mercoledì 15 novembre 2023

Platone 7 - Le dottrine non scritte, la cosmologia e l’Accademia.

 Classi 3° A/B/C Linguistico 

 La cosmologia.

La concezione dell'universo di Platone é esposta in uno dei dialoghi della vecchiaia, il Timeo. Il protagonista del dialogo, che dà il nome al dialogo, appartiene alla scuola pitagorica ed é esperto in astronomia. Timeo, invitato a esporre l'origine e la natura dell'universo, inizia il discorso distinguendo tra l'essere e il divenire, affermando che un discorso sul divenire, cioè sulle cose visibili, non può pretendere di arrivare alla verità, che si raggiunge solo a proposito dell'essere, cioè delle idee, ma può essere soltanto verosimile.
Platone racconta con un mito l'origine dell'universo: l'universo sarebbe forgiato da una divinità, chiamata demiurgo, che plasma la materia eterna secondo il mondo delle idee.
Il termine demiurgo viene dal greco demiourgós, che significa letteralmente "pubblico artefice" o "lavoratore pubblico" (da dèmos, popolo, e érgon, opera). Nel Timeo, il demiurgo é l'architetto dell'universo, colui che plasma la materia eterna e informe. In questo modo avvicina i due mondi, vivificando la materia, nella quale infonde un'anima formata con la sostanza delle idee. Nella tradizione greca non esiste il concetto di creazione, in quanto dal nulla non può derivare il nulla, e quindi la formazione del cosmo (dal greco kósmos che significa ordine), é vista come una costruzione che parte da realtà preesistenti. Il demiurgo é per Platone una divinità e la sua opera é quindi intenzionale e orientata al bene. Per questo motivo Platone afferma che il mondo é costruito in vista della realizzazione di fini e quindi é spiegabile in senso teleologico.

La struttura matematica dell'universo.

La struttura matematica che Platone attribuisce all'universo comprende alcune caratteristiche particolarmente importanti per l'influenza che avranno sulle filosofie successive:

- il fatto che l'universo abbia una struttura matematica e che sia simile a un organismo vivente, in quanto possiede un'anima che lo governa e che ne guida lo sviluppo.

Secondo Platone l'universo é unico, di forma sferica, considerata da lui la forma perfetta, e animato da un moto circolare su sé stesso. La materia primordiale (chóra), usata dal demiurgo per forgiare il mondo, é eterna e priva di forma, in quanto deve contenere qualsiasi forma. La materia primordiale, per Platone, non possiede neppure una struttura, non é suddivisa quindi secondo i quattro elementi, riconosciuti come fondamentali dalla tradizione greca, cioè acqua, aria, terra e fuoco. Il demiurgo dà alla materia primordiale la forma dei quattro elementi, modellandoli secondo i principali solidi regolari: é per tale motivo che la costituzione dell'universo é matematica.
L'unità elementare è rappresentata dai triangoli, che si compongono secondo la necessità geometrica, che viene analizzata in modo approfondito nel dialogo, il Timeo appunto, e che generano a loro volta i solidi regolari che costituiscono le forme di base dei quattro elementi:

il tetraedro regolare che costituisce il fuoco;

l'ottaedro che forma l'aria;

l'icosaedro  che costituisce l'acqua;

- l'esaedro regolare, cioè il cubo, che rappresenta la forma elementare della terra.

Platone effettua tutte queste associazioni sulla analogia presente tra i solidi e le proprietà dei rispettivi elementi: la terra risulta essere rappresentata con il solido più stabile, il fuoco con il solido più mobile, ecc.
Platone afferma poi che, dalla composizione degli elementi semplici, nascono tutti gli altri corpi che partecipano delle qualità dell'uno o dell'altro, secondo le diverse proporzioni degli elementi che li costituiscono.

Razionalità e finalismo della natura.

Il demiurgo forgia poi l'anima del mondo come principio intelligente e come guida. Platone sostiene che l'anima del mondo é costituita della stessa sostanza delle idee che, pur restando trascendenti, vivificano anche il mondo dall'interno, conferendo intelligenza alla materia e trasformandola in natura. Durante il periodo rinascimentale, in cui si avrà una ripresa del pensiero platonico, questo aspetto risulterà essere molto importante, in quanto la natura non verrà considerata come semplice materia, ma come materia animata e guidata da un principio razionale immanente, cioè interno, alla natura stessa.
L'universo, come lo immagina Platone, è teleologico, cioè finalistico: il demiurgo lo costruisce, infatti, in vista del bene, organizzando tutte le sue parti secondo tale scopo. Anche la stessa anatomia umana viene da Platone analizzata allo stesso modo: Platone individua, infatti, la parte più nobile dell'uomo nel cervello, che é la sede dell'anima razionale, e che proprio per tale motivo é protetto dalla scatola cranica; il capo ha forma sferica e costituisce un'imitazione della forma dell'universo, mentre il resto del corpo é stato costruito allo scopo di permettere alla testa di girarsi e di spostarsi senza per questo cadere per terra.
Tale descrizione platonica prosegue poi ad analizzare in modo minuzioso i sensi e gli altri organi del corpo umano, le cui caratteristiche vengono spiegate in relazione allo scopo per cui il demiurgo le ha costruite. Per quanto riguarda l'anima del mondo, Platone la definisce come razionalità immanente che ha il compito di guidare il divenire naturale verso lo scopo che gli é proprio e cioè verso la realizzazione del bene. Platone vede, però, l'universo regolato anche da cause meccaniche e dalla necessità che derivano sia dalla struttura matematica dell'universo, sia di quelle della materia di cui é fatto.
La doppia natura dell'universo é ricondotta da Platone a due principi costitutivi: l'anima e la materia. L'anima rappresenta il principio intelligente e finalizzato al raggiungimento del bene, mentre la materia viene definita come cieca necessità: Platone dirà che l'universo é costituito dalla necessità della materia, sconfitta però dall'intelligenza rivolta al bene. Questo dualismo, che Platone ripropone anche nella natura umana, nel dualismo tra anima e corpo, eserciterà una notevole influenza nei pensatori successivi che, di volta in volta, tenderanno ad attribuire maggiore importanza all'anima o alla materia.

L'Accademia di Platone.

Platone fonda la sua scuola al ritorno dal primo viaggio a Siracusa, quindi intorno al 387 a.C. Essa prese il nome da un vicino giardino pubblico, dedicato all'eroe Accademo. L'Accademia era organizzata come una comunità, sul modello di quelle pitagoriche, ma al suo interno mancava completamente della organizzazione gerarchica che era invece presente nelle comunità pitagoriche, anche perché ci sono molti riferimenti nelle opere di Platone che indicano nel dialogare (dialéghesthai), e quindi nella ricerca comune, il metodo del filosofare. Probabilmente all'interno dell'Accademia c'erano dei gruppi di ricerca su problemi specifici, in particolare matematici, e nello stesso tempo doveva avere un ruolo centrale la riflessione politica sulla forma ideale di Stato e sui possibili interventi sull'Atene dell'epoca: l'Accademia, con molta probabilità, secondo l'intenzione platonica, rappresentava lo strumento per saldare tra loro la pratica della vita in comune e il confronto dialettico, allo scopo così di unire filosofia, scienza e politica. Tale obiettivo di Platone trova conferma nella Repubblica dove il divieto di separare la vita filosofica e quella politica viene affermato da Platone in modo esplicito.
L'Accademia fu quindi una scuola di comunità e di ricerca, piuttosto che di insegnamento vero e proprio, come succederà invece nel Liceo di Aristotele. Inoltre rappresenta l'istituzione filosofica più longeva dell'antichità: essa, infatti, venne chiusa soltanto nel 529 a. C. per opera dell'imperatore Giustiniano che non tollerava l'esistenza di una comunità che non fosse cristiana.
La lunga attività dell'Accademia viene tradizionalmente suddivisa in tre momenti:

- l'Accademia antica, fedele al programma platonico, che ne continuò le ricerche soprattutto in ambito matematico;

- l'Accademia di mezzo che accentuò la svalutazione platonica dell'esperienza sensibile, fino a sfociare in una forma di scetticismo esplicito;

- l'Accademia nuova che sviluppò una forma di eclettismo, nel tentativo di conciliare il platonismo con la filosofia di Aristotele e con lo Stoicismo, attribuendo maggiore importanza all'aspetto etico.

Le dottrine non scritte e il mito di Theuth.

Nella Lettera VII, l'unica sicuramente autentica di Platone, il filosofo stesso afferma, parlando dei principi primi, che non ci sarebbe mai stato nulla di scritto da lui su questi argomenti.
Il motivo di tale diniego lo spiega Platone stesso: egli afferma, infatti, che vi sono delle dottrine che non possono essere imparate mediante la loro lettura, in quanto nascono dall'anima, dopo una lunga condivisione di vita in comune e dopo molte discussioni fatte insieme. Se il suo maestro Socrate aveva affidato il suo insegnamento al solo discorso orale, Platone critica apertamente l’uso della scrittura sia nel Fedro, che nella VII Lettera, accusando la scrittura di non favorire l’apprendimento della filosofia e della verità e, nonostante ciò, scrivendo tantissime opere. Alcuni interpreti del suo pensiero hanno tentato di risolvere tale mistero, considerando i dialoghi quali opere essoteriche, cioè destinate al pubblico esterno alla scuola, mentre il pensiero autentico del filosofo sarebbe stato affidato all’insegnamento orale, cioè alle lezioni svolte all’interno dell’Accademia, ma non riportate dai dialoghi, e queste ultime costituirebbero le famose “dottrine non scritte” (“agrapha dogmata”) o opere esoteriche. Nell’ultima parte del Fedro, Platone critica la scrittura e racconta un mito che chiarisce sia la sua posizione nei confronti dei propri scritti, sia quale sapere ritenga necessario al filosofo. Il mito in questione è quello di Theuth, il dio egizio inventore della matematica, della geometria e dell’alfabeto, che viene simboleggiato dall’uccello ibis, che è simile alla cicogna.
Platone, per bocca di Socrate, racconta che il dio Theuth si recò presso il faraone Thamus offrendogli le proprie invenzioni e lodando soprattutto la scrittura: il dio sostiene che questa scienza renderà più sapienti gli egiziani e che aumenterà la loro memoria, visto che lo scritto è perenne e può essere letto in continuazione. La risposta del re Thamus è molto saggia e rispecchia la posizione in merito di Socrate: gli risponde che con lo scritto non sarà più esercitata la capacità di ricordare le cose e che le cose saranno rievocate non più dall’interno, come avviene nel dialogo orale, ma dall’esterno, tramite dei segni artificiali come quelli sulla carta o sulla pietra. Platone afferma che, attraverso la scrittura, il maestro non potrà più comunicare la vera sapienza ai propri studenti, i quali, potendo ottenere delle conoscenze senza l’insegnamento orale del maestro, avranno la presunzione di essere sapientissimi, mentre in realtà non sapranno nulla, poiché l’unico vero modo di apprendere è soltanto l’insegnamento orale. Tutto ciò, secondo Socrate, porterà a considerare una sofferenza il discutere con simili studenti che saranno pieni di opinioni, piuttosto che di verità.
Fedro, uno dei personaggi del dialogo, si dichiara d’accordo con quanto detto dal re Thamus e Socrate, riprendendo la parola, fa una distinzione sistematica tra lo scritto e il discorso orale, elencando una serie di  caratteristiche negative della scrittura: egli afferma come sia da ingenui ritenere che dalla parola scritta si possa imparare qualcosa di preciso e di permanente, al massimo ci si può attendere che la scrittura possa rinfrescare la memoria, ma si rimarrà sempre a un livello superficiale di conoscenza, mentre il discorso orale, invece, è come un seme gettato nell’anima, al quale il filosofo affida il proprio sapere e che, a suo tempo, porterà il suo frutto; inoltre la scrittura ha sempre bisogno di un padre che le venga in aiuto, in quanto da sola non può né aiutarsi, né difendersi: Socrate la paragona ai “giardini di Adone” cioè a quei vasi che i greci preparavano in occasione della festa di Adone, mettendoci dentro dei semi che, con il caldo estivo e in un ambiente artificiale, crescevano in otto giorni per poi subito morire. Socrate paragona poi la scrittura alla pittura, in quanto le parole scritte sono come le immagini dipinte che, a prima vista, sembrano vive, ma che poi, quando le interroghiamo, rimangono silenziose. Platone sottolinea l’importanza dell’interrogare e del chiedere, operazioni possibili soltanto nella dialettica orale, e che costituiscono momenti fondamentali sia per la comprensione, che per la comunicazione, attraverso cui è possibile superare i fraintendimenti a cui sono soggette le parole scritte.
Al termine di questa analisi, è più semplice comprendere la struttura dei dialoghi platonici: sono composizioni in cui Platone non dice tutto, si parla delle “cose di maggior valore” solo per cenni o anche, dove è necessario, si preferisce il silenzio. L’esposizione dei principi supremi è riservata da Platone al solo discorso orale, che rende possibile il chiedere e l’interrogare, quindi la comprensione. La posizione platonica nei riguardi dei propri scritti è quindi di prudenza e di precauzione, conseguenze che Platone ritiene necessarie e doverose per far fronte alle carenze strutturali della stessa scrittura.
Una parte importante della filosofia platonica, dunque, veniva insegnata solo oralmente all'interno dell'Accademia e non veniva divulgata all’esterno né in forma orale, né tanto meno scritta.
Dell'esistenza di tali dottrine non scritte sono giunte fino a noi numerose testimonianze, anche se spesso in modo non organico, fatte di riferimenti, più che di trattazione.
In esse l'essenza del bene, a cui Platone fa riferimento nella Repubblica, riservandosi di definirla in un momento successivo, viene identificata con l'Uno, inteso come misura di tutte le cose, a cui Platone contrappone la Diade, definito quale principio negativo e origine del male.
Tale Uno non é il numero uno matematico, ma ha un significato metafisico, cioè il principio da cui deriva ogni forma di unità, a tutti i livelli.
Allo stesso modo, la Diade, o Dualità indeterminata, non é il numero matematico due, ma costituisce il principio e la radice della molteplicità dei vari enti.
Quindi ci sarebbe così un altro principio, superiore alle idee, che avrebbe la funzione di unire e di essere la causa delle stesse idee e dell'ordine dell'universo: da questo principio unificatore, mediante la Diade, avrebbero origine sia i numeri, sia la molteplicità degli esseri, via via che ci si allontana dall'Uno. Queste dottrine si saldano con gli scritti precedenti e risolvono alcuni problemi lasciati aperti dalla teoria delle idee come, ad esempio, la necessità di ricercare un principio unificatore che sia in grado di spiegare la molteplicità del reale. Nella teoria delle idee, Platone aveva tentato di risolvere il problema riconducendo a un’unica idea tutta la classe di oggetti simili (l’idea di cavallo, unifica tutti i cavalli che sono esistiti, che esistono oggi e che esisteranno domani), ma anche le idee erano molteplici. Nella Repubblica, Platone aveva identificato questo principio unificatore con l’idea del bene, paragonandola al sole che illumina e rende visibili tutte le cose, così come l’idea del bene dona un senso a tutte le altre idee, indicando loro lo scopo. Nelle dottrine non scritte il principio unificatore è costituito dall’Uno.
Se per Platone l’esigenza di unità viene così risolta, rimane però ancora aperto il problema dell’origine della molteplicità che deve poter derivare dall’Uno. Per spiegare l’esistenza della molteplicità, Platone introduce tra i principi supremi la Diade, che è il principio della molteplicità degli esseri, e che, insieme all’Uno, caratterizza in modo bipolare la realtà che è animata da questi due principi opposti, ma complementari: in questo modo l’unità e la molteplicità costituiscono una stessa realtà. Saranno questi ultimi sviluppi del pensiero platonico che costituiranno i fondamenti della ripresa del pensiero di Platone durante il Rinascimento nel neoplatonismo.