Classi 4° A/B/C Linguistico
Kant: La rivoluzione copernicana e il criticismo.
Kant, sin dagli Scritti Precritici, aveva evidenziato come la conoscenza umana, indagata secondo l'ottica della filosofia tradizionale, aveva posto la sua attenzione su come il soggetto conoscente indaghi il mondo esterno utilizzando procedure razionali che lo vedono o come protagonista attivo di tale processo, come era accaduto nel Razionalismo, o come spettatore passivo rispetto agli stimoli ambientali che si limita a rielaborare, come era avvenuto nell'Empirismo.
Kant sottolinea come il processo conoscitivo non sia omogeneo ed oggettivo, regolato dalla percezione delle qualità possedute dagli oggetti, ma egli sostiene che tale processo sia invece il risultato delle peculiari modalità conoscitive dell'uomo che modella le informazioni sensoriali secondo le sue strutture cognitive, trasformando in modo peculiare le informazioni percepite dall'esterno: Kant giunge così ad affermare che la prospettiva tradizionale deve essere rovesciata e che non sia la realtà esterna a determinare la conoscenza, cioè l'oggetto, ma che sia lo stesso soggetto conoscente a determinare le caratteristiche dell'oggetto conosciuto, e quindi la conoscenza.
L'interrogativo da cui partire, quindi, non é come l'uomo conosce il mondo, ma come, conoscendolo, ne modifica le caratteristiche secondo le sue strutture cognitive e quali strumenti egli abbia a disposizione per conoscere la realtà. Il problema del criticismo, ripreso da Locke, viene da Kant ampliato e diventa il fulcro intorno a cui ruota la sua intera riflessione filosofica.
Partendo dall'analisi di scienze come la fisica e la matematica, Kant sottolinea che esse sono diventate scienze propriamente dette quando, piuttosto che limitarsi a descrivere la realtà data, hanno iniziato a ricostruirla partendo da concetti non derivati dall'esperienza, cioè a priori. Così come la geometria non divenne scienza con gli Egizi che si limitavano a descrivere semplicemente la realtà per tracciare i confini dei campi dopo le piene del Nilo, ma con Talete che produsse le figure a partire dai propri concetti, determinandone così le proprietà, allo stesso modo Kant sostiene che sia avvenuto per la fisica che é divenuta scienza grazie agli esperimenti col piano inclinato di Galilei e di Torricelli. Da ciò Kant ne consegue che la ragione é in grado di vedere solo ciò che essa stessa produce: é quindi il soggetto che modella i dati mediante le proprie strutture conoscitive e quindi é da esso che bisogna partire per comprendere come viene costruita la conoscenza scientifica. Kant sostiene quindi che é all'interno del soggetto stesso che bisogna ricercare quegli elementi a priori in grado di garantire l'universalità di un giudizio. A tale operazione Kant attribuisce il nome di “rivoluzione copernicana”, operando un confronto con Copernico: come Copernico sposta il centro dell'universo dalla terra al sole, così Kant compie una rivoluzione analoga nella conoscenza umana in quanto non é più la conoscenza a regolarsi sugli oggetti esterni, ma sono gli oggetti esterni che assumono le caratteristiche imposte dalle strutture a priori del soggetto umano.
Kant giudica pertanto di importanza fondamentale «giudicare la ragione», cioè sottoporla ad una critica serrata allo scopo di individuarne i limiti e le possibilità. A differenza del criticismo di Locke che era partito dall'analisi del problema del funzionamento della mente umana, Kant parte da saperi riconosciuti come scientifici e ne esamina le caratteristiche, quali debbano essere i requisiti essenziali perché un sapere di qualsiasi tipo possa essere definito come scientifico. Kant attribuisce quindi alla filosofia il compito non soltanto di indagare le possibilità conoscitive della ragione umana, ma anche di individuarne gli eventuali limiti e di escludere dall'indagine filosofica tutti quei saperi che non risultino essere fondati su reali prerogative della ragione stessa. Nella sua analisi della conoscenza Kant distingue tre diverse facoltà conoscitive a cui farà corrispondere altrettante sezioni della Critica della ragion pura:
- la sensibilità che é la facoltà con cui vengono colte le caratteristiche degli oggetti mediante i sensi e che le rielabora tramite le forme a priori di spazio e tempo: tale sezione Kant la chiama estetica trascendentale;
- l'intelletto che é la facoltà che ha il compito di rielaborare le singole informazioni sensoriali utilizzando i concetti puri o categorie: tale sezione é chiamata da Kant analitica trascendentale;
- la ragione che é la facoltà che permette, superando l'esperienza, di spiegare la realtà in modo globale mediante le idee: tale sezione é chiamata da Kant dialettica trascendentale.
La Critica della ragion pura: l'estetica trascendentale.
Il termine estetica deriva dal termine greco aisthésis, che vuol dire sensazione, é che definisce lo studio della conoscenza sensoriale, mentre il termine trascendentale indica la ricerca a priori di tale conoscenza, che Kant individua nelle intuizioni pure dello spazio e del tempo. Lo scopo di Kant é cioè quello di indagare le modalità universali e necessarie del funzionamento della sensazione umana, sganciata però da qualsiasi contenuto di esperienza, cioè pura, e autonoma da qualsiasi informazione sensoriale.
Riprendendo la tematica della dissertazione del 1770 dove Kant aveva distinto nei fenomeni, il contenuto dell'esperienza, una materia e una forma: la prima deriva dal mondo esterno, la seconda deriva dalle strutture conoscitive del soggetto. Perché l'esperienza sia possibile Kant sostiene che le sensazioni devono essere ordinate secondo una forma determinata che non deve essere contenuta nell'esperienza, ma precederla, cioè essere già nel soggetto che conosce prima della sensazione.
Se infatti separiamo da un qualsiasi corpo tutte le sue caratteristiche che derivano dalla sensazione, come il colore, la forma, ect., rimane qualcosa che é l'estensione di quel corpo, cioè lo spazio. Lo spazio é quindi un'intuizione pura, completamente indipendente dalle sensazioni, e che permette che tutte le nostre sensazioni abbiano una forma. Così come lo spazio dà forma alle nostre percezioni esterne, il tempo ordina le nostre percezioni interne: sia il tempo, che lo spazio non derivano dall'esperienza, ma la rendono possibile, sono cioè trascendentali e funzionano in tutti gli uomini allo stesso modo, sono cioè universali e necessarie.
Kant paragona le intuizioni pure di spazio e tempo a delle lenti colorate che filtrano tutte le nostre esperienze. Ciò che noi conosciamo della realtà non corrisponde alla realtà oggettiva: se noi indossiamo delle lenti rosa, noi percepiremo tutta la realtà rosa, ma se un marziano osservasse la nostra realtà molto probabilmente la vedrebbe di tutt'altro colore, magari arancione o blu. Ciò sta ad indicare che ciò che noi percepiamo, secondo Kant, non sono le vere caratteristiche degli oggetti, ma quelle che la nostra sensazione ci permette di cogliere di esse, e poiché tutti gli uomini nascono già con le stesse lenti rosa incorporate, che non possono mai togliere, allora la conoscenza sensoriale sarà identica per tutti gli uomini, cioè universale e necessaria. Così la conoscenza sensoriale é sempre fenomenica, cioè data da ciò che l'uomo é in grado di percepire del mondo esterno con le sue facoltà, ma Kant afferma che la realtà oggettiva l'uomo non é in grado di raggiungerla, cioè la vera essenza degli oggetti che l'uomo percepisce é destinata a sfuggirgli. In questo modo Kant può rispondere all'interrogativo iniziale del perché la matematica sia una scienza: essa é una scienza perché é fondata su strutture a priori (lo spazio per la geometria, il tempo, la successione di numeri, per l'aritmetica) che ne garantiscono l'universalità e la necessità.
La geometria euclidea spiega i fenomeni in modo scientifico in quanto li ordina l'intuizione pura dello spazio in modo geometrico. Questa risposta solleva però un altro problema che Kant affronterà al termine della Critica della ragion pura: ciò che l'uomo conosce é comunque il fenomeno, perché la cosa-in-sé, cioè la dimensione oggettiva del mondo, che Kant chiama noumeno, gli sfugge in quanto non potrà mai togliere le lenti colorate e conoscere il vero colore del mondo.
La Critica della ragion pura: l'analitica trascendentale.
Se Kant nella prima sezione della Critica della ragion pura, l'estetica trascendentale, ha indagato il funzionamento della sensazione staccata da ogni contenuto di esperienza, nella seconda sezione della Critica, l'analitica trascendentale, indaga il funzionamento dell'intelletto umano e come i dati sensoriali vengano da esso rielaborati in forma pura, cioè staccati da qualsiasi riferimento all'esperienza concreta dell'uomo. Per tale motivo l'analisi risulta essere trascendentale e quindi universale e necessaria, identica nel suo funzionamento per tutti gli uomini. Kant parte dalla distinzione tra la logica generale, che comprende le leggi assolutamente necessarie che governano il pensiero, e la logica trascendentale. Mentre la logica generale ha raggiunto il suo pieno sviluppo con il pensiero di Aristotele, la logica trascendentale riguarda, invece, il pensiero applicato all'esperienza, cioè le strutture conoscitive a priori con cui il soggetto conoscente rielabora e collega i dati della sensazione: Kant stesso dice che senza sensazione nessun oggetto verrebbe percepito, mentre senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato, in quanto i pensieri senza contenuto sono vuoti e le intuizioni senza concetti risultano essere cieche.
La logica trascendentale si distingue, a sua volta, in due sezioni principali: l'analitica trascendentale e la dialettica trascendentale. La prima studia come l'intelletto, usando i concetti a priori, ordina i dati dell'esperienza; mentre la seconda indaga la ragione, cioè il momento in cui l'intelletto, pretendendo di andare oltre l'esperienza, diventa ragione.
L'analitica é quella parte della logica trascendentale che indaga gli elementi puri dell'intelletto, o detti anche concetti puri dell'intelletto, cioè le categorie: sono definite concetti da Kant in quanto hanno il compito di ridurre ad unità la molteplicità dei dati forniti dall'esperienza e sono puri perché precedono la stessa esperienza.
Kant riprende in qualche modo il pensiero di Locke quando si chiede come l'intelletto rielabora i dati sensoriali, ma lo supera perché Kant non si limita a chiedersi come funziona la mente umana, ma come sia possibile la conoscenza, cioè cosa é necessario presupporre per giungere alla conoscenza scientifica: Kant non si interroga tanto su quali operazioni compie l'intelletto, ma si interroga invece sulle modalità con cui i dati sensoriali diventano concetti universali e necessari, validi per tutti gli uomini, che costituiscono il fondamento della conoscenza scientifica.
Poiché ogni nostra conoscenza della realtà si esprime tramite dei giudizi o affermazioni sulla realtà, come Aristotele aveva già dimostrato, é necessario esaminare la tavola dei giudizi, su cui si registra il consenso unanime, e mettere in relazione ad ogni giudizio una categoria. Dal momento che ogni giudizio é dato dall'unione di un soggetto e di un predicato, allora esisterà secondo Kant un concetto a priori che regolerà ogni possibile relazione tra un giudizio e una categoria.
Kant riduce quindi le tradizionali 10 categorie aristoteliche a 4 soltanto:
- quantità;
- qualità;
- relazione;
- modalità;
Ad ognuna di queste categorie o concetti puri dell'intelletto corrispondono tre diverse tipologie di giudizi che riassumono in generale ogni tipo di affermazione e di relazione che noi possiamo effettuare sulla realtà.
Kant, attraverso l'uso dei concetti puri, risolve il problema lasciato aperto dagli empiristi circa l'impossibilità di ricavare giudizi universali, e quindi leggi scientifiche, da una serie limitata di osservazioni empiriche: era il problema dell'induzione analizzato da Hume che si era chiesto quante osservazioni empiriche di un dato fenomeno fossero sufficienti per permetterci di generalizzare la nostra esperienza in una legge di validità universale; la risposta che Hume aveva dato era che l'induzione poteva avere semplicemente validità sul piano pratico, ma non su quello razionale.
Kant risolve elegantemente il problema: l'universalità non può essere data da una generalizzazione dell'esperienza, operazione per lui illecita in quanto l'esperienza non può mai esaurire tutti i casi possibili, ma dalla sua componente a priori, che non dipende dall'esperienza, e che é sempre uguale per tutti gli uomini, e quindi universale. L'universalità é data dalla forma della nostra conoscenza che prescinde dalla variabilità dei singoli contenuti esaminati. Locke, ad esempio, aveva criticato l'oggettività dell'idea di sostanza perché, in quanto idea complessa, era il risultato di una nostra costruzione mentale, cioè di un'operazione astratta dell'intelletto a cui non corrisponde alcuna realtà oggettiva ed esterna: noi percepiamo di un oggetto singole qualità (odore, sapore, colore, etc) e le riuniamo riferendole a una sostanza, o essenza, che non ha alcuna esistenza reale o oggettiva; anche secondo Kant la sostanza non corrisponde ad alcuna realtà oggettiva, in quanto questa non la possiamo conoscere, essa é infatti il noumeno o cosa
-in-sé, ma la sostanza come categoria o concetto astratto ci permette di unificare i fenomeni, ed essendo la stessa per tutti gli uomini, essa é universale e può essere considerata come oggettiva: non perché possa essere riferita ad una realtà a sé stante, ma perché è comune al modo di conoscere di tutti gli uomini.
Anche per quanto riguarda il problema della causalità si può fare lo stesso discorso: Hume aveva dimostrato che non la possiamo considerare come un legame necessario tra fatti (se c'é A, allora c'é anche B), ma solo come un'idea complessa che l'abitudine ripetuta di osservare assieme due fenomeni, ci porta a creare un'associazione tra di essi: Kant, considerando anche la causalità come una categoria, ne salva il carattere soggettivo sottolineato da Hume, in quanto non riguarda la realtà in sé, ma solo il nostro modo di conoscere, ma le attribuisce anche universalità in quanto i dati della nostra esperienza sono da lei organizzati allo stesso modo in tutti gli uomini, condividendo le stesse strutture di conoscenza a priori che rendono anche la causalità universale e necessaria per tutti e allo stesso modo.