Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 24
Contesto storico-sociale.
Nietzsche muore nel 1900, dopo un decennio in cui la pazzia gli impedisce qualsiasi produzione filosofica. Egli vive quindi nel XIX secolo, per quanto il suo pensiero venga considerato rappresentativo delle problematiche e delle dinamiche che caratterizzano la filosofia del Novecento. Il filosofo stesso si definirà in seguito come un figlio prematuro del nuovo secolo imminente e il suo pensiero è in effetti l’espressione filosofica più rilevante della complessa crisi che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, rimette in discussione le certezze e i valori che erano stati dominanti sino a quel momento. In ambito socio-economico la fine del XIX secolo vive la cosiddetta “seconda rivoluzione industriale” che è caratterizzata da un duplice processo: da un lato si assiste a un poderoso sviluppo tecnologico, con lo sfruttamento di nuove forme di energia, come il petrolio e l’elettricità, il motore a scoppio, l’invenzione della radio e del telegrafo, del cinematografo, ecc.; dall’altro lato si verifica la prima grande crisi di sovrapproduzione del capitalismo ottocentesco. Il periodo di depressione economica, che durerà dal 1873 al 1893 circa, è dovuto a un aumento di produzione non compensato da una crescita adeguata del mercato. In seguito alle difficoltà economiche vengono messi in discussione i principi del liberismo tradizionale: il sistema della libera concorrenza viene abbandonato con la formazione di grandi concentrazioni monopolistiche e lo Stato interviene in misura sempre maggiore nell’economia sia esercitando un controllo diretto su alcuni settori produttivi, sia mettendo in atto un protezionismo doganale finalizzato a difendere la produzione interna dalla concorrenza estera.
Inoltre la crisi economica e sociale mette in discussione i grandi miti del Positivismo: il progresso e la scienza. Il modello scientifico, basato sulla fiducia nel dato e nell’esperienza intesa in termini oggettivi, dal significato chiaro e univoco, viene sostituita in matematica e fisica da paradigmi più articolati: le geometrie non euclidee che si diffondono durante l’Ottocento e le discussioni e scoperte di fine secolo preparano la strada alla teoria della relatività e a quella dei quanti. A tali processi si accompagna la ridefinizione dei valori morali che anticipa la riscoperta e l’analisi degli aspetti istintivi e irrazionali intesi quali basi dell’agire dell’uomo. All’interno di tale quadro generale si colloca la riflessione filosofica di Nietzsche che si farà promotore di una sistematica inversione dei valori, proponendo una nuova concezione dell’uomo e anticipando alcuni importanti concetti freudiani.
Premessa introduttiva.
La filosofia di Nietzsche è importante quindi per la critica radicale alle certezze, sia morali, sia scientifiche. In particolare egli critica da un lato il Positivismo, dall’altro la morale cristiana. La fine delle certezze che, per millenni, l’uomo non aveva mai messo in discussione, viene espressa da Nietzsche con la metafora della morte di Dio, ucciso dagli uomini. La morte di Dio significa il venir meno di qualsiasi punto di riferimento: l’uomo è solo nell’universo e, per essere all’altezza di ciò che ha compiuto e delle sue conseguenze, deve farsi egli stesso Dio, deve diventare egli stesso creatore di valori, dato che ormai non può più riceverli dall’esterno.
Secondo Nietzsche, l’uomo deve andare oltre sé stesso, diventare “oltreuomo”. Si può definire come oltreuomo l’uomo che non trova più il senso del mondo nel mondo stesso o in Dio, ma dà egli stesso significato al mondo. Il concetto di oltreuomo è strettamente legato alla teoria dell’eterno ritorno dell’uguale: Nietzsche afferma che se viviamo nella convinzione che ogni nostro atto tornerà infinite volte, sempre uguale, per l’eternità, per poter accettare questa prospettiva, dobbiamo dare a ogni istante della nostra vita il nostro significato, riconoscerlo come nostro e come voluto.
La critica alla morale cristiana porta il rifiuto della morale in quanto tale, cioè il nichilismo. Secondo Nietzsche è necessario dunque un rovesciamento, una trasvalutazione di tutti i valori, condannando ciò che è stato considerato “buono” come debole, fiacco e inibitore dell’azione, e ciò che è stato considerato come “malvagio” come forte, attivo e creatore.
Nietzsche vuole sostituire tutti gli scopi etici con il concetto di “volontà di potenza”: tutti gli organismi viventi agiscono per accrescere la propria potenza, intesa come vitalità fisica. Anche l’uomo, al di là dei motivi che può sostenere, agisce per soddisfare questa tendenza naturale: non per la morale, non per i valori, ma soltanto per aumentare la propria potenza vitale: solo chi è capace di liberarsi dai condizionamenti della morale e di agire secondo la propria volontà di potenza può definirsi oltreuomo. Per tutti questi motivi, insieme a Freud, Nietzsche fa parte dei cosiddetti “filosofi del sospetto” cioè di coloro che, smantellando progressivamente l’ipocrisia delle pseudo-certezze, tipiche della cultura borghese occidentale, ne mette in evidenza i limiti e le debolezze allo scopo di delineare un universo di valori e di conoscenze nuovo e destabilizzante per la cultura dell’epoca, come farà del resto anche Freud sviluppando il concetto di inconscio. Entrambi questi filosofi con il loro pensiero imprimono alla filosofia, ma non solo, un’accelerazione ideologica da cui le società occidentali non potranno più tornare indietro e che muteranno in modo radicale ogni aspetto culturale, scientifico e ideologico del proprio tempo: un punto di svolta quindi e di non ritorno, ricco di nuovi apporti ideologici, ma anche foriero di quella crisi di valori e ideologie che la classe borghese aveva tanto faticosamente costruito nei secoli precedenti.
Vita e opere.
Nato il 15 Ottobre del 1844 a Rocken, un villaggio vicino a Lipsia, dopo gli studi ginnasiali, Nietzsche frequenta per due anni i corsi di teologia e di filologia all’università di Bonn, poi continua gli studi di filologia classica presso l’università di Lipsia. La lettura di Schopenhauer lo avvicina alla filosofia. Nel 1868 conosce il compositore Richard Wagner con il quale nasce uno stretto legame che durerà alcuni anni. A Basilea, dove dal 1869 ricopre la cattedra di filologia classica, compone il saggio La nascita della tragedia dallo spirito della musica del 1872.
Tra il 1873 e il 1876 scrive le quattro Considerazioni inattuali, su David Strauss, nel 1873, Sull’utilità e il danno degli studi storici per la vita, su Schopenhauer come educatore, del 1874, e infine su Wagner, intitolata Richard Wagner a Bayreuth, del 1876.
Con la pubblicazione della prima parte di Umano, troppo umano, nel maggio del 1878, inizia quello che dai critici è stato definito il “periodo illuministico” di Nietzsche, caratterizzato da una critica radicale dei valori morali e delle certezze scientifiche del Positivismo. Appartengono a questo periodo Aurora del 1881 e La gaia scienza del 1882.
Nel 1879 lascia l’insegnamento all’università. Negli anni immediatamente successivi, Nietzsche scrive la sua opera più nota, Così parlò Zarathustra (1883-1885), che rappresenta l’atto di fondazione di una nuova filosofia. Negli scritti posteriori, Al di là del bene e del male del 1886 e la Genealogia della morale del 1887, la demistificazione dei valori morali diventa sistematica, sino a condurre a quella “trasvalutazione di tutti i valori” che avrebbe dovuto trovare compiuta espressione in un’opera, La volontà di potenza, che tuttavia Nietzsche non riesce a portare a termine. Degli ultimi scritti Il crepuscolo degli idoli è del 1888. L’Anticristo e l’autobiografia, cioè Ecce homo, usciranno postumi. Fra il 1888 e il 1889, Nietzsche risiede a Torino, dove agli inizi del 1889 è colto dalla crisi di follia da cui non riuscirà più a riprendersi. Trascorre gli anni successivi in stato di semicoscienza, affidato prima alle cure della madre, poi a quelle della sorella, Elisabeth Forster Nietzsche. Muore a Weimar nell’agosto del 1900.
La demistificazione della conoscenza e della morale: il dionisiaco e la storia.
Al centro dei primi saggi di Nietzsche è il problema della genesi storica della morale e dei valori, un tema che caratterizzerà anche molte delle altre opere successive. Nel saggio La nascita della tragedia dallo spirito della musica, Nietzsche coniuga la sua formazione di filologo con la ricerca filosofica. Secondo il filosofo la cultura dell’Occidente ha creato un’immagine idealizzata della grecità, fatta di equilibrio e di controllo delle passioni, identificandola con l’Atene di Pericle, dei Sofisti e di Socrate, ma in realtà Nietzsche sottolinea che, accanto ad una visione del mondo caratterizzata dalla misura, dalla moderazione e dalla serenità, esiste anche un’altra tradizione, quella orfico-dionisiaca, che ne rappresenta l’aspetto nascosto, vitale e inquietante della grecità e che emerge in alcuni miti e rituali orgiastici: per Nietzsche non si comprende davvero il mondo greco se non si tiene conto di queste due anime esistenti nella cultura greca.
Questi due elementi dello spirito greco, distinti e tra loro contrapposti, ma in continuo rapporto tra loro, vengono definiti rispettivamente “apollineo” e “dionisiaco”. Il primo aspetto, l’apollineo, è caratterizzato da una visione del mondo fondata sulla ragione e sull’autocontrollo, ma anche sulla repressione del piacere, degli istinti, della vitalità e della naturalità; il secondo aspetto, il dionisiaco, al contrario, è l’esaltazione dell’entusiasmo per la vita, fino all’ebbrezza e all’orgia, rappresentando la liberazione dell’uomo naturale capace di godere del proprio corpo e del contatto con la natura, ma è anche la manifestazione di forze istintive e distruttive.
Nietzsche afferma quindi che lo spirito apollineo è armonia, proporzione ed equilibrio. In arte si esprime in prevalenza nelle forme dell’architettura e della scultura, che sono più di ogni altra forma artistica fondate sui valori di stabilità, simmetria e rigore. Il filosofo afferma inoltre che segue la via di Apollo colui che privilegia il pensiero speculativo e razionale, chi elabora teorie fondate sulle nozioni di misura, di significato e di rappresentazione.
Lo spirito dionisiaco, invece, è eccessivo, irruente e coinvolgente, in definitiva “vitale” perché strettamente connesso alle pulsioni legate agli istinti. In arte si esprime prevalentemente nelle forme della musica e della danza. Segue la via di Dioniso, secondo Nietzsche, chi privilegia l’aderenza ai ritmi della natura e della vita rispetto ai ritmi dettati dalla razionalità, chi esalta l’energia, la giovinezza, la salute e la passione. Nel suo celebre dipinto, intitolato La danza, il pittore francese Henri Matisse (1869/1954) riprende il tema della danza scomposta e disarticolata delle menadi, che nell’antica Grecia caratterizzava i riti dionisiaci. La danza orgiastica esprime un’incredibile energia vitale e si svolge a livello cosmico, mettendo letteralmente il mondo sotto i piedi, in quanto il pittore rappresenta la Terra come incurvata dal peso dei corpi dei danzatori.
Secondo Nietzsche, apollineo e dionisiaco rappresentano due diversi aspetti dell’animo umano che nella classicità greca hanno trovato una sintesi nella tragedia dove, alla razionalità apollinea della trama e dei personaggi, si affianca l’elemento dionisiaco rappresentato dal coro e dalla musica. Lo stesso Aristotele, nella sua Poetica, esalta la funzione catartica, cioè purificatrice, della tragedia che induce lo spettatore a purificarsi delle proprie passioni egoistiche mediante l’immedesimazione con i sentimenti e le vicende dei personaggi rappresentati sulla scena. Nell’antichità del periodo classico ateniese lo Stato era talmente convinto della funzione educativa e morale che le rappresentazioni tragiche avevano sui cittadini, da rendere obbligatoria per tutti i cittadini la partecipazione ad esse, arrivando a pagare l’ingresso al teatro per i cittadini meno abbienti.
Secondo Nietzsche l’equilibrio fra apollineo e dionisiaco, espresso nella tragedia, si è rotto con Socrate e con la sua filosofia. Socrate, secondo il filosofo, ha la colpa di aver inaugurato una filosofia responsabile della repressione degli istinti vitali a vantaggio di una morale dell’autocontrollo e della limitazione di sé: la repressione, che ha posto l’uomo in contrasto con se stesso, determinando così la nascita della morale, ha avviato una tradizione di pensiero che, nella cultura occidentale, verrà confermata e perpetuata dal cristianesimo.
Secondo Nietzsche il limite maggiore della morale socratica è di essere una morale della rinuncia e, in particolare, della rinuncia da parte dell’uomo alla propria naturalità e all’affermazione di sé.
Per Nietzsche nell’Ottocento questa concezione è stata riaffermata e rinforzata dalle filosofie che, come quella hegeliana, hanno operato una sorta di divinizzazione della storia, concependola come un processo razionale e necessario in cui l’uomo cessa di avere un ruolo, poiché ogni evento si inserisce all’interno di una catena di eventi già predeterminata. Tra il 1873 e il 1876, Nietzsche pubblica le quattro Considerazioni inattuali, il cui titolo sottolinea l’obiettivo del filosofo di contrapporsi in modo netto alla cultura prevalente della sua epoca e dei suoi contemporanei. La seconda Considerazione, intitolata Sull’utilità e il danno della storia per la vita, scritta nel 1873 e pubblicata a Basilea l’anno successivo, tratta tre diverse tipologie di storia: la storia critica, quella antiquaria e quella monumentale. Secondo Nietzsche ciascuno di questi modi di studiare la storia può essere utile alla vita ma, se utilizzato in maniera non corretta, o si determini “un eccesso di storia” allora si avrà come conseguenza che “la vita intristisce e degera” per usare le stesse parole del filosofo. La storiografia critica, cioè l’atteggiamento di critica verso il passato, è utile nella misura in cui consente di riconoscere i limiti e gli errori del passato, ma può essere negativa se impedisce di cogliere i legami che esistono nel presente attuale con il passato, in quanti gli eventi che caratterizzano il presente risultano totalmente sganciati da quelli precedenti e, quindi, all’uomo del presente del tutto incomprensibili e privi di significato. All’opposto la storiografia antiquaria, cioè l’amore verso il passato, ha il merito di conservare questi legami tra passato e presente, alimentando un senso di fedeltà verso le proprie radici ma, se in eccesso, può indurre a una sterile venerazione del passato che si traduce in un rifiuto di qualsiasi cambiamento nel presente. La storiografia monumentale, invece, è quella che del passato recupera le grandi imprese, gli eroi e i successi, ma è anch’essa di significato ambivalente a seconda di come viene usata: se può fornire esempi diversi di una grandezza che si è già realizzata, ma che è ancora possibile replicare in modo nuovo, cioè se stimola gli uomini del presente a compiere nuovi passi di grandezza e di progresso, allora il suo significato è da intendersi come positivo, ma se favorisce una semplice mitizzazione del passato, allora può inibire qualsiasi iniziativa umana nel presente, oppure scadere nella temerarietà e nel fanatismo. Secondo Nietzsche, nell’epoca moderna, la sintesi tra il pensiero socratico, lo storicismo di impronta idealistica e il Positivismo, hanno forgiato una concezione della storia in cui il divenire storico si snoda in modo necessario e l’uomo è diventato una sorta di spettatore passivo che può conoscere la storia, ma non modificarla a proprio piacimento. La storiografia critica può evitare il rischio dell’eccesso di storia ed evitare una paralisi dell’azione, in quanto può utilizzare il passato come strumento per progettare il cambiamento. Secondo Nietzsche il maggiore responsabile di questo processo di divinizzazione della storia contro l’affermazione della vita e contro l’iniziativa dell’individuo, è appunto Hegel. Secondo il filosofo le conseguenze negative della concezione hegeliana della storia sono principalmente due: da una parte il presente viene concepito come il risultato necessario del passato e pertanto agli uomini non è possibile apportare nessuna trasformazione che essi possano volere; dall’altro il passato viene interpretato come finalizzato e indirizzato al presente e quindi privo di un proprio significato. Nietzsche si schiera contro questa concezione paralizzante della storia, sostenendo che la vita abbia bisogno di “oblio” e di un certo grado di incoscienza, cioè della possibilità di riaffermare il possibile e di poter progettare il futuro.
La chimica della morale.
La critica a una storiografia che nega la vita in nome di una razionalità astratta procede in parallelo all’analisi dei presupposti e della genesi della morale e dei valori che la fondano. A partire da Umano, troppo umano del 1878, proseguendo poi con La gaia scienza del 1882, fino alla Genealogia della morale del 1887 e alle opere degli ultimi anni, Nietzsche sottopone le certezze dell’Occidente all’esame della “scuola del sospetto”. Questa celebre definizione è del filosofo francese Paul Ricoeur e si riferisce a un passo dello stesso Nietzsche che dice: “I miei scritti sono stati chiamati una scuola di sospetto e ancor più di disprezzo” (Umano , troppo umano, p. 3).
Con questa frase Ricoeur fa riferimento alle filosofie che individuano dietro alle scelte e ai comportamenti morali motivi diversi da quelli dichiarati: per Marx, ad esempio, i motivi reali sono quelli socio-economici, per Freud sono le pulsioni inconsce. Questa demistificazione della morale, cioè questo smascheramento della morale, rende il pensiero di Nietzsche una filosofia della crisi che Lukàcs, altro filosofo del Novecento, accomuna al pensiero di Schopenhauer e di Kierkegaard in quanto espressione dell’irrazionalismo ottocentesco. Tuttavia se è comunque vero che il pensiero di Nietzsche, come quello degli altri filosofi menzionati, analizza gli aspetti irrazionali dell’uomo, lo fa per individuare nell’irrazionalità l’origine nascosta della razionalità cosciente. E‘ appunto questa l’operazione che il filosofo definisce come “chimica della morale” che consiste nella scomposizione dei valori nelle loro componenti più elementari, che sono spesso istintuali ed egoistiche.
In tal senso Nietzsche anticipa alcuni aspetti che saranno approfonditi in seguito da Freud, tanto è vero che alcuni degli aforismi di Umano, troppo umano, che richiamano da vicino gli aforismi di Eraclito, sia per forma sintetica e sia spesso per i significati di difficile interpretazione, hanno un chiaro significato psicanalitico. Nietzsche stesso, d’altronde, è il primo a utilizzare il termine “Es” per indicare l’inconscio che sarà una nozione centrale nel pensiero di Freud. Nelle opere degli anni 1878/1887, Nietzsche ripercorre l’origine e la storia dei valori e dei sentimenti per individuarne, al di là della loro apparente santità, il carattere ”umano, troppo umano”. Riguardo a tali scritti, molti critici hanno parlato di un periodo illuministico della produzione filosofica di Nietzsche: non soltanto egli dedica l’opera Umano, troppo umano a Voltaire, ma sottopone, come del resto gli illuministi, i valori secolari al vaglio dissacrante della ragione; inoltre il suo pensiero risulta essere influenzato anche dal Positivismo nella misura in cui propone un’interpretazione della morale secondo i parametri dell’evoluzionismo, dove la morale diventa uno strumento di adattamento all’ambiente che favorisce l’autoconservazione. Ma se Illuminismo e Positivismo puntano tutto sul binomio razionalità e verità, Nietzsche preferisce sottolineare l’importanza della vita individuale dell’uomo: la ragione è per il filosofo importante solo nella misura in cui si concilia con l’impulso vitale, nonostante la ragione, se enfatizzata, contiene anche il pericolo di reprimere gli impulsi vitali. Tutto ciò è appunto avvenuto, secondo Nietzsche, con il prevalere dell’apollineo sul dionisiaco, dove la ragione diventa negazione della vita. La conclusione a cui Nietzsche giunge non è però pessimistica: se è sicuramente vero che la morale rappresenta il risultato di egoismi e istinti sublimati e che l’uomo ne è condizionato in modo passivo, tutto ciò dipende dal razionalismo socratico, reo di aver fatto prevalere le esigenze della morale sulla vita. L’uomo deve dunque, come nell’antica tragedia greca, recuperare i propri impulsi vitali, il dionisiaco, e riuscire a conciliarlo con la razionalità, coniugando saggezza e innocenza, ponendo la morale non contro la vita, ma al servizio della vita. La critica di Nietzsche alle certezze storiche non riguarda soltanto i valori morali, ma anche la conoscenza. Secondo il filosofo infatti anche gli strumenti conoscitivi che noi usiamo per costruire la nostra immagine del mondo hanno origini dai nostri istinti e sono per la maggior parte inconsce. L’analisi dell’origine di ciò che l’uomo considera la propria conoscenza del mondo che lo circonda, già importante in Umano, troppo umano, diventa centrale ne La gaia scienza, in cui Nietzsche critica anche la certezza degli assiomi generali della logica, indagandone l’origine. Per Nietzsche la logica, e in generale la scienza, non produce una vera conoscenza del mondo, ma semplicemente una sua interpretazione. Questa interpretazione va considerata nelle sue conseguenze pratiche, in quanto anch’essa si fonda su dei valori che devono essere sottoposti a critica radicale, come quelli della morale, affinché possano essere superati. Ad esempio la stessa nozione di identità, che noi usiamo quotidianamente, non è strettamente applicabile all’esperienza, perché due cose esistenti non sono mai completamente identiche, ma l’uomo ha la tendenza, del tutto illogica, di considerare uguali cose soltanto simili allo scopo di poterle classificare e reagire ad entrambe nello stesso modo onde favorire il proprio adattamento all’ambiente in cui vive. La scienza, quindi, per Nietzsche non rappresenta qualcosa di intrinsecamente vero, bensì un valore in cui si è arrivati a credere. Questa credenza è determinata e connotata storicamente e ciò comporta la negazione di ogni criterio di oggettività e di ogni pretesa di verità. Nietzsche contesta così alla radice i principi del Positivismo circa la possibilità dell’uomo di poter accertare dati che siano fondati oggettivamente, o di poter affermare una verità di qualunque tipo che sia universalmente valida. Secondo il filosofo tutte queste certezze altro non sono che una forma di adattamento al proprio ambiente, nel senso che gli assiomi e i postulati su cui la scienza si basa, ci consentono soltanto un’interazione con il mondo che la nostra esperienza ha giudicato più efficace di altre. La conoscenza si traduce così in prassi e non si differenzia in modo sostanziale dalla morale: entrambe, scienza e morale, rappresentano esclusivamente sistemi storicamente validi di adattamento all’ambiente, ma senza alcuna pretesa né di certezza oggettiva, né di universalità o di razionalità. Così come aveva sostenuto Hume, il filosofo empirista inglese, che morale e conoscenza altro non erano che i risultati delle aspettative dell’uomo, sviluppate e consolidate mediante l’abitudine, che l’uomo usa per attribuire un significato univoco al mondo e alla propria esperienza allo scopo di orientarsi nelle varie situazioni di vita quotidiana, ma senza alcuna pretesa di scientificità oggettiva o di valori razionalmente fondati e verificabili, riconducibili invece all’esperienza soggettiva del mondo, così anche Nietzsche sottolinea come tali credenze, sviluppate mediante le nostre esperienze con l’ambiente, abbiano esclusivamente una connotazione soggettiva e adattiva, priva di qualsiasi valenza che non sia convenzionale e storicamente connotata: il suggerimento intrinseco di Nietzsche é che morale e scienza siano credenze frutto di una certa epoca e non di un’altra e, pertanto, ben lontane da quella pretesa di rigorosità scientifica e morale che l’uomo quotidianamente attribuisce loro. La pretesa della scienza di offrire all’uomo risposte oggettive ed esaustive circa la sua esistenza e il mondo circostante, già messe in dubbio sia da Kant, che da Schopenhauer, con la distinzione tra fenomeno e noumeno, vengono ora ulteriormente raccolte e sviluppate da Nietzsche all’interno di un pensiero irrazionalistico che demolisce in modo integrale qualsiasi aspettativa dell’uomo di risolvere la propria crisi esistenziale affidandosi completamente allo sviluppo scientifico o alle certezze della morale.
La morte di Dio.
L’analisi di Nietzsche non si limita all’esame e alla critica della morale così come si è connotata storicamente, ma pone in discussione l’esistenza di un qualsiasi fondamento della stessa morale, così come della scienza. Nietzsche quindi non si limita a porre in discussione una sola morale, ma la legittimità stessa della morale in quanto tale. La fine di ogni fondamento morale, di ogni significato in qualche modo già assegnato alla vita, viene espresso da Nietzsche con l’immagine della “morte di Dio”. La morte di Dio, e non quindi la non esistenza, equivale alla fine di tutti i valori esistenti e al venire meno di ogni punto di riferimento per poterne stabilirne di nuovi. Allo stesso tempo ciò esalta la responsabilità umana, in quanto gli uomini stessi devono “diventare dei” e trovare in sé il senso della propria vita che nessun punto di riferimento esterno può più dare loro: gli uomini stessi per Nietzsche devono diventare la sorgente di tutti i valori. Per tale motivo nel quinto libro de “La gaia scienza”, aggiunto nel 1887, Nietzsche afferma che l’annuncio della morte di Dio non provoca sgomento all’uomo, ma sollievo, perché gli riapre un mondo di possibilità, segna l’emancipazione dell’uomo che, senza più alcuna guida, non ha altra alternativa che quella di fondare su se stesso un nuovo senso morale. Secondo Nietzsche la nuova responsabilità di cui l’uomo deve farsi carico è espressa nella “teoria dell’eterno ritorno dell’uguale” che costituirà il tema centrale dell’opera “Così parlò Zarathustra”.