mercoledì 20 dicembre 2023

Lezione 1 - La revisione del Kantismo e il problema del noumeno.

 Classi 5°A/B/C Linguistico - Lez. 1

 La revisione del Kantismo: il problema del noumeno.

L'eredità scomoda di una duplice realtà lasciata da Kant ai suoi successori, il noumeno e il fenomeno, costringe questi ultimi a dover affrontare il problema di superare la situazione di stallo ideologico che si era venuta a creare dopo la sua morte. L'inconoscbilità del noumeno e l'impossibilità per l'uomo di dimostrarne l'esistenza, sia per via conoscitiva nella Critica della Ragion Pura, sia per via pratica nella Critica della Ragion Pratica, pone il problema di ridurre il divario tra la realtà esterna all'uomo e il suo pensiero. Inoltre per Kant lo stesso fenomeno che apriva le porte alla conoscenza scientifica della realtà degli oggetti e dei fenomeni naturali, non era privo di dubbi: l'uomo, infatti, conosce la realtà in base alle sue strutture a priori, ai suoi occhiali rosa che non può mai togliersi e che non gli possono garantire l'assoluta coincidenza tra l'oggetto conosciuto dalla sua ragione e quello reale. Stando così le cose, diventava necessario riportare ad unità entrambi gli aspetti della realtà così scissi.
Se la strada tracciata da Kant nella rivoluzione copernicana era stata di porre al centro della conoscenza il soggetto che conosce, rispetto al ruolo secondario dell'oggetto conosciuto, bisognava non arretrare di nuovo ad una passività dell'uomo di fronte alla realtà da conoscere teorizzata da Locke nel '600. Sia Platone, che Cartesio si erano imbattuti in precedenza con problemi simili, ma Kant e il suo sistema rappresentano ormai un chiaro punto di non ritorno di cui non si può non tener conto. Così filosofi come Reinhold, Maimon e Schulze tentano l'impresa impossibile: l'annientamento della realtà noumenica dal pensiero filosofico romantico. Su idea di Jacobi, altro studioso del periodo, procederanno verso quest’obiettivo, traghettando il Criticismo kantiano verso l'Idealismo vero e proprio. Il processo, causato dall'eliminazione della cosa in sé, porta a privare l'oggetto delle sue qualità essenziali, che perde così la sua fisicità di oggetto percepito, per diventare semplicemente idea rappresentata dalla nostra mente, puro pensiero privo di determinazioni fisiche e non soggetto più al controllo della ragione, come intesa da Kant, ma espressione della coscienza, inconsapevole di tale processo.

Reinhold e la rappresentazione.

Egli, entusiasta sostenitore e diffusore degli scritti kantiani, parte dal criticismo kantiano per sottolineare l'esigenza di individuare un principio unitario che superi la contrapposizione fenomeno/noumeno e che possa riunire i diversi piani della realtà. Tale principio viene da lui individuato nella rappresentazione, che definisce come l'elemento più semplice della coscienza, in grado di precedere e fondare la distinzione tra soggetto e oggetto: la coscienza, infatti, si esprime nell'atto di rappresentare, mentre l'oggetto viene rappresentato. La rappresentazione, pur causando ogni relazione tra il pensiero di un soggetto e la realtà a lui esterna, non è però né conoscibile, né rappresentabile essa stessa. Per intenderci le famose lenti colorate di Kant che presupponevano l'universalità della conoscenza umana, e quindi di quella scientifica, in quanto tutti gli uomini sono dotati delle stesse strutture a priori, diventa per Reinhold non più il dubbio se esista una realtà che possieda effettivamente le caratteristiche che noi le attribuiamo, ma che tali caratteristiche rappresentate nella nostra mente non abbiano alcuna realtà esterna con cui confrontarsi, se non quella delle nostre lenti.

Maimon.

Una critica radicale alla nozione della cosa in sé viene avanzata da Maimon che considera tale concetto come una contraddizione in quanto non si può sostenere l'esistenza di qualcosa che abbiamo definito come non conoscibile. Infatti per Maimon solo ciò che è interno alla coscienza è rappresentabile, e quindi conoscibile, e la cosa in sé è, per definizione, esterna alla coscienza e quindi una non-cosa.
Se è vero che nella coscienza vi è un aspetto di <dato>, indipendente dalla intenzionalità del soggetto che conosce, allora esso rappresenta dei contenuti di cui la coscienza non e' consapevole e la cosa in se' sarebbe interna alla coscienza. Tale contenuto inconscio può essere progressivamente ridotto con l'aumento della consapevolezza filosofica, ma non scomparirà mai totalmente: Maimon paragona tale limite della cosa in sé alla radice quadrata di 2, cioè a un limite che può essere determinato sempre meglio ma che, in quanto contenuto inconsapevole della coscienza, non può mai essere annullato. La cosa in sé, se considerata esterna alla coscienza e non rappresentabile, sarebbe invece contraddittoria e paragonabile a un numero immaginario come alla radice quadrata di un numero negativo. L'errata percezione della cosa in sé deriva quindi dal fatto che la coscienza produce sia il contenuto, che la forma della rappresentazione, ma il contenuto è frutto di attività inconsapevole e viene quindi percepito come esterno alla coscienza.

Schulze e lo scetticismo.

Schulze contesta Kant per aver tradito i principi stessi del suo criticismo, che richiedeva che la conoscenza dovesse avere come contenuti i dati dell'esperienza. Ma ciò rende impraticabile la pretesa di conoscere le forme a priori di essa in quanto, per definizione, esse sono anteriori e staccate da ogni contenuto di esperienza. A causa di ciò Schulze propone il ritorno allo scetticismo di Hume che sosteneva che solo le rappresentazioni possono essere oggetto di conoscenza, ma che nulla si può dire nè della ipotetica cosa in sé, né del soggetto che conosce. Lo stesso Fichte, raccogliendo la critica di Schulze, rinuncerà alla dimostrazione teoretica dell'Idealismo e assumerà come criterio di scelta tra dogmatismo e idealismo le conseguenze per l'uomo in ambito pratico.

Da Kant all'Idealismo.

Gia' in Kant vi erano alcune importanti premesse all'Idealismo:

l'assoluta preminenza del soggetto che conosce sulla realtà conosciuta;

lo studio delle condizioni di conoscibilità del mondo dell'esperienza;

l'uomo come fine ultimo della natura e suo ordinatore: la natura è razionale, regolata da leggi e da scopi che presuppongono un ordine non riferibile al singolo uomo, o all'umanità concretamente esistente, ma alla razionalità umana complessiva nel suo sviluppo.

Eliminare la cosa in sé apre la strada al coincidere di realtà e sapere, dove le leggi strutturali della realtà coincidono con quelle del pensiero. Lo stesso Io Penso kantiano non rappresenta un individuo o un popolo, ma una funzione della conoscenza che è per certi versi noumenica, non la si potrà' mai spiegare completamente, per altri fenomenica nella misura in cui regola la realtà ed è esistente. Inoltre, non solo sul piano conoscitivo accettare la cosa in sé limiterebbe lo spazio di conoscenza dell'uomo, ma anche su quello morale lo costringerebbe a rinunciare alla propria libertà, senza la quale non può esserci azione morale: il mondo risulterebbe regolato da principi indipendenti da noi e verrebbero meno lo scopo finale della natura e il suo ordine: l'umanità.