venerdì 24 novembre 2023

Kant 8 - La Critica del Giudizio.

 Classi 4°A/B/C Linguistico

La Critica del giudizio: il giudizio estetico e il giudizio teleologico.


La terza Critica di Kant é fondamentale sia nel contesto del sistema filosofico di Kant, sia per l'influenza che eserciterà sul Romanticismo e sull'estetica romantica.

Nel sistema filosofico di Kant, la Critica del Giudizio cerca di dare una risposta ai problemi sollevati dalle due Critiche precedenti, operando da anello di congiunzione tra la conoscenza e la morale, pur sfociando in un'analisi del bello più ampia e articolata.

Se la prima Critica, inerente alla conoscenzaaveva fondato la conoscenza del mondo fenomenico nell'attività sintetica dell'intelletto e nell'unione dell'esperienza e dei concetti puri, essa aveva però trovato il proprio limite nel mondo noumenico, che rimaneva all'uomo irraggiungibile dal punto di vista conoscitivostrettamente ancorato al fenomeno e all'esperienza. La Critica della ragion pratica, procedendo in modo totalmente indipendente dalla prima, aveva fondato invece la moralità, indicando nella libertà il suo postulato fondamentale da cui scaturivano l'autonomia e la formalità dell'imperativo categorico. Tuttavia la moralità, in quanto richiede che ogni comportamento concreto dell'uomo si realizzi non sul piano fenomenico della conoscenza, ma su quello noumenico delle essenze, doveva partire dal fatto che il mondo non rappresenti soltanto una rigida necessità espressa in leggi universali e razionali, ma anche una realtà in grado di offrire delle risposte convincenti alle richieste di senso fortemente sentite dall'uomo.

La Critica del giudizio raccoglie quindi tale esigenza umana di trovare un senso al mondo, permettendo che la realtà concreta si accordi alle istanze morali umane.

Kant stesso esprime tale esigenza distinguendo tra giudizio determinante e giudizio riflettente. Il primo é relativo alla conoscenza ed é da Kant definito come “determinante” in quanto costruisce il mondo fenomenico e struttura in esso ogni nostra esperienza. Tale giudizio presenta sia un aspetto particolare, che un aspetto universale: il particolare é rappresentato dai dati percettivi e sensoriali, mentre l'universale dalle forme a priori.

Nel giudizio riflettente, invece, é dato soltanto il particolare, cioè l'oggetto costruito dal giudizio determinante, mentre l'universale deve essere ricercato: se noi guardiamo un fiore, ad esempio, lo conosciamo in modo scientifico mediante il giudizio determinante, ma ci chiediamo anche perché esso sia “bello”, quale sia il suo scopo nell'universo, come possa suscitare in noi certi sentimenti: questo rappresenta l'oggetto del giudizio riflettente.

Kant distingue, all'interno del giudizio riflettente, tra giudizio estetico e giudizio teleologico. Il primo si interroga sul senso della bellezza, il secondo sulla finalità della natura.

Kant sottolinea come in nessun caso i giudizi riflettenti possono produrre conoscenza, come quelli determinanti, in quanto risulta mancante uno degli elementi della sintesi, cioè l'a priori in grado di dare forma ai dati. Ne consegue che tutto ciò che l'uomo può dire dell'estetica e della finalità della natura riguarda la possibilità o una speranzama non una certezza.

La Critica del giudizio, secondo Kant, può dirci cosa possiamo sperare, ma é anche in grado di dimostrare tale speranza in modo razionale, in accordo con la moralità del mondo noumenico, cioè di fondarla razionalmente.


Il giudizio estetico.


Poiché il giudizio riflettente non possiede alcuna validità conoscitiva, esso riguarda la nostra soggettività, esprime cioè ciò che noi sentiamoma non ciò che noi possiamo conoscere.

Anche all'interno di questa Critica, come nelle altre due, Kant opera una “una rivoluzione copernicana”, fondando sia la bellezza, sia la finalità della natura sul soggetto, come già aveva fatto in merito alla conoscenza e alla morale.

In merito in particolare all'esteticaKant opera un rovesciamento rispetto al passato: la bellezza non é più nelle cose e non possono esistere quindi regole o canoni di bellezza che ci permettano di determinare ciò che é bello da ciò che non lo é. Come già in precedenza aveva sottolineato Hume, la bellezza é un sentimento del soggetto e non una qualità dell'oggetto.

Pur essendo soggettivo, il giudizio estetico é comune a tutti gli uomini e Kant opera una distinzione tra il piacevole e il bello: il piacevole é legato alla sensibilità e dipende strettamente dalle caratteristiche individuali e quindi varia da persona a persona; il secondo, invece, é comune a tutti gli uomini. La soggettività, cioè il fatto che il giudizio si riferisca all'individuo e alla sua sensibilità, e l'universalità del bello rappresentano insieme, secondo Kant, una vera “stranezza” del giudizio estetico e costituisce l'antinomia del gusto: da un lato possiamo ritenere che sulla bellezza ci sia un accordo universale, dall'altro però si é consapevoli che “sui gusti non si può giudicare”, come recita un famoso proverbio.

La soluzione che Kant propone per risolvere tale problema é che il sentimento del gusto non deriva dall'esperienza, ma é una struttura a priori e, in quanto tale, é comune a tutti gli uominiKant infatti sostiene che il fondamento dell'universalità sia in noi e non nelle cose, e dunque appartiene al soggetto. Tale soggetto, però, non é il singolo individuo, ma é un soggetto universaletotalmente indipendente dalla storia e dalle diversità culturali. Sarebbero tali fattori ad influire per Kant sulla nozione di “bello”: alcune cose vengono considerate belle in alcune culture e non in altre, e ciò che veniva considerato come bello in un'epoca, può non esserlo in un'altra. Kant specifica, però, che in questi casi si tratta più di piacevole, che non di bello, in quanto il piacevole é legato all'individualità e alle peculiarità dei diversi contesti storico-sociali. Ciò che invece definiamo come bello, e non soltanto piacevole, lo é in modo universale: la Monna Lisa, le statue di Fidia, un tramonto o una rosa sono esempi di bello universalevalido per tutti gli uomini e in tutte le epoche.

L'estetica di Kant riguarda in prevalenza la natura, in particolare in relazione al sublime, anche se la definizione che Kant dà dell'artista influenzerà profondamente il Romanticismo. Per Kant, infatti, il genio é “ragione che crea come natura”: accanto all'elemento razionale e intenzionale, nell'artista vero e proprio, é presente anche una produttività spontanea e inconsapevole, e ciò fa si che nell'opera d'arte siano presenti non solo i contenuti razionali voluti dall'autore, ma anche degli altri di cui l'artista non é in alcun modo consapevole e che devono essere oggetto di interpretazione, come ben spiegherà Schelling nella sua filosofia.


Il bello e il sublime.


Il giudizio estetico, secondo Kant, é soggettivo, ma universale, in quanto é riferibile a una facoltà a priori, il sentimento del gusto, che é universale, in quanto comune a tutti gli uomini.

L'estetica kantiana interpreta il bello come accordo tra la natura e il nostro sentimento del gusto, come se la natura stessa fosse, per certi aspetti, indirizzata al nostro piacere estetico, come se trovasse nell'uomo la propria finalità, il proprio senso e il proprio punto di riferimento, come Kant dirà in merito al giudizio teleologico.

La centralità dell'uomo é motivata dal fatto che l'uomo é l'unico essere morale del creato e ciò fa si che estetica e moralità siano strettamente collegate.

All'interno di tale concezione del belloKant specifica i significati dell'estetica che verranno ripresi dal movimento romantico. Riprendendo le quattro categorieKant riprende il bello in relazione alla qualità, alla quantità, alla relazione e alla modalità, cioè alle quattro categorie kantiane.

Riprendendo lo schema delle categorieKant definisce il bello come “ciò che piace senza interesse”, facendo proprio uno dei motivi centrali della riflessione settecentesca, sopratutto di ambito inglese. Il bello, sia dell'arte, sia della natura, é, inoltre, disinteressato, nel senso che non si identifica né con l'utile, né con il bene, né con il piacevole, né, in generale, con il desiderabile: secondo la qualitàKant definisce quindi il bello come disinteressato; secondo la quantità, il bello é definito da Kant come ciò che é “senza concetto”, cioè che il bello viene rappresentato come un piacere universaleKant specifica che sul bello non si possa argomentare, cioè che non si possa spiegare perché qualcosa é bello, in quanto il giudizio estetico si basa sul sentimento e non sull'intelletto: secondo Kant si tratta di un piacere universale perché, a differenza del piacereciò che é bello lo é per tutti, dato che il sentimento del gusto é comune a tutti gli uomini. In relazione alle categorie di relazioneKant sottolinea l'aspetto formale del bello: la bellezza viene da Kant definita non in relazione ad uno scopo, ma riferita all'armonia formale tra le parti. Tale caratteristica si rende particolarmente evidente nella musica, ma secondo Kant, vale per ogni altra espressione artistica, indipendentemente dal contenuto socialmente didascalico o impegnato secondo la concezione illuministicaKant, infatti, sottolinea come anche una poesia possa avere un contenuto di valenza sociale o educativa, ma che non sia tale aspetto a farne un'opera d'arte particolare. Infine, secondo le categorie della modalità, il bello é riconosciuto come “un oggetto di un piacere necessario”, Kant afferma il legame tra il bello e il piacere, ma sottolinea anche che il piacere estetico é «necessario», indipendente dalle caratteristiche e dai gusti individuali, e quindi é possibile formulare giudizi che abbiano validità universale.

In merito alla nozione di «sublime», Kant distingue tra bello e sublime, e in quest'ultimo si mostra più evidente il rapporto tra estetica e moralità. Secondo Kant, tali sentimenti derivano da spettacoli disarmonici, che atterriscono l'uomo e lo disorientano, nella sua fragilità, ma che pongono l'uomo anche di fronte alla sua finitezza, mettendolo più facilmente in rapporto con se stesso, con la propria dimensione spirituale: l'esperienza del sublime apre alle contraddizioni tra l'immensità e la forza della natura e il sentimento della insufficienza dell'uomo. Mentre il bello rapporta alla natura tramite un sentimento piacevole, dato dall'armonia tra uomo e natura, il sublime rappresenta un sentimento contraddittorio e, fondamentalmente, spiacevole, e il piacere che ne deriva é solo indirettoKant distingue tra sublime matematico, suscitato dall'immensamente grande, per esempio il cielo stellato, e il sublime dinamico, provocato dalle manifestazioni naturali di potenza della natura che sovrastano l'uomo, facendolo sentire debole e indifeso (come eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti, et.).

Secondo Kant sia il bello, che il sublime non hanno relazioni che riguardino il giudizio determinante, la conoscenza, ma il giudizio riflettente: entrambi risultano essere soggettivi, cioè sono entrambi riferiti alle reazioni del soggetto e non all'oggetto in sé. Mentre nel bello esiste una finalità interna all'oggetto, organizzato in modo da piacerci, mentre nel sublime tale finalità é totalmente assente ed é giocata sulle reazioni personali suscitate nel soggetto. Il sublime sembra presentare un grado di soggettività maggiore rispetto al bello, in quanto tocca maggiormente la coscienza soggettiva. Sia il bello, sia il sublime, sono giudizi riflettenti, ma mentre il primo ha come oggetto le cose, il secondo ha come oggetto la coscienza, cioè la propria interiorità.

Mentre quindi il bello si fonda sull'equilibrio, il sublime si fonda sulla dinamicità delle manifestazioni della natura e sulle nostre reazioni istintive suscitate da esse.


Il giudizio teleologico.


Il bello, come si é visto, apre a un rapporto tra uomo e natura che supera il meccanicismo naturale e si pone in una dimensione noumenicaKant affronta così il vero problema della Critica del giudiziocercare il senso della vita umana e della naturaKant sostiene che se noi non potessimo parlare del mondo se non attraverso cause efficienti e meccaniche, allora il mondo sarebbe privo di significato.

Kant parte dall'osservazione del mondo naturale e, in particolare, di quello organico. Esistono in natura tre diverse finalità distinte


un albero riproduce la specie, producendo altri alberi;


un albero produce se stesso come individuo tramite la crescita;


un albero conserva se stesso mediante le sue diverse parti che concorrono alla costituzione del tutto


Il giudizio teleologico non sostituisce la conoscenza scientifica e Kant sottolinea come la scienza non sia in grado di spiegare tutta la realtà, e proprio per questo il giudizio riflettente può immaginare o ipotizzare che esista un'altra realtà, pur se non dimostrabile.

Poiché la finalità interna ad ogni essere non può spiegare e dare risposta alle domande di senso del mondoKant afferma che non é sufficiente a spiegare il posto dell'uomo nel mondo, né il senso della natura nella sua totalità.

Kant sottolinea che, se c'é un fine nel mondo, questo dev'essere di tipo morale e che l'unico essere morale é, appunto, l'uomo: l'uomo, quindi, é il fine ultimo di tutta la creazione, ma non si tratta ovviamente di conoscenza scientifica, bensì di una “ragionevole speranza”: ragionevole, in quanto esistono argomenti razionali che sostengono tale tesisperanza, in quanto attinente al mondo noumenico che sfugge ad ogni conoscenza scientifica.

La possibilità di conoscere il mondo in termini scientifici apre, però, la possibilità all'uomo di insinuarsi nel mondo noumenico, rappresentate dalla libertà dell'uomo e dalla presenza di Diotali esigenze dell'uomo non precludono né la conoscenza dei fenomeni, né di presupporre l'esistenza di un essere trascendente.


La religione, la storia e il futuro dell'umanità.


Kant scrive nel 1793 il saggio intitolato La religione nei limiti della semplice ragione e sviluppa l'idea di fondo già presentata nella Critica della ragion pratica: la morale deve precedere qualsiasi religione, e ogni religione dovrebbe condurre esclusivamente ad una morale razionale e autofondataKant sostiene che i principi del Cristianesimo siano gli stessi della morale naturale che é raggiungibile mediante la sola ragione dell'uomo. Ciò porta Kant a dire che la rivelazione cristiana non é stata inutile, in quanto ha diffuso tali principi molto tempo prima che l'umanità fosse in grado di fondarsi secondo termini razionaliKant sottolinea come l'uomo tenda per natura al male, in seguito al peccato originale, e lo sviluppo storico viene visto da Kant come una lotta tra l'inclinazione al male, data dal peccato, e quella al bene, legata alla natura originaria dell'uomo: tale lotta trova in Cristo il punto di svolta, in grado di superare la legge antica, intesa come comandamento e costrizione, per affermare la legge morale, in grado di offrire all'uomo il criterio per poter scegliere il bene: tale svolta dovrebbe portare, secondo Kantallo svilupparsi di una comunità morale che consentirà il prevalere del bene sul male, realizzando una nuova società in cui virtù e ragione saranno il fondamento dei costumi sociali.

Anche dal punto di vista politico Kant ipotizza uno sviluppo simile a quello morale, in cui l'idea di progresso é legata alla realizzazione della moralità e non allo sviluppo delle scienze e delle tecniche.

La storia viene vista da Kant come una progressiva realizzazione della libertà e della ragione, in cui lo sviluppo morale permetterà l'avvento di una “socievole insocievolezza”: poiché l'uomo allo stato naturale é egoista, tendendo alla propria conservazione e sopravvivenza, tale egoismo lo porta però a ricercare i propri simili allo scopo di garantire meglio i propri bisogni. Se, inizialmente l'uomo ha bisogno dell'autorità di un re per dominare tale istinto naturale egoistico, via via che si afferma la ragione sull'istinto, l'umanità diventerà sempre più consapevole e capace di autogovernarsi. Tale sviluppo positivo viene individuato da Kant nell'Illuminismo che corrisponde all'età della ragione dell'intera umanità e non più soltanto di singoli individui. Tale lotta tra ragione e istinto, a livello sociale, corrisponde alla lotta individuale tra ragione e sensibilità, e non ha mai termine. La storia viene così intesa come progresso all'infinito simile a quello del singolo individuo, sino a realizzare quella che Kant chiama “pace perpetua”, lo stadio in cui verranno superate le divisioni naturali e sarà possibile creare un governo mondiale di stati confederati che avrà il compito di risolvere le controversie tra i vari popoli, facilitando una progressiva unificazione dell'intera umanità.

Kant 7 - La Critica della Ragion Pratica - Parte 2: La morale dell'intenzione, le antinomie e i postulati della ragion pratica.

 Classi 4°A/B/C Linguistico

La Critica della ragion pratica: Parte Seconda.


L' autonomia della morale.


Secondo Kant la ragione garantisce anche l'autonomia della morale, che Kant descrive nella terza formula dell'imperativo categorico:

Non compiere alcuna azione secondo una massima diversa da quella suscettibile di valere come legge universale, cioè tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare  contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice”.

La volontà può considerarsi universalmente legislatrice se non é condizionata da nessuna autorità superiore, neppure da quella divina, ma é essa stessa giustificazione della propria massima. Ciò é possibile nella misura in cui la massima é fondata sulla ragione ed é, quindi, autofondataKant critica e analizza le diverse morali eteronome, cioè non autonome, che considerano il comportamento morale dipendente da fattori diversi rispetto alla sola ragione. I motivi che possono determinare il comportamento dell'uomo possono essere soggettivi, cioè validi per il singolo individuo, oppure oggettivi, ritenuti validi per tuttiinterni, relativi all'interiorità, oppure esterni e relativi all'ambiente.

Se può sembrare strano, in apparenza, trovare tra i motivi delle morali eteronome i fattori interni, cioè quelli che sono relativi all'individuo, Kant con l'autonomia della morale non intende assenza di condizionamenti esterni, ma assenza di motivazioni o di finalità particolari, che superano l'ambito della ragione universale: se scelgo di agire per conseguire un piacere, la morale non é più autonoma, in quanto finalizzata al raggiungimento del piacere.

Anche i comportamenti che si adeguano ai condizionamenti esterni, come l'educazione e la società in cui noi viviamo, non sono morali, in quanto non sono frutto di una libera scelta: essi sono dettati dall'abitudine, come aveva sostenuto Hume, e non dalla ragione, e cambiano da una comunità all'altra, quindi sono relativi e non universali.

motivi oggettivi vengono da Kant definiti in questo modo perché ritiene che siano validi per tutti gli uomini allo stesso modoKant sostiene, quindi, che, per quanto nobili possano essere i motivi che fondano la morale dall'esterno, tuttavia essi ne minano l'autonomia, rendendola subalterna non alla ragione, ma a fattori estrinseci. Se un individuo si astiene dal rubare per ubbidire ad un comandamento religioso, egli sarà un uomo pio, ma non morale, in quanto il suo comportamento non sarà autofondato, ma dipenderà appunto da Dio. Inoltre tale massima, in questo caso “non rubare”, non sarebbe universale, perché escluderebbe gli atei, gli agnostici e chi professa una religione diversa.


Il bene, il male e la morale dell'intenzione.


Kant afferma che tutto ciò che può essere determinato dalla volontà é oggetto della ragion pratica e presuppone quindi la libertàsenza la possibilità da parte dell'uomo di poter scegliere come agire non ci sarebbe alcuna moraleKant, infatti, sottolinea come, senza libertà, noi potremmo soltanto descrivere i comportamenti (etica descrittiva), ma non ci sarebbe alcuna possibilità di stabilire quali comportamenti siano buoni e quali no, quali comportamenti andrebbero seguiti. Kant chiarisce che la libertà non sia inerente alla concreta possibilità di agire, ma riguardi la volontà dell'uomo: la morale, infatti, analizza la conformità della volontà nei confronti della legge moraletotalmente sganciata dalle circostanze concrete che possono impedirne l'attuazione.

In tal modo la moralità per Kant é espressione della volontà che può decidere di comportarsi secondo le norme morali pur non potendo poi attuare tale decisione per i più svariati motivi non controllabili dal singolo individuo: se vedo una persona gettarsi da un ponte, ad esempio, potrei volerla aiutare, e tale libera espressione della mia volontà sarebbe morale, ma potrei non poterla aiutare perché mi trovo su un autobus o perché non so nuotare; ma tale impedimento non toglierebbe nulla alla moralità della mia decisione, indipendentemente che l'abbia attuata, oppure no. Kant afferma, quindi, che l'oggetto della ragion pratica é quello di stabilire, basandosi sulla ragioneciò che risulta essere bene e ciò che invece é male.

Kant a tale scopo distingue in via preliminare il bene dal piacere e il male dal dolore. Egli sostiene che il termine bene, dal latino bonum, viene tradotto in tedesco con due termini distinti: Gute e Wohl. Il primo significa buono inteso in senso morale, mentre il secondo definisce ciò che é ritenuto buono per l'individuo, quindi ciò che per lui é piacevole ed é per lui fonte di benessere. Il bene, nella prima accezione, é tale in sé ed é universale, in quanto fondato sulla ragione. Da tale distinzione emergono due importanti conseguenze


- la prima é che il bene non determina la legge morale, ma che anzi é bene ciò che risulta essere conforme alla legge morale e dunque da essa determinato;


- la seconda é che la morale é determinazione della volontàprescindendo dal fatto che l'azione morale possa produrre conseguenze utili o dannose sia per l'individuo che la compie, sia per la società in cui quell'individuo vive ed agisce.


Se, ad esempio, denuncio una scorrettezza di qualcuno, compio un'azione morale indipendentemente dalle conseguenze per lui o per me stesso, mentre se non dico nulla o mento, compio un'azione immorale anche se lo facessi per aiutare un amico.

La morale quindi per Kant non deve considerare il bene o il male in relazione alle conseguenze delle azioni di un individuo, ma in relazione alla volontà con cui egli ha agito: per questo motivo la morale kantiana é anche denominata come “morale dell'intenzione”.


La fondazione della Metafisica dei costumi e l'etica critica.


La riflessione di Kant sulla morale, come sappiamo, non inizia con la Critica della ragion pratica, ma con l'opera intitolata Fondazione della metafisica dei costumi del 1785.

In quest'opera Kant si poneva già il problema della fondazione della morale e distingueva tre diversi ambiti d'indagine presenti all'interno della filosofialogicafisica ed etica.

Poiché la logica é per sua natura formale e priva di uno specifico oggetto di indagine, in quanto indaga le leggi del ragionamentoKant sostiene che la filosofia debba occuparsi della fondazione della fisica e dell'etica.

A tale scopo Kant differenzia una metafisica della natura e una metafisica dei costumi, con l'intento di individuare i principi fondamentali che governano i due diversi ambiti d'indagine: al loro interno egli distingue una parte razionale e una parte empirica.

Per quanto riguarda l'eticaKant sostiene che la parte razionale dell'etica sia rappresentata dalla morale, poiché composta da norme morali universali e fondate sulla ragione, mentre la parte empirica é rappresentata dall'antropologia pratica, cioè dallo studio dei costumi che cambiano da un popolo ad un altro, e da un'epoca ad un'altra, in quanto rappresentano leggi legate alle diverse circostanze, cioè appunto costumi.

Kant afferma di volersi occupare soltanto della morale, la parte razionale, e di voler dedicare l'opera alla sua fondazione, cioè ad identificare il principio più importante di essa.

Tale impostazione dell'opera é la stessa che Kant seguirà poi nella Critica della ragion pratica, della quale anticipa tematiche ed argomenti che riprenderà poi nella prima parte della Critica.

Kant, già nella Fondazione della metafisica dei costumi, sostiene infatti che la volontà può essere buona soltanto se sganciata dai condizionamenti esterniriferita soltanto alla ragione.

Ciò implica una netta contrapposizione tra la norma morale e la sensibilità e da ciò ne consegue che la norma morale si presenti come un dovere che contrasta sia il piacere, sia l'utile individuale. La morale assume, quindi, una valenza razionale ed universale, prescindendo dall'individualità del singolo uomo, e si concretizza nell'imperativo categorico secondo la prima formula di esso, cioè del volere come legge universale. Più avanti nell'opera Kant definisce anche le altre due leggi o formule dell'imperativo categorico

Quest'opera definisce già sia i fondamenti e sia le caratteristiche fondamentali della morale (l'universalità, la formalità, la morale del dovere, et.), che Kant riprenderà poi in modo più esteso ed esaustivo nella Critica: i contenuti della Fondazione costituiranno infatti, in modo maggiormente articolato, il primo capitolo del primo libro della Critica.

Tuttavia la trattazione di tali temi non costituisce tra le due opere kantiane una semplice sovrapposizione di trattazioni: tali opere si distinguono sia per lo stile della trattazione, sia per l'organizzazione interna voluta dall'autore. Mentre la Fondazione parte da osservazioni ed esperienze comuni per giungere a definire i principi fondanti della morale, la Critica della ragion pratica parte da tali principi per procedere in modo sistematico e deduttivo alla loro applicazione concreta; inoltre la Fondazione risulta più ricca e coinvolgente per i molti esempi di concreta vita quotidiana che sono riferiti da Kant, mentre la Critica risulta essere più completa nella trattazione, ma anche più tecnica e sistematica.


Le antinomie della ragion pratica e i postulati della morale.


Se la Critica della ragion pratica presenta la stessa organizzazione di quella dedicata alla conoscenza, tuttavia non presenta un'estetica, in quanto Kant é convinto che la morale non possa fondarsi sul piano dell'esperienza e dei fenomeni; inoltre la dialettica della morale si differenzia da quella conoscitiva, in quanto consente a Kant di recuperare, anche se non dal punto di vista conoscitivol'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima.

Anche in ambito pratico la dialettica pretende di derivare, dalla realtà finita e condizionata, la totalità incondizionata che dal punto di vista conoscitivo si esemplificava nelle idee di ioDio e mondo, mentre in ambito morale si identifica con l'idea del sommo bene, dato dall'unione di virtù e di felicità. Ma, secondo Kant, neppure l'idea di sommo bene può vincolare la volontà libera, in quanto altrimenti non sarebbe più libera, ma condizionata dalla ricerca dello stesso sommo bene.

Il sommo bene é quindi da ricercarsi esclusivamente nel dovere per il dovere, cioè senza scopi ulteriori. Alla ricerca del sommo bene Kant affianca l'antinomia della ragion pratica:

“ O il desiderio della felicità dev'essere la causa che muove verso la massima virtù, oppure la massima virtù dev'essere la causa efficiente della felicità”.

La prima tesi secondo Kant é sempre falsa, perché se la virtù fosse motivata dal desiderio della felicità, allora la morale sarebbe eteronoma, cioè avrebbe un fine esterno a sé stessa.

Per quanto riguarda la seconda tesi Kant sostiene che non sia possibile, nell'ambito fenomenico della causalità fisica, che la virtùperseguita in modo disinteressatodetermini la felicità, ma noi non possiamo escludere che questo legame sia stabilito, in ambito noumenico, da Dio: in tal caso lo stesso Kant afferma che la virtù sarebbe perseguita in modo autonomo, senza ricercare altri finiKant sostiene quindi che l'uomo non si comporta moralmente se finalizza il suo agire al conseguimento della felicità, ma anche che é abbastanza naturale che l'uomo si aspetti che alla virtù debba corrispondere la felicità, cioè che speri di essere felice in un mondo non fenomenico.

Tale possibilità non é possibile sul piano fenomenico e deve postulare un essere onnipotente e giusto che la possa garantire.

Kant, quindi, afferma che la speranza di conseguire il sommo bene porta a presupporre l'esistenza di Diotale esistenza non é dimostrabile razionalmente, ma possiamo solo sperarla come postulato della ragion pratica, cioè come la condizione che rende possibile il sommo bene.

Per lo stesso motivo Kant ammette altri due postulati della ragion pratica


- la libertà, in quanto se non vi fosse una volontà libera, non sarebbe possibile alcuna scelta morale e ciò distruggerebbe la possibilità stessa dell'agire morale;


- l'immortalità dell'anima, in quanto l'uomo, costituito di ragione e sensibilità, deve adeguare la volontà alla ragione, superando le condizioni che derivano dall'utile personale, dalla sua sensibilità e dall'interesse personale. Ma, sottolinea Kant che, per quanto l'uomo possa sforzarsinon potrà mai del tutto annullare la propria componente sensibile e le proprie passioni, raggiungendo la perfetta coincidenza tra volontà e ragione, che definiamo come santità, ma che deve progressivamente avvicinarsi al raggiungimento di tale ideale: ma tale processo richiederebbe un processo all'infinito, in cui l'uomo possa migliorare sempre più sé stesso: ciò permette di presupporre l'immortalità dell'anima.

Affermare la libertàl'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio solo in ambito pratico e morale e non in quello teoretico e conoscitivo, pone però dei problemi: lo stesso Kant chiarisce che questo non può significare assumere Dio come causa della naturain quanto ogni spiegazione della natura deve necessariamente rimanere sul piano dell'esperienza e ricondotta alle leggi della fisica.

Kant distingue fermamente i due piani della conoscenza e della morale e soltanto su quello morale ha un senso postulare l'esistenza di DioKant sottolinea come Dio rappresenti esclusivamente una risposta ai problemi esistenziali dell'uomo, a una nostra esigenza morale, ma che tale postulato non ha alcuna pretesa di validità in campo fisico, ne tanto meno può spiegare la realtà in termini scientifici. Il ruolo dei postulati della ragion pratica non é quello di garantire la morale, come lo stesso Kant sottolinea,in quanto la morale é autofondata, ma permettono all'uomo di sperare di poter un giorno realizzare la perfetta coincidenza tra virtù e felicità, pur senza che egli possa vantare più di una ragionevole speranza, e non certezza. L'uomo, infatti, può essere virtuoso anche senza tali postulati ma, data la fragilità della natura umana, essi ne sostengono il volere secondo ragione: se noi ci comportiamo bene, é perché é razionale fare così, senza altra finalità e i postulati servono soltanto in quanto strumenti per rafforzare la debolezza della nostra volontà e spingerci verso la perfezione dell'agire morale.


Il primato della ragion pratica.


Dalle due Critiche esaminate emerge un dualismo apparentemente insanabile: da un lato la conoscenza, con le sue esigenze di necessità, dall'altro la morale che non può prescindere dalla libertà: la prima rappresenta la scienza e la possibilità di conoscere il mondo fenomenico, basato sul determinismo, la seconda di ipotizzare l'agire morale come autofondato e razionale, ma legato al mondo noumenico e ai suoi postulati.

Kant é profondamente consapevole di tale problema che tenta di risolvere affermando il primato della ragion pratica su quella pura e conoscitiva: entrambi gli ambiti risultano ugualmente fondati e legittimamente dimostrati e rappresentano due mondi indipendenti.

Kant sottolinea come si possa fare scienza senza tener in alcun conto delle esigenze morali, così come non risulta legittimo applicare i principi della scienza all'ambito morale.

L'uomo, però, rappresenta un'unità integrata di sensibilità e ragione e non può prescindere dal conoscere, così come non può esentarsi dall'agire morale.

Kant afferma che nella vita quotidiana l'uomo sia costretto a compiere delle scelte che lo devono portare a privilegiare l'agire morale sulla conoscenza della realtà fenomenica, in quanto l'uomo é un essere morale e non soltanto un essere organico: ciò deve portare ad un primato della ragion pratica nel nostro comportamento, anche se non nella nostra conoscenza del mondo. Secondo Kant tale primato deriva da un'esigenza morale, visto che l'uomo non é in grado di dimostrare la verità dei postulati pratici, in quanto sia l'esistenza di Dio, come l'immortalità dell'anima non sono dimostrabili dal punto di vista scientificoKant afferma infatti che se l'uomo avesse la certezza dell'esistenza di Dio, dell'inferno e del paradisotutti gli uomini sarebbero sicuramente buoni, ma non avrebbero alcun merito, in quanto non ci sarebbe più alcuna ragione di effettuare una scelta morale consapevole, ne tanto meno che l'uomo esercitasse la propria libertà nell'agire morale.

Kant 6 - La Critica della Ragion Pratica - Parte 1: i caratteri della morale, massime e imperativi.

 Classi 4°A/B/C  Linguistico

La Critica della ragion pratica.

Kant, dopo aver esaminato le modalità di conoscenza dell'uomo in merito al mondo reale, si occupa nella Critica della ragion pratica del problema della morale, cioè dell'agire morale dell'uomo. Kant parte dal presupposto che esiste una morale universale, fondata sulla coscienza, e si pone il problema della sua fondazione.
Egli sostiene che la morale debba essere universale, cioè valida per tutti gli uomini e che non possa essere condizionata né da condizioni esterne, perché altrimenti cambierebbe a seconda delle situazioni, né da fattori soggettivi. Ciò porta Kant ad affermare che la morale debba essere anche autonoma, cioè che deve essere fondata sulla ragione e non su interessi o motivazioni particolari e soggettive. Un'altra caratteristica che Kant ritiene fondamentale é che la morale, dovendo essere autonoma e universale, non può riferirsi a dei contenuti particolari, cioè a dei comportamenti empirici, giusti o sbagliati che siano; la morale deve quindi essere anche formale. Kant si interroga su quali debbano essere le caratteristiche che connotano la morale per poter spiegare l'universalità della coscienza e allo scopo d'individuare delle vere e proprie leggi morali che siano valide, come quelle naturali, in ogni luogo e in ogni tempo. 

Massime ed imperativi.

Kant analizza le diverse norme morali e le distingue in massime e imperativi. Le massime sono quelle che non rappresentano norme necessarie e vincolanti che tutti gli uomini devono osservare come quando determinati usi e costumi variano da un popolo all'altro: ad esempio il cannibalismo, ritenuto inaccettabile nella nostra cultura, é considerato comportamento normale in altre culture, oppure la lapidazione per infedeltà che é ritenuta immorale nella nostra cultura, mentre é ritenuta vincolante in altre culture. 
Gli imperativi, invece, sono delle norme morali considerate valide universalmente, ma non sono sempre ugualmente vincolanti allo stesso modo. Kant distingue, infatti, due diverse tipologie di imperativi, entrambi preceduti dal “tu devi”, gli imperativi ipotetici e gli imperativi categorici. Gli imperativi ipotetici sono subordinati ad una determinata condizione per cui, se si vuole raggiungere un certo risultato, é necessaria la sua osservanza. Ad esempio se un medico prescrive una data medicina, l'espressione «Se vuoi guarire da questa malattia, devi prendere questa medicina!»; tale affermazione é sicuramente un imperativo, in quanto ha validità universale (tutti coloro che avranno quella malattia dovranno curarsi con quella medicina), indipendentemente dall'area geografica di provenienza, dalla cultura, dai caratteri individuali, et. Tuttavia tali imperativi sono ipotetici in quanto salvaguardano la libertà del paziente, in questo caso, di poter scegliere anche di non volersi curare.
Gli imperativi ipotetici, quindi, indicano una direzione normativa di comportamento, ma non si mostrano ugualmente vincolanti per tutti gli uomini: ognuno può scegliere di seguirli oppure no, accettandone consapevolmente le eventuali conseguenze.
Kant delinea poi le caratteristiche dell'imperativo categorico che non é subordinato ad alcuna condizione, ma che obbliga semplicemente tutti gli uomini ad osservare un certo comportamento, senza che vi siano condizioni che possano esentare un individuo da tale obbligo: ad esempio la norma “Non uccidere” o “Non rubare” é valida per tutti gli uomini e non ammette alcun tipo di deroga o di condizione limitante.
L'interrogativo che Kant si pone é quali caratteristiche devono avere gli imperativi categorici per poter essere considerati tali e tale interrogativo avrà risposta nel proseguo della Critica della ragion pratica.

Una morale formale.

Mentre nella Critica della ragion pura il limite che l'uomo non poteva superare era quello dell'esperienza, in quanto senza esperienza non può esserci alcuna conoscenza, nella Critica della ragion pratica la prospettiva cambia in quanto non abbiamo più a che fare con un oggetto già dato da conoscere, ma con dei principi che l'uomo stesso deve fissare.
Diversamente dall'indagine sulla conoscenza, nella morale non si può partire dall'esperienza o dai singoli fenomeni che ci accadono, le situazioni particolari, altrimenti Kant sostiene che la legge morale non avrebbe più il carattere dell'universalità. In ambito morale, quindi, é necessario partire dall'a priori, cioè dalla ragione, in modo da stabilire norme valide indipendentemente dalle circostanze e dalle caratteristiche individuali, indipendentemente cioè dalle singole esperienze.
Kant afferma che, dovendo prescindere dal piano dell'esperienza, l'imperativo categorico non può indicare dei contenuti specifici, ma soltanto la struttura formale in cui ogni azione umana deve essere compresa per potersi definire morale.
Ecco perché la prima legge della ragion pratica recita:
“Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale”. Tale formula, infatti, non ci impegna a seguire uno specifico contenuto morale, ma offre all'uomo un criterio importante per stabilire quando la sua azione possa ritenersi morale: Kant in essa afferma che ogni nostra azione deve poter essere usata da ogni uomo come comportamento universale in ogni luogo o epoca, senza alcuna distinzione tra soggetti o situazioni specifiche. Secondo Kant, cioè, dobbiamo agire come se la nostra azione contingente fosse una legge morale valida per tutti gli uomini e valutarne le conseguenze: se le conseguenze della nostra azione sono razionali, allora essa deriva dall'imperativo categorico, altrimenti é soltanto un principio soggettivo, privo di universalità.
Kant stesso fa l'esempio di un prestito, richiesto ad un amico, perché ci troviamo in condizioni di difficoltà, ma che non abbiamo l'intenzione di restituire: se estendiamo la nostra azione a livello universale, tutti quelli che chiedono un prestito ad un amico non dovrebbero poi restituirlo; ma tale generalizzazione di questo comportamento sarebbe evidentemente irrazionale, in quanto nessuno concederebbe più prestiti agli amici e, quindi, la nostra azione si rivela essere irrazionale e non morale in quanto basata su una falsa promessa di restituzione.
Kant sostiene quindi che, a tutela dell'universalità della legge morale, essa deve sempre essere conforme a ragione: non é bene ciò che é voluto da Dio, o ciò che rappresenta l'utile per me, ma ciò che é in sé azione razionale.

La sensibilità, la ragione e la morale del dovere.

Kant sostiene quindi che la ragione sia il fondamento della morale. Egli sottolinea come la natura umana sia costituita non soltanto dalla ragione, ma anche dalla sensibilità, intesa come istinti e passioni. Mentre la sensibilità é legata alla materia e all'individualità, in quanto gioia e dolore sono miei come individuo e mi differenziano dagli altri, Kant dirà infatti che la sensibilità individualizza, la ragione, al contrario, universalizza, in quanto funziona allo stesso modo in tutti gli uomini e giunge alle medesime conclusioni razionali. Kant, quindi, dice che l'uomo rappresenta una miscela di sensibilità e di ragione: se l'uomo scegliesse sempre in conformità con la ragione, egli sarebbe un santo e non un semplice uomo, mentre spesso l'uomo deve fare i conti con la propria sensibilità. Kant riconosce che nessuno può vivere scegliendo sempre di agire secondo ragione, anche se ciò sarebbe altamente desiderabile, e che la ragione resta il modello ideale e la guida del comportamento umano, pur con i legami, più o meno forti, con la sensibilità. A causa di questa duplice tendenza presente nella natura umana, ogni scelta morale porta ad un inevitabile conflitto interiore tra le nostre inclinazioni naturali e la nostra ragione.
Kant afferma che, in quanto esseri razionali, noi dovremo sempre scegliere la ragione, anche quando tali scelte ci portano contro il nostro utile o il nostro piacere. La norma indicata dalla ragione é quella del dovere e per questo motivo la morale di Kant viene definita anche come morale del dovere. Non a caso l'imperativo categorico kantiano non recita “tu puoi fare questo”, ma “tu devi fare questo”, indicando l'inderogabilità di una certa azione o scelta morale nel momento che la riteniamo razionale: la morale “del dovere per il dovere” differenzia la morale kantiana dalla morale, ad esempio, cristiana: quella kantiana non é prescrittiva, ma é descrittiva, in quanto non promette premi o punizioni come conseguenza dell'azione morale, né tanto meno ci dice chiaramente cosa fare o non fare: é l'individuo che deve liberamente scegliere come agire seguendo la propria ragione, indipendentemente dalle conseguenze possibili della sua azione e compito della morale kantiana é quello di limitarsi a descrivere come l'uomo, in quanto essere razionale, dovrebbe agire, ma senza che l'imperativo entri in merito alla situazione specifica; al contrario la morale cristiana, o di altre fedi religiose, é prescrittiva, entra chiaramente nel merito di come l'uomo di fede debba agire o non agire se vuole raggiungere un certo obiettivo: il paradiso, la santità, il consenso degli altri uomini, il sentirsi bene con se stesso, etc., oppure per evitare castighi e punizioni se non osserva un determinato comportamento morale. Kant distingue infatti la morale autonoma, frutto di scelte e di convinzioni personali liberamente scelta e di interiorizzazione personale di tali norme e la morale eteronoma, frutto di imposizioni esterne e di educazione, cultura, abitudine, in cui le norme morali di comportamento non sono interiorizzate e vengono promosse dall'esterno del soggetto per scopi diversi. Un esempio di morale eteronoma é rappresentata dal bambino che viene sgridato dagli adulti per aver rubato della cioccolata: piange per la sgridata ma, potendo scegliere se ripetere l'azione, la ripeterà e cercherà di non essere scoperto, in quanto il divieto postogli dagli adulti é per lui pura e semplice imposizione dall'esterno; un esempio, invece, di morale autonoma é dato da un soggetto che lotta per un principio in cui crede e per il quale sarà disposto anche a fare rinunce e sacrifici se li ritiene necessari: un ragazzo che crede nel valore dell'amicizia, ad esempio, si potrà sacrificare per aiutare un amico in difficoltà, anche a scapito dei suoi interessi personali o di eventuali svantaggi che tale azione potrebbe causargli a livello personale. 
La morale di Kant si configura come autonoma e razionale e trova nel dovere, sganciato da qualsiasi influenza esterna o interna, dovuta cioè agli stati d'animo o al carattere dell'individuo, il suo fondamento oggettivo e universale.

Il rispetto per l'umanità.

Alla prima legge dell'imperativo categorico, espresso nella Critica della ragion pratica, Kant ne affianca altre due leggi o formule che vengono esposte nella Fondazione della metafisica dei costumi. La seconda regola recita: “Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.
Nella convivenza civile ogni uomo é mezzo o strumento per gli altri uomini: Kant sottolinea cioè la necessità di non usare mai gli altri uomini solo come strumenti per la nostra utilità o il nostro esclusivo benessere, ma di rispettarne sempre la dignità umana: un negoziante vede necessariamente nel proprio cliente il mezzo per guadagnare, così come il cliente vede nel negoziante il mezzo per acquistare da lui delle merci che gli occorrono, ma Kant non critica le relazioni umane di scambio reciproco, bensì sottolinea come ogni uomo, prima di essere per noi uno strumento utile per raggiungere un nostro obiettivo, o un nostro interesse, sia prima di tutto un essere umano dotato di dignità e che merita il nostro rispetto incondizionato in quanto persona. Kant é ancora più specifico nel dire che dobbiamo rispettare tutta l'umanità sia in noi stessi, non adottando mai comportamenti che sviliscano in noi la nostra dignità umana, ne che in qualche modo  possano offendere la dignità umana degli altri uomini.
Il fatto che per Kant non siamo autorizzati ad offendere in nessun modo nemmeno l'umanità di cui siamo portatori, si traduce anche nel rifiuto di Kant sia verso il suicidio, sia verso forme di disprezzo dirette verso noi stessi. Ciò vale anche nei confronti di ogni altro uomo, anche del più malvagio e criminale o che consideriamo nostro nemico: l'umanità, secondo Kant, é un principio universale che é sempre degno di rispetto e che, in quanto valore razionale, non può mai essere messo in discussione o umiliato per nessun motivo: poiché tale valore non ce lo siamo dati noi, ogni uomo é tenuto a rispettarlo sempre e comunque, e non può uccidere la dignità, propria o altrui, o privare della vita se stesso o un altro uomo, senza disprezzare la dignità umana di cui ogni uomo é espressione.

L'antropologia kantiana.

Kant, durante tutta la indagine filosofica, si é particolarmente interessato agli studi antropologici inerenti il modo di intendere l'uomo e la sua natura.
Tuttavia ha attribuito un significato più specifico a tali studi rispetto allo studio dell'antropologia tradizionale: egli, infatti, considera lo studio dell'uomo nel suo contesto storico, in relazione ai caratteri specifici che la morale assume nei diversi popoli e nei diversi contesti di vita, a differenza della morale propriamente detta che si occupa, invece, dei principi universali e razionalmente fondati, validi per tutti gli uomini.
Nella Fondazione della metafisica dei costumi del 1785, Kant aveva distinto, all'interno dell'etica, tra la “metafisica dei costumi”, orientata alla definizione dei principi universali che sono oggetto della morale, e lo studio dei costumi particolari dei diversi popoli che é invece oggetto d'indagine da parte dell'antropologia pratica.
Nella Metafisica dei costumi del 1797, Kant parla di «antropologia morale», definendola come quella disciplina dedicata alla ricerca delle condizioni empiriche, quali leggi, ordinamenti e istituzioni, che hanno il compito di diffondere e di consolidare i principi morali, universali e razionali. Kant sottolinea come le norme morali non debbano dipendere dai costumi e dalle tradizioni, o essere influenzate dal contesto politico e sociale di un singolo popolo, ma che devono fondarsi esclusivamente sulla ragione. Soltanto dopo aver fondato razionalmente tali norme, Kant afferma che é possibile studiare i contesti che le favoriscono, come le istituzioni politiche di impronta liberale, e quelli che invece non le favoriscono.
Nel 1798 Kant ritorna ad affrontare argomenti antropologici con uno scritto che li affronta da un punto di vista diverso, intitolato l'Antropologia dal punto di vista pragmatico. Quest'opera si allontana da quelle precedenti in quanto non considera più l'antropologia quale dimensione empirica della morale, ma in quanto studio della natura umana, dell'uomo naturale e dei cambiamenti che derivano dalla nascita della società.
Dal titolo che Kant le attribuisce emerge in modo chiaro lo scopo dell'opera, non tanto quello di descrivere come é fatto l'uomo, Kant chiama tale aspetto il punto di vista fisiologico, ma l'individuazione di ciò che l'uomo deve fare per cambiare se stesso, o punto di vista pragmatico, come lo definisce lo stesso Kant. Mentre la conoscenza fisiologica ci dice ciò che la natura può fare dell'uomo, la conoscenza pragmatica ci dice ciò che l'uomo, in quanto essere libero, fa o può fare di sé stesso. L'opera é divisa in due parti: la prima parte é intitolata Didattica antropologica-Del modo di conoscere l'interno e l'esterno dell'uomo, mentre la seconda é intitolata La caratteristica antropologica-Intorno al modo di conoscere l'interno dell'uomo dal suo esterno.
Nella Didattica prevale la necessità da parte di Kant di valutare i diversi aspetti della natura umana, piuttosto che una sua semplice descrizione. Kant condanna innanzitutto l'egoismo umano, sentimento naturale, ma negativo, dell'uomo che quest'ultimo é chiamato a superare.
Inoltre anche le passioni, così come le emozioni, vengono da Kant condannate: ma mentre le prime sono da lui giudicate come totalmente negative, le seconde, pur definendole disposizioni infelici dell'animo umano, sono altresì negative, ma probabili e non inevitabili, come invece sono le passioni. Ciò non impedisce però a Kant di esaminare i sentimenti umani in modo circostanziato e approfondito, sottolineandone anche aspetti positivi.
La seconda parte dell'opera é dedicata ai metodi che possono essere utilizzati per conoscere l'interiorità di un individuo mediante i segni esterni: Kant si interesserà in modo approfondito di fisiognomica, cioè della disciplina che fa corrispondere ai tratti del volto aspetti del carattere.
Kant mette in relazione il carattere di un individuo con il suo sesso, la popolazione a cui l'individuo appartiene e le diverse razze. Kant insiste, ripetutamente, che l'umanità sviluppi un livello di coesione sempre più alto, progredendo gradualmente verso una concezione di società universale.
Kant però mostra in tal senso uno spiccato pessimismo sul fatto che tale aspirazione possa effettivamente realizzarsi in concreto, per quanto la ipotizzi nel lungo periodo, ritenendola invece più un ideale regolativo, che una possibilità concreta.
All'interrogativo se la razza umana sia buona o cattiva, Kant risponde che l'uomo tende ad essere più folle, che malvagio, e che ogni uomo saggio tende a dissimulare in parte il proprio pensiero per salvaguardare se stesso e non scoprirsi interamente nei confronti degli altri uomini.
L'opera si chiude con un messaggio di speranza: l'uomo non é un essere tendenzialmente malvagio, ma un essere ragionevole che, pur tra mille ostacoli, cerca di migliorare se stesso, allontanandosi dal male e progredendo verso il bene, tentando l'unione con tutti gli altri uomini. L'aspetto cosmopolitico di Kant e il mancato interesse verso le differenze esistenti tra i diversi popoli, porranno Kant in contrasto con il movimento del Romanticismo.
Kant, non tenendo in adeguato conto l'importanza dell'identità di ogni popolo, né il fatto che ciascun popolo possiede un linguaggio e un modo di pensare che ne caratterizzano l'identità specifica, si contrappone ai romantici che sostengono che tale identità non debba essere ignorata in nome di una società cosmopolita, ma che andrebbe valorizzata, nella pluralità di espressioni di identità diverse, allo scopo di arricchire l'umanità intera.

Kant 5 - La Dialettica Trascendentale.

 Classi 4°A/B/C Linguistico

La dialettica trascendentale.


Kant in quest'opera tenta di oltrepassare l'esperienza allo scopo di fornire un'interpretazione complessiva dell'esperienza stessa: dopo aver fondato, infatti, la scientificità di fisica e matematica, egli vuole indagare se la metafisica possa essere scienza.

Il termine “dialettica” non viene da Kant usato nell'accezione positiva del termine che ne aveva dato Eraclito, cioè come espressione del divenire della realtà, né come lo aveva usato Platone come strumento complesso delle conoscenza delle idee nella teoria dei generi, sviluppata nell'ultima revisione del suo pensiero, ma secondo l'accezione sofistica di ragionamento apparentemente corretto, ma in realtà errato.

Kant ha come obiettivo, infatti, smascherare le pretese della ragione nel momento che la ragione pretende di superare l'esperienza per dare un'interpretazione complessiva della realtà. La risposta a cui giunge Kant é che la metafisica non possa essere scienza e neppure diventarlo. La dialettica trascendentale deriva quindi dall'esigenza dell'uomo di interpretare la totalità ed é riferita alla ragione, che é la facoltà sintetica per eccellenza. Secondo Kant mentre l'intelletto studia le singole leggi con cui spiegare i singoli ambiti della realtà, senza essere in grado di spiegare la totalità dell'esistente, la ragione invece vanta questa pretesa. Tale pretesa della ragione che vorrebbe unificare tutta l'esperienza interna mediante l'idea di io, tutta l'esperienza esterna mediante l'idea di mondo e tutta l'esperienza complessiva tramite l'idea di Dio. Le idee di ioDio e mondo, in quanto non derivano da una sintesi d'esperienza, non hanno però per Kant alcuna funzione conoscitiva. Ciò avviene perché le idee, che rappresentano uno strumento necessario della ragione, non hanno però alcun corrispettivo con gli oggetti reali colti dall'esperienzale idee della ragione per Kant sono quindi necessarie, in quanto nascono nell'uomo spontaneamente e ciò risponde ad un'esigenza dell'animo umano, ma sono prive di un riferimento empirico adeguato, sganciate come sono dalle caratteristiche degli oggetti reali, e incapaci di operare una sintesi conoscitiva come invece avviene per i concetti puri dell'intelletto.


L'io e i paralogismi della ragione.


Secondo Kant l'idea di io ha origine da un paralogismo (dal greco para-lógos, alla lettera vuol dire falso ragionamentoerrore logico), che consiste nell'attribuire una sostanza all'Io penso, attribuendogli una realtà unitaria o un'animaKant sottolinea come invece l'Io penso sia una funzione conoscitiva e come sia impossibile affermare che esista una qualsiasi sostanza che gli corrisponda. Tale errore porterebbe l'uomo ad attribuire all'Io penso una serie di predicati quali l'immortalità, la trasparenza, la spiritualità, et. Kant afferma che non siamo in grado né di dimostrare  la loro veridicità, ma neppure il contrario: egli non dice che la metafisica é impossibile, ma solo che non può essere considerata una scienza, in quanto é un aspetto attinente alla cosa-in-sé che non rientra nel campo dell'esperienza.


Le antinomie dell'universo e l'idea di mondo.


Anche per quanto riguarda l'idea di mondoKant distingue tra il mondo che risulta essere regolato dalle leggi naturali e che é oggetto dell'esperienza, per cui é conoscibile dal punto di vista scientifico, e la pretesa che invece noi abbiamo di cogliere il mondo esterno come totalità, cercando di attribuirgli dei significati riferibili alle essenze che, però, l'uomo non é in grado di conoscere perché non riferibili alla sua esperienza.

Kant parla di antinomie, riferite alla seconda accezione di mondo, come di una serie di contraddizioni, ciascuna delle quali costituita da una tesi e da una antitesi, tra le quali non é possibile decidere quale sia vera e quale sia falsa. Tali antinomie vengono ricondotte da Kant ai quattro tipi di categorie e suddivise in antinomie matematiche e antinomie dinamiche.

Le antinomie matematiche sono riferite alle categorie di qualità e quantità, mentre quelle dinamiche sono riferite alle categorie di relazione e di modalità.

La prima antinomia matematica si distingue in tesi e antitesi contrapposta alla tesi e riguarda spazio e tempo riferiti al mondo:


Tesi: il mondo ha avuto un inizio temporale e, per lo spazio, é chiuso da limiti;


Antitesi: il mondo non ha avuto un inizio temporale, né limiti spaziali, ma é infinito;


La seconda antinomia matematica ha come argomento la sostanza e anche questa si distingue in tesi e antitesi:


Tesi: Ogni sostanza composta nel mondo é costituita da parti semplici, e non esiste nel mondo altro che il semplice o ciò che il semplice compone;


Antitesi: Nessuna cosa composta nel mondo é costituita da parti semplici e non esiste nel mondo niente di semplice;


Kant sostiene che sia possibile fornire una dimostrazione convincente sia per le tesi, sia per le antitesi, basandole entrambi su argomenti logici, nonostante le due alternative non possano essere contemporaneamente vere. Le tesi, nel loro insieme, descrivono il mondo come viene visto dalla metafisica e dalla religione, mentre le antitesi compongono la prospettiva scientifica.


Per quanto riguarda, invece, le antinomie dinamiche Kant ne propone due, anch'esse costituite rispettivamente da una tesi e da una antitesi tra loro contrapposte. La prima riguarda la causalità:


Tesi: la causalità secondo le leggi della natura non é l'unica fonte da cui possono essere derivati tutti i fenomeni del mondo e per spiegare l'origine dei fenomeni é necessario ammettere anche una causa libera;


Antitesi: non c'é nessuna libertà, ma tutto nel mondo accade unicamente secondo le leggi della natura;


La seconda antinomia dinamica riguarda l'esistenza di un essere necessario e anch'essa presenta una tesi e un'antitesi ad essa contrapposta:


Tesi: Nel mondo esiste un essere assolutamente necessario o come sua causa o come sua parte;


Antitesi: In nessun luogo esiste un essere assolutamente necessario, né fuori dal mondo, né come sua causa;


Anche per quanto riguarda le antinomie dinamiche Kant sostiene che esse potrebbero essere egualmente vere, ma in ambiti diversi: le antitesi sono sicuramente vere relativamente al mondo fenomenico, dove dobbiamo presupporre il meccanicismo ed escludere l'esistenza di Dio, almeno come spiegazione dei fenomeni, per poter fondare una conoscenza scientifica dell'universo; la tesi, invece, potrebbero essere vere in ambito noumenico, anche se in tal caso non si potrà mai stabilirlo in modo certo.


L'idea di Dio e la sua esistenza.


Il problema dell'esistenza di Dio rappresenta una questione importante della filosofia di Kant, sia per quanto riguarda la morale, sia per quanto riguarda il mondo naturale, considerato in termini di noumeno e non di fenomeno. Il problema che però Kant si pone non é però quello di dimostrare o meno se Dio esista oppure no, ma se tale idea possa essere oggetto da parte della conoscenza scientifica, cioè se la sua esistenza sia dimostrabile mediante le prove tradizionali elaborate dal pensiero filosofico precedente a Kant

Kant prende in considerazione una per una le prove tradizionali allo scopo di individuare in esse eventuali errori logici o passaggi non giustificabili, fino a concludere che l'esistenza di Dio non può essere dimostrata da nessun argomento razionaleKant raggruppa le prove dell'esistenza di Dio, elaborate nel passato, in tre tipologie: la prova a priori o ontologica, la prova cosmologica e quella fisico-teologica o fisico-teleologica.

L'argomento ontologico, elaborato per la prima volta da Anselmo d'Aosta e poi riproposto da Cartesio, sostiene che tutti, anche gli atei, hanno il concetto di Dio come di un essere al di sopra del quale non esiste nulla di superiore: nel concetto di Dio, in quanto essere perfetto, deve essere inclusa anche l'esistenza perché, se così non fosse, noi potremmo immaginare un altro essere più perfetto di Dio, in quanto dotato anche dell'esistenza, oltre a tutte le altre perfezioni, e dunque più perfetto di lui. Kant distingue in modo netto l'esistenza dai predicati, così come aveva fatto in precedenza Aristotele, in quanto l'esistenza non é un predicato, in quanto non é una caratteristica che possa essere dedotta da altro, ma può essere soltanto accertata.

La prova ontologica, che pretende di dedurre l'esistenza di Dio dal suo concetto di essere perfetto, considera il giudizio “Dio esiste” come un giudizio analitico. Secondo Kant, invece, un giudizio che predica l'esistenza é sintetico, quindi riguarda l'ambito dell'esperienza.

Kant ricorre all'esempio dei cento talleri, la moneta prussiana allora più diffusa, dicendo che si possono descrivere le caratteristiche dei cento talleri anche senza averli in mano, ma una cosa é definire le loro caratteristiche concettuali, un'altra cosa é poterne dimostrare l'esistenza una volta che li si é descritti: l'esistenza non si può dimostrare attraverso un ragionamento, ma si può accertare soltanto con l'esperienza. pensare al concetto di una certa somma di denaro é ben diverso dal possederla concretamente. Lo stesso ragionamento dice Kant può essere fatto a proposito di Dio: l'esistenza non é un predicato e non può essere dedotta e, in tal modo, l'argomento ontologico dimostra tutta la sua fragilità e diviene inutilizzabile.

La prova cosmologica é invece una delle cinque vie proposte da Tommaso D'Aquino: partendo dal presupposto che tutto ciò che esiste abbia una causaTommaso afferma la necessità di una causa prima incausata, cioè non causata da altro, per non incorrere in un processo all'infinito che, risalendo di causa in causa, non abbia mai termine. Secondo Kant tale dimostrazione é falsa in quanto noi possiamo individuare tutte le cause che vogliamo sino a quando rimaniamo nel mondo dell'esperienza, ma da qui ad affermare una causa non causata da altro ci porterebbe a compiere illecitamente un salto oltre la nostra esperienza, muovendoci su un piano di realtà diverso: passiamo, infatti, dal piano di realtà che possiamo accertare con la nostra esperienza, ad un piano di realtà che risulta essere invece per l'uomo inconoscibile: da ciò ne consegue che anche la prova cosmologica non si rivela soddisfacente per dimostrare né l'esistenza di Dio, né qualsiasi altra affermazione attinente al mondo noumenico.

La prova fisico-teologica, o teleologica, é quella che Kant considera con maggiore interesse. Tale prova sostiene che il mondo ci appare  come un progetto così ben organizzato e dotato di finalità tanto evidenti da far ritenere improbabile che esso sia frutto di casualità e che possa essere invece opera di un essere intelligenteKant obietta che tale prova sembrerebbe più dimostrare un architetto del mondo, piuttosto che un creatore del mondo. Ma per poter dimostrare che esiste un creatore del mondo, cioè un essere assolutamente necessario da cui tutto ha avuto origine e che non dipende da altro, si deve presupporre che ci sia una Causa incausata: la prova fisico-teologica viene così ricondotta a quella cosmologica perché, per dimostrare che l'ordine e la finalità del mondo non sono opera umana o casuale, ma che derivino da un essere trascendente, si deve presupporre che il mondo sia opera di un essere trascendente e che sia tale essere sia necessario, si torna quindi all'argomento cosmologico e alle sue critiche.

La dialettica si conclude con la “Critica di ogni teologia fondata su principi speculativi della ragione” in cui Kant afferma che non é possibile nessuna conoscenza di un essere superiore in ambito teorico, ma che potrebbe essere possibile affermarne l'esistenza come postulato pratico cioè morale. La dichiarazione di Kant non indica una professione di ateismo, ma di agnosticismo dal punto di vista teorico e profondamente religiosa sul piano pratico o morale. Tuttavia il fatto che Kant abbia dimostrato l'impossibilità di conoscere con la ragione l'esistenza di Dio, costituirà un importante punto di riferimento per tutta la filosofia successiva.


L'uso regolativo delle idee della ragione.


Dopo aver dimostrato che le idee di io, di Dio e di mondo non hanno alcuna funzione conoscitiva, nella Appendice alla dialettica trascendentale Kant ne sottolinea però la funzione regolativa. Mentre l'intelletto struttura il mondo fenomenico, ha cioè una funzione costitutiva dell'esperienza, la ragione non agisce sull'esperienza ed é per questo motivo che la ragione non può conoscere. Tuttavia Kant afferma che la ragione é necessaria come norma per la conoscenza, come indicazione: l'uomo, ad esempio, pur non potendo affermare con certezza se il mondo sia finito o infinito, se ha avuto un'origine o se é eterno, se in esso é possibile la libertà oppure no e così via, visto che l'idea di mondo non ha alcun fondamento conoscitivo, l'idea di mondo però orienta la nostra conoscenza e la indirizza a ricercare un sapere sempre più ampio, nel tentativo di unificare ambiti sempre più ampi di esperienza possibile. Anche se noi possiamo conoscere il mondo soltanto attraverso l'esperienza scientifica, mediante fisicachimica, etc, Kant sostiene che l'uomo tende ad avere un'interpretazione complessiva del mondo, un sistema unitario e che pur essendo un obiettivo che l'uomo non potrà mai raggiungere, tuttavia gli offre una direzione di ricerca allo scopo di rendere maggiormente organica e sistematica la nostra esperienza. L'interrogativo che Kant si era posto circa la possibilità di una metafisica come scienza ha dunque avuto esito negativoKant però non ha l'obiettivo di svalutare la metafisica, ma di considerarla da un punto di vista nuovo rispetto alla filosofia tradizionale. In accordo con il criticismo e con la rivoluzione copernicanaKant decide di non occuparsi del problema dell'essere, della sostanza o di Dio, ma del soggetto conoscente e delle sue caratteristiche, individuando le strutture a priori che sottostanno all'esperienza e alla conoscenza scientifica. La metafisica, quindi, pur non potendo essere scienza, funge da limite costitutivo delle nostre possibilità di conoscere, evidenziando quelli che appunto sono gli ambiti e i limiti sia dell'esperienza umana e sopratutto della conoscenza.