mercoledì 15 novembre 2023

Aristotele 6 - La Metafisica.

 Classi 3°A/B/C Linguistico.

La Metafisica di Aristotele.


Il termine metafisica, che deriva dalla collocazione data da Andronico di Rodi a tali opere, viene utilizzato per indicare gli argomenti trattati in essi che vanno al di là della Fisica.

Essa si qualifica come scienza dell'essere in quanto essere, delle cause prime e di Dio.

Il termine ha poi assunto col passare del tempo un significato più specifico e riduttivo, intendendo la trattazione di argomenti inerenti Dio, l'anima, ect., mentre il termine ontologia viene utilizzato per indicare l'indagine delle caratteristiche degli esseri a "scadenza", cioè degli organismi che nascono, vivono e muoiono, cioè gli enti.

Un altro termine che tratta argomenti similari é la Teologia, (da theos= Dio e logos= discorso), che nell'ambito delle religioni rivelate, come il Cristianesimo, trattano di Dio e dei problemi ad esso correlati in ambito religioso.

Ciò che noi chiamiamo metafisica era da Aristotele chiamata filosofia prima, a sottolinearne l'importanza nel suo pensiero.

Per Aristotele la filosofia prima coincide sopratutto con l'ontologia o studio dell'essere in quanto tale. A differenza delle varie scienze che studiano l'essere con diverse determinazioni o qualità, come l'essere vivente o in movimento, considerandolo in relazione a diversi predicati o categorie, tale filosofia studia invece l'essere in quanto tale, ponendosi interrogativi sui principi primi che regolano la realtà, sul suo significato. 

Eliminando qualsiasi determinazione o qualità dei singoli esseri, rimane soltanto il puro essere, l'esistere, che accomuna uomini, piante e animali.

Aristotele specifica 4 diversi significati dell'essere:


l'essere come accidente;

- l'essere come sostanza e categorie;

- l'essere come vero;

- l'essere come potenza e atto.


La sostanza.

Tra tutti questi significati il più importante e' sicuramente quello di sostanza.

La sostanza o ousia, come la chiama Aristotele, viene differenziata dall'essenza equivalente al ti estì socratico, il famoso che cos'è che introduceva al concetto.

Sin dalle sue origini la filosofia greca si era impegnata tenacemente nel risolvere due diversi ordini di problemi: il molteplice e il divenire.

Mentre esiste in tutti gli esseri qualcosa che rimane immutato nonostante il cambiamento (un individuo rimane se stesso pur crescendo e sviluppandosi), esiste però in ogni individuo qualcosa che è identico a tutti gli esemplari di viventi della sua specie: la scienza, che non può evidentemente conoscere uno per uno tutti i membri di una data categoria, associa le caratteristiche loro comuni e le descrive mediante l'uso di singoli concetti, facilitando così la conoscenza della realtà.

Platone aveva risolto questi problemi, del molteplice e del divenire, con la sua Teoria delle Idee che rappresentavano l'essenza trascendente rispetto alle cose: esse erano infatti uniche ed immutabili per classe di cose, mentre le cose reali potevano essere mutevoli e soggette al divenire; (ad es. un cavallo reale può presentare vari cambiamenti nel corso del tempo, mentre l'idea di cavallo rimane sempre uguale a se stessa e solo questa idea e' oggetto di interesse per la scienza).

Platone spiega le imperfezioni della realtà rispetto alle Idee come ad imitazioni mal riuscite e, per tale motivo, diverse e limitate, non riuscendo a risolvere il problema delle differenze tra un individuo e l'altro.

La soluzione proposta da Aristotele e' più articolata: 

- un fiore e' sempre un fiore perché, al di la' dei cambiamenti visibili, c'è in lui qualcosa che rimane immutato, una sostanza (dal latino substantia= ciò che sta sotto).

A differenza dell'idea platonica, la sostanza e' individuale ed è in grado di spiegare il permanere dell'identità dell'individuo identica a se stessa nonostante il divenire.

Per quanto riguarda la molteplicità, la sostanza, proprio perché è individuale, non coincide con l'essenza (ciò per cui una cosa e' ciò che è), che garantisce la spiegazione razionale e scientifica dell'esistente, e che Aristotele identifica con la forma.

La sostanza rappresenta l'unione inscindibile di materia e forma, legame che prende il nome di sinolo: dove la materia e' il corpo di una cosa, la forma invece è l'elemento generale che da' significato all'insieme.

Se, per es., la materia di un uomo e' data dalla carne e dalle ossa, la sua forma specifica, quella di uomo, organizza in modo preciso tale materia.

Mentre così quella forma e' comune a tutti gli altri uomini, il rapporto unico che lega la materia alla forma di Giovanni e' unica e lo caratterizza come individuo.

L'essenza e' quindi immanente alle cose e non più trascendente ad esse come nell'idea platonica.

Da quanto detto fin qui emergono dunque due differenze molto importanti tra Platone ed Aristotele:

se gli enti possiedono dentro di se' l'essenza, questi hanno una propria ragione di esistere, quindi la realtà concreta viene rivalutata e ontologicamente fondata;


inoltre, se le cose possiedono una propria essenza, a loro interna, il mondo dell'esperienza ha una propria razionalità e può essere oggetto della conoscenza scientifica, anche se bisogna superare i fenomeni, le apparenze, per indagare le essenze.


L'essere come accidente.


Mentre la sostanza rimane necessariamente la stessa, nonostante i cambiamenti del divenire, l'accidente (dal greco symbebekos= ciò che accade insieme, che accompagna),

può essere presente, oppure no in un essere, senza per questo alterarne l'essenza. Ad es.  Francesca può indossare un vestito azzurro, ma tale fatto rappresenta un accidente in quanto, che Francesca lo indossi oppure no, l'essere di Francesca non ne viene influenzato in modo permanente e rimane identico sia che indossi il vestito oppure no.

L'accidente rappresenta quindi uno dei tanti possibili predicati dell'essere, una sua determinazione transitoria, ma non determinante per la sua esistenza e la sua forma o essenza.

A livello della conoscenza, o gnoseologico, l'essenza rappresenta il concetto socratico, l'universale, che permette di conoscere razionalmente la realtà al di la' del suo apparire, garantendo all'uomo la possibilità di conoscerla in modo scientifico: conoscendo le forme, conosciamo l'universale che è oggetto di scienza, in quanto superiamo le differenze individuali e accidentali date dalla molteplicità degli esseri per cogliere soltanto ciò che li accomuna: l'essenza o concetto appunto.

In merito alla sostanza Aristotele riprende nella Metafisica alcuni concetti già trattati nella Logica come sostanze prime e sostanze seconde: le prime individuano nomi propri, mentre le seconde rappresentano nomi comuni o generi.

Mentre le sostanze prime esistono concretamente e non predicano nulla, le sostanze seconde predicano aspetti delle sostanze prime e non esistono per sé stesse (uomo, animale, cane, ecc.).

Le categorie sono invece i predicati generali delle cose: essendo qualità delle cose reali, io penso quelle cose tramite le categorie, perché le categorie sono le caratteristiche degli enti reali, ma rappresentano anche le condizioni essenziali che mi permettono di pensarle.

 

L'essere come vero e come potenza e atto.


Per quanto riguarda l'essere come vero, si è visto come Aristotele, già con le categorie, unisca le caratteristiche esistenziali delle cose alle stesse caratteristiche che le cose possiedono nel nostro conoscerle. Il vero viene definito da Aristotele come corrispondenza tra il pensiero e la realtà: gli stessi principi presenti nella Logica (identità, non contraddizione e terzo escluso), sono non soltanto principi generali che guidano il nostro pensiero, ma anche costitutivi dell'essere e sono fondamentali per tutte le scienze.

Parlando prima del divenire, abbiamo visto come Aristotele risolve il problema del cambiamento della realtà individuando nella sostanza degli esseri ciò che non muta.

Ma egli sottolinea anche che il cambiamento in natura non è casuale, bensì finalizzato e dotato di scopo. Se una ghianda, crescendo, diventa albero e non uomo, ciò è possibile perché la forma di ogni essere limita il cambiamento, per cui il divenire e' soggetto a rispettare quella che è l'essenza o forma di un essere e a non modificarlo. Ogni essere, secondo Aristotele, contiene già in potenza ciò che deve e può diventare, e il divenire non può non realizzarlo. Quando un bambino nasce, e' già in potenza un uomo adulto, anche se non lo è ancora e lo diventerà più tardi sviluppandosi; nel momento in cui il bambino sarà un adulto concretamente, allora sarà un adulto in atto, cioè avrà pienamente realizzato la sua forma o essenza di uomo.

Il divenire quindi altro non è che il passaggio di un essere dalla potenza all'atto, cioè la piena e completa realizzazione della sua natura.

I concetti di potenza (dynàmis) e atto (energèia) vengono da Aristotele ricondotti alla materia e alla forma: la potenza e' rappresentata dalla materia che può assumere molteplici forme, mentre l'atto e' rappresentato dalla forma ed è il raggiungimento di una finalità specifica per ogni essere o cosa.

Se a livello temporale la potenza precede l'atto, dal punto di vista metafisico invece, l'atto è più importante della potenza e la precede (non ci sarebbe alcun uovo senza la gallina che lo depone e lo cova= l'uovo è potenza di gallina, mentre la gallina è gallina in atto).

Aristotele chiama l'atto entelechia, cioè realizzazione e compimento, ad indicare che l'atto spinge un individuo a realizzare la propria natura, il proprio fine, la perfezione della propria essenza.

Ogni atto di un essere è potenza di qualcosa e ogni potenza sarà atto, ad es.: gli alunni sono diplomati in potenza, potranno esserlo, ma non lo sono ancora, ma quando saranno diplomati, saranno diplomati in atto e in potenza degli studenti universitari.

Il motivo del passaggio dalla potenza all'atto e' per Aristotele la privazione, cioè la mancanza di qualcosa di essenziale alla natura o essenza di un individuo (un bambino tende a crescere e non a rimanerlo in eterno perché la sua natura o essenza è quella di diventare un uomo adulto).

L'atto precede sempre la potenza perché non può esserci cambiamento di una realtà se questa non esiste, e la potenza tende all'atto perché il processo si completi: senza gallina non ci sarebbe nessun uovo, ma l'uovo, che è in potenza gallina, è anche uovo in atto che diventerà gallina in atto col divenire, e così via.

Sia per Platone, che per Aristotele, la realtà è finalizzata in senso teleologico, cioè finalistico, ma mentre per Platone la realtà si modella sull'idea, per Aristotele la realtà di ogni essere è di realizzare la propria natura passando dalla potenza ad essere qualcosa all'atto di esserlo.


La teologia: Dio come atto in atto.


Se la materia corrisponde alla potenza e la forma all'atto, sul piano logico possiamo anche concepire una materia priva di qualsiasi forma e una forma priva di qualsiasi materia.

La materia informe e' detta materia prima per distinguerla dai quattro elementi naturali (acqua, aria, terra e fuoco) che hanno già una forma che li determina. All'estremità opposta troviamo una forma pura che, essendo completamente priva di materia, non possiede alcuna potenzialità, un atto puro o atto in atto.

Tale atto puro, non essendo dotato di alcuna materia, è immobile in quanto non soggetto al divenire e, dunque, privo di potenza. La Metafisica, quindi, si identifica per Aristotele con la Teologia, cioè con lo studio della divinità.

L'esistenza di Dio viene dimostrata da Aristotele facendo riferimento alle sostanze eterne, in riferimento sopratutto al tempo. Dire infatti prima e dopo, presuppone il concetto di tempo, in quanto prima e dopo sono delle determinazioni temporali. Al tempo si connette il movimento, legato al divenire, che presuppone un motore in atto, perché se fosse in potenza, rimanderebbe ad un altro motore e così all'infinito. Poiché tale motore è privo di materia e non soggetto al divenire, esso deve essere eterno e immutabile. Ma pur essendo immobile, tale motore deve essere causa del movimento nella realtà, non come una causa efficiente (un bambino che calcia la palla), ma come causa finale, cioè in quanto forza di attrazione delle cose a sé. Essendo Dio privo di materia, non può avere un corpo, ma sarà puro pensiero e l'attività del pensare, la più nobile fra tutte, sarà l'unica sua attività e condizione stabile. Poiché, a differenza dell'uomo che può conoscere solo realtà distinte da sé in potenza, Dio potrà conoscere solo le realtà in atto più perfette in quanto in lui la potenzialità è totalmente assente: non potendo pensare che all'entità più perfetta, potrà pensare solo a sé stesso, sarà cioè pensiero di pensiero, pensa a se stesso per l'eternità. Se infatti Dio pensasse il nulla, non sarebbe tale e si troverebbe come un uomo addormentato, mentre se pensasse a qualcosa che non sia sé stesso, il suo pensiero sarebbe potenzialità di conoscere, come nell'uomo, ma Dio è atto in atto e non può avere potenzialità, ecco perché può pensare solo a sé stesso. Tale stato di pensiero rappresenta la beatitudine di un essere perfetto privo di potenzialità e di divenire. Ma Dio per Aristotele non è un Dio Creatore, in quanto l'atto del creare dal nulla significherebbe creare l'essere dal non essere, né una volontà che muove l'universo, ma è la stessa sua natura a farne un principio ordinatore, ma non un Dio personale come quello cristiano. Aristotele, riconoscendo che Dio non può trasmettere il movimento a tutti i cieli, introduce inoltre delle intelligenze immateriali che sono responsabili del movimento delle sfere inferiori, ma la sua visione cosmologica é teleologica e finalizzata: Dio dà ordine all'universo non perché lo vuole, ma perché esiste nella sua perfezione, esercitando una potente azione di attrazione verso di sé di tutta la realtà come descriverà nella Fisica.