mercoledì 15 novembre 2023

Socrate 4 - Le Scuole Socratiche.

Classi 3° A-B-C Linguistico

Le scuole socratiche.

Dopo la morte di Socrate, il suo appello morale a liberarsi dalla falsa illusione di sapere e a cercare dentro di se la verità, che rende l'uomo davvero libero, viene raccolto da alcuni suoi allievi: nascono così le scuole socratiche che sono accomunate dal riconoscere in Socrate il proprio maestro.

La scuola cinica.

Il nome della scuola deriva dal termine greco kyon, che significa cane. Tale nome, probabilmente, deriva dal fatto che, in origine, la scuola avesse la sede in un ginnasio detto Cinosarge, cioè il cane agile. Antistene (436 ca - 366 ca a. C.), fondatore della scuola cinica, riprende dal maestro Socrate la centralità dell'etica e lo sforzo di rendere la propria vita coerente con le tesi sostenute. Se la virtù è scienza, allora la conoscenza ha valore solo in funzione dell'agire: possiamo conoscere solo ciò che riguarda il comportamento e le realtà sono sempre particolari, individuali e, quindi, soggettive.
Questa convinzione è sorretta, nel pensiero dei cinici, da un rigido nominalismo, cioè da una concezione secondo la quale i nomi che si riferiscono a dei concetti generali (come la bontà, l'essere, la giustizia), non hanno alcuna corrispondenza oggettiva, sono dei semplici suoni.
Per i cinici esistono dunque soltanto gli individui, i singoli enti che sono riscontrabili dall'esperienza. Celebre è diventata la critica di Antistene rivolta a Platone, che affermava l'esistenza di idee non riconducibili all'esperienza sensibile: «Vedo i cavalli, ma non la cavallinità!».
In questa concezione, che esclude la possibilità dell'uomo di poter conoscere nozioni generali, il compito della filosofia è quello di indicare la strada che conduce l'uomo alla virtù e alla felicità, liberandolo da tutto ciò che può ostacolargli il cammino. Secondo Antistene ciò che rende l'uomo completamente libero è il dominio delle passioni, la liberazione dai beni superflui, il rifiuto dei piaceri superflui e la liberazione dalla schiavitù dell'amore. Antistene dirà, infatti, in modo provocatorio, che preferirebbe impazzire, piuttosto che provare piacere. Il bene, quindi, per i cinici è rappresentato dalla virtù: è la virtù infatti che conduce l'uomo all'autarchia, cioè all'autosufficienza, all'indipendenza e alla libertà. La libertà voluta da Antistene taglia i ponti con la pólis, con la tradizione, con i costumi, ma anche con gli stessi ideali democratici: la stessa morte di Socrate viene considerata dai cinici come la prova del fallimento di questi ideali e dei valori che sottostanno alla convivenza civile.
Antistene, pur seguendo la strada tracciata da Socrate, approda a conclusioni diverse: Socrate non aveva disprezzato i piaceri, né rinnegato i valori tradizionali democratici, ma ha indicato la via sia ad un uso razionale dei piaceri, sia a separare le leggi dall'uso strumentale che ne avevano fatto i suoi oppositori; Antistene invece orienta l'uomo verso una vita ascetica, a una libertà anarchica, dal carattere individualista e privato, in un certo senso persino antisociale.
Il più illustre seguace di Antistene è Diogene di Sinope (413-323 a. C.), che esaspera il pensiero di Antistene, giungendo a disprezzare in modo veemente i beni esteriori, giungendo al paradosso di usare una  botte come casa, ma anche le convenzioni sociali: frequenti sono gli aneddoti che sono stati tramandati su di lui dai suoi contemporanei. Il suo atteggiamento sprezzante e derisorio verso le convenzioni date dal vivere comune, la propria sfrontatezza, rivelano la sua forte e profonda avversione per tutto ciò che l'uomo ha nel tempo costruito, per tutto ciò che è artificiale, tutto questo in nome di una libertà totale e sfrenata, di una libertà che spesso confina con l'anarchia, cioè nella totale assenza di qualsiasi regola. L'intento di Diogene è quello di sottolineare la solitudine e l'individualità dell'uomo e della propria natura. La tradizione vuole che girasse per le strade, con una lanterna in mano, alla ricerca di un uomo: un uomo che, libero da ogni forma di schiavitù morale, si distingue per il proprio controllo e per la propria razionalità.

La scuola cirenaica.

Un altro allievo di Socrate è Aristippo (435-366 a. C.), originario di Cirene, una colonia africana. Anche Aristippo, come Antistene, rompe con le convenzioni e con i vincoli sociali, con la pólis, indirizzando l'uomo verso la libertà interiore. A differenza della scuola cinica, però, Aristippo non esalta l'ascetismo, ma il piacere, che sostiene si debba cercare di conseguire in ogni singolo istante della vita umana: Aristippo sostiene infatti che non ha senso tormentarsi per ciò che è accaduto, o preoccuparsi per ciò che avverrà. Aristippo sostiene che la vita deve essere goduta in ogni singolo momento, per ciò che ogni momento ci può donare. Ma anche nel perseguire i piaceri, il filosofo sostiene che è pericoloso inseguire dei piaceri che, alla lunga, possono provocare dolori, che bisogna sempre cercare di conservare intatta la propria libertà, evitando sempre di lasciarsi dominare dalle cose o dagli uomini.
Il bene, secondo Aristippo, è il piacere (da qui il termine edonismo, dal greco hedoné = piacere). Ma il piacere che è al centro del pensiero di Aristippo, non rappresenta una schiavitù da parte dell'uomo ai sensi,  e non tradisce totalmente il messaggio di Socrate. In quanto per Socrate tutto ciò che è bene, è anche felicità e piacere, allora tutto ciò che piace ed attrae, è bene.
Antistene e Aristippo accentuano, in modo diverso, aspetti differenti del pensiero di Socrate, sopratutto sul problema del bene inteso come fine: mentre per Antistene il bene dell'uomo è rappresentato dall'agire in modo virtuoso, per Aristippo il bene è saper godere in ogni istante i piaceri senza però diventarne schiavi.

La scuola megarica.

Un altro discepolo di Socrate è Euclide di Megara che sviluppa la teoria del bene dal punto di vista ontologico, facendo del bene non soltanto l'unica virtù, ma l'unica realtà esistente. Il bene viene così identificato con l'essere di Parmenide: esso è unico, anche se può essere chiamato con diversi nomi per indicarlo. Secondo Euclide che si intenda il bene come saggezza, come Dio o come intelletto, Euclide identifica il bene con l'essere parmenideo, unendo la concezione di Socrate con quella propria della Scuola di Elea. Un'altro aspetto che Euclide riprende dalla scuola eleatica è il ragionamento per assurdo di Zenone, cioè i paradossi, che demolisce le tesi dell'avversario, dimostrandone l'assurdità, allo scopo di comprovare le proprie tesi. Gli esponenti della Scuola Megarica arrivano così a negare sia il molteplice, che il divenire. È proprio in questo contesto che Stilpone, esponente di questa scuola, per dimostrare l'assurdità del molteplice, nega la possibilità di poter attribuire qualsiasi predicato ad un soggetto: dire infatti che Socrate è un uomo, significa per Stilpone affermare, nello stesso tempo, che è uno (Socrate), ma anche molteplice (Socrate e uomo), e ciò rappresenta un assurdo. Le uniche affermazioni possibili per tale scuola sono quelle che si basano sul principio d'identità, quelle tautologiche, che cioè si limitano semplicemente a ribadire il soggetto: come, ad es., l'uomo è uomo; in questo aspetto i megarici sono d'accordo con gli esponenti della scuola cinica.
Sempre in campo logico uno dei successori alla direzione della scuola megarica dopo Euclide, Eubulide di Mileto, costruisce alcuni paradossi prendendo esempio da Zenone. Tra i più famosi paradossi di Eubulide è quello del mentitore: un uomo che dice «io sto mentendo», sta davvero mentendo o sta dicendo la verità? Se sta mentendo sul serio, allora la sua affermazione «io sto mentendo» è falsa e, invece, sta dicendo la verità, mentre se sta dicendo il vero, allora è vero che sta mentendo, di conseguenza non dice la verità: in entrambi i casi l'affermazione conclusiva rappresenta una contraddizione e ciò dimostra come non si possa attribuire nessun valore di predicato a nessuna realtà di pensiero o a nessun oggetto.