mercoledì 15 novembre 2023

I Sofisti 3 - I Sofisti minori e il dibattito sulle leggi.

  Classi 3°A/B/C  Linguistico.

I Sofisti minori e il dibattito sulle leggi.

Secondo Protagora le leggi erano convenzionali, frutto dell'accordo tra gli uomini, ma necessarie perché senza di esse non ci sarebbe alcuna civiltà e l'umanità ritornerebbe allo stato di barbarie: ma proprio perché frutto di convenzione, l'uomo è in grado di modificarle allo scopo di dotare la comunità di regole di convivenza adeguate.
Questa tesi viene ripresa da Prodico di Ceo che sostiene che il passaggio dallo stato di pura animalità selvaggia alla civiltà sia dato non solo dalle leggi, ma anche dal lavoro umano inteso come fatica e intelligenza.
L'idea di Protagora tuttavia non viene condivisa dai Sofisti successivi che sviluppano il proprio pensiero tra la seconda metà del V° sec. e gli inizi del IV°: le leggi umane infatti vengono considerate da quest'ultimi come il tentativo perpetrato da ristretti gruppi di potere di manipolare il consenso delle assemblee, come espressioni di interessi di parte, o come addirittura norme del tutto arbitrarie contrastanti le naturali esigenze degli uomini.
Ciò che viene meno quindi non è soltanto il rapporto tra linguaggio e verità, ma anche il rapporto tra leggi umane e natura.
La convinzione che aveva sostenuto i filosofi precedenti circa il fatto che esistesse una stessa legge in grado di porre ordine sia nel mondo naturale, che in quello umano, si sgretola definitivamente: la legge umana viene infatti vista come qualcosa di artificiale e di arbitrario, in netto contrasto con la natura. 
Antifonte e Ippia affermano infatti che, nello stato di natura, gli uomini sono tutti uguali, ma che tale uguaglianza viene cancellata dalle leggi che impongono delle distinzioni tra uomini di pólis diverse, tra «greci» e «barbari».
Tali distinzioni secondo Antifonte ed Ippia sono totalmente arbitrarie e il saggio deve liberarsi da questi falsi condizionamenti e sentirsi cittadini del mondo, appartenente alla comunità umana che non può essere circoscritta all'ambito di una città o di un popolo.
Tale visione, avanzata dalla nuova generazione di Sofisti, prende il nome di cosmopolitismo (alla lettera cittadino dell'universo).
Se tutte le distinzioni sono annullate, rimane però il problema della distinzione tra uomini liberi e schiavi, problema molto sentito nell'antichità. A tale quesito rispondono i sofisti Licofrone e Alcidamante che, estremizzando le idee di Antifonte e Ippia, colpiscono la struttura sociale della democratica Atene: gli uomini sono tutti uguali in quanto condividono gli stessi bisogni, ma ciò non vuol dire che abbiano gli stessi diritti. Si tratta quindi di un'uguaglianza biologica e non politica.
Antifonte sopratutto, di tendenze antidemocratiche, specifica che, secondo lui, il problema del l'uguaglianza tra gli uomini si colloca all'interno del conflitto tra nómos (termine che indica la legge umana, ma anche i costumi e le tradizioni), e physis, cioè la natura. Natura e legge procedono su piani paralleli. Inoltre per Antifonte la legge umana non possiede la stessa autorità della natura: infatti la violazione della legge umana, se non riscontrata da nessuno, non dà adito a conseguenze per l'individuo, mentre chi viola la legge di natura danneggia sempre sé stesso in quanto reprime i propri bisogni naturali.
Il conflitto tra nómos e physis non agisce in modo negativo rispetto all'utilità comune: secondo Antifonte infatti è la stessa natura che spinge l'uomo alla concordia universale, all'amore verso gli altri uomini.
Secondo Ippia la legge può essere percepita come opprimente dagli uomini, ma può anche essere fondata sulla legge naturale: le leggi naturali infatti uniscono gli uomini in una fratellanza universale e non presentano l'instabilità e la precarietà delle leggi umane.
 

La legge come utile per il più forte e l'umanizzazione della religione: Callicle e Trasimaco.

Se con Antifonte e Ippia il rapporto tra legge umana e natura si spezza, emergono però delle tesi ancora più radicali e spregiudicate.
Trasimaco, ostile alla democrazia e difensore dell'idea di un ritorno alla tradizione, sostiene che, per natura, ogni individuo tende a prevaricare sugli altri e che il più forte ha il diritto di sopraffare i più deboli: per questo motivo considera la giustizia delle leggi niente più che una maschera che nasconde l'utile del più forte, gli interessi dei ceti sociali al potere.
Anche Callicle è dello stesso avviso: egli sostiene infatti che le leggi non siano altro che lo strumento di difesa inventato dai deboli, che costituiscono la maggioranza degli uomini, per porre dei vincoli ai forti, che costituiscono la minoranza e che sono tali per natura.
Si verifica quindi un capovolgimento della concezione di Antifonte e Ippia: la legge non crea una disuguaglianza artificiale che contrasta con l'uguaglianza naturale degli uomini, ma al contrario impone un'uguaglianza che è innaturale e che contrasta con la naturale disuguaglianza. Secondo Callicle e Trasimaco quindi la pretesa che gli uomini siano tutti uguali è totalmente ingiusta e va contro la natura stessa, è quindi del tutto arbitrario usare le leggi per livellare e unificare gli individui in quanto è la stessa natura a differenziarli.
Posizioni altrettanto interessanti questa nuova generazioni di Sofisti le sviluppano in merito alla religione. Crizia afferma che la religione è un'invenzione di coloro che stanno al potere per poter meglio soggiogare e controllare i sudditi che, mediante l'uso della paura come strumento, sono condizionati ad agire in un certo modo anche quando nessuno li vede: gli dei diventano testimoni inesorabili, invisibili e onnipresenti, delle colpe commesse dagli uomini.
Secondo Prodico di Ceo, invece, gli dei non sarebbero altro che la divinizzazione di oggetti utili all'uomo come il sole, l'acqua, ecc. e degli uomini che sono stati artefici di tali scoperte.