mercoledì 15 novembre 2023

Platone 1 - Vita e opere.

 Classi 3° A/B/C Linguistico 

Platone e il contesto storico-culturale.

In Platone, è ancora forte il legame con la pólis, che viene considerata, anche per Socrate, il punto di riferimento essenziale della vita dell'individuo, il contesto in grado di conferire senso all'esistenza individuale. La morte di Socrate, maestro di Platone, e le vicende del suo processo, mettono in crisi profonda il rapporto tra Platone e la città, divenendo il motivo ispiratore della sua riflessione politica e filosofica. La pólis, al tempo di Platone, quale modello sociale e politico, è ormai in crisi: la Grecia si avvia ormai verso la perdita della sua autonomia politica e sociale, dovuta al protrarsi della guerra del Peloponneso (431/404 a. C.), a cui faranno seguito sia un periodo di lotte che si concluderà con la breve supremazia tebana, sia con la conquista macedone da parte prima di Filippo II, e poi di Alessandro Magno. Platone si colloca quindi alla fine dell'età della pólis, in un periodo storico in cui lo scenario della città che avevano vissuto Socrate e i Sofisti, ora viene meno, pur rimanendo ancora molto importante il lógos, il discorso, che si esprime nel dialogo o nei discorsi retorici. Platone, quindi, indirizza il proprio pensiero all'indagine politica e alla crisi che essa sta registrando, nel tentativo di ipotizzare uno Stato ideale e perfetto, in grado di educare i cittadini alla realizzazione della virtù e della giustizia: uno Stato ideale a cui i cittadini possano far riferimento come modello ideale di convivenza politica e sociale, in grado di offrire e di garantire l'universalità dei valori contro il relativismo gnoseologico ed etico, proposto dai Sofisti, al quale Platone cercherà di contrapporsi, indirizzando la sua indagine filosofica alla politica e all'etica, che reciprocamente si legano all'interno del suo pensiero. Ma proprio nel tentativo di rispondere alle esigenze pratiche del comportamento individuale e sociale, Platone costruisce un imponente edificio metafisico che affronta il problema dei valori e della loro universalità, ma che tenta di risolvere i problemi rimasti ancora lasciati aperti dalle filosofie precedenti: il problema del molteplice e del divenire, il rapporto esistente tra esperienza e pensiero, tra lógos e realtà, riprendendo la via tracciata in precedenza da Parmenide.

Platone: la vita.

Platone nasce ad Atene intorno al 428/427 a. C. da una famiglia ricca e aristocratica, di antica nobiltà. Il suo vero nome è Aristocle, mentre il nomignolo di Platone, con cui sarà universalmente conosciuto, gli viene dato dal suo insegnante di ginnastica a causa dell'ampiezza delle sue spalle e della sua figura, dal termine greco plátos = ampiezza.
All'età di vent'anni, nel 408 a. C., diventa allievo di Socrate e lo seguirà sino alle vicende del suo processo e della sua morte, avvenuta nel 399 a. C. e di cui sarà uno dei testimoni più accurati e attendibili. Successivamente Platone lascia Atene e, dopo un soggiorno a Megara, inizia a viaggiare molto, recandosi anche in Egitto e nella Magna Grecia, dove conosce il pitagorico Archita di Taranto. Dopo un breve soggiorno ad Atene, la abbandona di nuovo nel 388 a. C., per il primo dei suoi viaggi a Siracusa, dove attua il suo primo tentativo di convincere il tiranno Dionigi I a realizzare il modello di stato che Platone sta elaborando, contando anche sull'appoggio del cognato di Dionigi, Dione, che diviene suo allievo. Fallito questo primo tentativo, Platone torna ad Atene e vi fonda la sua scuola, l'Accademia, nel 387 a. C.
Nel 367 a. C., alla morte di Dionigi I, Platone compie il suo secondo viaggio a Siracusa, con la speranza di poter realizzare il proprio progetto politico con il nuovo tiranno, Dionigi II, ma anche questo tentativo fallisce. Platone farà un terzo viaggio a Siracusa, nel 361, ma rischia di concludersi in modo tragico a causa dell'ostilità di Dionigi II che minaccia di imprigionare Platone: soltanto grazie all'intervento di Archita Platone riesce a far ritorno ad Atene, dove si dedica all'insegnamento nell'Accademia, fino alla sua morte, avvenuta nel 347 a. C.

Platone e le opere: il Corpus Platonicum.

Il corpus platonicum,, cioè l'insieme degli scritti attribuiti a Platone, si compone di 36 opere: si tratta di 36 dialoghi, l'Apologia di Socrate e una raccolta di 13 lettere, di cui solo una sicuramente autentica. Altre opere, che sono state in passato attribuite a Platone, sono ora riconosciute come spurie, cioè di dubbia autenticità. La classificazione delle opere principali può essere così riassunta:

- i dialoghi giovanili, o socratici, scritti tra il 395 e il 388 a. C. che comprendono l'Apologia di Socrate, il Critone, lo Ione, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade primo, di attribuzione dubbia, così come l'Alcibiade secondo, l'Ippia maggiore e l'Ippia minore, il primo libro della Repubblica, il Protagora, il Gorgia, il Menesseno, il Cratilo e l'Eutidemo;

- i dialoghi della maturità, scritti fra il 387 e il 367 a. C. che comprendono il Menone, il Fedone, il Simposio, la Repubblica dal libro II al X e il Fedro;

- i dialoghi della vecchiaia, o dialettici, scritti dopo il 365 a. C. che comprendono il Parmenide, il Teeteto, il Sofista e il Politico, il Filebo e il Timeo, il Crizia e le Leggi, in dodici libri, rimasto incompiuto.

Questa classificazione, che è la più recente, non è l'unica, in quanto nel corso del tempo sono stati seguiti anche altri criteri. La prima edizione delle opere di Platone viene fatta dal grammatico Trasillo di Alessandria, nel I sec. d. C., che ha suddiviso l'insieme delle opere di Platone in nove tetralogie, cioè in nove gruppi di quattro opere ciascuna, secondo un ordine che è rimasto invariato sino al Rinascimento e che, in ambito specialistico, viene usato ancora oggi. Trasillo classifica le opere platoniche in questo modo:

- Eurifrone, Apologia di Socrate, Critone e Fedone;

- Cratilo, Teeteto, Sofista e Politico;

- Parmenide, Filebo, Simposio e Fedro;

- Alcibiade primo e secondo, Ipparco e Amanti;

- Teage, Carmide, Lachete e Liside;

- Eutidemo, Protagora, Gorgia e Menone;

- Ippia maggiore e minore, Ione e Menesseno;

- Clitofonte, la Repubblica, Timeo e Crizia;

- Minosse, Leggi, Epinomide e Lettere.

Non tutti i dialoghi attribuiti a Platone sono sicuramente autentici e su alcuni di essi sono nati dissensi fin dal tempo di Trasillo. Oggi si tende a non reputare autentici i seguenti dialoghi:
- l'Alcibiade primo e secondo, le Amanti, il Teage, il Minosse, mentre l'Epinomide e il Clitofonte risultano essere ancora di dubbia autenticità: Diogene Laerzio, nella Vita di Platone, attribuirà l'Epinomide e le Leggi a Filippo di Oplunte nel IV sec. a. C.

Altri dialoghi che, inizialmente attribuiti a Platone, Trasillo definisce spuri sono:

- Midone o l'allevatore di cavalli, l'Erissia o Erasistrato, l'Alcione, Acefali o Sisifo, l'Assioco, i Feaci, il Demodoco, il Chelidone, il Settimo giorno e l'Epimenide.

Anche per quanto riguarda le Lettere l'autenticità è controversa: vi è accordo comune nell'attribuire a Platone la VII lettera, mentre la I, la V, la VI, la XII e la XIII sono considerate come non autentiche. Un altro problema importante inerente le opere di Platone riguarda la datazione che ha subito molte interpretazioni diverse.
Friedrich Schleiermacher ha posto per primo il problema della datazione delle opere di Platone già nel 1804. Egli propose di ordinare i dialoghi in base al loro contenuto ricostruendo, attraverso la loro successione, l'elaborazione del sistema filosofico di Platone.
Tale criterio, però, è stato molto contestato, in quanto presuppone che Platone avesse già chiaro lo sviluppo del proprio sistema fin dall'inizio; inoltre, la genesi del sistema, che funziona da criterio di classificazione dei dialoghi, rappresenta soltanto una ipotesi di classificazione e non riflette, in modo necessario, le tappe dell'elaborazione del pensiero filosofico di  Platone.
Per questi motivi, Karl Friedrich Hermann nell'opera intitolata Storia e sistema nella filosofia platonica, del 1839, contesta l'ordinamento di Schleiermacher, che poneva ad esempio come prima opera il Fedro, e ricerca all'interno dei dialoghi di Platone citazioni e richiami che consentano di stabilire la loro successione, mentre altri studiosi cercano di integrare tali riferimenti con le numerose indicazioni presenti nelle opere di Aristotele.
Campbell, nel 1861, inaugurò il metodo stilometrico, basando la propria ricostruzione sugli aspetti stilistici oggettivi, come l'uso di certe particelle, la presenza o meno di accenti in alcune parole, e così via. Nel 1897 Witold Lutoslawski, definendo meglio questo metodo, partì dall'analisi delle Leggi, sicuramente l'ultimo dialogo che rimase incompiuto per la morte di Platone, individuando ben 500 stilemi, cioè aspetti stilistici univoci: misurando poi quanti di questi stilemi comparivano negli altri dialoghi, procedette a ritroso, misurando di volta in volta la distanza dalle Leggi.
In alcuni casi il contesto in cui è ambientato il dialogo consente di determinare l'epoca in cui è stato scritto, sia pure in modo approssimativo; in altri casi è la combinazione degli aspetti stilistici con i contenuti a fornire agli studiosi elementi se non per una datazione, almeno per una cronologia, cioè per stabilire la successione delle diverse opere. In questo modo si è giunti alla classificazione ricordata all'inizio, che è quella più accreditata, anche se non l'unica.

Platone: uno sguardo d'insieme sul suo pensiero.

Il problema più importante con cui Platone è chiamato a confrontarsi, è lo stesso che aveva cercato di risolvere Socrate: il relativismo dei valori, sopratutto dal punto di vista etico. Socrate aveva cercato la soluzione nella ragione, tentando di fondare l'universalità della virtù sulla base di argomentazioni razionali che ogni uomo, in quanto essere razionale, avrebbe dovuto condividere. Tuttavia la soluzione ipotizzata da Socrate era risultata debole, in quanto richiedeva l'accordo tra i soggetti conoscenti, ma il ragionamento sui valori non poteva avere la stessa evidenza dimostrativa che poteva avere un ragionamento matematico: l'argomentare di Socrate, quindi, si caratterizzava come una ricerca senza fine, dove progressivamente si inseguiva una definizione dei problemi etici sempre più completa, ma incapace di dare a tali problemi una soluzione definitiva. Platone individua nelle idee, invece, il riferimento preciso e oggettivo sia in ambito conoscitivo, che in quello etico: esistono infatti le idee in sé, come la giustizia in sé o il coraggio in sé, come idea che permette di attribuire una data qualità ad un individuo, a una legge, ecc.; ma esistono anche le idee delle cose concrete, come l'idea di cavallo o di casa, la cui conoscenza permette all'uomo di classificare gli oggetti dell'esperienza nei loro aspetti universali e permanenti, cioè scientifici.
Platone offre così una risposta ai problemi che erano stati lasciati aperti dai filosofi presocratici:  Parmenide aveva sottolineato come la ragione richieda l'unicità e l'uguaglianza dell'essere, mentre l'esperienza attesta la molteplicità e il divenire. Se esistono le idee, ai molti uomini che nascono, vivono e muoiono, corrisponde un'unica idea di uomo, immutabile e perfetta, che ne costituisce l'essenza e ne permette  una conoscenza razionale. Platone sostiene che, se esistono le idee-valori, come l'idea del bene e della giustizia, e quella delle cose, come l'idea di uomo o di cavallo, allora chi conosce le idee, conosce sia l'ambito ontologico, relativo all'essere, sia quello etico, relativo al bene, perciò raggiunge tanto la sapienza, in quanto conoscenza del vero, quanto la saggezza, intesa come conoscenza di ciò che è giusto fare: per tale motivo i filosofi, cioè coloro che hanno una maggiore conoscenza delle idee, devono anche guidare lo Stato, in quanto sanno che cos'é la virtù, e che cosa é necessario fare per conseguirla.
L'oggettività delle idee garantisce la loro esistenza e la loro indipendenza dall'uomo e dalla sua esperienza. Il problema di come sia possibile conoscere le idee verrà risolto da Platone mediante l'innatismo e la metempsicosi: l'anima è immortale e, quando è separata dal corpo, può conoscere direttamente le idee, ma le dimentica quando torna ad incarnarsi, per ricordarle poi nel corso della vita sotto lo stimolo dell'esperienza e grazie alla guida di chi già le conosce.
Da questo punto di sviluppo del pensiero platonico nascono però nuovi problemi e nuove prospettive: Platone sottolinea come non tutti possono conoscere tutte le idee mediante la ragione, in quanto la conoscenza risulta essere legata alla qualità dell'anima, cioè alla purificazione: etica e gnoseologia sono per lui strettamente correlate. Negli ultimi dialoghi, e particolarmente nel Parmenide e nel Sofista, Platone rivede la propria teoria delle idee. In particolare, le cose non possono essere copie dell'idea, perché altrimenti tutte le cose esistenti dovrebbero avere un'idea corrispondente alla loro classe, compresi il fango e altre cose vili: Platone riconduce quindi il rapporto idee-cose alla sola imitazione, ma per spiegare una cosa occorre ricondurla a una pluralità di idee. Ad esempio Socrate non imita soltanto l'idea di uomo, ma partecipa all'idea di essere vivente, di animale, di razionalità, ecc. L'insieme di questi rapporti di partecipazione individua così l'essenza delle cose, rendendo necessario scomporre ogni realtà nelle idee di cui partecipa: questo è il metodo della dialettica di cui Platone farà lo strumento centrale dell'ultimo sviluppo del proprio pensiero.

Il rapporto tra Socrate e Platone.

Platone é stato allievo di Socrate per meno di dieci anni, dal 408-407 a. C., fino alla morte di Socrate, avvenuta nel 399 a. C. Tuttavia questo rapporto tra maestro e discepolo segnerà profondamente la filosofia di Platone. Le stesse vicende del processo e della condanna a morte di Socrate da parte del governo ateniese spingeranno Platone a chiedersi come ciò sia potuto accadere, orientandolo a fare del problema politico uno dei temi centrali della sua filosofia, nel tentativo di porre le basi di uno Stato giusto, in grado di promuovere la virtù dei propri cittadini, anziché di un governo che, corrotto dai giochi politici, condanna a morte un uomo innocente.
Della filosofia di Socrate, Platone conserva il metodo della ricerca, cioè la concezione che la filosofia non segna un punto di arrivo, ma che tracci un percorso verso la verità e il bene che in Platone sono rappresentati dal mondo delle idee a cui il filosofo deve tendere per raggiungere la vera conoscenza. Ma il filosofo (philêin= amare e sophía= sapienza), non è colui che è sapiente, ma colui che ama la sapienza: non la possiede quindi, ma la desidera e la cerca. La filosofia di Platone si configura, quindi, come una ricerca senza fine: Platone, infatti, negli ultimi dialoghi, quelli della vecchiaia, scritti dopo i sessant'anni, non smette di autocriticarsi e di revisionare il proprio pensiero, rimettendosi quindi in discussione e modificando le sue concezioni precedenti e, probabilmente, nelle sue dottrine non scritte e insegnate all'interno della sua Accademia, è possibile che Platone, fortemente convinto della necessità di migliorare e articolare maggiormente il proprio pensiero, lo abbia continuato a fare, integrando ulteriormente le proprie teorie, proprio in questi ultimi insegnamenti lasciati ai suoi allievi. L'intento, profondamente ispirato dal metodo socratico, si traduce in Platone nella necessità di adottare il dialogo quale strumento che permette la ricerca condivisa con i propri interlocutori, senza mai accettare nulla che non sia stato adeguatamente argomentato e sottoposto al vaglio critico della ragione.
Oltre alla scelta del metodo dialogico, vi sono altri aspetti della filosofia di Platone che si ricollegano espressamente alla figura di Socrate e al suo modo di intendere la filosofia: innanzitutto la centralità della riflessione etica e la centralità del problema politico, inteso come rapporto tra lo Stato e i cittadini, nonché la fiducia incondizionata nelle capacità conoscitive della ragione umana nel poter costruire una conoscenza oggettiva e universale, partendo dal concetto, condivisibile da tutti gli uomini, in quanto esseri razionali, al riparo dalla doxá, cioè l'opinione soggettiva del singolo individuo, e dal relativismo proprio della conoscenza sofistica.
Quasi tutti i dialoghi giovanili di Platone sono dedicati all'analisi di alcune virtù e della virtù in generale, anche se tali temi non mancheranno di essere trattati anche nelle opere della maturità, come nella Repubblica, dove il tema etico avrà ruolo centrale: lo Stato giusto realizza in sé stesso la virtù e rende virtuosi i suoi cittadini. La stessa idea di bene è quella suprema, quella che lega tutte le altre idee, come fa il sole con le cose nel mito della caverna nella Repubblica. La virtù e il bene, come per Socrate, possono per Platone essere conosciuti mediante la ragione, superando i singoli aspetti individuali, quali passioni e sentimenti, che differenziano ogni individuo dagli altri. Platone condivide con Socrate la fiducia nella dimensione universale della ragione, in grado di stabilire delle verità valide per tutti gli uomini in quanto basate su argomentazioni razionali, tali da superare il relativismo gnoseologico dei Sofisti: la ragione, quindi, per Platone rappresenta l'unica garanzia di conoscenza oggettiva e universale.
Tuttavia esistono anche notevoli differenze tra il pensiero platonico e quello di Socrate: Platone, a livello dei contenuti filosofici, si differenzia per molti aspetti dal pensiero di Socrate, avendo costruito un vero e proprio sistema filosofico in cui il problema etico viene sviluppato all'interno di una complessa metafisica incentrata sul mondo delle idee, il mondo intelligibile, contrapposto ed estraneo al mondo delle cose, il mondo sensibile. In tal modo Platone cerca di dare una risposta alle domande che Socrate aveva lasciato in sospeso o che non si era posto: come il destino dell'anima dopo la morte, la nascita dell'universo, ecc.
Nel tentativo di dare risposte a tali problemi, Platone fa ricorso al mito, allontanandosi così dal ragionamento socratico, e utilizzandolo in modi diversi. Pur non sapendo se anche Socrate abbia utilizzato dei miti all'interno del suo dialogare filosofico, Platone spesso rende Socrate il protagonista di molti suoi dialoghi giovanili e pone così il problema se sia una rappresentazione fedele del Socrate storico o un'interpretazione platonica della sua figura. Molte informazioni sul pensiero socratico si possono evincere dai dialoghi platonici ed è ipotizzabile che nei cosiddetti dialoghi «socratici» Platone esponga in modo fedele il pensiero di Socrate, mentre via via si allontana dal pensiero di Socrate nei dialoghi successivi. La centralità della figura di Socrate nei dialoghi giovanili costituisce, inoltre, il criterio guida per la loro datazione, pur tenendo conto che Platone espone le proprie teorie filosofiche, pur riprendendo la finalità e lo stile del filosofare socratico. Per quanto riguarda la scrittura platonica, che rappresenta una componente molto particolare del modo di filosofare di Platone, con la sola eccezione dell'Apologia di Socrate, tutte le sue opere sono scritte in forma di dialogo: Platone, pur cercando di rimanere fedele a Socrate, che non scrisse mai nulla, era convinto che il dialogo debba essere sempre un dialogo reale, con interlocutori in carne e ossa. Anche Platone, però, condanna l'uso della scrittura: nel presentare il mito di Theuth, Platone afferma che il testo scritto risponde alle domande sempre nello stesso modo, mentre il dialogo, invece, è ricerca di una verità condivisa, in quanto basata sulla ragione. Platone sceglie però di usare la scrittura, in modo da conservare il proprio messaggio, ma ne sviluppa i caratteri orientati verso l'oralità, cioè il dialogo. I dialoghi platonici sono molto interessanti anche dal punto di vista letterario: il loro scenario di ambientazione viene descritto in modo accurato, con personaggi ben caratterizzati e calati, spesso, all'interno di un contesto narrativo che accompagna e arricchisce l'esposizione delle argomentazioni filosofiche.
All'interno dei dialoghi, Platone inserisce spesso dei miti che utilizza per introdurre il lógos, cioè l'esposizione argomentata, sia per integrare il lògos, cioè per esprimere concetti che non possono essere spiegati, ma che piuttosto devono essere mostrati attraverso il mito. In qualche caso il mito deve rivelare: oltre quindi ad essere importanti per la spiegazione di concetti filosofici, il mito è importante per il coinvolgimento che induce sul piano letterario e l'interesse che veicola anche nelle persone comuni. Platone, però, nella Lettera VII afferma che le cose più importanti non possono essere scritte, ma soltanto comunicate in modo diretto, mediante la parola. Secondo alcuni critici, infatti, gli stessi dialoghi conterrebbero soltanto una versione divulgativa del suo pensiero, mentre la vera filosofia platonica sarebbe affidata alle dottrine non scritte, cioè all'insegnamento orale nell'Accademia. I dialoghi giovanili, o socratici, trattano un unico tema: la virtù. Spesso Platone indaga una virtù specifica, (come il coraggio nel Lachete, la temperanza nel Carmide, la santità nell'Eutifrone, l'amicizia nel Liside), ma Platone cerca di rispondere al quesito di cosa sia la virtù in generale e come possa essere conosciuta ed essere trasmessa, come nel Gorgia e nel Protagora. I dialoghi giovanili vengono definiti «aporetici», perché in essi, secondo lo stile socratico, non si giunge mai ad una conclusione, ma si approfondisce e si chiarisce il problema, raggiungendo l'accordo su alcuni aspetti, che sollevano però nuove domande e così via.
Platone, all'interno dei dialoghi socratici, vuole dimostrare che anche argomentazioni che vengono accettate dalla maggioranza, possono risultare errate o prive di fondamento razionale, in quanto lo scopo dei dialoghi non è la scoperta, ma la ricerca della verità. Anche se nei primi dialoghi mancano delle vere e proprie tesi, si cominciano a presentare alcune tematiche che saranno da Platone sviluppate nelle opere successive. Uno dei primi argomenti che Platone affronta è il rapporto tra la pólis e la coscienza, intesa quale punto di riferimento dell'agire morale. Nell'Apologia di Socrate, dopo che Socrate ha pronunciato la propria difesa, il tribunale emette la sentenza, cioè la sua condanna. Prima della sentenza, l'accusatore richiede per Socrate la pena capitale e Socrate rifiuta di avvalersi della sua prerogativa, stabilita dalla legge ateniese, di chiedere ai giudici la commutazione della pena in esilio, in quanto la coscienza deve prevalere per Socrate anche nel caso di una condanna a morte.
Della condanna di Socrate, Platone ritorna a parlare nel dialogo del Critone, ma con una prospettiva diversa: Socrate è in carcere, in attesa della sentenza, e Critone cerca di indurlo ad una fuga organizzata da  lui e da altri discepoli. Tuttavia Socrate rifiuta e benché la sentenza sia chiaramente ingiusta, essa è frutto delle leggi della città e Socrate rifiuta di eluderle, fosse anche per salvarsi la vita. Le leggi costituiscono il fondamento della pólis e ogni cittadino dovrebbe trovare in esse la risposta alle proprie esigenze formative: la fedeltà alla propria coscienza e la fedeltà alle leggi di Atene sono i presupposti che portano Socrate a rifiutare la via della fuga.
Tuttavia non tutti i dialoghi giovanili si occupano della virtù, anche se questo diventa il tema dominante. Nel Cratilo, la cui collocazione all'interno dei dialoghi giovanili è ancora fonte di discussione tra i critici, il tema centrale di discussione è il linguaggio, la sua origine e la sua funzione. Lo scenario del Cratilo parte da due interlocutori che si confrontano su tesi contrapposte: Ermogene, uno degli allievi di Socrate, sostiene che i nomi rappresentino delle convenzioni, frutto dell'invenzione e dell'accordo degli uomini; Cratilo, invece, seguace della scuola di Eraclito, afferma che i nomi rispecchiano la natura delle cose, tanto che la conoscenza del nome di una cosa permette di comprendere la cosa nella sua realtà; Socrate propone una soluzione intermedia: i nomi sono stati dati dagli uomini e, a volte, esprimono le caratteristiche delle cose, anche se non sempre. Per questo motivo Socrate auspica come opportuno che ci siano dei «legislatori di nomi», filosofi o consigliati da filosofi, capaci di cogliere la vera realtà della cosa, Platone usa qui per la prima volta il termine éidos o forma, per indicare la vera realtà della cosa o essenza. Platone, per bocca di Socrate, analizza il nome di alcuni eroi, sottolineandone il legame con le loro virtù e caratteristiche. La conclusione di Socrate è che i nomi non esprimono la natura delle cose, ma il concetto che se ne è fatto chi ha attribuito il nome alla cosa; quindi i nomi non servirebbero soltanto ad indicare le cose, ma ne insegnano il significato e il concetto, avrebbero così un'importante funzione didattica e formativa.

Il confronto con i Sofisti.

L'analisi delle singole virtù, che Platone sviluppa nei dialoghi minori, rimanda sempre a una definizione che consenta di conoscere cosa sia la virtù in generale. Nei dialoghi che chiudono il periodo socratico, il Protagora e il Gorgia, il tema della virtù viene sviluppato in un confronto con i protagonisti della Sofistica. Il dialogo Protagora ha come tema principale il problema se la virtù sia insegnabile oppure no. A tale quesito Protagora che, come tutti i Sofisti, si definisce «maestro di virtù», sostiene che la virtù sia insegnabile, mentre Socrate gli obietta che, se ciò fosse vero, gli individui virtuosi potrebbero insegnarla ai propri figli, che sarebbero a loro volta virtuosi, cosa che invece spesso non succede. Tuttavia Socrate afferma che essa è una scienza in quanto è conoscenza del bene, ma si tratta evidentemente di una scienza diversa dalle altre. Protagora, che aveva sostenuto l'insegnabilità della virtù, si adopera a sostenere che essa non è scienza. Socrate sottolinea ironicamente che essa non è scienza quale le altre, sottolineando il rovesciamento iniziale di Protagora. La teoria delle idee di Platone risolve anche questa apparente contraddizione: la virtù è infatti conoscenza del bene e del male, una conoscenza però che non su può raggiungere mediante l'insegnamento di altri, ma che va scoperta dentro di sé. La critica alla sofistica, presente nel Protagora, é il tema centrale del Gorgia, un dialogo rivolto contro la retorica, che i Sofisti facevano oggetto del proprio insegnamento. La retorica, l'arte della persuasione, era diventata per la nuova borghesia lo strumento per una rapida carriera politica per ottenere potere e per raggiungere il successo personale. Socrate afferma che essa non è scienza, dato che il retore non può convincere il medico su argomenti di medicina, né il calzolaio sulla bontà o meno delle tecniche impiegate. Egli convince solo chi non è esperto di un'arte, su argomenti che non conosce, quindi non insegna, ma affascina  o blandisce con la parola. Socrate, e per suo tramite Platone, sostiene che la retorica sta alla politica come la cosmesi sta alla ginnastica: la seconda forma il fisico, mentre la prima lo abbelisce semplicemente; o ancora, che la culinaria sta alla giustizia come la retorica sta alla medicina: mentre la medicina studia il rapporto tra i cibi e la salute, la culinaria li rende soltanto più piacevoli. Gli interlocutori del Gorgia, Socrate, ma sopratutto Polo e Callicle, esaltano la retorica come strumento di dominio sugli altri, legando al potere la felicità. Chi é in grado di fare del male ai propri nemici, senza subire nessuna pena, é felice. Socrate, dimostra al contrario, che commettere ingiustizia rende infelici, tanto che, dovendo scegliere, é preferibile subirla piuttosto che farla e, se si commette ingiustizia, la pena non é da evitare, ma da accettare e da cercare come il malato accetta la medicina che può guarirlo. La felicità non consiste neppure, come sostiene Callicle, nel piacere, dato che esso é legato al soddisfacimento di un bisogno e dipende quindi dal dolore. Ma il bene e il male non possono essere congiunti, quindi il primo non si identifica con il piacere.
A differenza degli altri dialoghi socratici, il Gorgia propone delle tesi che Platone considera dimostrate dal dialogo: la felicità, o eudaímonia, consiste nella virtù, che é temperanza, cioè equilibrio ed ordine dell'anima. Sul piano politico, cioè relativo alla vita della città, il bene coincide con la giustizia: l'ingiustizia, infatti, rappresenta un male non soltanto per l'individuo che la subisce, ma anche per la città nella sua totalità, e ancora di più verso la persona che ha commesso l'ingiustizia, per cui è preferibile la morte che avere l'anima gravata dal peso delle ingiustizie commesse. Il Gorgia, rompendo lo stile tipico dei dialoghi socratici, fatto che ha spinto alcuni critici a classificare il Gorgia tra i dialoghi della maturità, Platone racconta, per bocca di Socrate, il primo dei miti escatologici, cioè relativi al destino finale dell'uomo, tema che sarà ripreso anche in altri dialoghi. Dopo la morte del corpo, l'anima affronta il giudizio delle divinità allo scopo di essere destinata alle «isole dei beati» o al Tartaro, la regione più profonda degli Inferi. La morte, infatti, separa il corpo dall'anima e, come il cadavere conserva le caratteristiche che il corpo aveva durante la vita, lo stesso avviene per l'anima, che conserva tutti i segni di tutti i suoi comportamenti passati: vizi e intemperanze, così come delle virtù possedute. La conclusione del dialogo sintetizza il dovere dell'uomo di preoccuparsi di essere buono e non solo di apparirlo, sia in privato, che in pubblico.
Platone lega così il problema etico sia al dualismo tra anima e corpo, sia al destino dell'anima, che affronterà in seguito in modo articolato e approfondito.