mercoledì 15 novembre 2023

Platone 4 - Il Mito della caverna.

  Classi 3° A/B/C Linguistico 

 Il mito della caverna.

La teoria della conoscenza di Platone ha i propri presupposti nell’immortalità dell’anima e nell’innatismo delle idee da un lato, dall’altro nel dualismo tra mondo visibile e mondo delle idee.
Tale teoria viene esposta in modo organico nella Repubblica, l’opera platonica più importante, con il mito della caverna e viene ulteriormente spiegata mediante la metafora della linea.
Platone, infatti, distingue due diverse tipologie di conoscenza:
la conoscenza che risulta essere espressione del mondo visibile delle cose, che Platone chiama dòxa o opinione, distinta a sua volta in due diverse forme che sono l’eikasìa e la pìstis, entrambe legate all’opinione sensibile e individuale, cioè alla conoscenza di ciò che appare o fenomeno;
la conoscenza del mondo intelligibile, o delle idee, che è espressione della scienza, cioè della conoscenza di ciò che è, legata alla ragione e all’intelletto, cioè alle essenze. Anch’essa si distingue in due tipologie: la dìanoia e la noèsis che, insieme, rappresentano la conoscenza scientifica o epistéme.
Platone analizza le varie tipologie di conoscenza, presentate già nella metafora della linea, all’interno del mito della caverna. Il mito racconta che, dentro una caverna, vivono degli uomini che sono stati tenuti prigionieri fin dalla nascita e legati con catene in modo da non poter muovere nemmeno la testa. I prigionieri, dalla parete a cui sono incatenati, possono vedere soltanto la parete di fondo della caverna, dove si proiettano le ombre delle statuette d’argilla portate dai servi. I prigionieri, quindi, non vedono i servitori o le statuette, ma soltanto le loro ombre che si proiettano nel muro. Ciò è possibile perché i servitori passano davanti all’entrata della caverna lungo un muretto che, essendo alto quanto loro, li nasconde alla vista dei prigionieri, mentre un fuoco acceso, dietro il muretto, proietta sulla parete le ombre degli oggetti che i prigionieri possono vedere.
Gli schiavi, portando le statuette, parlano tra loro e i prigionieri associano le voci che sentono alle ombre percepite, considerandole come la vera realtà. Questa prima parte del mito rappresenta per Platone il mondo visibile, che gli uomini percepiscono con i propri sensi e che, grazie all’abitudine, diventa per loro il mondo reale: i prigionieri non si accorgono di percepire soltanto delle ombre perché non hanno mai visto altro durante la loro vita, essi credono in quello che vedono senza porsi alcun dubbio o problema. Platone prosegue dicendo di immaginare che uno dei prigionieri riesca a liberarsi dalla prigionia della caverna: egli, abbandonando la caverna per la prima volta, si accorgerà che le ombre proiettate sul muro non costituiscono la vera realtà, ma sono soltanto la proiezione delle statuette che considererà ora la vera realtà. Anche in questo caso il prigioniero liberato si sbaglia perché le statuette non sono la vera realtà, ma rappresentano soltanto le copie degli esseri reali (oggetti, animali, piante e persone). Tuttavia Platone dice che il prigioniero non é però consapevole del proprio errore in quanto non ha esperienze precedenti con cui confrontare questa nuova esperienza. Platone ipotizza poi che, se il prigioniero uscisse dalla caverna, affrontando una salita aspra e impervia, e potesse vedere il mondo esterno, inizialmente egli sarebbe abbagliato dalla luce, a causa dei suoi occhi abituati solo all’oscurità e non sarebbe in grado di vedere i veri esseri.
Non potendo guardare direttamente le cose, si accontenterebbe di contemplare la loro immagine riflessa sull’acqua. Una volta abituatosi alla luce, l’ex prigioniero potrà vedere le cose in sé e, una volta sicuro di tale conoscenza, potrà infine guardare lo stesso sole e rendersi conto che tutto ciò che lo circonda è reso visibile dalla sua luce. Il mito rappresenta il dualismo esistente tra il mondo visibile, dei sensi e dell’esperienza, e il mondo intelligibile, quello delle idee. I due mondi sono completamente separati e per passare dal mondo sensibile a quello intelligibile, l’uomo deve superare le sue false certezze, presenti fin dalla nascita, e la forza dell’abitudine, rappresentate per Platone dalla salita difficile e dura che rappresentano la necessità di uno sforzo personale e della purificazione che è necessaria per accostarsi alla contemplazione delle idee. Platone sottolinea come il mondo reale inizialmente crea nell’uomo disagio, gli  richiede un adattamento, ma una volta che l’ex prigioniero giunge a contemplare la vera realtà, raggiunge la propria felicità e non vorrebbe mai smettere tale contemplazione.

La spiegazione del mito.

La teoria della conoscenza, illustrata nel mito della caverna, viene spiegata da Platone con la metafora della linea. Il filosofo ci invita a dividere una linea immaginaria in due segmenti diseguali: essi rappresentano la netta separazione tra il mondo della dòxa, che è il segmento più breve, e che corrisponde all’opinione e alla conoscenza sensoriale, raffigurata nel mito dalla caverna, e quello della epistéme, la scienza e la conoscenza intellettuale, raffigurata nel mito dal mondo reale.
Ognuno di questi due segmenti per Platone si suddivide a sua volta in due parti:
la dòxa o opinione è distinta in eikasìa, che rappresenta l’immaginazione e la congettura e che nel mito è rappresentata dalle ombre delle statuette, e la pistis, cioè la credenza, simboleggiata nel mito dalle statuette che sono copie delle cose vere.
l’epistéme, o conoscenza scientifica, che è distinta in diànoia, cioè il ragionamento o conoscenza dianoetica, che è rappresentata nel mito dalle immagini delle cose riflesse nell’acqua e consiste nella conoscenza deduttiva o matematica che, partendo da premesse e principi già dati, dimostra le verità che da essi ne possono derivare; il secondo livello di conoscenza scientifica è dato dalla noèsis, cioè l’intelligenza o conoscenza noetica (da noùs che vuol dire intelletto), la conoscenza intellettiva che è data dalla visione delle idee, che sono rappresentate nel mito dagli oggetti reali, e che permette di cogliere direttamente i principi dai quali deriva tutta la conoscenza.
Sia la diánoia, che la nóesis costituiscono la vera conoscenza, ma sono tra loro diverse, in quanto la prima rappresenta la scienza deduttiva, mentre la seconda rappresenta la stessa filosofia.
Per Platone la scienza deduttiva coincide quasi completamente con la matematica e ha il compito di spiegare all'uomo come é fatto il mondo e con quali principi funziona, ma non é in grado di rilevare che senso o significato il mondo abbia: ad esempio la scienza ci descrive il comportamento di un dato individuo od oggetto, ma non ci può dire né perché esiste in natura in un dato modo, né tanto meno da cosa ha avuto origine e quale sarà il suo destino. Platone propone una spiegazione teleologica o finalistica (da télos che significa scopo e logos che significa ragionamento o discorso), assegnando al sole, che simboleggia l'idea di bene, il compito di stabilire il senso ultimo di tutta la realtà, di conferirle cioè un significato. Il mito della caverna é ricco di una serie di allegorie e contiene non soltanto la distinzione tra conoscenze, presenti nella metafora della linea, ma anche tutta una serie di significati che inducono a una riflessione più approfondita. Le catene dei prigionieri stanno a rappresentare le abitudini che legano l'uomo alla conoscenza sensibile, spingendolo a credere che l'esperienza e la sensazione siano per lui l'unica forma di conoscenza possibile. L'immediatezza delle nostre esperienze ci impedisce di dubitare delle nostre false convinzioni e di cercare strade di conoscenza della realtà che siano alternative alla nostra esperienza. Tutto ciò convince Platone della necessità che ci sia qualcuno in grado di liberare gli uomini da queste false credenze, liberandoli appunto dalle loro catene: Platone non specifica come e da chi il prigioniero sia stato liberato, ma sottolinea, invece, come tale liberazione dia l'avvio a un importante processo di ricerca che si configura anche come purificazione. Il prigioniero liberato, infatti, non é in grado fin da subito di distinguere la realtà di ciò che lo circonda perché i suoi occhi, abituati da sempre all'oscurità, sono accecati dalla troppa luce: soltanto guardando il mondo reale con occhi diversi, quelli dell'intelletto e non dei sensi, potrà accostarsi alla conoscenza del mondo reale. Soltanto dopo tale cambiamento o conversione, l'uomo potrà ricercare la vera conoscenza, quella delle idee. Così come nel mito é il sole a rendere tutto più chiaro agli occhi del prigioniero, anche l'idea del bene, di cui il sole é metafora, apre all'umanità non soltanto la possibilità ontologica di conoscere il vero essere delle cose, per cui essere e conoscenza si fondono tra loro, ma anche la comprensione dei fini, costituisce cioè il fondamento della morale: Platone indica nel mito che il vero essere, costituito dalle idee, é non soltanto l'unica forma di conoscenza perfetta a cui l'uomo deve aspirare, ma anche il fondamento di ogni suo agire morale. La conoscenza, quindi, per Platone, come già era stato per il suo maestro Socrate, ha una forte connotazione morale in quanto conoscere veramente l'essere, significa anche conoscere il senso delle cose e capire che ogni cosa partecipa della bontà dell'essere. Se il bene é per Platone l'obiettivo della conoscenza e la virtù é parimenti quello dell'agire morale, allora solo colui che conosce il bene, cioè il filosofo, può rivendicare a sé la missione di risvegliare gli altri uomini ancora prigionieri dell'illusione e dei propri sensi: sarà compito del filosofo infatti liberare i prigionieri e condurli fuori dalla caverna, per condividere con essi la vera conoscenza e, quindi, il bene e la virtù.
Platone descrive quindi la felicità del prigioniero liberato che, provando compassione per i suoi compagni di schiavitù, ritorna dentro la caverna per raccontare la sua esperienza e liberarli, ma i suoi occhi, ormai abituati alla luce, non distinguono più le ombre e ciò é motivo di derisione da parte degli altri prigionieri che, non credendo ai suoi racconti sul mondo esterno, rifiutano di essere liberati e minacciano addirittura di ucciderlo se il prigioniero insistesse nel liberarli.
Il mito é metafora anche delle vicissitudini di Socrate: anche Socrate viene condannato dagli ateniesi per aver insistito con essi sull’importanza della ricerca della virtù e sulla preminenza di tale ricerca sulla ricerca delle ricchezze e della fama politica. In tal modo Platone pone le drammatiche vicende del filosofo Socrate quale metafora del filosofo che, nell’intento di liberare gli altri uomini dalle false conoscenze e dalle illusioni, viene ucciso per non essere ascoltato pur essendo innocente.
Il mito della caverna viene da Platone inserito nella Repubblica, il dialogo che esprime il progetto platonico di una società giusta che guidi tutti i cittadini verso la virtù mediante una articolata e profonda opera educativa. La missione del filosofo, secondo Platone, non può essere quindi affidata a profeti improvvisati, ma deve tradursi in un ordinamento politico complessivo, in uno Stato guidato dai filosofi stessi, in grado di formare secondo il bene la coscienza dei singoli uomini.
Solo i filosofi, in quanto conoscitori del vero bene, sono in grado di guidare gli altri uomini alla virtù e alla felicità.