura non fa salti e che nulla avviene per caso, uno dei principi più importanti per Leibniz. Questi due principi vengono utilizzati dal filosofo per delineare l'immagine di un universo molto vario, dove ogni essere é unico e dove esistono catene innumerevoli e passaggi graduali tra una specie e l'altra che riempiono l'ordine razionale dell'universo con la più grande varietà di esseri.
La materia, lo spazio e il tempo.
Secondo Leibniz, quindi, le monadi sono le uniche sostanze dell'universo e sono prive di estensione. Esse sono pura energia, cioè forza attiva, nella misura in cui sono dotate di appercezioni e, quindi, di coscienza, ma anche di percezioni e, quindi, di passività. La materia viene dunque definita da Leibniz come energia passiva, la resistenza, e non con l'estensione.
Leibniz chiama la forza attiva con il termine aristotelico di entelechìa, che ha il significato di compiuto, realizzato. Nella filosofia di Leibniz l’uso di tale termine richiama il concetto di autosufficienza delle monadi, della loro capacità di agire: per Leibniz, quindi, l’apparenza materiale delle monadi costituisce esclusivamente fenomeno o apparenza dei sensi (dal greco phaenomena = ciò che appare). I corpi, come vengono comunemente intesi, per Leibniz non esistono. Tale presupposto, di cui parla ampiamente in un breve saggio del 1707, intitolato Sul modo di distinguere i fenomeni reali dai fenomeni immaginari, solleverà tra i contemporanei la questione sull’immaterialità delle monadi, provocando molte obiezioni La stessa posizione in merito da parte di Leibniz risulta essere molto contraddittoria e non sempre chiara.
Comunque egli riconduce la materia a fenomeno e la spiega con la distinzione tra una forza attiva e una forza passiva. La forza passiva, secondo Leibniz, produce i fenomeni dell’impenetrabilità e la resistenza al movimento. In una lettera del 1716 Leibniz si difende dalle accuse che gli erano state rivolte di “immaterialismo” e riconduce la materia all’insieme di aggregati di monadi che danno all’uomo l’impressione di estensione: la materia non sarebbe quindi una sostanza, ma un aggregato di monadi che la percezione umana coglie quale impressione di materia dotata di estensione.
Tutto ciò gli permette di definire la contiguità come un puro fenomeno o impressione di spazio, mentre la successione di diversi stati come fenomeno o impressione di tempo.
Dalla materia metafisica, o materia prima, intesa come passività della monade, Leibniz distingue la materia seconda, cioè i corpi fisici, che esistono realmente, anche se non come materia, ma come aggregati di monadi.
Due risultano essere i diversi modi in cui questi aggregati di materia seconda possono essere organizzati:
l’aggregazione caratteristica che caratterizza quelli che noi chiamiamo corpi inorganici, come le pietre o le nubi, in cui tutte le monadi sono allo stesso livello;
l’organizzazione che, invece, caratterizza gli organismi, come l’uomo o gli animali, in cui le monadi sono organizzate da un principio ordinante che Leibniz chiama “monade dominante”.
A seconda del livello di percezione o di appercezione, cioè di coscienza, le monadi dominanti possono essere o semplici anime, come avviene per le piante e per gli animali, oppure spiriti, come quelle degli uomini.
Da tutto ciò scaturisce il problema di come possano interagire l’anima e il corpo, problema che già Cartesio aveva cercato di risolvere mediante l’ipotesi della ghiandola pineale, visto sia che l’anima sembrerebbe non poter agire sul corpo e viceversa e che le monadi non possono interagire tra loro in alcun modo. Leibniz, nonostante ciò, afferma però che ogni singola monade è viva, quindi anche la materia deve esserlo, in quanto costituita da monadi viventi. Le monadi, quindi, per Leibniz non sono solo le uniche sostanze, ma egli le definisce atomi psichici costituiti da energia, quindi anche lo spazio, avendo già in precedenza negato esistenza all’estensione, non ha esistenza in quanto realtà oggettiva: materia, spazio e tempo risultano essere pure impressioni, fenomeni, in cui è l’uomo a conferire un ordine alle cose che esistono nello stesso posto o nello stesso tempo allo scopo di poter attribuire un significato alla realtà che i suoi sensi percepiscono, ma ciò per Leibniz è spiegabile con l’incapacità umana di poter percepire l’energia delle monadi senza alcuna mediazione o aiuto dall’esterno.
Leibniz parte dal presupposto che gli antichi filosofi avevano sostenuto che ogni sostanza avesse una sua forma e, pur non intendendo utilizzare tale concezione per spiegare i fenomeni fisici, pur tuttavia è convinto che sia necessario evidenziare i limiti del meccanicismo cartesiano e ripartire proprio da questo punto: Leibniz contesta al meccanicismo di Cartesio di aver identificato i corpi con la loro estensione. Gli sviluppi della fisica dell’epoca permettevano a Leibniz di criticare questa tesi e, infatti, nella sua opera Discorso di metafisica egli propone un importante esperimento onde confutare quello che chiama il memorabile errore di Cartesio consistente nell’aver ridotto la forza a semplice movimento.
Leibniz, infatti, afferma come non sia possibile identificare la materia con una sola delle sue qualità, cioè con l’estensione, né tanto meno spiegare ogni fenomeno inerente la materia con il solo movimento. Leibniz critica infatti le leggi dell’urto di Cartesio, che avevano permesso di spiegare il movimento tra i corpi senza dover ricorrere a forze esterne, affermando che tali leggi sono errate in quanto affermano la conservazione della quantità di movimento, dato dal prodotto della massa di un corpo per la sua velocità, mentre in realtà ciò che si conserva è la forza viva, cioè il prodotto della massa di un corpo per il quadrato della velocità.
Leibniz sostiene, infatti, come la forza sia cosa diversa dal movimento, in quanto ciò è dimostrabile dal fatto che un corpo fermo, privo quindi di movimento, possiede ugualmente una forza che lo rende in grado di resistere eventualmente al movimento, e che un corpo di dimensioni maggiori mostrerà una forza proporzionalmente maggiore di un corpo più piccolo di dimensioni. Un chiaro esempio di tale affermazione è rappresentato da un ragazzo che, immobile, viene spinto da un compagno per farlo cadere: se il ragazzo fermo è debole e gracilino colui che lo spinge avrà maggiori probabilità di farlo cadere ma se, al contrario, il ragazzo spinto fosse più robusto e ben più sviluppato del compagno, allora molto probabilmente non risentirebbe affatto della spinta ricevuta e, anzi, potrebbe essere lui a far cadere l’avversario. Un altro esempio è dato dal gioco del tiro alla fune dove vince non solo chi tira la fune con maggior forza, ma bensì colui che, puntando i piedi, non si fa trascinare nel campo avversario.
Secondo Leibniz, quindi, i corpi sono dotati di energia, mentre non necessariamente sono dotati di estensione: da tutto ciò egli ne deduce che le sostanze sono inestese e che sono pura attività o energia. Mediante il concetto di forza, centrale per la fisica, diventa quindi possibile unire l’ambito fisico a quello metafisico.
Tali conclusioni di Leibniz vengono riprese e ampliate all’interno di un breve trattato del 1695, intitolato Nuovo sistema della natura, della comunicazione delle sostanze e dell’unione esistente tra l’anima e il corpo. In questo trattato Leibniz espone la propria visione del mondo della natura, esaminando le sostanze che lo compongono: l’universo di Leibniz si presenta finalistico e fortemente orientato in senso teologico, dove Dio costituisce il punto di riferimento e lo scopo fondamentale, e animato da un’infinità di sostanze spirituali tra cui emergono gli spiriti autocoscienti, cioè gli uomini o monadi pensanti, che hanno dentro tale universo una posizione privilegiata in quanto sfuggono ad ogni meccanicismo, e le monadi semplici che sono invece soggette a tale meccanicismo, anche se in misura diversa dal meccanicismo cartesiano.
Leibniz e le origini della nozione di monade: la ricerca sugli esseri viventi o biologia.
Il presupposto dell'esistenza di infinite sostanze viventi per Leibniz, anche se scientificamente non confermata, era però sostenuta dalle innumerevoli osservazioni che i suoi contemporanei avevano potuto effettuare mediante il microscopio e che stavano provocando una notevole accelerazione dell'accrescersi delle conoscenze in campo biologico. Mentre infatti la fisica in quegli anni trovava una sua collocazione scientifica, pressoché definitiva grazie ai lavori e alle indagini di Newton, la biologia stava invece ancora muovendo i suoi primi passi per divenire una scienza a pieno titolo e ciò rendeva le leggi del moto e le teorie della meccanica del tutto insufficienti per la spiegazione dei fenomeni. Leibniz, quindi, con le sue critiche a Cartesio prima e a Newton poi, raccoglie esigenze fortemente sentite nella sua epoca.
Leibniz, adattandola alle proprie esigenze, fa sua la teoria della preformazione, secondo cui la conformazione di un organismo e le sue varie parti sono già presenti sin dall'utero materno o nel seme: facendo leva su questa teoria Leibniz può giustificare la propria tesi che le monadi non nascono e non muoiono, nonostante possa apparire che il corpo nasca e muoia.
Pur ancora molto lontano dalla futura genetica, la teoria della preformazione la anticipa in qualche modo, ipotizzando che l'individuo e il suo sviluppo siano interpretabili quali la realizzazione di un progetto già presente all'interno della propria natura.
Leibniz e la monadologia.
Il termine monade, usato prima dai pitagorici e poi da Cusano e Bruno, filosofi rinascimentali, deriva dal greco monàs o monàdos, che significa semplice, non scomponibile, ma anche deriva da monos, che significa unico: entrambi i significati sono presenti nell’uso che Leibniz fa del termine monade. La monade, infatti, è semplice e, in quanto tale, isolata, e non ha nessun rapporto con le altre monadi, almeno direttamente. La monade è la sostanza individuale, inestesa e immateriale, di tutti gli esseri dell’universo fino a Dio, monade suprema, che non differisce, per sostanza, da tutto il resto dell’universo. La monade, vedremo, è anche definita da Leibniz come “atomo psichico”: “atomo” in quanto non divisibile e componente più elementare della realtà, “psichico” in quanto è dotato di percezione. Ulteriore significato che Leibniz attribuisce alla monade è quello di “entelechìa” (dal greco “entelés” cioè perfetto, compiuto; e “échen” cioè possedere, essere compiuto), ad indicare l’autosufficienza della monade che é compiuta in sé stessa.
A questo punto Leibniz ha gradualmente delineato le proprietà che caratterizzano la monade o sostanza individuale:
- Il mondo, in quanto creato da Dio, é razionale sia nel suo complesso, sia nelle sue singole parti, anche quando l'uomo, nel tentativo di conoscerlo, non riesce a percepirne la razionalità a causa dei limiti dei propri strumenti conoscitivi;
- Le sostanze sono individuali e ognuna contiene in sé tutte le ragioni sufficienti in grado di spiegarne ogni predicato, includendo in essi anche ciò che la monade farà o subirà;
- Ogni sostanza risulta essere influenzata da tutte le altre e la sua azione si estende su tutto l'universo anche se per aspetti quasi impercettibili;
La fisica dimostra che le sostanze individuali sono inestese e atomi di attività, cioè composte da pura energia;
In ambito biologico, le nuove scoperte hanno evidenziato che l'intero universo é popolato da un'infinità di esseri animati.
Nel 1714 Leibniz dedica all'esame della nozione di monade un breve trattato sistematico, la Monadologia, nel quale riassume e precisa le caratteristiche delle sostanze individuali.
La monade, per Leibniz, é immateriale, inestesa e semplice e, in quanto tale, non può nascere, né morire, se non per diretto intervento di Dio; inoltre essa comprende in sé tutti i suoi predicati e ciò ha come conseguenza che ogni sostanza non può essere influenzata dalle altre: Leibniz stesso sintetizzerà tale aspetto delle monadi affermando che le monadi non hanno finestre.
Leibniz, però, inizia ad utilizzare il termine monade solo dal 1696, anche se il problema della sostanza individuale si presenta sin dalle origini della sua riflessione filosofica.
La monade, quindi, rappresenta la soluzione a tutta una serie di problemi e riassume le caratteristiche che, secondo Leibniz, ogni sostanza deve possedere.
Per comprendere meglio come la monade non possa comunicare direttamente con l'esterno, né con le altre monadi, é importante rifarsi alla teoria logica di Leibniz da cui il filosofo era partito nella sua indagine: aveva infatti affermato che il soggetto deve contenere in sé tutti i suoi predicati, in quanto i giudizi sono sempre analitici. Ciò porta Leibniz a sostenere che la sostanza deve possedere sin dall'inizio tutte le proprie determinazioni che, nel corso del tempo, si esprimono all'esterno in modo graduale: la monade, infatti, sviluppa semplicemente le determinazioni che sono al suo interno, senza che essa possa ricevere alcuna influenza dall'esterno.
La conoscenza di qualcosa di esterno all'uomo, ciò che definiamo comunemente esperienza, rappresenta per Leibniz la raggiunta coscienza o consapevolezza della monade di alcune sue componenti inconsce che possono così diventare appercezioni: in tal modo la monade non sviluppa nel corso del tempo niente di nuovo che non sia già contenuto nella propria natura, ampliando via via la sua parte cosciente o consapevole.
Uno dei problemi che Leibniz si pone circa le monadi riguarda la loro possibilità di cambiamento non soltanto in riferimento alle monadi più complesse, come gli spiriti, ma anche con riferimento a quelle più semplici: tali mutamenti delle monadi, secondo Leibniz, devono essere originati da un principio interno e riferito alla vita psichica della monade stessa. Il livello più semplice della vita psichica é la percezione, che il filosofo distingue dall'appercezione o coscienza. Ogni monade conosce l'intero universo, in quanto ne costituisce un frammento che si riflette nell'intero, ma anche l'universo si riflette nella singola monade come su di un prisma o su di uno specchio, in quanto la singola monade lo riflette secondo il proprio peculiare punto di vista.
La monade conosce il mondo non attraverso i sensi, ma come rappresentazione psichica, come immagine mentale, del tutto inconscia, che costituisce una conoscenza che può essere più o meno inconsapevole, cioè come semplice percezione.
Le varie monadi possiedono, invece, una percezione cosciente o appercezione di una certa porzione di universo che può essere più o meno vasta: soltanto la monade suprema, cioè Dio, possiede una completa appercezione di tutto l'universo nella sua totalità.
La distinzione tra percezioni e appercezioni permette a Leibniz di spiegare il cambiamento delle monadi senza riferirsi a cambiamenti intervenuti nel loro stato fisico. All'interno di ogni monade, infatti, deve esserci una componente in grado di mutare: non potendo trattarsi di parti materiali complesse, in quanto le monadi sono inestese e semplici, tale mutamento dev'essere di natura psichica, deve cioè riguardare il passaggio da semplici percezioni ad appercezioni.
Nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, Leibniz affronta la questione della realtà inconscia, affermando che l'attività psichica non é esclusivamente costituita dalla coscienza, come invece sosteneva Cartesio che associava la spiritualità alla sola coscienza. Da premesse simili, secondo Leibniz, avrebbero avuto origine: il problema della separazione tra anima e corpo, il riconoscimento della materia come sostanza distinta dal pensiero in quanto priva di coscienza, la riduzione degli organismi a macchine prive di anima e di pensiero. Leibniz afferma che se si considera esclusivamente la razionalità e l'assenza di razionalità, l'uomo, in quanto unico essere dotato di ragione, é nettamente separato dagli agli esseri; se invece si considera il livello di coscienza diversificato per i diversi esseri, allora la razionalità non sarà altro che un livello più elevato, ma non diverso sostanzialmente dagli altri esseri.
Nell'uomo, secondo Leibniz, é possibile il passaggio dalla semplice percezione all'appercezione mediante un principio dinamico che egli chiama appetizione, che é quel principio che permette il passaggio da una percezione all'altra. Tra le monadi esiste, infatti, una gerarchia che é basata sul grado maggiore o minore di appercezione che ciascuna monade riesce a raggiungere. Leibniz distingue così le monadi semplici, poi, ad un livello più elevato, le anime, cioè quelle monadi dotate di percezioni e di memoria come gli animali, e infine gli spiriti, cioè le monadi razionali.
La razionalità, quindi, é data dal grado di appercezione della singola monade e non viceversa.
Oltre a tale gerarchia, esiste una gerarchia più estesa che comprende l'intero universo: tale ordine va dalla monade dotata di massima appercezione e in cui la percezione inconscia non esiste, cioè Dio, al gradino più basso in cui esistono monadi dotate di sola percezione e di nessuna appercezione, cioè la materia. Nel loro mezzo, invece, ci sono un'infinità di monadi con gradualità infinite di livelli di appercezioni poiché non esistono due monadi identiche, che abbiano entrambe lo stesso grado di appercezione.
Leibniz, infatti, afferma che se esistessero due monadi identiche, diverse solo per il numero, non vi sarebbe una ragion sufficiente per la loro esistenza, in quanto non ci sarebbe una differenza tale da motivare la loro creazione da parte di Dio. Leibniz definisce principio dell'identità degli indiscernibili quel principio che afferma che, se due cose hanno in comune tutte le proprietà, allora sono una cosa sola.
Inoltre, in connessione con l'ordine gerarchico dell'universo, Leibniz enuncia il principio di continuità, in cui egli sostiene che la natura non fa salti e che nulla avviene per caso, uno dei principi più importanti per Leibniz. Questi due principi vengono utilizzati dal filosofo per delineare l'immagine di un universo molto vario, dove ogni essere é unico e dove esistono catene innumerevoli e passaggi graduali tra una specie e l'altra che riempiono l'ordine razionale dell'universo con la più grande varietà di esseri.
La materia, lo spazio e il tempo.
Secondo Leibniz, quindi, le monadi sono le uniche sostanze dell'universo e sono prive di estensione. Esse sono pura energia, cioè forza attiva, nella misura in cui sono dotate di appercezioni e, quindi, di coscienza, ma anche di percezioni e, quindi, di passività. La materia viene dunque definita da Leibniz come energia passiva, la resistenza, e non con l'estensione.
Leibniz chiama la forza attiva con il termine aristotelico di entelechìa, che ha il significato di compiuto, realizzato. Nella filosofia di Leibniz l’uso di tale termine richiama il concetto di autosufficienza delle monadi, della loro capacità di agire: per Leibniz, quindi, l’apparenza materiale delle monadi costituisce esclusivamente fenomeno o apparenza dei sensi (dal greco phaenomena = ciò che appare). I corpi, come vengono comunemente intesi, per Leibniz non esistono. Tale presupposto, di cui parla ampiamente in un breve saggio del 1707, intitolato Sul modo di distinguere i fenomeni reali dai fenomeni immaginari, solleverà tra i contemporanei la questione sull’immaterialità delle monadi, provocando molte obiezioni La stessa posizione in merito da parte di Leibniz risulta essere molto contraddittoria e non sempre chiara.
Comunque egli riconduce la materia a fenomeno e la spiega con la distinzione tra una forza attiva e una forza passiva. La forza passiva, secondo Leibniz, produce i fenomeni dell’impenetrabilità e la resistenza al movimento. In una lettera del 1716 Leibniz si difende dalle accuse che gli erano state rivolte di “immaterialismo” e riconduce la materia all’insieme di aggregati di monadi che danno all’uomo l’impressione di estensione: la materia non sarebbe quindi una sostanza, ma un aggregato di monadi che la percezione umana coglie quale impressione di materia dotata di estensione.
Tutto ciò gli permette di definire la contiguità come un puro fenomeno o impressione di spazio, mentre la successione di diversi stati come fenomeno o impressione di tempo.
Dalla materia metafisica, o materia prima, intesa come passività della monade, Leibniz distingue la materia seconda, cioè i corpi fisici, che esistono realmente, anche se non come materia, ma come aggregati di monadi.
Due risultano essere i diversi modi in cui questi aggregati di materia seconda possono essere organizzati:
l’aggregazione caratteristica che caratterizza quelli che noi chiamiamo corpi inorganici, come le pietre o le nubi, in cui tutte le monadi sono allo stesso livello;
l’organizzazione che, invece, caratterizza gli organismi, come l’uomo o gli animali, in cui le monadi sono organizzate da un principio ordinante che Leibniz chiama “monade dominante”.
A seconda del livello di percezione o di appercezione, cioè di coscienza, le monadi dominanti possono essere o semplici anime, come avviene per le piante e per gli animali, oppure spiriti, come quelle degli uomini.
Da tutto ciò scaturisce il problema di come possano interagire l’anima e il corpo, problema che già Cartesio aveva cercato di risolvere mediante l’ipotesi della ghiandola pineale, visto sia che l’anima sembrerebbe non poter agire sul corpo e viceversa e che le monadi non possono interagire tra loro in alcun modo. Leibniz, nonostante ciò, afferma però che ogni singola monade è viva, quindi anche la materia deve esserlo, in quanto costituita da monadi viventi. Le monadi, quindi, per Leibniz non sono solo le uniche sostanze, ma egli le definisce atomi psichici costituiti da energia, quindi anche lo spazio, avendo già in precedenza negato esistenza all’estensione, non ha esistenza in quanto realtà oggettiva: materia, spazio e tempo risultano essere pure impressioni, fenomeni, in cui è l’uomo a conferire un ordine alle cose che esistono nello stesso posto o nello stesso tempo allo scopo di poter attribuire un significato alla realtà che i suoi sensi percepiscono, ma ciò per Leibniz è spiegabile con l’incapacità umana di poter percepire l’energia delle monadi senza alcuna mediazione o aiuto dall’esterno.