mercoledì 15 novembre 2023

Aristotele 8 - l’Etica.

 Classi 3°A/B/C Linguistico

Aristotele: l'Etica.


Lo scopo delle scienze pratiche è la realizzazione della felicità: l'Etica tratta della felicità individuale, mentre la Politica parla della felicità sociale. Aristotele però attribuisce maggior importanza alla seconda in quanto il bene dello Stato garantisce la felicità di tutti i cittadini.

La felicità come obiettivo individuale e collettivo è però un concetto troppo relativo e generico: 

ecco perché Aristotele identifica la felicità dell'uomo con la piena realizzazione della propria natura e varia quindi per ciascun ente. Nell'uomo, la cui natura è data dalla sua natura razionale, felicità significa allora agire secondo ragione, cioè in modo virtuoso.

L'apice della razionalità si realizza nelle attività legate in modo diretto al pensiero, nella vita contemplativa, nella vita dedicata allo studio e alla ricerca.

Secondo Aristotele esistono due diversi tipi di felicità, a cui corrispondono due diversi tipi di virtù:

- le virtù etiche, che tutti possono raggiungere, legate al costume (éthos = costume), cioè al controllo delle passioni mediante l'uso della ragione;

- le virtù dianoetiche, legate alla ragione e al pensiero, sono considerate di livello superiore, ma non tutti gli uomini sono però in grado di raggiungere questo ideale.

Aristotele si differenzia da Platone sia per l'importanza attribuita all'immanenza rispetto alla trascendenza delle idee, sia per lo stretto legame esistente tra anima e corpo, il sinolo, mentre per Platone anima e corpo  risultavano essere eterogenee, unite da un legame innaturale, che solo la morte può scindere, liberando l'anima dalla sua prigionia.

Platone condannava le passioni come assolutamente negative e l'anima deve lottare per liberarsene, mentre Aristotele non le considera negative purché vengano controllate dalla ragione.

Il controllo sulle passioni, esercitato dalla ragione, può avvenire con la medietà, con il perseguire il giusto mezzo tra due eccessi opposti. La virtù è rappresentata quindi dal giusto mezzo. La strada per  acquisire la virtù non può essere agire in modo virtuoso saltuariamente, ma Aristotele afferma che deve diventare un modo di essere, un habitus, un'inclinazione naturale, che si manifesta mediante l'abitudine ad agire in maniera virtuosa. 

Contro la credenza di Socrate dell'intellettualismo etico, cioè si compie il male solo per ignoranza del bene e non per cattiva volontà, Aristotele sottolinea invece come conoscere la virtù, non sia la stessa cosa di metterla in atto.

Aristotele individua nel costume e nell'educazione, quali fattori esterni in grado di favorire  l'attuazione di comportamenti virtuosi, cioè nei comportamenti e nei valori sociali, gli strumenti che il contesto politico della polis rende disponibili ad ogni cittadino per l'agire morale.

L'azione morale richiede però la libertà di scegliere e l'interiorizzazione delle norme che, da esterne all'uomo, devono diventare regole personali di comportamento.

Platone e Aristotele, anche se in modi diversi, sono entrambi convinti che il contesto politico e sociale sia il luogo fondamentale in cui si declina l'agire morale, lo scenario ideale dove l'etica assume senso e valore. 

Proprio per questo motivo, tra tutte le virtù etiche, la più importante è la giustizia, che Aristotele tratta nell'Etica, piuttosto che nella Politica, con lo scopo di sottolineare l'importanza dello stretto legame che intercorre tra l'individuo e la polis. 

La giustizia viene definita quindi la virtù etica per eccellenza, perché è l'unica virtù che si rivolge agli altri e quindi più direttamente legata alla politica.

Aristotele la definisce come il giusto mezzo tra il fare e il ricevere ingiustizia. Egli distingue tra giustizia distributiva e giustizia commutativa o correttiva.

La prima riguarda il rapporto tra la società e il cittadino e stabilisce i criteri con cui devono essere distribuiti i beni comuni (ricchezze, onori, incarichi), e tale distribuzione dovrà avvenire secondo una proporzione geometrica in base al merito di ciascuno, cioè al contributo che ognuno dà alla comunità.

La giustizia correttiva, invece, riguarda i rapporti tra privati, sia quelli volontari, come i contratti e gli scambi di merci, sia quelli involontari, come il furto o la violenza. In questo caso la proporzione dovrà essere aritmetica, cioè dovrà essere reso ciò che è stato preso, in modo da ristabilire l'uguaglianza. Poiché nei contratti spesso le cose scambiate non sono le stesse, ma devono essere confrontabili, è proprio per questo motivo che è stata istituita la moneta. Questo principio vale per i rapporti volontari, ma anche per quelli involontari: l'uguaglianza viene ristabilita dal giudice sia con il pagamento di un indennizzo al danneggiato, sia mediante la pena che viene inflitta al colpevole.

Un'altra importante virtù etica per Aristotele è quella dell'amicizia, virtù fondamentale e necessaria per la vita. 

Aristotele distingue tre diversi tipi di amicizia: 

l'amicizia fondata sull'utilità reciproca, dove ognuno dei due amici trae vantaggio dall'altro;

l'amicizia basata sul piacere, dove gli amici condividono gusti e idee comuni, condividendo il piacere di stare insieme;

l'amicizia disinteressata che fa unicamente riferimento al bene e alla virtù.

Mentre l'amicizia fondata sull'utile e sul piacere risulta essere effimera e transitoria, quindi di breve durata, l'amicizia disinteressata è duratura e stabile, e può durare per tutta la vita: è l'unica forma di amicizia che apprezza l'altro per sé stesso, non vedendolo come mezzo, ma come fine.

Poiché la natura dell'uomo è di essere razionale, la massima realizzazione della sua natura è rappresentata dalle virtù che riguardano direttamente l'esercizio della ragione, cioè le virtù dianoetiche (da diánoia= pensiero discorsivo o ragione).

Esse sono: la sapienzal'intelligenza, la scienza, la saggezza e l'arte.

Nonostante la distinzione tra scienze teoretiche e scienze pratiche, Aristotele include quali virtù dianoetiche anche la sapienza e la scienza:

- la sapienza, intesa come virtù, non indica il possesso della conoscenza, ma il desiderio di ricerca e le disposizioni che spingono verso la conoscenza e ne facilitano il raggiungimento;

- la scienza, intesa come virtù, riguarda il possesso di qualità che predispongono alla conoscenza scientifica.

Un'altra virtù che merita un'attenta analisi è quella dell'intelligenza:

Aristotele la definisce come la capacità di intuire i principi primi delle diverse scienze, non esistendo a tale scopo un metodo valido per tutte le scienze.

Poiché la conoscenza per Aristotele avviene principalmente per via deduttiva, ma la deduzione presenta il limite di non poter garantire la scientificità dei principi primi o premesse, il problema non è dato dall'applicazione del metodo sillogistico a tali principi allo scopo di sviluppare gradualmente un determinato ambito del sapere, ma dalla capacità di saper inventare o scoprire tali principi, favorendo così la nascita di nuove scienze o di approcci nuovi all'interno delle scienze già esistenti.

L'intelligenza è quindi la capacità di intuire i principi primi, la scienza è la capacità di svilupparli con il ragionamento deduttivo, mentre la sapienza rappresenta la sintesi di queste virtùcioè la disposizione verso la conoscenza che include sia l'intuizione intellettiva, che la deduzione dimostrativa.

Le altre due virtù dianoetiche riguardano rispettivamente le scienze pratiche, la saggezza, e quelle poietiche, l'arte.

Anche queste due virtù devono essere considerate quali disposizioni: la saggezza come agire in vista del bene, e l'arte, come applicazione concreta del bene nelle diverse arti.

Aristotele distingue tra sapienza (sophía) e saggezza (phrónesis), tra la disposizione a conoscere e quella ad agire bene. Platone aveva identificato queste due virtù, sostenendo che chi conosce la vera realtà delle cose, necessariamente agisce bene: i filosofi, in qualità di sapienti, erano i candidati ideali per governare lo Stato in modo saggio.

Per Aristotele, al contrario, tali virtù sono distinte: le essenze, immanenti alle cose, sono oggettive e costituiscono l'oggetto delle scienze teoretiche, legate alla sapienza, mentre i valori derivano dall'uomo e sono argomento delle scienze pratiche, legate alla saggezza.

Le prime sono necessarie, mentre le seconde sono solo possibili, sapienza e saggezza sono quindi indipendenti l'una dall'altra, ed è possibile possedere una delle due virtù senza l'altra: per tale motivo Aristotele non ritiene essere il filosofo, in quanto dotato di sapienza, necessariamente un buon politico, che deve essere dotato di saggezza, ma l'esercizio della politica richiede una preparazione specifica e adeguata.

Poiché obiettivo delle virtù dianoetiche è l'attività di studio e di ricerca, cioè la vita contemplativa, essa è allora la massima realizzazione possibile per l'uomo e il vertice della sua felicità.

Quindi, in conseguenza del fatto che il pensiero è l'attività peculiare di Dio, la vita contemplativa avvicina l'uomo a Dio.

L'esaltazione da parte di Aristotele della vita contemplativa non significa isolare il filosofo dal contesto sociale in cui egli vive, ma anzi compito del filosofo è quello di esercitare un ruolo attivo nella convivenza  sociale, realizzando nel comportamento le virtù etiche, pur non essendo un politico. Ma Aristotele è fermamente convinto che solo la vita contemplativa possa garantire all'uomo la felicità: tale felicità è accessibile a tutti, ma richiede una formazione filosofica che non tutti gli uomini possono raggiungere.

È conseguenza della stessa natura razionale dell'uomo, della sua entelechia, realizzare tale obiettivo allo scopo di elevarsi sugli animali e di costruire, mediante il pensiero e l'azione, una società maggiormente equilibrata e razionale.