venerdì 22 dicembre 2023

Lezione 26 - Nietzsche 3: Il Nichilismo e la Volontà di Potenza.

 Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 26

 Il nichilismo.

Gli scritti che seguono a Così parlò Zarathustra sono da Nietzsche dedicati all’analisi della morale. Questa riflessione porta inizialmente il filosofo a mettere in discussione ogni morale, nichilismo, poi a proporre una nuova concezione, presente sopratutto negli appunti degli ultimi anni, che sarebbero dovuti confluire nell’opera progettata con il titolo di Volontà di potenza, ma che Nietzsche non porterà mai a compimento.
Il tema dominante di questa fase del pensiero di Nietzsche é la trasvalutazione di tutti i valori, l’inversione dei valori tradizionali, che hanno origine con Socrate e con il cristianesimo, per il  filosofo bene é ciò che mortifica l’uomo (come la rassegnazione, l’umiltà, la rinuncia alla fisicità e ai piaceri del corpo) e il male é ciò che lo potenzia e lo esalta. In realtà Nietzsche non propone nuovi valori, ma un nuovo modo di concepire i valori, negando non soltanto la morale socratica e cristiana, ma il concetto stesso di morale. Nella sua opera del 1886, intitolata Al di là del bene e del male, il filosofo conduce una aspra critica alla modernità, come afferma in Ecce homo, spazia dall’analisi della morale alla critica delle certezze scientifiche. In quest’opera Nietzsche rielabora e generalizza la contrapposizione tra dionisiaco e apollineo, per teorizzare l’opposizione tra morale dei signori e morale degli schiavi. Nella morale degli schiavi predomina la rassegnazione, la passività e la rinuncia, mentre nella morale dei signori la gioia di vivere, la forza e l’intraprendenza. Nietzsche sostiene che la morale degli schiavi consiste nell’ubbidire a norme date dall’esterno, mentre quella dei signori nel creare valori, nel fatto che l’individuo stesso é il fondamento della morale.
Il termine nichilismo, o nihilismo, (dal latino nihil, nulla), é stato usato a partire dal XVIII secolo per designare, con spesso con intenti polemici, atteggiamenti di negazione dei valori condivisi.
Il nichilismo é uno dei temi centrali della filosofia di Nietzsche, anche se assume nelle sue opere, e in particolare negli scritti per la progettata Volontà di potenza, sfumature di significati che sfuggono a una definizione univoca. In generale Nietzsche usa il termine con due significati diversi, uno negativo e uno positivo. Nel senso negativo il termine nichilismo rappresenta la negazione della vita, propria del cristianesimo e di ogni filosofia trascendente, in quanto tali filosofie affermano l’esistenza di un mondo di là dal mondo e negano il mondo reale, la vita e la naturalità.
Nietzsche usa il termine nichilismo in riferimento alla crisi dei valori, allo sconvolgimento causato dalla metafora della morte di Dio. Di fronte a questo evento, alla negazione dei valori storici, la reazione immediata é il nichilismo passivo, cioè un senso di vuoto e di smarrimento, un’angoscia che si traduce in rassegnazione e inattività. Nietzsche parla a questo proposito anche di nichilismo come stato psicologico, cioè la crisi delle categorie solitamente usare per dare valore al mondo (fine, unità, essere) e che danno l’impressione che il mondo sia privo di valore.
Nietzsche condanna il nichilismo passivo ed esorta al nichilismo attivo che caratterizza la gran parte della sua filosofia, usandolo con significato positivo: egli esorta alla demistificazione cosciente e intenzionale di tutti i valori, non allo scopo di negare il mondo e la vita, ma di creare la libertà per crearne di nuovi. L’approdo a un nichilismo inteso in questo modo rappresenta non soltanto la negazione di ogni significato già dato, ma la negazione dell’esigenza stessa di un significato e di un valore, poiché l’oltreuomo é colui che crea da se stesso significati e valori.
L’origine della morale e le sue conseguenze vengono analizzate in modo approfondito nella Genealogia della morale del 1887, opera che, a differenza della maggior parte delle precedenti, non é composta da aforismi, ma sviluppa un discorso unitario, articolato in tre dissertazioni.
Le prime due prendono in esame i fondamenti della morale, rispettivamente le nozioni di buono e malvagio e di buono e cattivo, e i concetti di colpa e cattiva coscienza; la terza prende in considerazione gli ideali ascetici in tutte le loro forme. La critica di Nietzsche é rivolta qui alla morale come tale, non a ciò che é buono o cattivo in particolare, ma alla legittimità stessa di questi concetti e delle distinzioni che implicano. Secondo tale concezione il termine cattivo indica tutto ciò che è debolezza, impotenza e rinuncia; il termine malvagio, invece, è ciò che la morale dei deboli, storicamente dominante, ha considerato tale, e dunque, in realtà, indica i valori vitali e positivi. Infatti per Nietzsche la morale ha ridotto la competizione e il rischio propri dell’esistenza, ma allo stesso tempo ha soffocato la vitalità dell’individuo.
Anche in questo scritto ritorna, ancora più rimarcata, la contrapposizione tra la morale dei signori e la morale degli schiavi: attualmente per Nietzsche domina la seconda, affermata da Socrate e dal cristianesimo. A causa della loro debolezza gli schiavi hanno condannato e represso gli istinti vitali, impedendone la libera manifestazione, e hanno istituzionalizzato questa repressione che é diventata l’atteggiamento dominante in ogni uomo.
Nietzsche afferma che in tal modo si è imposta nel tempo la morale del risentimento, in quanto la morale in generale avrebbe origine dalla repressione degli istinti vitali e aggressivi; l’aggressività non potendo esprimersi all’esterno, si rivolge quindi verso l’interno e crea una disposizione a produrre valori e significati compensativi. Questo processo reattivo, come lo definisce Nietzsche, si associa a sentimenti antivitali, di impotenza, di colpa, la cui radice è la scissione dell’uomo che rivolge i propri istinti contro se stesso. La via d’uscita proposta da Nietzsche è un recupero degli istinti vitali per dare senso al mondo. Il limite della morale degli schiavi è quello di non potersi giustificare per se stessa, in quanto essa deve sempre rinviare ad altro, fondarsi non sull’uomo, ma sul trascendente, su Dio. La morale dei signori si fonda invece su valori vitali, quindi sul recupero degli istinti non più indirizzati contro l’individuo, ma rivolti all’esterno. Il mondo non ha in sé nessun valore ed è compito dell’uomo conferirglielo, in quanto una morale nuova non può che essere fondata sull’uomo nella sua integralità. Questa concezione, approfondita da Nietzsche nei suoi ultimi scritti, é denominata volontà di potenza.
Nietzsche si fa interprete della crisi di fine secolo: la fiducia nei valori assoluti, che a partire da Platone avevano costituito un mondo trascendente e assoluto, un mondo dietro il mondo, é venuta meno e ha condotto alla crisi dei valori in generale, al nichilismo, alla negazione di senso del mondo. Secondo Nietzsche questo atteggiamento, che definisce passivo e reattivo, é da respingere perché da esso derivano rinuncia e odio per la vita. Nietzsche propone invece un nichilismo attivo che coinvolga anche l’ambito conoscitivo: egli mette infatti in discussione sia le nozioni di verità oggettiva e la legittimità di concetti come soggetto e oggetto, sia i valori in ambito pratico, propri della filosofia occidentale, come tutte le certezze in ambito teoretico. Si arriva così a un nichilismo radicale che coinvolge in eguale misura sia la morale, che la scienza.
Per Nietzsche la prima forma di nichilismo ha il limite di portare a una perdita di fiducia nei valori tradizionali senza riuscire però a superare l’idea che il mondo debba avere comunque un senso in sé. Da tutto ciò deriva un’impressione di mancanza e di vuoto che genera un atteggiamento di rinuncia. La negazione di un qualsiasi valore del mondo in sé porta invece a un nichilismo attivo, perché consente di considerare se stessi come il fondamento di ogni valore: il mondo, per Nietzsche, non ha un senso, é l’uomo, diventato oltreuomo, il singolo individuo, che deve darglielo.

La volontà di potenza.

Il nichilismo attivo é la premessa della volontà di potenza, espressione dell’oltreuomo. Il riferimento agli istinti e alle passioni naturali è ricorrente nella filosofia di Nietzsche. Egli nega che la coscienza sia più importante della corporeità e sostiene anzi che storicamente la coscienza é nata perché l’uomo non ha potuto sfogare verso l’esterno la propria aggressività e l’ha rivolta verso di sé. Secondo Nietzsche é necessario quindi invertire il rapporto tra corpo e coscienza e dare maggiore importanza al primo. Lo sviluppo della coscienza, con i significati negativi che il filosofo le attribuisce, ha reso però improponibile un puro e semplice recupero della naturalità, in quanto rappresenterebbe una regressione verso la condizione animale. L’uomo deve, al contrario, progredire verso l’oltreuomo. In questo passaggio realizzerebbe un recupero degli istinti unito alla coscienza, o meglio un superamento della coscienza per poter ritornare agli istinti. In tal modo si conserva così la prospettiva di valori propri della coscienza, ma tale prospettiva é però centrata sull’individuo e sulla sua naturalità recuperata. L’oltreuomo sceglie consapevolmente di seguire i propri istinti e assume come unico criterio e come mezzo per la propria felicità l’aumento della propria potenza vitale, cioè la sua volontà di potenza.
Tuttavia la teoria della volontà di potenza non può dirsi organica e compiuta: Nietzsche ne traccia le linee generali, ma non in modo lineare e coerente, e spesso con oscillazioni e contraddizioni che ne rendono molto complessa l’interpretazione. Il concetto di volontà di potenza risulta essere molto ampio e risente dell’influenza dell’evoluzionismo di Darwin. La volontà di potenza é una forza naturale presente in tutti gli esseri viventi, é l’impulso irrazionale e istintivo a espandere il proprio essere e, in questo senso, é proprio anche degli animali: il leone che mangia la gazzella afferma la propria volontà di potenza, la volontà di accrescere se stesso e la propria energia, anche se a danno di un altro essere. La volontà di potenza per Nietzsche sostituisce completamente la morale, che é soltanto un inganno, una condizione storica. Il comportamento di ogni essere può venir spiegato in termini di volontà di potenza, di affermazione di sé, di potenziamento della propria energia vitale.
Nell’uomo questa pulsione non può più realizzarsi in modo naturale, ma si scontra con la morale, che tiene a freno questo impulso, che impone all’uomo una sorta di volontà d’impotenza, trasformando in valori ciò che è contrario a questa volontà di affermazione di sé: la rassegnazione, l’umiltà, la debolezza e la sofferenza. Al tempo stesso la vitalità, la forza, il corpo, gli istinti, in una parola tutto ciò che é legato alla volontà di potenza, viene condannato. In generale la volontà di potenza si oppone alla morale nel suo complesso, rivalutando gli impulsi naturali contro le scelte razionali. L’uomo, secondo Nietzsche, non agisce per realizzare dei fini, ma per accrescere il proprio essere, la propria energia vitale. La volontà di potenza nell’uomo é il rifiuto di accettare un senso del mondo dato dall’esterno, da un’autorità, qualunque essa sia, affinché l’individuo sia capace di essere egli stesso fonte di significati.
A partire dalla nozione di volontà di potenza, Nietzsche elabora negli ultimi anni una concezione nota come prospettivismo, secondo cui ogni individuo é punto di riferimento e origine di valori, in quanto esprime una prospettiva particolare sul mondo. Secondo questa concezione il mondo non ha un significato univoco e oggettivo, bensì una molteplicità di significati, diversi per ogni individuo, inteso come un centro di forza indipendente. La volontà di potenza non é dunque soltanto affermazione del vitalismo nel senso di un recupero degli istinti e della naturalità, ma più in generale é un rifiuto di significati già assegnati, di ogni fede, in ambito sia morale, che conoscitivo. La conoscenza deve essere ricondotta a una pluralità di prospettive e di interpretazioni ed é perciò produzione e creazione continua. Se il soggetto impersonale é stato nella storia della filosofia il presupposto per una conoscenza universale e oggettiva, indipendente dai singoli individui e valida in sé, secondo Nietzsche invece il significato del mondo é dato dal soggetto individuale. Inoltre la conoscenza, in quanto ricondotta al singolo, non ha valenza solamente teoretica, ma dipende anche dalla volontà e dalle passioni. Infine la prospettiva con cui si guarda il mondo varia per l’individuo stesso, a seconda dei suoi stati d’animo, dei diversi momenti, di come egli è. Questa pluralità di prospettive non é tuttavia fonte di errore, poiché il vero e il falso non esistono, ma piuttosto arricchisce di significato la conoscenza stessa. La nozione di obiettività dovrà avere dunque un nuovo significato: l’obiettività della conoscenza comporta per Nietzsche la facoltà di combinare e scombinare il nostro pro e contro, facendo buon uso proprio delle diversità delle prospettive e delle nostre interpretazioni affettive. Alla luce di questa interpretazione la volontà di potenza non é la semplice affermazione dell’istintività, ma il recupero dell’individuo come totalità, come riappropriazione del proprio essere naturale e di ciò che la morale aveva represso. Per l’oltreuomo la volontà di trasvalutazione, cioè l’inversione di tutti i valori è una affermazione della volontà di potenza contro ogni morale. I concetti di volontà di potenza e di oltreuomo daranno il via ad una serie di interpretazioni che segneranno il destino politico di Nietzsche nella prima metà del secolo.
Tra l’ottobre del 1887 e l’estate del 1888 Nietzsche inizia a organizzare gli scritti di quel periodo e alcuni inediti intorno al progetto di un’opera che avrebbe dovuto intitolarsi appunto Volontà di potenza e della quale traccia più volte l’indice. Dopo aver accumulato scritti preparatori e schemi, nell’agosto del 1888 egli rinuncia alla realizzazione di un’unica opera, utilizzando invece gran parte di questo materiale per la stesura di una serie di saggi, raccolti sotto il titolo di Trasvalutazione di tutti i valori, che in origine era stato pensato come sottotitolo della Volontà di potenza.
Il primo volume di questa raccolta di saggi é L’anticristo, seguito da Il crepuscolo degli idoli, Il caso Wagner ed Ecce homo. L’anticristo, dal sottotitolo Maledizione del cristianesimo, è una lunga invettiva contro il cristianesimo, responsabile dell’inversione storica dei valori, cioè di aver esaltato la morale della rinuncia e del risentimento contro quella della vitalità, degli istinti e della gioia. Si conclude con la condanna senza appello e presenta in appendice una Legge contro il cristianesimo, in cui la storia sacra viene definita maledetta e che auspica una società in cui i preti siano banditi.
Con Il Crepuscolo degli idoli, che ha come sottotitolo Come si filosofa con il martello, si teorizza la distruzione di ciò che sino ad ora è stata chiamata verità, cioè non solo delle idee religiose, ma anche della scienza e del pensiero moderno. I frammenti della Volontà di potenza non compresi nelle ultime opere, insieme ad altri inediti, vengono pubblicati nel 1906, quindi dopo la morte di Nietzsche, a cura della sorella Elisabeth Foster Nietzsche che introduce nel testo, con funzione di raccordo, numerosi brani non scritti da Nietzsche, con il risultato di modificarne notevolmente il significato complessivo. In questa veste, ampiamente rimaneggiata, la Volontà di potenza diventa uno dei riferimenti teorici del nazismo, che riconosce nel superuomo l’espressione del mito della razza superiore. Secondo l’interpretazione oggi più accreditata, la volontà di potenza ha il significato di un recupero degli istinti, finalizzato a superare la scissione che ha dato origine alla morale del risentimento. Mentre nella morale del risentimento l’individuo reprime i propri istinti e gli impulsi vitali, condannandosi a essere debole e incompleto, con la volontà di potenza egli afferma la pienezza del proprio essere naturale e persegue tutto ciò che lo accresce e lo rafforza.
In potenza significa dare al mondo il proprio significato ed esprimere nel mondo se stessi. Secondo Nietzsche è un dire di sì alla vita in ogni suo aspetto, anche nel dolore, perché il principio che guida l’esistenza non é il piacere, né la felicità, ma l’accrescimento della propria forza vitale. La morale, ogni morale, ha come punto di riferimento un mondo vero, oggettivo, dotato di un proprio senso. La volontà di potenza è negazione di un mondo esistente di per sé, affinché l’uomo stesso diventi senso del mondo.

Le principali interpretazioni della volontà di potenza.

La volontà di potenza é frutto di un lavoro di sistemazione di appunti di Nietzsche compiuto dalla sorella con l’aiuto di Peter Gast, discepolo del filosofo, che si occupa di copiare gli inediti utilizzati.

L’opera risulta suddivisa in quattro libri:

 Il nichilismo europeo;

 Critica dei valori supremi finora riconosciuti;

 Principio di una nuova posizione di valori;

 Disciplina e selezione.

Il primo libro ripercorre le diverse forme di nichilismo nella storia del pensiero, da quello cristiano che nega valore al mondo, a quello negativo che nega il valore e la morale in sé. Il socialismo é assimilato al cristianesimo, in quanto filosofia che dice no alla vita. Il secondo libro è una critica alla morale nell’ottica di una trasvalutazione di tutti i valori. La critica della morale si estende a quella della verità in generale, con un richiamo positivo al filosofo greco Pirrone, fondatore dello scetticismo antico, e allo scetticismo in generale, che ha per Nietzsche il grande merito di non impigrire l’intelletto mediante la volontà. Nel terzo libro viene teorizzata la volontà di potenza, che in ambito conoscitivo significa per l’individuo dare una propria interpretazione della realtà, indipendentemente da ogni verità già data e che in ambito morale significa dare il proprio senso al mondo, senza cercare in esso, né tanto meno nel trascendente, un significato già dato.
Il quarto libro è quello più continuativo e inquietante e forse quello in cui le manipolazioni della sorella sono più marcate. Nietzsche afferma una netta distinzione tra uomini superiori e inferiori, dicendo che quest’ultimi non hanno il diritto di vivere. Gli uomini superiori sono stati finora un caso fortunato, bisogna invece incominciare a volerli e a educarli, in modo tale che diventino la norma. Come Nietzsche afferma anche nell’Anticristo, l’uomo superiore deve diventare qualcosa di voluto. Dioniso, come simbolo del dire sì alla vita e dell’uomo superiore, è contrapposto al Crocifisso, simbolo della negazione della vita, dell’umiltà e della rassegnazione, cioè del contrario della volontà di potenza.
Il primo dei tre corsi che Heidegger dedica a Nietzsche tra il 1936 e il 1940, ha come titolo Nietzsche. La volontà di potenza, e il terzo si intitola La dottrina nietzscheana della volontà di potenza come conoscenza; fra questi il secondo corso del 1937 è dedicato all’eterno ritorno dell’uguale. Questi corsi, insieme ad altri materiali, sono riuniti in un testo unico, Nietzsche, che sarà pubblicato nel 1961. Per Heidegger nella volontà di potenza è la risposta alla domanda sull’ente. Questa domanda è il cuore dell’ontologia così come è andata delineandosi nella filosofia occidentale da Cartesio in poi, la quale infatti ha focalizzato il proprio interesse non sull’essere, ma sull’ente, cioè sul soggetto che lo pensa. Per Heidegger la volontà di potenza deve essere messa in relazione con la teoria dell’eterno ritorno, che ha il significato di pensare l’ente come tempo.
Heidegger prende le mosse dai significati di volontà di potenza dati dai curatori dell’omonimo volume, che costituiscono i capitoli in cui è suddiviso il quarto libro, seguendo le indicazioni di Nietzsche. Nei quattro capitoli la volontà di potenza è definita come conoscenza, come potenza della natura, come società e individuo e come arte. Heidegger muove dall’ultima definizione, la volontà di potenza come arte. Per sostenere la sua tesi, Heidegger si richiama a numerosi frammenti che illustrano le caratteristiche dell’artista. L’arte è creatività, è produrre ciò che non esisteva; tale creazione avviene, dal punto di vista dell’artista, senza nessuna imposizione di oggettività (nella concezione estetica di Nietzsche l’artista non è legato a qualcosa che deve ri-produrre, ma è un creatore); l’arte rappresenta le sensazioni, cioè il mondo così come è visto dal soggetto; l’arte infine esprime l’unica verità possibile, quella legata alla trasformazione del mondo dal nostro punto di vista, contro la verità intesa come rispecchiamento di una realtà già data, indipendentemente dal soggetto. Nietzsche mette dunque in relazione la creazione artistica con l’ebbrezza, che è lo stato dionisiaco di esaltazione e di potenziamento della forza vitale, di superamento dei propri limiti come individuo. In riferimento al terzo libro dell’opera di Nietzsche, in cui la volontà di potenza viene definita come principio di una nuova posizione di valori, il filosofo afferma che se la volontà di potenza rappresenta il fondamento e il potenziamento della vita, l’accrescimento della forza vitale, allora i valori sono ciò che favorisce il potenziamento (inteso in senso biologico, quasi fisiologico), della vita; e ciò che favorisce tutto ciò è appunto la creatività, la capacità di dare il proprio il proprio significato al mondo, propria quindi del filosofo-artista, del filosofo come creatore della realtà. Heidegger rilegge la storia della filosofia come storia dell’essere, sulla base di due domande alle quali la filosofia dovrebbe dare una risposta: la domanda-guida e la domanda fondamentale. La domanda-guida della filosofia è cos’è l’ente (dove con il termine ente si intende ciò che esiste, compreso il soggetto che si pone la domanda), quella fondamentale, invece, è che cos’è l’essere, dove l’essere è il fondamento dell’esistente. Secondo Heidegger, Nietzsche alla prima domanda risponde che l’ente è volontà di potenza, ma nella sua filosofia, come in tutta la metafisica occidentale, non si trova risposta alla seconda domanda.
Su un versante diametralmente opposto si colloca l’interpretazione del filosofo francese Gilles Deleuze (1925-1995), che, a differenza di Heidegger, non vede nella volontà di potenza di Nietzsche l’ultimo anello della metafisica occidentale, ma il recupero della vita al di là di ogni riflessione astratta o addirittura ascetico-filosofica, come è ad esempio a suo avviso quella idealistica. Nietzsche, secondo Deleuze, invita a mettere tra parentesi la metafisica per tornare alla vita nella sua pienezza. Alla base della vita c’è la forza, l’impulso verso l’accrescimento in tutti i sensi e la volontà di potenza è l’elemento genealogico della forza. Tuttavia la vita è composta da più forze; quella connessa alla volontà di potenza è la forza attiva a cui si contrappongono le forze reattive, che agiscono contro l’individuo, producendo senso di colpa, cattiva coscienza, morale del risentimento. Il problema dei valori viene quindi ricondotto al contrasto tra forze attive, legate al potenziamento di sé e quindi alla volontà di potenza, e forze reattive, legate alla limitazione, alla restrizione delle manifestazioni istintive e vitali. Deleuze interpreta la volontà di potenza in senso biologico, ma all’opposto della teoria darwiniana della selezione naturale perché, come scrive Nietzsche nel Crepuscolo degli dei, storicamente sono proprio i deboli, grazie al loro numero, a imporsi sui forti, tanto che i meno adatti alla sopravvivenza diventano socialmente dominanti.

Nietzsche e la cultura del Novecento.

Alle interpretazioni naziste del pensiero di Nietzsche si contrappongono negli stessi anni quelle classiche di Jaspers e soprattutto di Heidegger, che definisce Nietzsche “l’ultimo metafisico dell’Occidente”. Heidegger interpreta infatti la sua filosofia come una metafisica, nella quale la volontà di potenza definisce l’essere, risolvendolo però nell’ente e quindi rappresentando al tempo stesso il superamento della metafisica, e l’eterno ritorno la modalità in cui l’essere si dà.
Nel dopoguerra si tenta di operare una separazione netta tra la filosofia di Nietzsche e l’interpretazione strumentale che ne ha dato il nazismo. La nuova edizione critica, curata da Karl Schechta (1954-19569, ha il pregio di presentare gli scritti utilizzati per la composizione postuma della Volontà di potenza nella loro successione originale, eliminando gli interventi di contenuto e di struttura operati dalla sorella. Al di là delle diverse interpretazioni del suo pensiero, Nietzsche ha avuto un’influenza diretta su importanti figure del Novecento. Sigmund Freud riconosce l’analogia fra alcune sue tesi e quelle di Nietzsche, nonostante dichiari di essere pervenuto a concetti simili a quelli nietzscheani, in particolare quello di Es, prima di conoscerne le opere. Se l’originalità del pensiero di Freud è fuori di dubbio, essa mostra comunque ampie linee di convergenza con quello di Nietzsche: dalla considerazione che la preistoria dell’umanità è in qualche modo inscritta nell’inconscio, all’importanza della pulsione istintuale come base dell’agire umano. Nietzsche ha individuato, anche se in modo meno definito rispetto a Freud, anche i processi di rimozione e di sublimazione, cogliendone il legame con l’istinto sessuale.
Numerosi e importanti sono i riferimenti a Nietzsche in letteratura. Nel romanzo Le vergini delle roccie del 1895, Gabriele d’Annunzio rilegge con profondi fraintendimenti la figura nietzscheana di Ubermensch, costruendovi il mito del superomismo. L’apologia dell’oltreuomo diventa in d’Annunzio la teorizzazione di una classe superiore, privilegiata, che ha il diritto-dovere di dominare e guidare le masse o, come ama dire, il gregge. Meno diretta, ma non meno importante, è l’influenza di Nietzsche su Thomas Mann, la cui produzione giovanile è direttamente ispirata a Nietzsche. Anche nelle opere maggiori i riferimenti al filosofo sono rilevanti: la crisi della civiltà e dei valori descritta nella Montagna incantata del 1924 ripropone temi nietzscheani; Adrian Leverkuhn, il protagonista del Doctor Faustus, 1947, presenta anche riferimenti biografici alla vita del pensatore.
Nietzsche esercita un’influenza anche sulla musica, che egli considera, sia durante l’amicizia con Wagner, sia successivamente, l’arte per eccellenza. Nietzsche stesso è stato un compositore, anche se con scarsa fortuna. Nel 1896 Richard Strauss (1864-1949) compone il poema sinfonico Così parlò Zarathustra; qualche anno dopo sia Strauss, sia Gustav Mahler (1860-1911) musicano Il canto della notte, tratto dalla seconda parte di Così parlò Zarathustra; infine ancora Mahler inserisce nella sua Terza sinfonia un brano intitolato La mia gaia scienza.