Classi 3° A/B/C Linguistico
La revisione della teoria delle idee e della conoscenza.
Platone, nell'ultima fase della tarda maturità, presenta una revisione critica della sua filosofia, a partire dalla teoria della conoscenza, che segna una svolta importante del suo pensiero filosofico in cui, oltre a rimanere immutati molti aspetti essenziali del suo sistema filosofico, compaiono però anche elementi nuovi e fortemente innovativi rispetto al pensiero precedente: se, ad esempio, rimane invariata la concezione che le idee risultino essere trascendenti alle cose e che ne costituiscano la loro vera essenza, così come sul piano morale le idee valori si relazionano con la realtà ancora attraverso un rapporto di metessi o partecipazione, viene invece superato il rapporto di mimesi, cioè d'identificazione tra le cose e le idee e ciò porta Platone a delineare una teoria della conoscenza fortemente sbilanciata verso la metessi.
Il rapporto tra le idee e le cose era, in precedenza, di due diversi tipi: da un lato le cose imitano le idee e questo permette l'esistenza stessa della realtà, per quanto in modo imperfetto come copia delle idee, dall'altro le cose possiedono diverse qualità in quanto partecipano di idee diverse. Nel primo caso, la mimesi, possiamo dire che Socrate è un uomo in quanto imita l'idea di uomo, mentre nel secondo caso, la metessi, possiamo dire che Socrate è saggio perché partecipa dell'idea della saggezza: la mimesi quindi ci dà la classe a cui una data cosa appartiene, cioè le essenze dei soggetti, mentre la metessi invece ci descrive i predicati che quella data cosa possiede. Nei dialoghi della vecchiaia, Platone rivede in modo critico tali posizioni iniziali e nel dialogo Teeteto fa esprimere a Parmenide, che definisce maestro venerando e terribile, le proprie perplessità sul fatto che esista un'idea per ciascuna classe di cose e che queste imitino l'idea corrispondente in modo imperfetto. La critica radicale di tale presupposto della teoria delle idee viene esposta dallo stesso Parmenide che incalza Socrate, altro personaggio del dialogo, ovviamente entrambi immaginari, chiedendogli se esistano singole idee corrispondenti a enti matematici o morali (come ad es. l'idea di giusto, di linea, di buono o di molteplice), Socrate risponde affermativamente senza alcuna esitazione. Allora Parmenide passa a esaminare le idee degli esseri concreti (come l'uomo, il fuoco o l'acqua), e qui Socrate comincia a mostrare qualche esitazione circa la loro corrispondenza a una singola idea, per giungere poi alla provocatoria domanda di Parmenide se esistano anche idee singole per cose come il fango e la sporcizia, provocando così la ferma risposta negativa da parte di Socrate. Parmenide allora sottolinea nel dialogo come non sia possibile confermare l'esistenza di singole idee per ogni realtà, se per alcune di esse l'esistenza di tale corrispondenza é incerta, mentre per altre risulta essere inesistente. A questo punto Platone, attraverso il personaggio Parmenide, propone un nuovo argomento che Aristotele poi denominerà argomento del terzo uomo: se le cose sono simili, ma non identiche all'idea corrispondente, allora sarà necessario far riferimento a una terza idea che possa comprendere entrambe le realtà. Questa idea, però, é soltanto simile e non identica alle due idee precedenti, quindi sarà necessario ipotizzare un'altra idea ancora che unifichi quelle precedenti e così all'infinito. L'obiezione più radicale però rispetto a quelle precedenti che Parmenide, o meglio Platone, rivolge a Socrate é inerente la conoscibilità delle idee: noi uomini, infatti, non conosciamo le idee, ma le cose o oggetti che ci circondano.
Affermare che un uomo é padrone di un altro che é lo schiavo, per esempio, non significa far riferimento al fatto che il padrone sia tale del servo in sé, così come il servo non é tale per il padrone in sé: le relazioni tra padrone e servo sono il risultato di un uomo che si relaziona con un altro uomo e non con l'idea di servo o di padrone. Parmenide ne conclude nel dialogo che i rapporti tra le idee sono ben diversi dai rapporti con le cose, e sono appunto quest'ultimo tipo di relazioni che l'uomo é in grado di cogliere e di spiegare, mediante la scienza, non le relazioni tra le idee. Platone esclude quindi che l'uomo sia in grado di conoscere la scienza in sé, l'unica che potrebbe conoscere e capire i rapporti tra le idee, e sostiene che questo settore di conoscenza sia di competenza della divinità e precluso quindi all'uomo.
La teoria dei generi.
Il problema del rapporto tra idee e cose non trova soluzione definitiva nel Parmenide, che chiude il dialogo in modo aporetico, cioè senza offrire alcuna conclusione certa, e viene poi ripreso nel Sofista, altro dialogo importante della maturità, in cui Platone sviluppa la teoria dei generi proprio a tale scopo. All'interno di tale teoria Platone elimina in modo definitivo il rapporto di mimesi o imitazione tra le idee e le cose e sottolinea invece il ruolo centrale svolto in tal senso dalla metessi o partecipazione. Platone sostiene infatti che alcune idee si combinino con le altre come fanno le lettere dell'alfabeto per creare i nomi.
Così sia l'essenza, che la conoscibilità degli enti, (gli esseri che nascono, muoiono e che sono soggetti al divenire), non sono più spiegati mediante l'imitazione di una sola idea, ma come combinazione di più idee che, unite fra loro, permettono sia l'esistenza, che la conoscenza dei singoli enti.
Se nella relazione di imitazione il singolo uomo risultava essere una copia dell'idea di uomo, ora invece l'uomo viene definito mediante l'utilizzo di diverse idee contemporaneamente: animale, mammifero, bipede, et. Questa soluzione adottata da Platone permette di risolvere due diversi ordini di problemi:
- non é più necessario ipotizzare l'esistenza di tante idee quanti enti o cose esistono nella realtà, in quanto un numero limitato di idee é in grado di spiegare una quantità notevole di enti, come avviene anche nell'alfabeto dove poche vocali e consonanti possono formare una quantità infinita di parole;
- non é più necessario, inoltre, dover immaginare che debbano esistere idee specifiche anche per cose vili, come la sporcizia o il fango: ricorrendo a delle idee generali o generi, le si potrà definire ugualmente mediante le idee di dimensione, di forma, et.
Tra le diverse idee ne esistono alcune, secondo Platone, a cui ogni ente deve partecipare: si tratta di idee più generali che Platone chiama generi sommi come le idee di essere, d'identico e di diverso, di moto e di quiete.
Ciò in quanto ogni ente che sia esistente deve anche essere identico a sé stesso e diverso dagli altri, in stato di movimento oppure di quiete.
Il presupposto che porta Platone a considerare la diversità come genere sommo, gli permette anche di confutare la filosofia di Parmenide e degli Eleati: dire, infatti, che una rosa non é un cavallo non significa predicare il non essere dell'essere, come intendeva Parmenide che negava così l'esistenza del molteplice, ma significa affermare che la rosa é diversa dal cavallo.
Allo stesso modo dire che Socrate non é più lo stesso uomo di dieci anni fa, non significa negare l'esistenza di Socrate, che costituiva l'argomento di Parmenide contro l'esistenza del divenire, ma significa affermare che Socrate é semplicemente diverso da come era dieci anni fa.
Queste conclusioni permettono a Platone di dire qualcosa su qualcuno senza però negarne l'essere, aprono cioè alla possibilità della predicazione, permettendo quindi di poter attribuire a un dato soggetto ogni tipo di qualità.
La dialettica.
Il termine dialettica deriva dal verbo dialéghesthai, che significa discutere. La dialektiké é appunto una téchne, in quanto é l'arte del dialogare, del ragionare assieme. Questo significato, che fa riferimento al metodo socratico, é presente in Platone sin dai primi dialoghi della giovinezza. A tale significato si aggiungono due ulteriori precisazioni:
- la prima é contenuta nel Fedro, dove Platone definisce formalmente la dialettica quale metodo d'indagine proprio della sua filosofia, articolato in un momento di sintesi o sinagoghé, momento che dovrebbe consentire di "cogliere con uno sguardo d'insieme le cose disperse in molteplici modi" e in un momento di analisi che dovrebbe consistere nel "saper dividere secondo le idee, in base alle varie articolazioni che hanno in natura";
- la seconda é contenuta nei cosiddetti dialoghi dialettici, come il Sofista e il Politico ad esempio, in cui Platone, con la formulazione della teoria dei generi, chiarisce ulteriormente il procedimento dialettico secondo modalità tecniche, definendo la dialettica come una struttura ad albero, in cui si collocano varie dicotomie, cioè opposizioni, successive per individuare le idee semplici che, unendosi tra loro, formano poi le idee complesse. Da qui Platone definirà la dialettica come "divisione dei generi".
Platone, quindi, dopo aver superato il problema posto da Parmenide, riconducendo le espressioni in forma negativa alla diversità, afferma che il problema sarà quello di stabilire quali cose possano essere dette di altre (posso predicare ad esempio che Socrate é un uomo e un filosofo, ma che non é un persiano o una donna), individuare cioè i predicati che possono essere attribuiti a qualcuno per definirlo. Platone definisce la dialettica come la scienza che si occupa dell'accordo o meno di alcune idee con altre idee: essa infatti permette di scomporre ogni idea complessa in quelle idee che la costituiscono: il termine dialettica viene usato qui da Platone con il significato di divisione.
Nel Sofista, Platone definisce la dialettica come dividere per generi o, in modo più esteso, come "la scienza che ha lo scopo di mostrare, in modo corretto, quali dei generi si accordino, e con quali, e quali reciprocamente si escludono".
Nel Sofista Platone propone un esempio di metodo dialettico per la definizione del pescatore con la lenza: il pescatore possiede un'arte e le arti possono essere produttive, come l'agricoltura e la tessitura, o acquisitive, cioè basate non sul produrre qualcosa, ma nel procurarsi qualcosa. La pesca é un'arte acquisitiva che può avvenire o mediante consenso, cioè scambio volontario di merci, oppure con la forza: la pesca é uno scambio del secondo tipo. Platone sviluppa via via tutte le suddivisioni dicotomiche tra le quali scegliere, via via come si procede, quella più adatta all'oggetto da definire.
Ciascuno dei predicati che compaiono nella parte sottostante della classificazione concorrono alla definizione di pescatore con la lenza, che é quindi un'idea complessa, costruita dall'unione di più idee semplici, che l'analisi dialettica ha il compito di individuare, per giungere ad una definizione e comprensione adeguate: il pescatore con la lenza é quindi colui che pratica un'arte acquisitiva, basata sulla forza occulta, di esseri acquatici, colpendo dal basso verso l'alto. Se invece di questo esempio avessimo voluto definire il pescatore con la fiocina avremmo dovuto seguire gli stessi passaggi sino all'ultimo dove, invece di scegliere l'alternativa dal basso verso l'alto, avremo dovuto scegliere la sua opposta e cioè dall'alto verso il basso.
Le due attività si differenziano infatti per un solo predicato. Se si fosse trattato di un cacciatore di cinghiali, invece, avrebbe condiviso soltanto la prima parte iniziale dell'albero e avrebbe poi seguito l'alternativa animali terrestri con le altre possibili derivazioni.
La politica e l'etica dell'ultimo Platone.
Nel dialogo Parmenide era stata messa in discussione la separazione tra il mondo delle idee e il mondo delle cose e il tentativo di riavvicinare questi due diversi piani della realtà aveva caratterizzato tutti gli ultimi dialoghi della maturità sia nell'ambito etico, nel Filebo, sia in quello politico, nel Politico e nelle Leggi, così come nell'ambito cosmologico, nel Timeo.
In merito all'etica, Platone aveva ricondotto il dualismo netto tra il mondo delle idee e quello della realtà al concetto di purificazione: l'uomo, per poter raggiungere il mondo delle idee, doveva liberarsi della sua componente materiale, cioè il corpo, e di tutto ciò che era legato al corpo, cioè le passioni.
Questa liberazione si realizzava in concreto con la morte del corpo, ma l'uomo poteva purificarsi già durante la vita liberandosi delle proprie passioni, che Platone aveva considerato in modo totalmente negativo, con la sola eccezione dell'amore, per affermare la ragione, corrispondente alla parte più nobile dell'anima.
Nel Filebo, però, il rapporto tra la ragione e le passioni viene ridefinito: dopo una lunga analisi in cui Platone si interroga sul tema del piacere, o hedoné, che costituisce l'oggetto specifico del piacere, egli si chiede se il bene coincide con il piacere o con il pensiero e giunge alla conclusione che la vita perfetta non é quella totalmente contemplativa, né quella totalmente dedita al piacere. Platone afferma che é necessario che l'uomo scelga piaceri buoni e che li unisca alle scienze migliori, in quanto la vita perfetta é quella mista, che sa dosare in modo sapiente sia il pensiero, che il piacere. La ragione, pur rimanendo la facoltà umana più importante, in quanto soltanto la ragione può guidare saggiamente la scelta, non esclude che esistano alcuni piaceri che non sono negativi.
Per quanto riguarda, invece, la politica, Platone affida la sua revisione a tre dialoghi dei quali é possibile stabilire l'esatta successione. Il Politico, infatti, costituisce la prosecuzione del Sofista, si svolge infatti nello stesso giorno, nello stesso luogo e con gli stessi personaggi del Politico, che Platone aveva dedicato alla definizione delle figure, rispettivamente, del sofista, del politico e del filosofo.
Applicando il metodo dialettico, già seguito nel Sofista, Socrate elabora una prima definizione dell'uomo politico, inteso come custode o pastore di persone. Successivamente, però, Platone, per bocca di Socrate, dimostra l'inadeguatezza di tale definizione e giunge alla conclusione che il politico é paragonabile al tessitore, in quanto il suo compito é quello di armonizzare le diverse componenti della società al fine di garantire che tutti cooperino al benessere e al raggiungimento della virtù. Il Crizia, che ha quale oggetto d’indagine la nascita dello stato ateniese, la cui storia si intreccia con le vicende della mitica Atlantide, risulta essere anteriore alle Leggi, che sono l'ultimo dialogo, e si interrompe, secondo alcuni studiosi, proprio perché Platone ritiene di dare all'argomento maggiore spazio a causa della sua importanza, le Leggi appunto.
In quest'ultimo dialogo, Platone descrive la cosiddetta città imperfetta, mentre nella Repubblica aveva in precedenza descritto le caratteristiche della città perfetta.
Secondo Platone, infatti, le leggi rappresentano un compromesso, nella misura in cui si rivolgono a tutti i cittadini allo stesso modo, senza tenere in alcun conto né la diversità degli uomini, né delle circostanze, mentre i filosofi della Repubblica potevano governare tenendo in considerazione le singole situazioni e i singoli individui. In questa fase Platone rinuncia al proprio modello di Stato ideale, che aveva descritto in modo articolato nella Repubblica, e si sofferma sulla funzione delle leggi, dichiarando che esse devono avere una valenza educativa e formativa.
Secondo Platone le leggi, infatti, non rappresentano soltanto delle norme da rispettare e da seguire, ma devono plasmare anche la coscienza dei cittadini: esse, da un lato, rappresentano, infatti, la razionalità della pólis, dall'altro devono guidarli verso la ragione e la virtù. Allo scopo di spiegare questa funzione delle leggi, Platone propone una metafora, immaginando nel I libro delle Leggi, che ogni individuo sia un burattino costruito dagli dei e mosso da molti fili metallici, che agiscono spesso in modo caotico e contraddittorio, tirando verso le passioni o verso la virtù. Tra questi fili, secondo Platone, ve n'é uno speciale, che egli chiama il sacro filo d'oro della ragione, cioè la legge dello Stato, che permetterebbe a ogni uomo di realizzare la virtù. Platone sottolinea così l'esistenza di un legame molto stretto tra lo Stato e le coscienze dei singoli cittadini: le leggi hanno una funzione sopratutto etica nella misura in cui formano la coscienza dei cittadini.
Per ottenere tale scopo, Platone afferma che bisogna ricorrere a due strumenti, tra loro contraddittori: da un lato le leggi devono persuadere i cittadini, prima ancora di comandarli, presentando ognuna di esse un proemio che ne spieghi e che ne motivi la necessità, ricercando così un consenso basato sulla ragione, piuttosto che sulla paura e sulla cieca obbedienza; dall'altro, però, i valori, che sottostanno alle leggi, devono essere inculcati nei bambini sin dai primi anni, ricorrendo alla suggestione, e convincendo i bambini a considerare sacre le leggi, anche mediante dei miti costruiti a tale scopo, in modo che già da bambini le leggi vengano interiorizzate prima ancora che siano in grado di operare delle scelte consapevoli: Platone stesso fa spesso riferimento alle leggi basate sul sentimento dell'amore. Platone sostiene, inoltre, che lo Stato debba combattere l'omosessualità, molto diffusa all'epoca in Grecia e considerata in modo positivo e indulgente in alcune pólis, in particolare ad Atene, come Platone dice nel Simposio, nonché i rapporti sessuali che non sono finalizzati alla procreazione, sottolineando l'importanza della famiglia e della fedeltà coniugale.
Platone é ben consapevole che non é sufficiente imporre questi valori tramite la legge, ma che é necessario attribuire alla famiglia una sorta di sacralità, trasformando i valori familiari in costumi e tradizioni, rendendoli accettati da tutti senza limitazioni. Lo Stato etico assume così, più che nella Repubblica, una intrusivitá che non lascia alcuno spazio alla dimensione individuale e che ha portato i critici a muovere accuse di totalitarismo. Platone sottolinea che le leggi non hanno quindi soltanto una funzione costrittiva, ma anche, e sopratutto, educativa, e per questo anche le pene non devono essere considerate come una vendetta della società nei confronti dei colpevoli, ma piuttosto come uno strumento per educarli all'amore verso la giustizia: soltanto se il colpevole risulta essere incorreggibile, allora Platone ammette la pena di morte.
Partendo da tali presupposti, Platone formula una legislazione minuziosa, per una ipotetica colonia, relativa a ogni diverso tipo di reato: da quelli contro lo Stato, all'omicidio, dai ferimenti, alle violenze e ai maltrattamenti. Egli considera poi i diversi aspetti della vita civile: dalla proprietà ai contratti commerciali, dalle leggi di successione a quelle relative ai rapporti familiari, sino alla frode, al furto e alla rapina.
Platone sottolinea come la condizione fondamentale perché le leggi vengano accettate da tutti i cittadini é l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte a esse per garantire la convivenza pacifica di tutti: Platone sottolinea che neppure i vertici dello Stato devono considerarsi al di sopra della legge o privilegiati rispetto ai semplici cittadini. Per questo motivo Platone prevede un istituto di controllo, superiore a ogni altro potere, compreso quello dei governanti, che chiama Consiglio Notturno in quanto le sue riunioni si tengono prima del sorgere del sole. Le funzioni di tale Consiglio vengono spiegate dallo stesso filosofo che sostiene che, come per l'individuo il fine é la virtù che la sua anima e il suo intelletto devono ricercare, così il Consiglio costituisce la guida dell'organizzazione dello Stato verso un fine, il suo intelletto che, attraverso l'utilizzo delle leggi, guida lo Stato verso la virtù. Nelle Leggi, Platone espone anche una visione religiosa molto articolata che completa quella espressa in precedenza nel Timeo. Platone riprende qui il tema dell'esistenza di un'anima immortale individuale, inserita all'interno di una religione cosmica, affermando anche l'esistenza di un'anima del mondo. Platone, però, aggiunge nelle Leggi nuovi elementi e parla dell'esistenza di una provvidenza divina che controllerebbe sia i piccoli, come i grandi avvenimenti che si verificano nell'universo: Platone afferma che gli dei, essendo buoni e desiderando il bene degli uomini, non possono non interessarsi delle vicende umane, e che per gli atei, che non hanno fede in tale provvidenza, lo Stato deve attribuire pene molto severe, persino la pena capitale.