mercoledì 15 novembre 2023

Aristotele 7 - Fisica, cosmologia, anima e conoscenza.

 Classi 3°A/B/C Linguistico.

Aristotele: Fisica o scienza dell'essere in movimento.


Aristotele attribuisce molta importanza alla Fisica e allo studio del mondo naturale (da physis = natura), tanto da definirla come filosofia seconda, ponendola dopo la filosofia prima, cioè la Metafisica.

Il suo forte interesse sull'argomento è dimostrato dalla mole numerosa di opere dedicate a tale argomento, cioè alle ricerche naturali, e si discosta da Platone in modo netto: per Platone, infatti, il mondo reale non era degno di conoscenza attendibile, mentre per Aristotele lo studio della natura è scientifico in quanto l'essenza è immanente alle cose e non trascendente da esse.

La Fisica studia l'essere in movimento, individuandone leggi generali e cause.

Le cause ultime dell'esistente e del movimento vengono trattate anche nella Metafisica che, in quanto scienza dell'essere, definisce i principi generali di tutte le scienze.

Le cause che costituiscono il punto di partenza dell'indagine sulla natura sono quattro:

- la causa materiale, che riguarda la materia di cui è fatto un ente (in una casa la causa materiale è rappresentata dai mattoni, dal cemento, dalle pietre, ecc.);

- la causa formale, in grado di conferire ordine alla materia secondo un modello determinato (nel nostro esempio della casa, la causa formale è rappresentata dal progetto della casa che guida la disposizione dei materiali);

- la causa efficiente, quella da cui ha inizio il movimento (nel nostro es. i muratori, i falegnami, i carpentieri, ecc.);

- la causa finale, cioè il fine per cui una cosa viene fatta o modificata (nel nostro es. l'intento o scopo con cui viene costruita la casa);

Aristotele distingue poi tra esseri naturali ed esseri artificiali:

- gli esseri naturali sono quelli che possiedono il principio del movimento in sé stessi e quindi le quattro cause sono immanenti agli esseri (un cane per es. o una ghianda che assimila e trasforma la materia, è causa efficiente di sé stessa, ha in sé la forma che la guida e si realizza, divenendo una quercia, quindi tutte le cause sono immanenti al suo interno);

- gli esseri artificiali sono invece quelli che non possiedono il principio del movimento in sé stessi, ma al loro esterno (una palla o la nostra casa dell'es. che subiscono in modo passivo l'azione di terzi);

Tra tutte le cause la più importante è per Aristotele quella finale in quanto nulla in natura avviene per caso: tutto in natura è finalizzato in senso teleologico (da télos= fine e logos= discorso), il finalismo per Aristotele è essenziale per poter comprendere e conoscere la natura in modo scientifico.

Egli, ipotizzando un evoluzionismo ante litteram, cioè che la natura possa funzionare a caso, ottenendo in modo fortuito gli adattamenti necessari alla vita, dimostra che in realtà il mondo fisico non funziona in questo modo: tutto in natura avviene per un fine, dalle radici che si sviluppano verso il basso per trarre il nutrimento dalla terra, alle piante che fioriscono per proteggere i loro frutti, agli animali che sviluppano comportamenti finalizzati alla sopravvivenza.

Ricorrendo alle cause finali nello spiegare i fenomeni fisici, Aristotele si allontana così dalla concezione della scienza moderna, proponendo una spiegazione che dominerà, incontrastata, sino alla Rivoluzione Scientifica del '600.

Aristotele, definendo la fisica come studio dell'essere in movimento, includendo in esso il divenire, ne distingue diverse tipologie:

- il movimento sostanziale, inerente i cambiamenti della sostanza, cioè il nascere e il morire;

- il movimento quantitativo, inerente i processi di crescita e diminuzione;

- il movimento qualitativo, che comprende i cambiamenti di qualità (da giovane a vecchio, da sano a malato);

- il movimento locale, che è l'unico movimento che corrisponde al significato attuale, cioè di spostamento di un corpo nello spazio.

Tutti i vari tipi di movimento sono però riconducibili al moto locale che, per Aristotele, è il più importante ed è il fondamento di tutti gli altri.


La cosmologia.


Aristotele individua quale principio della Fisica la teoria dei luoghi naturali che utilizza per spiegare la struttura dell'universo: ognuno dei quattro elementi naturali, (acqua, aria, terra e fuoco), ha un luogo che gli è stato assegnato per natura e che tende a raggiungere quando non è impedito da cause esterne: il luogo naturale della terra è il basso, quello dell'acqua è sopra la terra, quello dell'aria sopra l'acqua, mentre quello del fuoco è collocato sopra l'aria.

La giustificazione che Aristotele offre di questa teoria è basata sulla semplice osservazione empirica: un sasso immerso nell'acqua va a fondo, mentre l'aria, contenuta in un palloncino, una volta liberata nell'acqua, ne emerge sotto forma di bolle d'aria, il fuoco sale verso l'alto quando è nell'aria, infine terra e acqua cadono verso il basso.

Un'altra ipotesi di Aristotele riguarda la forma sferica dell'universo che non solo è la figura perfetta, ma che è anche suffragata dall'esperienza: egli sostiene che, guardando il cielo di notte, noi vediamo i corpi celesti muoversi in modo circolare.

Unendo la teoria dei luoghi naturali e quella della sfericità del cosmo, ne risulta l'ipotesi del geocentrismo: la terra, in quanto elemento più pesante, ha il suo luogo naturale più in basso e coincide con il centro della sfera, l'acqua tenderà a disporsi intorno alla terra e così via. Se la terra e l'acqua sono presenti sul nostro pianeta, e se si collocano al centro dell'universo, allora la terra si troverà al centro dell'universo.

I quattro elementi naturali si trovano nel nostro mondo che rappresenta un luogo naturale, ma se nel resto dell'universo ci fossero parti di tali elementi, per Aristotele, tenderebbero a raggiungere anch'essi il loro luogo naturale, ciò significa che il resto dell'universo non è costituito da tali elementi, ma da un quinto elemento che Aristotele chiama etere. Dei quattro tipi di movimento individuati da Aristotele, i movimenti sostanziale, quantitativo e qualitativo dipendono dalle diverse  possibilità di combinazione degli elementi che compongono ogni ente. Dove, invece, è presente solo l'etere, è possibile solo il moto locale, non vi è alcun cambiamento o divenire, né nascita o morte, in quanto non esistono enti che possano vivere nell'etere.

In conseguenza di tutto questo, Aristotele differenzia due mondi: quello terrestre o sub-lunare e quello celeste. Mentre il mondo celeste è eterno e immutabilequello terrestre è soggetto al cambiamento e al divenire, e quindi alla generazione e corruzione degli enti.

Aristotele, sostenendo che la terra è al centro dell'universo, delinea una cosmologia che, perfezionata dall'astronomo egizio Tolomeo, diviene nota come sistema aristotelico-tolemaico e resterà invariato fino alla rivoluzione astronomica di Copernico e di Galilei.

La terra quindi è al centro dell'universo, circondata dalla sfera della luna; i diversi corpi celesti, non potendo fluttuare nello spazio, devono essere sostenuti da sfere composte da etere: ciascuna delle sfere è racchiusa all'interno di un'altra. La sfera della Luna è racchiusa in Mercurio, questo in Venere, Venere si trova all'interno della sfera del Sole, il Sole si trova dentro Marte, questo in Giove, Giove nella sfera di Saturno. Infine la sfera delle stelle fisse chiude l'universo che, quindi è finito. Allo scopo di poter spiegare il movimento dei corpi celesti Aristotele afferma che il vuoto non esiste, ma che il movimento, richiedendo un motore in atto, non può avvenire tramite l'azione a distanza. Ogni sfera viene mossa da quella che la racchiude e che, a sua volta, viene mossa da quella più esterna. Per poter spiegare l'intero processo è necessario ammettere un motore primo, non mosso da altro, cioè Diomotore immobile. Ciò è possibile perché Dio, in quanto Atto puro, non agisce come causa efficiente, perché altrimenti dovrebbe muoversi lui stesso, ma agisce in quanto causa finale, come forza di attrazione verso tutto l'universo: tutto l'universo tende infatti verso Dio, che è causa immobile di ogni movimento del cosmo.

Anche per quanto riguarda il movimento, il dualismo tra mondo sublunare e mondo celeste divide i due mondi: mentre il moto locale è perfetto e quindi circolare nel mondo celeste, in quello sublunare, invece, esistono due diversi tipi di moto locale: quello naturale e quello violento.

Il moto naturale è quello che spinge ogni corpo verso il proprio luogo naturale, mentre quello violento contrasta questa tendenza. I moti violenti spiegano l'imperfezione del mondo sublunare, dove gli elementi sono mescolati insieme invece di essere disposti in sfere concentriche secondo la teoria dei luoghi naturali.

Non esistendo il vuoto per Aristotele, lo spazio viene definito come limite del corpo: poiché non esiste un luogo senza i corpi che esso contiene, allora non può esistere un luogo che possa esistere esternamente all'universo, visto che l'universo contiene esso stesso tutte le cose.

Anche il tempo è definibile in relazione alle cose: si può parlare di qualcosa che cambia, solo se esiste un prima e un dopo. Il tempo è quindi il numero del movimento secondo il prima e il poi.

Aristotele definisce il tempo come un'entità che deve essere scandita, misurata. In conseguenza di ciò è necessario che ci sia un soggetto che lo scandisca, che congiunga il passato con il presente e con il futuro: il tempo presuppone quindi un'anima, grazie alla quale il prima e il poi possano essere congiunti e misurati. Poiché il prima e il dopo esistono nel movimento e costituiscono il tempo, l'anima è per Aristotele la condizione soggettiva del tempo, ma il divenire ne costituisce la condizione oggettiva.


L'anima e la conoscenza.


Lo studio dell'anima (psychè), permette ad Aristotele di proseguire il discorso intrapreso in ambito metafisico per completarlo in ambito gnoseologico (conoscitivo).

Poiché tutte le sostanze, cioè gli individui, sono il risultato di un sinolo inscindibile di materia e forma, la forma è data dall'anima che, essendo strettamente congiunta al corpo, è mortale e muore con esso.

L'anima si differenzia nei diversi esseri viventi a seconda delle funzioni che svolge: 

l'anima vegetativa, che è propria delle piante, è responsabile della nutrizione e della riproduzione;

l'anima sensitiva, caratteristica degli animali, che è responsabile delle sensazioni e del movimento;

l'anima razionale, caratterizzata dal pensiero, propria dell'uomo.


A differenza di Platone, che individua più anime che coesistono, Aristotele definisce tre funzioni diverse contenute all'interno di un'unica anima: se nell'uomo, oltre alla funzione razionale, sono presenti anche le funzioni vegetativa e sensitiva, negli animali sono presenti le funzioni vegetativa e sensitiva, ma non quella razionale.

La conoscenza per Aristotele inizia sempre dai sensi (niente c'è nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi), e avviene per un duplice passaggio dalla potenza all'atto.

La facoltà sensitiva è potenza di sentire e diviene atto solo quando viene rielaborata una sensazione, ma anche le qualità delle cose sono sensibili, e passano dalla potenza all'atto quando vengono sentite.

La sensazione è data quindi dall'incontro tra un momento soggettivo (la facoltà sensitiva che è diversa nell'uomo e negli animali e da un uomo all'altro), e un dato oggettivo, i sensibili propri degli enti.

Oltre alle qualità sensibili delle cose che sono percepibili dai cinque sensi, Aristotele individua i sensibili comuni, cioè il moto e la grandezza, che non sono sensazioni specifiche di uno solo dei sensi, ma ne coinvolgono diversi. La facoltà in grado di unificare queste informazioni sensoriali raccolte da diversi organi di senso, è il senso comune.

Non si tratta di un senso vero e proprio, separato dagli altri, ma indica la capacità di uno o più sensi d’interagire tra loro e della consapevolezza dell'individuo di poter sentire che accompagna la sensazione.

Ma poiché la sensazione è sempre conoscenza del particolare, cioè delle qualità delle singole cose o dei singoli individui, essa è affiancata dall'immaginazione (phantasía), che produce immagini generiche delle cose, ricavando ad es. dalla visione di molti cavalli reali, l'immagine del cavallo in generale.

Da tale processo ha avvio un processo di astrazione che porterà alla conoscenza del concetto: mentre l'immagine è comune anche agli animali, che sono in grado di riconoscere un nemico se appartenente ad una specie di cui hanno visto esemplari diversi, il concetto, invece, può essere conosciuto solo dall'uomo, in quanto oggetto dell'anima intellettiva.

Se è vero che per Aristotele la conoscenza inizia dai sensi, essa è però incompleta e non scientifica: essa infatti permette di conoscere solo il particolare, cioè i singoli enti e non gli universali, che sono l'oggetto della scienza: solo l'intelletto, infatti, permette di conoscere l'universale, cioè il concetto.

La conoscenza tramite il concetto avviene per astrazione: al concetto corrisponde infatti, sul piano ontologico, la forma, che è dentro ogni ente, ma non è visibile ai sensi.

L'intelletto, dalla conoscenza di individui appartenenti alla stessa specie, astrae la forma comune a tutti che, sul piano conoscitivo, corrisponde al concetto.

Il concetto, a differenza dell'immagine che coglie gli aspetti comuni percepibili esteriormente, coglie invece l'essenza o forma. Mentre l'immagine di un uomo è la rappresentazione di un essere a statura eretta, con due braccia e due gambe, il concetto di uomo permette di conoscerlo in quanto essere razionale, in quanto la razionalità è la sua vera essenza.

Così come per la sensazione, anche per l'intelletto Aristotele individua un duplice processo di potenza e atto.

Poiché le forme sono intelligibili e vengono conosciute dalla mente tramite l'astrazione, l'intelletto giunge alla conoscenza dell'universale presente nelle cose.

Aristotele distingue così un intelletto passivo e un intelletto attivo.

L'intelletto passivo indica la potenzialità, la possibilità di poter conoscere tutti i concetti, mentre l'intelletto attivo indica la conoscenza effettiva dei concetti.

Ogni uomo, nel corso della propria vita, conosce realmente un numero limitato di concetti, ma avrebbe potuto conoscerne di altri, quindi potenzialmente può conoscere tutto, anche se attualmente la sua conoscenza è limitata.

Platone spiegava il rapporto tra conoscibile e conosciuto facendo riferimento alla reminiscenza: ogni uomo, che ha visto un certo numero di idee durante la sua permanenza nel mondo delle idee, può rievocarne una parte, mediante l'educazione e l'esperienza, che costituisce la sua conoscenza effettiva, mentre l'insieme delle idee rappresentano il conoscibile.

Per Aristotele, invece, ogni uomo può potenzialmente apprendere tutto il conoscibile, quindi il suo intelletto contiene potenzialmente tutti i concetti: il passaggio dalla potenza all'atto richiede però un atto presente, quindi i concetti che da conoscibili diventano conosciuti, richiedono la presenza degli stessi concetti in atto.

L'intelletto attivo è quindi costituito dall'insieme di tali concetti. Aristotele non specifica se tale intelletto sia universale o particolare, ma ne afferma l'immortalità, cioè il suo non essere soggetto al divenire. Nella successiva filosofia cristiana l'intelletto attivo verrà identificato con l'anima immortale, ma tale interpretazione è completamente estranea al pensiero aristotelico.