Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 11
Introduzione alla filosofia come sistema.
Hegel concepisce la propria filosofia come sistema: tutte le opere successive alla Fenomenologia, dalla Scienza della Logica ai Lineamenti della filosofia del diritto, vengono infatti presentate da Hegel quali partizioni del proprio sistema filosofico che verrà esposto in forma completa nell'Enciclopedia delle Scienze filosofiche. Ciò dimostra che l'esposizione sistematica è parte integrante del pensiero hegeliano.
La realtà è per Hegel la ragione che diventa mondo, l'Idea, intesa come razionalità o pensiero puri, che diviene natura e poi, in quanto consapevole di sé, cioè Spirito. L'intero processo di sviluppo dell'Idea è dialettico e si snoda seguendo il consueto sviluppo triadico o di tesi, antitesi e sintesi.
Il primo momento è definito da Hegel come in-sé e rappresenta la logica della realtà, l'articolazione interna del pensiero che non è ancora mondo; il secondo è l'altro-da-sé, il per-sé, momento della negazione di sé che vede il superamento del pensiero e il suo diventare mondo; l'ultimo momento è dato dall'in-sé e per-sé, che è dato dalla riappropriazione del momento positivo con tutta la ricchezza del negativo e del suo superamento, dove si ha il ritorno all'in-sé, ma questa volta dotato di consapevolezza. Nello sviluppo dell'Idea questi tre momenti sono la Logica (Idea in-sé), la Natura (Idea fuori-di-sé o per-sé), e lo Spirito (Idea in sé e per-sé).
La logica.
La scienza della logica viene pubblicata in tre volumi separati durante il periodo in cui Hegel insegna presso il ginnasio di Norimberga. Il primo volume, pubblicato nel 1812, contiene la dottrina dell'essere, il secondo volume, pubblicato l'anno successivo, contiene la dottrina dell'essenza, il terzo, pubblicato nel 1816, la dottrina del concetto. L'ultimo volume precede di appena un anno la pubblicazione dell'Enciclopedia delle scienze filosofiche, dove la Logica viene posizionata nella prima parte del sistema. A differenza della connotazione della logica di Kant, dove la logica era la scienza che studiava le leggi del pensiero dell'uomo e quindi del suo modo di conoscere il mondo sganciata da ogni contenuto di realtà, per Hegel invece pensiero e mondo si identificano, in quanto il reale è lo sviluppo del razionale, e quindi dell'Idea, nel mondo. La logica quindi per Hegel è anche metafisica, in quanto essa non esprime soltanto il nostro modo di pensare e di conoscere il mondo, ma anche il modo stesso di essere della realtà. In tale connotazione, la logica di Hegel si avvicina molto più alla logica come veniva concepita da Aristotele, che considerava la realtà del pensiero come avente le stesse modalità di funzionamento delle leggi della realtà, considerando anche Aristotele la logica come un'importante partizione dell'ontologia e della metafisica, in quanto l'essere e i suoi predicati stanno alla base sia della logica e sia della realtà. Per Hegel la logica è essenzialmente dialettica: essa infatti coglie l'essere come processo, dove la verità non risiede nei singoli momenti, ma nell'intero. Nella dialettica infatti ogni singola determinazione astratta e finita dell'oggetto viene negata e superata, ma viene anche mantenuta e conservata, così che nella sintesi si ha la riunificazione di tutte le determinazioni astratte in un'unica totalità. Secondo Hegel questa è l'unica strada che permette all'uomo di ricostruire l'oggetto nelle sua totalità dei predicati che ad esso possono essergli attribuiti, attraverso un processo che è, allo stesso tempo, processo di pensiero e processo della realtà delle cose. Pensiero e realtà non sono quindi statici, ma dinamici, e vengono analizzati da Hegel mediante la riproposizione dello sviluppo dialettico in forma triadica che ha usato anche nelle parti precedenti:
- il momento intellettivo-astratto, in cui la realtà della singola cosa viene considerata nelle caratteristiche particolari dello stato presente, avulsa dalle fasi successive del processo: Hegel sottolinea l'astrattezza di tale momento sia perché viene analizzato in modo separato dagli altri momenti, quindi in modo particolare e unilaterale, e non reale, sia perché appunto non riferito all'intero processo, ma considerato come un momento cristallizzato, dalle caratteristiche fissate nel presente, ma che sacrificano appunto la dinamicità della realtà stessa (ad es. un fiore considerato per se stesso e non in rapporto alle sue trasformazioni nel corso del tempo, o in riferimento alla pianta di cui fa parte);
- il momento dialettico, o negativo-razionale, in cui la singola realtà viene negata proprio nella sua staticità per rendere possibile il divenire della realtà e poter esaminare le trasformazioni che la singola realtà affronta quotidianamente. Il superamento o «Aufhebung», che assume per Hegel il duplice significato di togliere e di conservare, rappresenta infatti non soltanto la pura negazione della realtà precedentemente affermata, ma la sua realizzazione più compiuta: il primo momento, il fiore, viene sì negato, ma per essere poi arricchito nel momento successivo del suo negativo, che aggiunge il divenire alla staticità della singola realtà esaminata in precedenza. Il fiore viene così ad es. negato, ma viene poi riaffermato nel suo divenire frutto;
- il momento speculativo, o positivo-razionale, in cui vengono riaffermati i primi due momenti che vengono però riuniti al processo complessivo che li comprende entrambi e di cui rappresentano momenti distinti (ad es. il fiore e il frutto riferiti ad un'unica pianta che li contiene entrambi e che li qualifica). Il termine speculativo per Hegel assume il significato di ciò che è realmente esistente e concreto, in quanto la realtà non può essere data dai singoli momenti, isolati dalla totalità dell'intero processo e, proprio per questo motivo considerati astratti da Hegel, cioè slegati rispetto alla realtà.
Il primo momento, quello intellettivo-astratto, è proprio della logica tradizionale, ma anche della logica trascendentale di Kant. La prospettiva dialettica di Hegel è radicalmente diversa. Mentre per Kant il momento intellettivo-astratto costituisce l'analisi delle caratteristiche del reale così come il pensiero umano lo coglie, Hegel invece non concepisce il momento negativo come pura negazione o assenza di caratteristiche determinate, come Kant, ma come una negazione determinata, cioè come negazione di ogni caratteristica finita e limitata della singola realtà, considerata appunto astratta, in quanto incompleta e bisognosa dei momenti successivi per completarsi mediante il divenire del processo dialettico che, riunendo i singoli aspetti dell'oggetto, li ripresenta in modo concreto e reale, collegati cioè alla totalità della realtà esistente.
La dottrina dell'essere e i suoi momenti: qualità, quantità e misura.
La prima parte della Logica è dedicata all'esame della dottrina dell'essere, definita da Hegel come la scienza che studia l'essere in quanto tale, privo di determinazioni. Hegel introduce il discorso sulla logica ponendosi il problema da che punto debba iniziare la scienza: poiché la logica è l'Idea che si è già sviluppata ed è divenuta mondo, il filosofo è chiamato ad analizzare un processo che si è già compiuto. Hegel presenta la logica come sviluppo del risultato a cui si era pervenuti con la Fenomenologia: nella Fenomenologia, infatti, Hegel era partito dalla coscienza empirica per ricostruire lo sviluppo del sapere umano, cioè lo sviluppo dello Spirito. Il punto di arrivo della Fenomenologia era il passaggio dalla coscienza comune a quella filosofica, cioè all'apprendimento di un modo filosofico di guardare il reale e il compito della logica è ora quello di spogliare il reale di ogni contenuto specifico allo scopo di analizzare l'essere in quanto tale, privo di qualsiasi determinazione. Hegel sottolinea lo stretto legame esistente tra la Fenomenologia e la Logica: se la prima permette l'apprendimento del metodo filosofico, cioè la coscienza deve elevarsi facendo proprio il modo di vedere il mondo proprio della filosofia, mentre la logica rappresenta la conoscenza della struttura razionale del mondo, che inizia quando la coscienza raggiunge tale consapevolezza. La coscienza, divenuta ormai ragione, ha imparato a conoscere la realtà dal punto di vista dell'universalità, spogliandosi della propria soggettività. Ora, liberatasi dai contenuti di pensiero che ha sperimentato come singolo soggetto e che non sono altro che opinioni e riflessioni soggettive, la coscienza deve indagare soltanto il reale, cioè ciò che gli sta dinanzi. L'obiettivo sarà quindi quello di ricercare il sapere puro, senza determinazioni, cui corrisponderà, quale oggetto del conoscere, l'essere privo di qualsiasi determinazione, cioè l'essere puro. Il problema del cominciamento della logica sarà appunto questo: partendo dall'essere, privo di determinazioni, che rischia però di coincidere con il non essere, cioè con il nulla parmenideo, in quanto non si può predicare nulla di un essere non determinato perché equivarrebbe a dargli qualche determinazione, è necessario giungere alla sintesi tra essere, tesi, e non essere, antitesi, per giungere al superamento di tale dualismo, rappresentato dal divenire, che permette di giustificare il continuo passaggio dall'essere al non essere, che rappresenta la struttura logica fondamentale della realtà intesa in termini dialettici. Grazie alla mediazione dialettica del divenire, il dualismo tra essere e nulla viene così superato attraverso la tripartizione dialettica dei tre momenti: qualità, quantità e misura.
Nel primo momento, quello della qualità, la coscienza coglie della realtà degli oggetti le sole qualità sensibili che, in quanto colte mediante la sensazione, rappresentano determinazioni astratte e troppo soggettive per poter rappresentare l'universalità del sapere puro.
Nel secondo momento, quello della quantità, la coscienza passa ad osservare gli aspetti quantitativi della realtà degli oggetti, meno soggettiva e legata al particolare delle sensazioni, rappresenta la negazione delle qualità particolari: ma anche la quantità, in quanto molteplicità di determinazioni dell'oggetto, rappresentano un livello meno astratto, ma pur sempre ancora insoddisfacente, di sapere universale che, unico, è in grado di rappresentare adeguatamente il percorso dell'Idea universale. Ecco perché è necessario per Hegel giungere ad una sintesi tra qualità e quantità, cioè giungere alla misura che unifica tutte le diverse determinazioni degli oggetti, rendendoli meno astratti e più universali, permettendo di superare la superficialità dei giudizi soggettivi per arrivare ad un livello più oggettivo ed universale. Ma l'indagine del puro essere, cioè dell'esistente, non è certo sufficiente ed esaustiva nel permettere alla coscienza di staccarsi dalla semplice conoscenza astratta e sensoriale e giungere ad una comprensione piena del reale: la realtà, in quanto espressione razionale del sapere universale e quindi dell'Idea, non può assolutamente esaurirsi nell'analisi dell'essere privo di determinazioni, ma necessita di un ulteriore momento dialettico di sviluppo della processualità dell'Idea e cioè la sua antitesi, intesa come dottrina dell'essenza. Poiché la realtà non è data né dal puro esistente, ne tanto meno dalla sola apparenza fenomenica dei singoli oggetti, l'essenza, intesa come intima natura dell'essere, rappresenta la negazione e, ad un tempo, il completamento dell'essere privo di determinazioni.
La dottrina dell'essenza e i suoi momenti: essenza come ragione dell'esistenza, fenomeno e realtà in atto.
Se l'indagine del puro essere rappresenta il primo livello di indagine del pensiero, necessario eppur non sufficiente, il procedere dell'indagine si sposta all'analisi della dottrina dell'essenza. Lo stesso Aristotele aveva chiarito in modo efficace come materia e forma rappresentino le due facce complementari di una stessa realtà, in cui l'una non può esistere senza l'altra, profondamente legate vicendevolmente a costituire la sostanza, cioè il modo d'essere della realtà, in grado di declinare l'essere e il divenire, la materia e la forma costitutive dei singoli esseri. Hegel riprende tali presupposti chiarendo che la dottrina dell'essenza studia il rapporto tra essenza e fenomeno e definisce l'essenza come l'insieme delle sue manifestazioni. Aristotele aveva identificato la forma di un essere e la sua essenza, intesa come la sua intima natura, mentre Kant aveva distinto tra fenomeno, ciò che dell'oggetto appare ai nostri sensi, e il noumeno, ciò che rappresenta l'intima natura di quell'oggetto, e che all'uomo appare come inconoscibile e imperscrutabile. Hegel tuttavia, a differenza di Kant e sulla scia di Aristotele che ne aveva sottolineato il legame indissolubile, non considera però essenza e fenomeno come due realtà contrapposte e tra loro inconciliabili, ma anzi afferma che esse coincidono poiché l'essenza è data dall'insieme delle sue manifestazioni, cioè di tutti i fenomeni: infatti ciò che la cosa è, è data dall'insieme delle sue determinazioni nel loro svolgimento (ad es. Socrate è diverso da come mi appare ora (fenomeno), e quindi si può dire che Socrate ha un'essenza aldilà dell'apparenza, ma la totalità delle sue manifestazioni, cioè lo sviluppo di tutta la sua esistenza, coinciderebbe con ciò che realmente è, cioè con la sua essenza).
Infatti il metodo dialettico definisce contemporaneamente la realtà come essenza e come apparenza. L'essenza per Hegel non si identifica con un singolo aspetto o momento dell'oggetto, il fiore piuttosto che il frutto, ma è data in modo dialettico dall'insieme dei suoi momenti, ognuno dei quali nega gli altri. Hegel critica quindi i principi della logica classica di identità e di non contraddizione: egli spiega infatti la contraddizione ricorrendo all'esempio del magnetismo e all'esistenza di polarità contrapposte, definendo il principio di contraddizione con l'affermazione «tutte le cose sono in se stesse contraddittorie».
Per poter superare tale contraddizione l'essenza deve diventare i suoi momenti e riconoscerli poi come propri. L'essenza si riconosce quindi nel fenomeno e si definisce come tale, distinguendosi dal puro esistere. In questo modo Hegel ritiene di poter superare anche la tradizionale contrapposizione tra materia (le qualità delle cose, i singoli accidenti) e la forma (la realtà della cosa, la sua vera essenza): l'essenza coincide così con tutti i suoi momenti, i suoi fenomeni, intesa quale processo che li comprende tutti. La realtà in atto è quindi data dall'unione di essenza e fenomeni. Questa unità è però mediata, data cioè dalla relazione dei fenomeni, intesi come parti e momenti singoli, con la totalità che costituisce il reale in quanto tale.
Dalla tesi, cioè dall'essenza intesa come ragione dell'esistenza, cioè come essenza o forma astratta e senza alcuna materia determinata, all'antitesi, rappresentata dal puro fenomeno, si giunge alla sintesi, rappresentata dalla realtà in atto, costituita dall'universale concreto, l'essenza, e dalla materia, o fenomeno, dando così vita alla realtà nella sua completezza.
Ma finora la logica ha esaminato l'essere e l'essenza come momenti distinti della realtà, individuandola come particolarità astratta, l'essere, e come universalità astratta, l'essenza, ma esse devono ricostituirsi in modo dialettico a costituire una realtà compiuta, dice Hegel, che non è solo particolare di singole qualità o determinazioni delle cose, ne tanto meno è data da una nozione universale si, ma astratta, di cosa in sé: ecco perché Hegel ritiene fondamentale un terzo momento dialettico, la sintesi, rappresentato dalla dottrina del concetto.
La dottrina del concetto e i suoi momenti: concetto soggettivo, oggetto e idea.
È proprio grazie alla dottrina del concetto che indaga il rapporto tra l'esistente e l'universale che supera l'analisi dell'organizzazione interna del singolo esistente e il suo rapporto con gli altri. Il rapporto tra esistente e universale viene analizzato sopratutto nel primo momento del concetto soggettivo, che si articola a sua volta nei tre momenti di concetto, giudizio e sillogismo. Nel passaggio dal reale al concetto l'individuo scopre la propria vera realtà, in quanto si riconosce simile agli altri individui della sua stessa classe, quelli che appartengono allo stesso concetto: tale rapporto offre al singolo la possibilità di sentirsi parte di una totalità. Attraverso il concetto, ogni individuo trova sé nell'altro, si pone nei confronti dell'altro in una posizione di reciprocità, realizzando se stesso in una dimensione metaindividuale, cioè spirituale, in grado di liberarlo dalle determinazioni dell'essere finito, dandogli la dimensione dell'universalitá.
Se, per esempio, consideriamo l'individuo Socrate, egli, in quanto essenza, è l'essere delle sue manifestazioni, ma sviluppando le determinazioni di Socrate, lo definiamo come uomo, che è il suo concetto. Rispetto a Socrate come individuo, l'uomo si pone però come alterità, in quanto Socrate non esaurisce le determinazioni del concetto di «uomo».
Pensare a Socrate come un individuo a se stante, cioè come esistente di per sé, non è completa come definizione se non si tiene conto che soltanto riconoscendosi nell'identità con altri uomini, diversi da lui, ma pur sempre uomini come lui, che si percepisce come un uomo tra tanti, partecipe della stessa umanità che caratterizza i propri simili. È così che il concetto, l'uomo in generale, rivela la sua esistenza solamente nella misura in cui si sviluppa e si riconosce nella totalità dei singoli uomini: è proprio nel riconoscere le proprie caratteristiche generali negli altri uomini, nel rispecchiamento della propria sostanza, ritrovandola nella realtà dell'altro. Ma l'unione di particolare e universale nel concetto è pur sempre ancora troppo astratta e limitata, in quanto non ha alcuna ricaduta sulla realtà, ma è soltanto un pensiero generale: ecco perché diventa necessario passare dal primo momento del concetto, all'antitesi, cioè al giudizio. Nel giudizio, infatti, il particolare diventa universale, nella misura in cui ci permette di stabilire tra soggetto e predicato una relazione dinamica di identità, mediante l'uso della copula o «e» come congiunzione tra i due termini (ad es. Socrate è un uomo, mette in relazione un individuo particolare, Socrate in questo caso, e la totalità rappresentata dal concetto di umanità, dove la copula mette in relazione il particolare con l'universale). Ma Aristotele ha ben delineato i vantaggi, ma anche gli svantaggi, dei giudizi: si tratta di affermazioni sulla realtà che tentano di generalizzare conoscenze particolari, ma che non necessariamente sono garanzia di validità logica e di veridicità scientifica. Ecco perché la contrapposizione di concetti e di giudizi deve essere necessariamente superata e mediata nel terzo momento, quello del sillogismo, che lo stesso Aristotele aveva indicato quale strumento ideale sia del ragionamento umano, sia della conoscenza scientifica universale. Ed è proprio grazie al sillogismo che, secondo Hegel, matura il passaggio dal concetto soggettivo al concetto oggettivo, garantendo l'unione del particolare con l'universale. Hegel però non si riferisce al sillogismo classico aristotelico, per lui incapace di esprimere la mediazione dialettica in modo adeguato, ma soltanto in modo apparente e vuoto; Hegel infatti considera il sillogismo classico come non produttivo perché pone delle relazioni in modo arbitrario, senza dimostrarle o scoprirle nella realtà.
Secondo Hegel utilizzando il sillogismo classico ci si limita ad esprimere in modo formale ciò che già si conosce, senza ottenere però nuove conoscenze. Il sillogismo costituisce per Hegel la struttura stessa del reale, in quanto ogni aspetto della realtà è un sillogismo attuato, poiché attraverso il sillogismo l'universale diventa individuale e l'individuale diventa universale: in questo modo ogni singola cosa esce dalla propria finitezza e si congiunge all'universale. In questo modo la logica formale diventa logica dell'oggetto, o meglio concetto oggettivato, cioè la costruzione della realtà con i propri contenuti, anche se soltanto ancora pensata e non realmente attuata. Secondo Hegel il mondo risulta così essere una serie di sillogismi e l'intero sviluppo dell'Assoluto (Idea, Natura e Spirito), è il sillogismo che li ricomprende tutti, ciò che Hegel chiama il «circolo dei circoli».
Si passa così dal concetto soggettivo a quello oggettivo che costituisce il secondo movimento dialettico, l'antitesi, del concetto: esso infatti rappresenta la struttura logica della realtà fisica e si suddivide in meccanismo, chimismo e teleologia.
Questi tre ulteriori momenti rappresentano tre diversi modi di pensare l'esistente e altrettante modalità di organizzazione dell'esistente stesso, visto che per Hegel la logica si identifica con l'ontologia. Meccanismo, chimismo e teleologia indicano quindi i tre possibili modi di esistere della realtà, ma anche i diversi tipi di casualità in grado di spiegarla: il meccanismo rimanda infatti al meccanicismo, cioè all'azione di un elemento su di un altro; il chimismo all'interazione di forze naturali in grado di produrre nuove realtà; il teleologismo si riferisce invece alle cause finali e alla spiegazione della realtà sulla base degli scopi e delle intenzioni. Il teleologismo o finalismo è la causalità propria degli organismi e rimanda al momento successivo della logica, quello proprio della vita e dell'Idea. Nel concetto oggettivo Hegel riprende la stessa tripartizione presentata da Schelling nella Fisica Speculativa, sottolineando anch'egli, come Schelling, la gradualità della progressione della razionalità e della coscienza, sino ad arrivare agli organismi e quindi all'uomo.
Con l'esaurirsi dello sviluppo del concetto oggettivo, il particolare, rappresentato dal concetto soggettivo, e l'universale, rappresentato dal concetto oggettivo, devono rispettivamente riconoscersi e fondersi in una mediazione dialettica più completa e reciproca: soltanto l'Idea, in quanto sviluppo del pensiero nella realtà, dell'identità di reale e ideale, rappresenta l'anello di congiunzione tra le due realtà che, per Hegel, sono soltanto aspetti diversi e complementari di una stessa realtà che è frutto del sapere umano, ma che cela al suo interno la razionalità del pensiero oggettivata, calata nell'esistente: ecco perché reale ed esistente devono essere necessariamente ricomporsi ed essere riconoscibili come percorso verso il sapere assoluto.
L'Idea è la struttura portante e dinamica dell'esistente e si realizza come vita, come conoscenza e come Idea assoluta, che costituiscono rispettivamente i tre momenti dialettici dell'idea. Dapprima l'idea si realizza nella vita, come anima in un corpo e come rapporto tra il particolare, l'individuo, e l'universale, il genere. Dalla tesi, che implica la vita, si passa necessariamente all'antitesi, cioè al conoscere, in quanto l'attività conoscitiva dell'uomo riunifica il soggettivo e l'oggettivo, sia grazie all'attività teoretica, dove il pensiero accoglie in sé l'esistente, sia grazie all'attività pratica, che impone l'interiorità del singolo individuo, cioè la sua attività morale nel mondo. Tale unificazione tra particolare e universale deve però essere completata nell'ultima mediazione dialettica, la sintesi dell'idea, cioè quella dell'Idea assoluta, che deve potersi riconoscere nella razionalità e nell'ordine logico dell'essere sin qui esaminato. Con tale passaggio la struttura logica intesa quale progetto dell'esistenza, è completato e l'Idea è ora pronta ad uscire da sé e a spazializzarsi, per diventare mondo. Con l'alienazione dell'Idea che si oggettivizza nel reale si conclude la parte della Logica, cioè dell'Idea in sé, della tesi astratta, per passare alla seconda parte del sistema, cioè all'antitesi della Natura che prelude allo sviluppo dello Spirito.
La nozione di idea a confronto: da Kant a Hegel.
Nella logica Hegel presenta la sintesi dei diversi momenti del concetto: dal concetto soggettivo, che comprende il concetto interamente sviluppato nella sua universalità, e il concetto oggettivo, cioè il concetto nelle sue determinazioni reali e nell'esistenza esterna che si è dato. La logica rappresenta quindi identità di pensiero e realtà, è contemporaneamente verità e Assoluto. Hegel riconduce l'intero sistema filosofico all'Idea: come in-sé è la Logica, come fuori-di-sé è la Natura, come in-sé e per-sé è Idea autocosciente, cioè Spirito. L'insieme di questi tre momenti costituisce l'Assoluto. In questa prospettiva l'Assoluto, cioè lo sviluppo complessivo dell'Idea, è coincidenza del vero e del certo, quindi della razionalità dell'essere e della razionalità della conoscenza. Per capire il ruolo centrale che l'Idea assume nella filosofia hegeliana, è necessario fare riferimento al concetto di idea in Kant. Per Kant soltanto il concetto ha un ruolo conoscitivo in senso proprio, poiché determina la realtà. Nella dialettica trascendentale l'Idea veniva invece considerata come una falsa conoscenza, o meglio una pretesa della ragione di oltrepassare i limiti dell'esperienza. Le idee di Mondo, Anima e Dio si erano dimostrate infatti illegittime dal punto di vista teoretico, nella Critica della Ragion Pura, mantenendo soltanto un valore regolativo della conoscenza, finalizzate a garantirne una maggiore integrazione. Dal punto di vista pratico, cioè morale, nella Critica della Ragion Pratica, tali idee venivano da Kant parzialmente recuperate come postulati della ragion pratica, cioè l'anima immortale e Dio. Hegel ritiene invece di aver superato i problemi della filosofia kantiana grazie alla concezione dialettica della realtà. Il concetto, come tradizionalmente inteso, quale funzione dell'intelletto, offre una conoscenza cristallizzata e astratta della realtà, fermandosi alle singole determinazioni unilaterali e, come tale, trova spazio nel primo momento della dialettica, ma si nega nell'antitesi, cioè nel secondo momento, quello del giudizio. Analizzando nel suo insieme l'intero sviluppo dialettico, le varie determinazioni singole risultano essere superate e proprio questo processo dinamico costituisce l'Idea, la cui funzione conoscitiva, e ontologica, risulta essere il fondamento della nozione di Assoluto.