mercoledì 15 novembre 2023

Platone 3 - Rapporto tra anima e corpo, tra ragione e passioni.

 Classi 3° A/B/C Linguistico 


Rapporto tra anima e corpo, tra ragione e passioni.

Platone ha quindi decisamente affermato che le idee precedono ogni nostra esperienza e la rendono significativa, quindi le idee non possono derivare dall'esperienza stessa.
Si pone allora il problema circa la loro origine e Platone offre la risposta che le idee esistono in noi fin dalla nascita, anche se noi non ne siamo assolutamente consapevoli e il filosofo sostiene che l'uomo deve apprenderle tramite l'esperienza o l'insegnamento da parte di altri uomini. In realtà, secondo Platone, noi non impariamo nulla nel corso della nostra esistenza, ma ci limitiamo a ricordare ciò di cui siamo già a conoscenza. Tale processo che Platone chiama reminiscenza o anamnesi, ci aiuta a divenire consapevoli delle idee che sono già in precedenza presenti in noi. Il termine anamnesi deriva dal greco “anámnesis” e significa appunto ricordo, reminiscenza, e indica la concezione per cui la conoscenza consiste nel ricordo di ciò che é già in noi, anche se non ne siamo consapevoli. Nel pensiero di Platone tale concezione si completa e si spiega con la metempsicosi: l'anima, infatti, conosce le idee durante gli intervalli tra una reincarnazione e l'altra, dimenticando però tali conoscenze quando si unisce a un nuovo corpo materiale.
Il termine anamnesi indica quindi il processo mediante il quale, sotto lo stimolo di sensazioni o attraverso un processo di ricerca, prendiamo coscienza delle idee innate, mentre il termine reminiscenza deriva dal termine latino reminisci che significa ricordare. É per questo motivo che Platone riprende la teoria della reincarnazione, precedentemente affermata da Pitagora, per spiegare come, dopo la morte, l'anima si separa dal corpo e vive in modo indipendente da esso per un certo periodo di tempo, prima di tornare a reincarnarsi poi in un altro corpo. In questo intervallo tra le due successive reincarnazioni, Platone afferma che l'anima contempla e conosce le idee nel mondo iperuranio ma che, una volta reincarnatasi all'interno di un altro corpo, le dimentica e può recuperare il loro ricordo tramite l'esperienza, l'unica a essere in grado di risvegliare la nostra conoscenza addormentata, ma presente.
Nel dialogo Menone, Platone descrive un famoso episodio per spiegare come possa avvenire tale processo: Socrate propone a uno schiavo, completamente privo di conoscenze matematiche, di risolvere un quesito geometrico, consistente nel disegnare un quadrato di superficie doppia rispetto a un primo quadrato dato. Socrate chiede allo schiavo Menone di calcolare il lato di questo secondo quadrato e lo schiavo risponde che il lato dovrà essere il doppio rispetto al lato del quadrato più piccolo. Ma Socrate, disegnando il quadrato corrispondente al lato indicato da Menone, gli fa notare come allora il quadrato avrebbe una superficie quadrupla e non doppia. Sotto la guida delle domande di Socrate, lo schiavo giunge alla fine a scoprire che il quadrato cercato dovrà avere come lato la diagonale del primo quadrato più piccolo, dimostrando di possedere così una serie di nozioni geometriche di cui non era consapevole, il cui ricordo è stato risvegliato dalle domande di Socrate. Platone afferma che non tutti gli uomini hanno le stesse conoscenze sopite, cioè che non tutti abbiamo le stesse potenzialità nel poter conoscere: infatti ogni uomo è in grado di ricordare, se opportunamente aiutato, solo le idee che egli ha potuto contemplare nel mondo iperuranio, ma non potrebbe in alcun modo conoscere ciò che l’anima non abbia contemplato quando era separata dal corpo.

La tripartizione dell’anima: conoscenza e purificazione.

Platone spiega la tesi della reminiscenza con uno dei suoi miti più celebri, quello della biga alata, contenuta nel Fedro. All’interno di questo mito Platone paragona l’anima a un carro alato, guidato da un auriga o conducente, che rappresenta la parte razionale dell’anima, e trainato da due cavalli di cui uno bianco, che rappresenta le passioni disinteressate (anima irascibile), e uno nero, che rappresenta le passioni più basse, legate al soddisfacimento dei piaceri fisici (anima concupiscibile).
Dopo la separazione dal corpo, la biga alata, cioè l’anima, sale verso il cielo, oltre il quale si trova il mondo delle idee o iperuranio. I due cavalli, in particolare quello nero, vorrebbero però scendere verso la terra, per incarnarsi in un corpo e soddisfare le proprie passioni (le passioni hanno infatti bisogno del corpo, a differenza della ragione). L’auriga cerca di tenere a freno i due cavalli e di guidare il carro verso il mondo delle idee, per poterle poi contemplare. Platone afferma che se l’auriga sarà più forte del cavallo nero, allora riuscirà a tenerlo a bada più a lungo, mentre in caso contrario il cavallo nero avrà il sopravvento e riporterà il carro verso la terra o mondo della realtà sensibile.
Platone sostiene quindi che quanto più nella nostra vita saremo capaci di rinforzare la nostra razionalità e a liberarci dal dominio delle passioni, tanto più a lungo saremo in grado di contemplare le idee e, una volta reincarnati, di ricordarne il maggior numero. La conoscenza, quindi, per Platone é strettamente legata al concetto di catarsi o purificazione, cioè all’ambito morale: per conoscere le idee è necessario liberarci dalle passioni e da tutto ciò che lega il corpo al mondo reale.
La visione platonica dell’uomo è quindi caratterizzata da un deciso dualismo: anima e corpo sono per il filosofo due entità distinte, anzi contrapposte. Lo stesso dualismo riguarda anche la stessa anima che, da una parte risulta essere legata al corpo, mediante le passioni che la influenzano anche dopo che essa si stacca da esso; dall’altro risulta anche essere legata alle idee e al divino tramite la ragione. Se le passioni sono legate e sono espressione della sensazione individuale e soggettiva, quindi particolare, la ragione risulta essere invece universale.
Secondo Platone il piacere o il dolore, frutto di sensazioni, sono soggettive e non valide universalmente, la razionalità è universalmente dimostrabile e identica per tutti gli uomini.
Il legame che Platone stabilisce tra morale e conoscenza assume un significato preciso: le passioni riguardano la sfera individuale, mentre la conoscenza scientifica ha come oggetto d’indagine l’universale, ne consegue che liberarsi dalle passioni significa liberarsi dalla particolarità individuale; per lo stesso motivo Platone sottolinea come l’uomo deve liberarsi anche delle sensazioni, in quanto anch’esse sono legate al corpo e alla particolarità, a differenza della ragione che è universale. Il corpo rappresenta quindi, in ambito conoscitivo o gnoseologico le sensazioni, in ambito morale le passioni, il particolare e individuale, mentre la ragione e le idee rappresentano la dimensione dell’universalità.

Le prove dell’immortalità dell’anima.

Nella filosofia di Platone il problema dell’immortalità dell’anima occupa un posto centrale, vista la stretta connessione tra conoscenza e morale. Per questo motivo Platone dedica un intero dialogo, intitolato Fedone, a elaborare una serie di prove a sostegno di tale postulato fondamentale, senza il quale l’intero edificio della filosofia platonica crollerebbe.
La prima prova dell’immortalità dell’anima è rappresentata dalla stessa reminiscenza: se, infatti, l’uomo possiede delle idee non conosciute durante la propria esistenza, tali idee devono necessariamente essere conosciute in una vita precedente. Quest’argomento tuttavia non dimostra che l’anima è immortale o che vivrà in futuro, ma soltanto che essa è vissuta in precedenza.
La seconda prova, considerata da Platone, è data dal fatto che l’anima è invisibile e conosce le idee, mentre il corpo è materiale e conosce le singole cose tramite i sensi; l’anima risulta essere quindi simile alle idee e semplice come le idee stesse, in quanto non risulta essere composta da parti, a differenza dalla materia: essendo semplice l’anima non può disgregarsi e quindi non può morire.
La terza prova è data dal fatto che l’anima è considerata da Platone quale fonte di vita, in quanto dà la vita al corpo che la ospita, quindi non può accogliere il suo contrario, cioè la morte.

Il destino dell’anima.

Platone riprende più volte, e in diversi dialoghi, il tema del destino delle anime dopo la morte. La descrizione più conosciuta è contenuta nel libro X della Repubblica, in cui Platone racconta il mito di Er, mentre altri miti, che spiegano il destino dell’anima, sono contenuti nella parte conclusiva del Gorgia e del Fedone. Nel mito di Er, oltre alla spiegazione della metempsicosi, ripresa dalla filosofia pitagorica, Platone offre una nuova prospettiva per risolvere questo problema. Il mito narra di un soldato, chiamato Er, che rimane come morto per tre giorni, durante i quali compie un viaggio nell’aldilà, che al suo risveglio racconta. Er, al suo risveglio, racconta di aver visto le anime raccolte in una grande vallata, con due grandi aperture nel suolo e due nel cielo. Le anime che dovevano purificarsi delle colpe commesse durante la vita, entravano in una delle due aperture in basso e uscivano dall’altra apertura in basso, dopo aver affrontato un lungo viaggio in cui espiavano le proprie colpe; le anime dei giusti, invece, salivano verso il cielo per ricevere il premio alla loro virtù. Alla fine tutte le anime si ritrovano nella valle, dove ognuna di esse sceglie il proprio destino per l’esistenza successiva e torna poi a reincarnarsi. Platone sostiene però che non tutte le anime tornano nella valle: ci sono alcune anime che, avendo raggiunto un livello di purificazione perfetto, non hanno più alcun bisogno di reincarnarsi in altri corpi per espiare le proprie colpe e rimangono stabilmente in cielo; altre sono così corrotte che non risultano degne di incarnarsi nemmeno in altri corpi più spregevoli e restano per sempre negli inferi (Platone dice che questo è il destino soprattutto dei tiranni). Così Platone, oltre al ciclo delle reincarnazioni, aggiunge una condizione stabile e permanente, in grado di segnare il destino di un’anima in modo permanente, così come avviene nel paradiso e nell’inferno della tradizione cristiana. Tuttavia lo stesso Platone sottolinea che si tratta di rare eccezioni, mentre il destino normale delle anime rimane quello della metempsicosi.

Eros e il filosofo.

In parallelo al dualismo anima e corpo, che Platone riprende dalla dottrina orfico-pitagorica, il filosofo distingue l’opposizione tra amore celeste e amore volgare, il primo orientato all’anima e all’intelletto, il secondo è orientato ai corpi. Nel Simposio l’incarico di esporre questa opposizione è affidata a Pausania che afferma che esistono due diverse forme di éros o amore, figli di due diverse dee, l’Afrodite celeste e quella volgare. Secondo Platone l’esistenza di questi due impulsi contrapposti é presente in ogni uomo, come dice nel Fedro, dove Platone aveva distinto le tre componenti dell’anima: quella razionale, quella irascibile e quella concupiscibile. Ed é proprio quest’ultima a essere la sede dell’amore volgare, rivolto unicamente al soddisfacimento del piacere fisico. Il termine amore corrisponde a due termini e concetti distinti della lingua greca: filìa e éros, mentre il termine di agàpe, che significa amore fraterno e carità, molto diffuso nelle tradizioni ebraica e cristiana, viene da Platone usato più raramente. Il termine filìa è più vicino al significato di amicizia, anche se comunemente viene tradotto con amore (per esempio filosofia è amore per la sapienza, filantropo significa amore per l’umanità, ecc.). Eros, invece, fa riferimento in modo esplicito all’amore sessuale e al desiderio. Nel Fedro e nel Simposio l’eros è rivolto verso oggetti diversi da quelli sessuali (dalla bellezza di un corpo all’idea di bellezza in sé, attraverso vari gradi intermedi), anche se conserva comunque la forza e il coinvolgimento profondo legato al desiderio sessuale e non al rapporto più razionale e più pacato indicato dal termine filìa. Proprio per questo motivo Platone si riferisce all’eros come a una divina mania.

La ragione e le passioni.

Nel Fedro, il dialogo in cui Platone tratta della conoscenza delle idee, si parla sopratutto del tema dell’amore. Nella parte centrale del dialogo, Platone descrive con toni accesi la lotta interiore che si consuma dentro ogni animo umano, tra la tensione erotica che spinge al soddisfacimento fisico e quella che la spinge a elevarsi verso le idee e l’iperuranio. Platone afferma che, nel rapporto amoroso, la ragione e le passioni entrano in contrasto tra loro: se la ragione prevale, allora l’amore nobilita, eleva l’anima verso il mondo delle idee o, come dice lo stesso Platone, le fa spuntare le ali per salire verso l’alto; se invece prevale l’amore volgare, l’anima rimane legata al corpo e si abbrutisce, perdendo le ali.

Eros: la metafora del filosofo.

La parte principale del Simposio è occupata dal discorso di Socrate che riferisce quanto udito dalla sacerdotessa Diotima. Ella gli aveva narrato la nascita di Eros, generato da un dio, Poros, e da una mendicante, Penia. Eros, dice Platone per il tramite di Socrate, non è dunque né un dio, né un uomo, ma un essere intermedio, un demone, metafora dell’amante che desidera ciò che non ha e del filosofo che tende verso la sapienza, ma che non la possiede. Socrate procede dicendo che gli dei, che conoscono la verità, non sono dei filosofi perché, già possedendo la verità, non la desiderano. Non è filosofo, cioè amante della sapienza, neppure chi è completamente povero, cioè chi non è consapevole della propria ignoranza e non desidera quindi superarla. Socrate afferma che filosofo è colui che non possiede la conoscenza, ma che la desidera, cioè colui che cerca la verità. Eros rappresenta il desiderio di bellezza e di bontà da parte di chi, dato che le desidera, non le possiede.
Platone definisce l’amore come un tendere verso e, nella sua prospettiva, assume il significato di tendere verso il mondo delle idee. Eros é amore per la bellezza, che è anche l’unica idea in grado di manifestarsi nel mondo sensibile. Secondo Platone, contemplando la bellezza, colui che è posseduto da eros, è in grado di passare dall’amore per le cose belle a quello per le attività e le istituzioni umane, da qui a poter cogliere la bellezza della conoscenza e del sapere, per poter infine contemplare il bello in sé, cioè l’idea di bellezza. Per Platone, quindi, l’eros rappresenta dunque la tensione che conduce a superare i limiti del mondo visibile per giungere al mondo delle idee. Platone afferma che l’amore guidato dalla ragione dà all’anima l’impulso di mettere le ali e di salire verso l’alto: senza questa forza l’uomo sarebbe dominato eccessivamente dal buon senso o, come lo definisce Platone, assennatezza mortale e non potrebbe superare i propri limiti che sono legati al mondo visibile. Platone lo definisce il delirio divino che spinge l’uomo a superare la propria individualità, oltrepassare se stesso e la propria quotidianità, oltre il mondo dell’esperienza, del senso comune e delle sensazioni. Platone usa spesso la metafora dell’ascesa per indicare il tema della purificazione che compare diffusamente in diverse opere platoniche. Poiché la filosofia implica un processo di purificazione, essa non può essere soltanto studiata o appresa da altri, ma richiede invece un profondo coinvolgimento personale, una vera trasformazione di sé o conversione. Allo scopo di spiegare meglio questo aspetto possiamo analizzare una celebre metafora platonica, quella della seconda navigazione. Nel Fedone, Platone fa raccontare al personaggio Socrate il suo interesse giovanile per la natura, destinato però a non essere soddisfatto dalle spiegazioni di tipo fisico. Infatti, secondo l’esempio che Socrate propone, il fatto che Socrate si trovi in carcere, in attesa dell’esecuzione della condanna a morte, pur dipendendo dai movimenti delle ossa e dei muscoli che l’hanno condotto là, ma non ne rappresentano la vera spiegazione.
Socrate allora, abbandonata la strada percorsa dai filosofi precedenti, ricerca il senso del mondo tramite quella che chiama appunto la seconda navigazione. Nel gergo marinaresco la prima navigazione è data dall’uso delle vele e dallo sfruttare i venti favorevoli, mentre la seconda navigazione è data, una volta cessati i venti favorevoli, dai remi e dalla forza delle braccia: quest’ultima tipologia di navigazione necessita sia di un coinvolgimento personale, che di uno sforzo intenzionale. Ciò significa per Platone che l’uomo, abbandonate le conoscenze che già possiede, deve impegnarsi totalmente nella ricerca della verità, aprendosi al mondo delle idee e abbandonando le certezze offerte dai sensi. Platone, quindi, sostiene che non si impara ad essere filosofi, ma si diventa filosofi mediante un processo di cambiamento di sé che permette all’anima di mettere le ali e salire al mondo iperuranio per contemplare le idee. Eros, quindi, rappresenta per Platone la divina mania che spinge l’uomo al cambiamento e alla ricerca.