Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 17
Schopenhauer: contesto storico-culturale.
Il contesto storico-culturale che funge da cornice al pensiero di Schopenhauer, quello della prima metà dell'Ottocento, presenta due aspetti caratterizzanti e profondamente diversi: da un lato la diffusione della Rivoluzione Industriale in tutto il continente europeo che determina una visione ottimistica dello sviluppo storico-sociale, dall'altro i profondi cambiamenti che il processo di industrializzazione induce, producono situazioni profondamente problematiche che alimentano il pessimismo e l'interesse per l'analisi della condizione esistenziale dell'uomo.
L'Idealismo, il Marxismo e il Positivismo esprimono, infatti, secondo modalità profondamente diverse e peculiari, l'esigenza di cambiamenti e di innovazione che la rivoluzione industriale promuove. La fiducia nel progresso e nella razionalità dell'uomo da un lato, e la presunzione che la conoscenza umana possa rappresentare un sistema esaustivo dall'altro, capace di spiegare la storia e i problemi sociali in tutti i loro aspetti.
Insieme al progresso tecnologico e alle trasformazioni sociali, la rivoluzione industriale produce però anche nuove realtà problematiche quali l'incremento dell'urbanizzazione priva di controllo e le difficili condizioni di lavoro e di vita degli operai: gli orari di lavoro arrivano alle sedici ore giornaliere, in condizioni di lavoro spesso inumane e critiche, lo sfruttamento del lavoro minorile senza alcuna regolamentazione, gli stipendi bassissimi e l'assoluta mancanza di qualsiasi forma di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, la malattia e la vecchiaia. Tutto ciò ha come unico effetto di aumentare il livello di povertà dilagante e di degradazione.
Di tale drammatica realtà sociale si occuperanno vari scrittori e letterati dell'epoca, nonché i filosofi come lo stesso Schopenhauer, Marx e i filosofi positivisti.
In filosofia tale nuova realtà provoca una crisi dei valori tradizionali e una loro messa in discussione, che comportano sia la perdita dei punti di riferimento, sia una profonda crisi di identità: la meccanizzazione e la massificazione sociale provocano una condizione perdurante di spersonalizzazione, il senso di inutilità dell'individuo: da tale disagio emerge la necessità del recupero del singolo e della sua dimensione esistenziale, di contro alla profonda disillusione derivata dall'incapacità dell'Idealismo e delle filosofie ad esso succedute di offrire un'interpretazione adeguata ai nuovi fenomeni della realtà sociale. Alcune di tali tematiche, trattate da Schopenhauer, è possibile ritrovarli nelle opere e nella poetica di Leopardi: la loro riflessione, che sarà momentaneamente ignorata nella Germania in cui impera indisturbato l'Idealismo, sarà raccolto successivamente dal movimento filosofico dell'Esistenzialismo, che ne svilupperà i temi e il disagio esistenziale dell'uomo.
Schopenhauer: vita e opere.
La vita di Arthur Schopenhauer è fortemente segnata dal confronto conflittuale con l'Idealismo, che diventa, per alcuni anni, scontro accademico diretto con Hegel.
Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788. Dopo essersi dedicato agli studi classici, dopo la morte del padre, un ricco mercante che desiderava che il figlio seguisse le orme paterne, continuandone la professione, si laurea nel 1813 in filosofia presso l'università di Jena con la dissertazione intitolata «Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente».
Nel 1814 Schopenhauer si trasferisce a Dresda dove, nel 1819, pubblica il suo capolavoro «Il mondo come volontà e rappresentazione». Tale opera non diventa però un immediato successo editoriale, la maggior parte delle copie rimane invenduta e finisce al macero, ma gli procura, nel 1820, la libera docenza a Berlino, dove tenterà, anche se con scarso successo, la carriera accademica. Nel 1833 si trasferisce a Francoforte e nel 1836 pubblica il saggio intitolato «Sulla volontà della natura», in cui cerca di raccogliere prove empiriche onde appoggiare le concezioni esposte nella sua opera principale mediante i suoi studi sul magnetismo e sulla biologia.
Nel 1839/1840 partecipa a due concorsi, indetti uno da un'accademia norvegese e l'altro dalla Società Reale di Danimarca, sul tema della libertà umana e sul fondamento morale. Da qui ne conseguiranno due scritti che saranno poi raccolti nell'opera «I due problemi fondamentali dell'etica», che vedrà la pubblicazione nel 1841.
Nel 1851 Schopenhauer ottiene il successo editoriale e un'ampia notorietà con la pubblicazione dell'opera divulgativa «Parerga e paralipomena»: il titolo dal greco indica cose aggiunte e cose tralasciate, non si tratta di un'opera sistematica, ma di una raccolta di saggi brevi, di pensieri e di considerazioni di vario genere, espressi in uno stile colloquiale, capaci di essere compresi anche da un pubblico non specialistico, garantendo così una più ampia divulgazione dell'opera. Schopenhauer morirà a Francoforte nel 1860.
I luoghi di Schopenhauer e di Leopardi.
Nato a Danzica nel 1788, Schopenhauer compie i suoi studi presso l'università di Jena. Nel 1814 si trasferisce a Dresda, dove nel 1819 pubblica la sua opera più importante, il Mondo come volontà e rappresentazione, che gli consente di accedere nel 1820, alla libera docenza a Berlino. Fallito il suo tentativo di far carriera presso tale università, nel 1833 si trasferisce a Francoforte, dove rimane sino alla sua morte, avvenuta nel 1860.
Il pensiero filosofico e poetico di Leopardi nascono all'interno di un contesto culturale molto diverso dalla Germania in cui vive Schopenhauer. Nato a Recanati nel 1798, oggi nelle Marche, il poeta vi trascorre l'infanzia e la prima giovinezza. Leopardi, successivamente, cercherà di abbandonare la casa paterna, recandosi prima a Roma (1822/1823), poi a Milano, Bologna, Firenze e Pisa (1825/1828). Tornato a Recanati a motivo delle sue cattive condizioni di salute, abbandonerà definitivamente la sua città natale un paio di anni più tardi. Nel 1833 si trasferisce a Napoli, dove morirà nel 1837.
Introduzione al pensiero di Schopenhauer.
Partendo dalle premesse della filosofia di Kant, Schopenhauer concepisce il mondo come rappresentazione, in quanto costruito dalle strutture a priori della nostra conoscenza: lo spazio, il tempo e la casualità. Questo mondo, che Schopenhauer definisce fenomenico, è conoscibile e razionale: ma tale realtà non costituisce la vera realtà, che rimane nascosta dietro il mondo dei fenomeni. Secondo Schopenhauer ogni uomo può accedere alla realtà del noumeno, cioè alla realtà autentica, in quanto egli ne è partecipe, ma non in quanto intelletto o razionalità, cioè in quanto soggetto conoscente, bensì come corpo, inteso in termini di fisicità e di istinto.
Il corpo, quindi, rappresenta l'unico strumento di conoscenza della realtà noumenica, inteso in termini di desiderio e di volontà. Quindi la Volontà, non soltanto rappresenta la realtà autentica, ma è la cosa in sé, il noumeno che rimane nascosto dietro «il velo di Maya». Tale velo, secondo la filosofia indiana trasmessa dai Veda, nasconde il noumeno, impedendone la vera conoscenza, e la separa dalla realtà fenomenica. Il mondo noumenico, rappresentato dalla Volontà, è a-razionale, privo di senso e di qualsiasi finalità. La concezione della cosa in sé come Volontà, determina secondo Schopenhauer la condizione esistenziale tragica di ogni uomo, in quanto segnata dal continuo desiderare, destinato a rimanere insoddisfatto, e quindi dal dolore, all'interno di un orizzonte esistenziale che risulta essere limitato dalla morte.
Questo pessimismo caratterizza, per Schopenhauer, anche la concezione della società e della storia e capovolge l'ottimismo peculiare dell'Idealismo di Hegel.
Unica strada per liberare l'uomo dal dominio della volontà è quella di negarla, facendola diventare «nolontá» o «nolhuntas», nel tentativo di spegnere ogni desiderio e di sottrarre l'uomo al dominio della volontà, e quindi al suo destino di dolore e sofferenza.
Schopenhauer e il concetto di rappresentazione.
Il termine di rappresentazione (Vorstellung), è stato riferito dalla filosofia tradizionale al contenuto mentale che corrisponde all'oggetto di conoscenza o all'operazione mentale corrispondente.
I due significati, gnoseologico il primo, cioè inerente al processo conoscitivo, e psicologico il secondo, cioè legato al sentire emotivo e agli stati d'animo che la percezione degli oggetti provoca in noi, spesso sono stati considerati coincidenti e sovrapposti.
Nel primo caso con il termine di «rappresentazione» si indica il contenuto oggettivo del pensiero, inteso come immagine della cosa e dunque totalmente indipendente dal soggetto che conosce. Nella seconda accezione, invece, si sottolinea la componente soggettiva, riducendo la rappresentazione a una produzione individuale.
Schopenhauer reinterpreta il kantismo, riconducendolo alla nozione di rappresentazione inteso come la ricostruzione fenomenica del mondo da parte del soggetto conoscente.
La sintesi di soggetto e oggetto, operata all'interno della rappresentazione, viene usata da Schopenhauer come argomento per confutare sia l'Idealismo, che il materialismo.
Secondo Schopenhauer, infatti, ciascuno dei due sistemi è unilaterale: l'Idealismo in quanto deriva l'oggetto dal soggetto, il materialismo perché, al contrario, deriva il soggetto dall'oggetto.
Secondo l'Idealismo, infatti, è il soggetto stesso che produce l'oggetto delle proprie rappresentazioni, mentre nel materialismo, al contrario, il soggetto subisce passivamente l'azione dell'oggetto che lo modifica.
Per Schopenhauer la rappresentazione è data sia dalla presenza di un oggetto realmente esistente, sia dall'attività del soggetto che interagisce con esso.
A differenza quindi dei post-kantiani, Maimon, Reinhold e Schulze, che negavano in assoluto l'esistenza fenomenica, cioè fisica dell'oggetto, esterno all'intelletto umano, definendolo come esclusiva rappresentazione ideale, e del tutto inconsapevole, del soggetto conoscente allo scopo di negare esistenza alla cosa in sé, Schopenhauer, invece, riconosce l'esistenza indubitabile del fenomeno e pone il noumeno al di là di qualsiasi rappresentazione dell'uomo, cioè oltre il velo di Maya, dove l'intelletto umano non ha alcuna via di accesso.
Il mondo come rappresentazione.
La filosofia di Schopenhauer muove, come detto prima, dalla concezione di Kant secondo cui il mondo si offre, sul piano della conoscenza, come rappresentazione. La conoscenza, quindi, è resa possibile mediante le strutture a priori del tempo e dello spazio, che Schopenhauer deriva da Kant, a cui ne affianca però un terzo, cioè il principio di ragion sufficiente.
Il principio di ragion sufficiente è il fondamento delle scienze, ovvero dell'interpretazione scientifica del mondo fenomenico. Tale principio, che sostituisce le dodici categorie kantiane, ricavate, secondo Schopenhauer, in modo arbitrario e da ricondurre, quindi, all'unico principio della ragion sufficiente, differenzia quattro distinte tipologie di necessità:
- la necessità fisica, inerente alla causalità nella natura;
- la necessità logica, inerente ai nostri ragionamenti;
- la necessità dell'essere, inerente gli enti matematici;
- la necessità morale, inerente le azioni.
Queste quattro tipologie di necessità, contenute all'interno del principio di ragion sufficiente, rappresentano modalità diverse di organizzazione del mondo fenomenico e danno, quindi, come risultato altrettante forme diverse di rappresentazione, in cui tutte sono espressioni dei legami di necessità che regolano le relazioni tra i fenomeni. Tali quattro forme di necessità rappresentano non soltanto la condizione imprescindibile per poter conoscere il mondo fenomenico, ma anche la condizione indispensabile, come aveva sostenuto lo stesso Kant, perché si possa parlare di conoscenza scientifica: è impossibile infatti indagare dei nessi di causa ed effetto nei fenomeni, se non esiste alcun legame necessario tra gli eventi che vuole spiegare.
In base al principio di ragion sufficiente che, essendo a priori, si colloca sia all'interno delle cose, sia dentro noi stessi, è possibile conoscere:
- il divenire, in quanto riconducibile a una causalità necessaria;
- i ragionamenti, nella misura in cui obbediscono a una necessità logica;
- l'essere, in quanto determinato dai rapporti di spazio e di tempo, che costituiscono il fondamento dell'aritmetica e della geometria;
- l'azione, in quanto determinata dalla necessità morale.
Schopenhauer sottolinea come l'oggetto del principio di ragion sufficiente non sia il mondo reale, ma la rappresentazione che l'uomo ha di tale mondo, cioè la conoscenza che di esso ha l'uomo, cioè la scienza. Il risultato dell'applicazione del principio di ragion sufficiente è il mondo della rappresentazione, cioè il mondo dell'esperienza e poiché Schopenhauer sostiene che tale mondo sia l'unico che l'uomo possa conoscere, il principio di ragion sufficiente non può quindi oltrepassare il mondo dei fenomeni: da ciò ne consegue che si pone il problema del fondamento del fenomeno in un mondo da questo separato, il noumeno o cosa in sé kantiana, che sul piano della conoscenza scientifica non può essere ne affrontato, ne risolto.
Il mondo come rappresentazione, in quanto strutturato dal principio di ragion sufficiente, si spiega nei termini di meccanicismo in quanto tutto ciò che accade ha una causa che lo determina in modo necessario: tutto, quindi, comprese le azioni dell'uomo, è interpretabile per Schopenhauer in termini deterministici. Tuttavia, per quanto riguarda la moralità, è necessario fare una distinzione: mentre nelle prime tre forme del principio di ragion sufficiente l'intelletto non può oltrepassare il mondo fenomenico e la rappresentazione, nell'ambito delle azioni umane esiste un aspetto che va al di là dell'atto stesso, in quanto è possibile conoscere l'azione in quanto fenomeno, ma non la sua causa, che risulta essere interna al soggetto, che Schopenhauer denomina con il termine «motivo», presupponendo che essa debba esserci, pur non essendo immediatamente visibile. A differenza delle altre cause, quelle inerenti le azioni umane derivano da motivi interni all'individuo, non immediatamente riconducibili al fenomeno e osservabili che risultano essere l'espressione di un quarto principio o applicazione del principio di ragion sufficiente, come «legge di motivazione» che, a differenza delle altre cause, non consente di poter mai fare una previsione esatta del fenomeno in questione, cioè del comportamento umano.
Soggetto e mondo.
Nell'elaborare il proprio pensiero filosofico, Schopenhauer fa riferimento in modo esplicito ad alcuni punti teorici che già richiama nel suo Proemio a Il mondo come volontà e rappresentazione, e sui quali ritornerà nel corso dell'opera.
Egli fa riferimento alla filosofia indiana, alla quale si era accostato grazie ai contatti con lo studioso orientalista Friedrich Mayer, e uno dei suoi meriti è proprio quello di aver contribuito alla diffusione di tale filosofia in Europa. L'influenza delle Upanishad, i libri che costituiscono la parte conclusiva dei Veda, i testi sacri dell'induismo, risulteranno essere importanti per la loro influenza sul pensiero del filosofo, sopratutto nell'ultima parte de Il mondo come volontà e rappresentazione, quando Schopenhauer indicherà la strada verso la negazione del vivere dell'uomo e l'affermazione della nolhuntas.
Partendo dalla filosofia kantiana, Schopenhauer concepisce il mondo della realtà come dato alla coscienza, come una semplice rappresentazione, mentre la vera realtà, il noumeno, risulta essere nascosta. Il mondo come rappresentazione, secondo Schopenhauer, risulta essere perfettamente completo e autosufficiente, non rinvia ad altro, non rimanda a realtà nascoste o inconoscibili come la cosa-in-sé di kantiana memoria. Tuttavia, proprio come rappresentazione, non sussiste di per sé come oggetto, ma ha bisogno di un soggetto che lo rappresenti. Il mondo, quindi, esiste soltanto in quanto percepito e il soggetto solamente in quanto lo percepisce: quando l'uomo diventa consapevole di ciò, egli assume consapevolezza di non poter conoscere il sole o una mano, ma soltanto un occhio che vede tali immagini, senza poter dire se, a tali immagini, corrispondono degli oggetti esterni. Tutto ciò che esiste, esiste quindi soltanto in rapporto a un soggetto, è cioè rappresentazione e ciò è valido non soltanto per l'esperienza attuale, ma per ogni esperienza possibile.
Diversamente da Kant, il noumeno per Schopenhauer non è inconoscibile: esso supera le determinazioni possibili dell'intelletto, ma per il filosofo l'intelletto non rappresenta l'unico strumento di conoscenza; la cosa-in-sé deve essere ricercata nel soggetto e al di fuori dell'intelletto. L'intelletto, potendo generare soltanto delle rappresentazioni, non può lacerare il velo di Maya, come i Veda chiamano la conoscenza fenomenica del mondo, paragonandola a un velo che impedisce la vera conoscenza della realtà. Secondo Schopenhauer, però, anche Kant sbaglia quando sostiene che solo l'intelletto abbia funzione conoscitiva: tale critica era stata fatta anche all'Idealismo, che aveva tentato di individuare altre forme di conoscenza: l'arte per Schelling, la ragione per Hegel, finalizzate a superare i limiti dell'intelletto individuati da Kant nella Critica della Ragion Pura. La concezione di Schopenhauer risulta essere diametralmente opposta: il noumeno non è conoscibile da altre facoltà conoscitive, nel tentativo di oltrepassare i limiti dell'intelletto, ma è necessario spostarsi su un piano totalmente diverso.
La metafisica di Schopenhauer: la Volontà.
La strada per conoscere la cosa-in-sé passa attraverso il nostro corpo, considerato non nel suo aspetto fenomenico, che risulta essere conoscibile dall'intelletto quale fenomeno tra gli altri fenomeni, ma nelle sue affezioni. Se infatti l'uomo fosse esclusivamente intelletto, egli potrebbe conoscere soltanto rappresentazioni, ma egli partecipa anche della realtà del noumeno in quanto possiede passioni, istinti e, sopratutto, volontà che ineriscono appunto al corpo.
Il corpo, quindi, si dà all'uomo, in quanto soggetto conoscente, sia come rappresentazione, al pari di tutti gli altri oggetti, sia come volontà: è proprio in riferimento all'essere volontà che il corpo può conoscere la cosa-in-sé, che è appunto volontà.
Il volere, dunque, per Schopenhauer, deve essere considerato non in relazione al soggetto che conosce, ma all'individuo in quanto realtà corporea. In questo modo le determinazioni del volere individuale si esprimono in modo oggettivo, attraverso reazioni non mediate dall'intelletto, come piacere e dolore: Schopenhauer, in modo suggestivo, riconduce i bisogni elementari, come fame e istinto sessuale, agli organi e apparati corporei, come l'apparato digerente o quello genitale, intendendoli quali oggettivazioni della volontà.
La volontà, intesa come espressione del singolo individuo, secondo Schopenhauer, rappresenta una particolarizzazione di un principio universale: una Volontà, che è la forza animatrice non solo dell'uomo e degli esseri viventi, ma di tutta la natura. La Volontà è quindi il noumeno kantiano, il principio metafisico che è al di fuori delle determinazioni spazio-temporali, che sono le strutture a priori dell'intelletto proprie del soggetto, essa è unitaria proprio perché non risulta inscrivibile ne all'interno dello spazio, ne all'interno del tempo. Dunque, se la volontà è la cosa-in-sé del nostro essere, allora deve esserlo anche dell'intero universo.
In generale la volontà è la facoltà di orientare e di determinare il proprio comportamento e, in questo senso, è il fondamento della moralità. Mentre nelle filosofie precedenti, la volontà presenta un carattere intenzionale, con Schopenhauer le pulsioni inconsce diventano la componente centrale della definizione di volontà. Con Schopenhauer si inizia a distinguere tra gli impulsi, che sono la causa vera del comportamento, e le motivazioni coscienti, o razionalizzazioni, che mascherano le pulsioni inconsce e che giustificano il comportamento da un punto di vista morale: la distinzione tra il piano cosciente e quello inconscio nelle motivazioni del comportamento umano, verranno riaffermate da Freud e da Nietzsche, e diventeranno uno dei temi centrali della riflessione sull'etica e sull'uomo del Novecento.
La Volontà come forza irrazionale e la metafisica dell'esistenza.
L'analisi che Schopenhauer compie della Volontà cosmica porta, come conseguenza, ad una visione profondamente pessimistica dell'universo e dell'uomo.
La Volontà, infatti, collocandosi al di là del mondo fenomenico e dell'intelletto che lo riproduce, non è soggetta al controllo e all'influenza delle forme a priori kantiane dello spazio e del tempo. Tali forme a priori permettono che il mondo fenomenico, percepito dall'intelletto, risulti composto da entità spazialmente separate, gli individui appunto, e che gli eventi si dispongano lungo un continuum temporale che è appunto il divenire.
La Volontà, non essendo soggetta a tali condizioni, è dunque unica ed eterna, ma risulta essere anche estranea a tutte le forme di necessità espresse dal principio di ragion sufficiente: essa quindi non è soggetta ad alcuna causalità, ne tanto meno ad alcuna finalità. La Volontà cosmica, quindi, al di la del senso e dei significati che l'intelletto stabilisce esserci tra i fenomeni, è dunque cieca, irrazionale, e totalmente priva di scopo e di significato.
L'esigenza di spiegare il passaggio da un principio assoluto, la Volontà, alla molteplicità dei singoli esseri, viene spiegato da Schopenhauer mediante un processo di oggettivazione progressiva. Il passaggio dalla Volontà alla pluralità passa per gli archetipi delle cose, idee simili a quelle platoniche, uniche per ogni categoria di cose, eterne e immutabili; queste idee, organizzate in ordine gerarchico sulla base della distanza dalla Volontà, che le ha prodotte, produrranno gradi diversi di oggettivazione della Volontà, dalle idee più elevate ai singoli individui.
Da tutto ciò ne consegue che il destino degli uomini sia totalmente ininfluente per la Volontà, la cui unica finalità è quella della conservazione della specie, che corrisponde all'idea specifica in cui la Volontà si oggettiva: secondo Schopenhauer l'esistenza in natura di diversi istinti profondamente radicati nelle varie specie viventi, uomo compreso, come ad es. quello materno, dimostrano che gli individui vengono continuamente sacrificati a favore della specie e come la loro sofferenza, o la loro morte, siano del tutto irrilevanti per la natura, cioè per la Volontà. La natura viene concepita da Schopenhauer come vitalistica, in quanto contiene al suo interno delle forze che la animano è che sono espressione della Volontà che la costituisce: a tale proposito Schopenhauer stesso fa l'esempio di alcuni semi che, ritrovati dopo vari secoli all'interno di una piramide egizia, posti in condizioni adatte, sono germogliati, a significare che la forza vitale era soltanto latente, ma che la Volontà non viene influenzata dal tempo ed è quindi sempre pronta ad agire.
In quanto privo di razionalità e di scopo, l'intero universo subisce l'azione della Volontà che si esprime in modo dialettico e conflittuale, dando vita ad una lotta cannibalistica, in cui ogni essere, pur di sopravvivere, cerca di soppiantare gli altri, giungendo anche alla soppressione fisica. A tale proposito Schopenhauer cita l'esempio della formica australiana che, se divisa in due, da inizio ad una lotta forsennata tra l'addome, munito di pungiglione, e la parte della testa dotata di forti mandibole: tale esempio secondo il filosofo mostra come, in natura, i diversi esseri viventi si aggrediscono l'un l'altro, nonostante siano stati prodotti dalla stessa Volontà.
La natura è quindi conflittuale, ed esprime la conflittualità delle idee, ognuna delle quali cerca di affermare se stessa e le proprie oggettivazioni a scapito delle altre, dando luogo all'espressione di egoismi laceranti sia nelle singole idee e sia nei singoli esseri. Ne consegue una visione tragica dell'universo, una lotta perenne di tutti contro tutti, dove il vitalismo della natura, a differenza di quello positivo di Schelling, conduce al pessimismo cosmico.
Se dunque per Schopenhauer l'individuo ricopre un ruolo estremamente marginale, in quanto espressione delle idee che costituiscono il primo grado di oggettivazione della Volontà, tuttavia la filosofia di Schopenhauer si caratterizza come una filosofia dell'esistenza: non soltanto perché ha come obiettivo di analisi l'esistenza concreta del singolo, rifiutando i sistemi filosofici, come quello hegeliano, che avevano annullato il valore del singolo individuo per esaltare la totalità dello Stato e delle istituzioni, ma anche perché Schopenhauer è convinto che solo guardando dentro di sé può trovare la Volontà che è, infatti, presente in ogni singolo essere. È proprio grazie all'individuo che si può intravvedere l'azione della Volontà, anche se poi l'individualità deve essere superata in nome di una realtà più generale. Soltanto con tale assunzione di consapevolezza da parte dell'uomo della Volontà che agisce in lui, l'uomo può giungere alla negazione di essa e, quindi, liberarsi. Nel «Mondo come volontà e rappresentazione», Schopenhauer descrive il percorso necessario da seguire. L'opera è distinta in quattro libri, di cui i primi due sono intitolati «Il mondo come rappresentazione» e «il mondo come volontà»; gli altri due ripropongono la stessa scansione e titolazione, ma affrontano i problemi da un diverso punto di vista: mentre i primi due affrontano i problemi di carattere ontologico e metafisico, negli altri due viene esaminato il mondo dal punto di vista dell'uomo, dove Schopenhauer ripropone, da una prospettiva diversa, le stesse tematiche affrontate nei primi due libri. Nel terzo libro l'autore analizza il percorso che l'individuo deve seguire per oltrepassare la rappresentazione ed arrivare a conoscere le idee e la Volontà, mentre nel quarto libro, il più ampio e importante, Schopenhauer prende in esame le conseguenze sul piano esistenziale e morale dell'analisi metafisica sviluppata nel secondo.
L'analisi di Schopenhauer prende l'avvio dalla consapevolezza della precarietà della vita dell'individuo, in quanto la Volontà ne penetra l'esistenza e ne segna tragicamente il destino.
Gli ultimi due libri tracciano quindi un percorso unitario, che spiega come riconoscere in sé la Volontà allo scopo di poterla eliminare dal proprio essere e così sconfiggerla.
Tale descrizione della natura umana è permeata da un pessimismo radicale, ma ha sopratutto lo scopo di demistificare le illusioni che l'uomo ha prodotto per darle un significato: si tratta di una concezione fortemente critica e amara che susciterà notevole interesse ed avrà un'influenza determinante sul pensiero filosofico successivo.
Nella sua azione di demistificazione Schopenhauer include anche l'amore: egli sostiene, ben lungi dalle interpretazioni romantiche e liriche di poeti, artisti e letterati, che esso è riducibile alla sola pulsione sessuale, finalizzata alla procreazione, e quindi alla conservazione della specie, in quanto essa rappresenta l'unico obiettivo perseguito dalla Volontà. Per ottenere tale scopo, infatti, la Volontà si serve dell'istinto sessuale presente all'interno di ogni specie animale, che porta gli individui maschi alla lotta sino anche alla morte allo scopo di assicurarsi gli esemplari femmine migliori: Schopenhauer cita come esempio le farfalle che, dopo aver vissuto per anni allo stato di larve, una volta diventate farfalle vivono un solo giorno, durante il quale si accoppiano e depongono le uova, e infine muoiono, perché hanno ormai assolto il proprio compito.
Secondo Schopenhauer, quindi, per quanto l'uomo cerchi di coprire con motivazioni coscienti e razionali il sentimento dell'amore in tutte le sue possibili varianti, esso, in quanto è espressione della Volontà irrazionale, è totalmente identico all'istinto animale: entrambi sono infatti finalizzati alla conservazione della specie, mediante l'accoppiamento e la riproduzione.
Gli accorgimenti usati dalla Volontà a tale scopo, dice Schopenhauer, sono molteplici e rendono persino comici, a volte, i tentativi irrazionali messi in atto dall'uomo, durante l'innamoramento, di giungere a mettere a repentaglio la propria vita e la propria sicurezza durante i rituali di corteggiamento: per Schopenhauer non c'è discontinuità alcuna fra il comportamento animale e quello umano, in quanto i meccanismi e gli istinti di fondo sono gli stessi e risultano essere sempre caratterizzati dall'indifferenza verso la sorte dell'individuo, la cui esistenza risulta essere contraddistinta da sofferenza e infelicità.
Il pessimismo esistenziale, sociale e storico.
Se Schopenhauer sottolinea che l'universo è privo di qualsiasi scopo e finalità e che la realtà, al suo interno, è conflittuale e irrazionale, ponendo le basi del suo pessimismo metafisico, tuttavia sottolinea anche come la stessa esistenza umana, individuale e sociale, registrano ripercussioni determinanti di tale pessimismo.
Ogni uomo, infatti, è soggetto al controllo esercitato dalla Volontà per i propri scopi che non coincidono, spesso, con i suoi desideri o necessità: il volere, in quanto espressione della Volontà cosmica, cieca e irrazionale, diventa la malattia del desiderare da parte dell'uomo, il legame soffocante che la Volontà esercita sull'uomo per tenerlo asservito e sotto controllo.
Il volere, infatti, per Schopenhauer, non è più la condizione necessaria per l'azione morale dell'uomo sul mondo, come voleva Fichte, ne tanto meno un desiderio inappagato, ma positivo, come il «sehnsucht» dei romantici, bensì si caratterizza come una forza estranea che strumentalizza l'uomo e ne determina l'infelicità. Il volere, secondo Schopenhauer, derivando dal bisogno, e quindi da una mancanza, è risultato di sofferenza, quando tale bisogno risulta essere inappagato, mentre quando è soddisfatto, dopo un illusorio piacere, si trasforma in noia: ma anche la noia rappresenta uno stato momentaneo che, ben presto, è sostituito da un nuovo volere e, quindi, da altra sofferenza.
Così l'unico principio che domina l'esistenza dell'uomo è l'egoismo, in quanto espressione della volontà di autoaffermazione e del principio di conservazione, presente in ogni singolo essere e determinato dalla Volontà. Tale necessità di sopravvivenza dell'uomo determina il suo destino tragico e la morte, con la consapevolezza di essa, costituiscono l'orizzonte e il traguardo finale di ogni individuo.
Al pessimismo esistenziale si accompagna quello storico e sociale che completa lo scenario pessimistico delineato dall'Autore.
Non soltanto l'infelicità e l'egoismo segnano profondamente le relazioni sociali, ma anche gli eventi storici sono segnati dall'irrazionalità e dalla assoluta mancanza di senso degli eventi storici e sociali: a differenza della razionalità storica sostenuta da Hegel, Schopenhauer rifiuta qualsiasi finalismo o razionalità ottimistica, ma anzi essa è dominata dal caso, in totale contrasto con le tappe dello sviluppo dialettico della storia descritte da Hegel.
Schopenhauer sostiene che dominano la malvagità umana, in ambito etico, la trivialità e la superficialità, in ambito artistico, e l'irrazionalità, in ambito conoscitivo. Tale quadro denota non soltanto l'assenza di ogni ottimistico disegno, la negazione dell'esistenza di una qualsiasi forma di Provvidenza o di Spirito all'interno del divenire storico, ma rappresenta anche una critica radicale nei confronti dell'ottimismo sociale che aveva caratterizzato l'Idealismo, per esempio riferita all'identificazione di reale e ideale di Hegel, ottimismo ritenuto del tutto immotivato da Schopenhauer dinanzi al quadro di disperazione e di sofferente miseria in cui si dibatte l'esistenza umana; l'inferno in terra, descritto dal filosofo, vuole denunciare, quindi, l'illusorietà delle aspirazioni umane di progresso e felicità si scontrano per Schopenhauer con la tragicità degli eventi e delle condizioni in cui l'uomo è costretto, suo malgrado, a sopravvivere.