mercoledì 20 dicembre 2023

Lezione 10 - Hegel 3: La Fenomenologia dello Spirito.

 Classi 5°A/B/C Linguistico - Lez. 10

 Introduzione alla Fenomenologia dello Spirito.

Hegel inizia la stesura della Fenomenologia dello Spirito nel 1805, concepita come la prima parte del suo sistema filosofico. Dopo diverse rielaborazioni e aver modificato varie volte il titolo dell'opera, nell'ultima stesura, che verrà pubblicata subito dopo la sua morte, nel 1831, presenterà  l'opera con il titolo definitivo.
Con il termine «fenomenologia» Hegel non vuole ricollegarsi al tradizionale significato di fenomeno, coniato da Kant nella sua filosofia, anche perché con la soppressione del noumeno o cosa in se non avrebbe avuto più alcun senso parlare di fenomeni come riferiti ad oggetti esterni al pensiero umano e indipendenti dall'uomo, quanto invece spiegare come la coscienza produca l'esperienza, si tratta cioè di ricostruire come la coscienza si sviluppa mediante l'esperienza. Se il fenomeno indicava in Kant l'insieme delle caratteristiche percepite nella realtà degli oggetti che costituivano la base di ogni conoscenza a priori della realtà, ora è compito della coscienza, partendo dalle manifestazioni storiche del pensiero umano, rinvenire l'Idea che si cela nella realtà storica per riappropriarsi della propria consapevolezza di aver prodotto essa stessa la realtà che percepisce.
Si tratterà, come dice Hegel, di rintracciare lo Spirito nella storia.
L'opera si articola in diversi momenti che ripercorrono lo sviluppo della conoscenza umana, dalla conoscenza dell'oggetto, rappresentata dal momento dialettico della coscienza, alla consapevolezza di sé, che è rappresentato dal secondo movimento dialettico, quello dell'autocoscienza, alla ragione, intesa quale sintesi e superamento del dualismo soggetto-oggetto, nella misura in cui il soggetto ritrova nell'oggetto la propria razionalità. La razionalità che si realizza in una dimensione sociale è lo Spirito che diventa progressivamente consapevole del proprio sviluppo come totalità della realtà. Questo percorso complessivo che deve essere ripercorso dalla coscienza singola, configura un percorso che viene riconosciuto dalla coscienza non come divenire, ma bensì come storia già realizzata e determinata, cioè come memoria.
Nella Fenomenologia si riscontra un duplice movimento: nella prima parte Hegel illustra il cammino che la coscienza compie per giungere alla propria autoconsapevolezza e alla ragione e che riguarda i singoli soggetti; mentre nella seconda parte Hegel descrive lo stesso percorso applicato però al percorso che l'Idea universale compie per divenire Spirito Assoluto. Infatti ogni individuo singolo ripercorre le tappe di consapevolezza dell'Idea nel proprio sviluppo di pensiero. La storia così viene a far parte della coscienza e, nel ripercorrere lo sviluppo dello Spirito, la coscienza diventa autocosciente e consapevole di esserne parte.
La storia, intesa in questo modo, risulta essere un cammino già tracciato, già cristallizzato, dove tutto è già avvenuto. Se la coscienza non è in grado di riconoscere il percorso dello Spirito, tuttavia ne riconosce le forme come figure che ha assunto nella storia, cioè delle realtà che compongono un disegno unitario, riconoscibile e caratterizzato da una propria individualità. Come il periodo storico dell'Illuminismo che rappresenta un insieme di orientamenti di pensiero e di esperienze storiche che compongono una certa realtà a cui diamo quel certo nome, così questa, come altre realtà, conosciute e non più in divenire, rappresentano soltanto un segmento staccato rispetto al continuum storico da cui è stato avulso. Tale segmento, separato dal fluire unico della storia, costituisce appunto una figura ormai cristallizzata che diviene riconoscibile dalla coscienza come un momento fissato nel tempo e non più modificabile dal pensiero dell'uomo. Se è compito della coscienza quello di cogliere le tappe dello Spirito nella storia, è vero anche che essa ritrova se stessa nel divenire storico: soltanto così la coscienza si ricostruisce continuamente, ritrovandosi e riconoscendosi via via a livelli sempre più alti di autoconsapevolezza.
Così come nei romanzi di formazione, tipici dell'epoca, anche la Fenomenologia rappresenta un viaggio della coscienza che ripercorre le tappe che lo Spirito ha già percorso: nella Fenomenologia dello Spirito si ritrova quindi la ricostruzione del pensiero umano e la coscienza del singolo, ripercorrendo tali tappe, diviene consapevole di essere egli stesso parte di questo processo. La coscienza singola si identifica così con l'universale, in quanto ritrova in se stessa gli stessi passaggi che hanno scandito lo sviluppo del sapere universale, cioè dello Spirito. Ogni individuo quindi è il risultato dell'intera evoluzione del sapere nella storia, ma deve poterla ritrovare in sé per ricongiungersi con l'universale. Attraverso la ripetizione successiva dello stesso percorso contenuto nella Fenomenologia, la coscienza assume via via sempre maggiore consapevolezza del divenire storico, comprendendolo con sempre maggiore profondità e vedendola con occhi nuovi. Attraverso tali passaggi mediati e singoli, la coscienza si innalza da coscienza comune a coscienza filosofica.

La coscienza: certezza sensibile, percezione e intelletto.

La coscienza, divenuta da comune a filosofica, ha il compito di indagare l'esistente mediante i tre momenti del movimento dialettico: la certezza sensibile, la percezione e l'intelletto.
Il primo momento, rappresentato dalla certezza sensibile, media il rapporto della coscienza singola con l'esistente, cioè con l'oggetto della conoscenza sensibile che si pone come dato immediato, di cui non sembra possibile dubitare.
Secondo Hegel, infatti, la conoscenza sensibile, indagata mediante un esame attento, non presenta alcun contenuto empirico particolare, ma bensì delle nozioni generali, che sono universali ed astratte. Il fatto che ogni sensazione, per quanto semplice possa essere, sembra presentare delle determinazioni legate in modo immediato alle cose, in realtà per Hegel è dovuta alla superficialità dell'indagine del pensiero umano sulla realtà, poiché ad una analisi più accurata tali determinazioni non sono da attribuirsi alle cose conosciute, ma bensì alle strutture universali di conoscenza del soggetto che conosce: come già aveva messo chiaramente in luce Kant ciò che l'uomo conosce non è la natura essenziale degli oggetti, ma soltanto i propri processi universali di pensiero, i famosi occhiali rosa dalle lenti colorate. Lo stesso Reinhold, portando alle estreme conseguenze il pensiero kantiano, non si poneva più il dubbio se esista una realtà che possieda effettivamente le caratteristiche che noi le attribuiamo, ma che tali caratteristiche rappresentate nella nostra mente, non abbiano alcuna realtà esterna con cui confrontarsi, se non quella delle nostre lenti.
Hegel, riprendendo tale concezione, sostiene che ogni sensazione non possa prescindere da un soggetto senziente e che, quindi, la certezza sensibile non sia ancorata all'oggetto, bensì sia da rapportarsi all'Io del soggetto, al pensiero umano che trasforma il dato di sensazione in un atto percettivo mediante il coinvolgimento del proprio pensiero. Si giunge così al secondo momento, o movimento dialettico, all'antitesi della coscienza, la percezione, dove l'attenzione dell'indagine conoscitiva si sposta dall'oggetto della conoscenza al soggetto che conosce, anche se in forma ancora solo abbozzata.
Nella percezione infatti la coscienza percepisce sia le molteplici qualità degli oggetti, sia la realtà unitaria dell'oggetto stesso che, senza una coscienza in grado di riunificare le varie informazioni sensoriali provenienti da sensi diversi, darebbe vita ad una realtà fenomenica frammentata e priva di significato. Infatti sia l'unità degli oggetti, sia la molteplicità delle sue qualità, acquistano un significato solo se vi è un soggetto che percepisce, nella capacità umana di riunire varie informazioni mediante l'uso dell'intelletto.
La coscienza diviene così consapevole di essere l'unica responsabile della creazione dell'intera realtà mediante il proprio pensiero e tale consapevolezza la porta a riflettere sulle proprie facoltà intellettive quali strutture in grado di unificare la realtà: si giunge così al terzo momento dialettico, quello della sintesi, in cui è proprio l'intelletto, e di conseguenza la centralità del soggetto conoscente, ad essere al centro dell'indagine filosofica della coscienza. Qui il riferimento alla nozione dell'intelletto kantiano è d'obbligo: se per Kant l'intelletto avverte le cose come fenomeni prodotti dall'attività mentale dell'uomo, per Hegel compito dell'intelletto non è soltanto quello di unificare la realtà, ma anche di permettere l'acquisizione della consapevolezza di questa attività, per cui la coscienza non si limita alla conoscenza delle cose, ma alla conoscenza delle capacità conoscitive dell'intelletto umano: tale passaggio rappresenta l'apice della coscienza e prelude all'autocoscienza.

L'autocoscienza: signoria e servitù, stoicismo e scetticismo e coscienza infelice.

Ora, grazie al percorso che la coscienza singola ha compiuto sin qui, essa è avviata a diventare autocoscienza, cioè pienamente consapevole di sé: ma anche tale processo non avviene in modo immediato, ma attraverso diversi momenti dialettici che scandiscono in modo graduale e progressivo tale acquisizione.
La coscienza ora è consapevole di non essere unica e deve confrontarsi con le altre coscienze singole per diventare autocoscienza. Hegel sostiene infatti la necessità che la coscienza singola riconosca se stessa in quanto appartenente ad una realtà più vasta e totalizzante, l'umanità appunto, in quanto soltanto l'umanità nel suo complesso realizza l'idea che diventa consapevole di sé nella storia, cioè lo Spirito. La molteplicità delle coscienze singole si unifica nella nozione di umanità, dove ciascuna coscienza, pur contrapponendosi alle altre in modo dialettico, mantiene la propria autonoma esistenza e indipendenza. Poiché lo Spirito è dato dalla consapevolezza che in ogni coscienza singola è racchiusa l'intera storia dell'umanità, ogni coscienza partecipa contemporaneamente dell'identità collettiva di umanità, intesa come individualità universale, e si realizza inoltre anche come individualità singola che ripercorre nel proprio percorso le stesse tappe compiute dallo Spirito per divenire autoconsapevole di sé.
La coscienza, destata dal suo rapporto con le cose, umanizza se stessa in termini fichtiani, alla ricerca della propria consapevolezza di essere parte di una realtà più vasta e totale, che è data dall'umanità e proprio confrontandosi con la propria umanità che la coscienza comincia a ritrovare la sua vera essenza, la sua libertà. 

Signoria e servitù.

Il rapporto con gli altri, intesi quali coscienze separate, destinate a divenire autocoscienze, e il riconoscimento della loro soggettività, rappresenta il primo momento dell'autocoscienza, la sua tesi, ma anche la prima figura universale dell'autocoscienza.
Dopo l'analisi della conoscenza che occupa la prima parte della Fenomenologia, Hegel affronta l'analisi degli aspetti pratici e morali della vita. Mentre la coscienza conosceva il mondo, l'autocoscienza parziale si riconosce come individualità nel mondo in quanto il momento dialettico dell'autocoscienza è appunto dato dal riconoscimento di sé in quanto individuo.
Se inizialmente gli uomini costituiscono un semplice aggregato indistinto e di genere, inteso in termini naturali, in seguito essi devono diventare Spirito, cioè unione di individualità indipendenti. L'autocoscienza per Hegel presuppone il movimento di separazione e di distinzione dagli altri, ciascuno dei quali riconosce in se stesso un'autocoscienza distinta.
Il confronto tra coscienze inizialmente è di separazione e, quindi, di lotta per la propria sopravvivenza: ciascuna coscienza, nel tentativo di riconoscere se stessa come pura individualità, mette in gioco se stessa e il suo bene naturale più grande, cioè la propria vita; tra le due coscienze in lotta quella che non teme di affrontare il suo momento negativo, la propria morte, riesce ad elevarsi  ad un livello superiore rispetto alla propria naturalità: l'accettazione del proprio momento negativo, la morte, e il confronto con esso, consentono alla coscienza vincitrice di iniziare il proprio percorso verso l'autoconsapevolezza: essa è il signore; l'altra coscienza, che ha rifiutato di rischiare la propria vita, preferendo la vita al riconoscimento di sé, rimane al livello della naturalità, non diviene autocosciente, perché rifiuta di negare se stesso, rinunciando alla propria autodeterminazione, quindi alla propria libertà, sottomettendosi al signore: è il servo.
Si stabilisce così la relazione servo-padrone, una delle figure più importanti della Fenomenologia. Sul piano storico, la Fenomenologia rappresenta sia la formazione del singolo, sia le tappe della storia che segnano le tappe di sviluppo dello Spirito, la relazione servo-padrone è riscontrabile nell'antichità come dispotismo orientale.
Se per la coscienza padrona il servo è uno strumento mediante il quale agire sulle cose, è una cosa egli stesso, non è però un'autocoscienza in cui possa riconoscersi; diversamente vanno le cose per il servo che ha di fronte a sé un'autocoscienza, anche se non completamente sviluppata, e si relaziona col mondo degli oggetti. Alla coscienza padrona manca quindi il momento dialettico dell'oggettivazione, del riconoscersi in un'altra coscienza: la coscienza padrona, che è diventata tale attraverso l'accettazione del negativo, manca però, per essere completamente consapevole di sé, di potersi proiettare in un altro da sé, in cui poter riconoscersi e ritrovare così se stessa.
Il servo è lo strumento usato dal padrone per appropriarsi delle cose, il servo lavora e produce ciò che il padrone consuma. Tuttavia mentre il padrone ha un rapporto con le cose di tipo passivo, usa le cose, ma non le trasforma, anzi le annienta, il servo trova invece nel lavoro, nella sua attività che trasforma la natura, la umanizza in termini fichtiani, la mediazione necessaria per diventare consapevole di essere uno strumento indispensabile per la sopravvivenza del suo padrone che, senza di lui servo, non sarebbe autonomo: trasformando le cose col proprio lavoro il servo dapprima si aliena nelle cose e si perde in esse, ma in tal modo si oggettiva, prendendo consapevolezza di sé e riconoscendo nelle cose la propria razionalità che le crea e le trasforma. Si ha così un rovesciamento dialettico: il servo diviene autocosciente mediante il proprio lavoro e la sua attività sulla realtà, mentre il signore, rinunciando a relazionarsi direttamente con le cose, gradualmente diventa consapevole della sua incapacità e diviene servo di un'altra coscienza padrona a sua volta. Per Hegel tale processo è necessariamente circolare in quanto ogni coscienza deve attraversare tali momenti dialettici per diventare autoconsapevolezza, permettendo così all'umanità indifferenziata ed astratta di diventare Spirito, cioè un'insieme di individui differenziati e consapevoli di essere parte della comunità umana che li comprende tutti.

Stoicismo e scetticismo.

Il rapporto signoria-servitù è caratterizzato dalla dipendenza, cioè dalla mancanza di libertà. La coscienza che ha acquisito ora consapevolezza di sé attraverso il lavoro, cerca ora di affermare la propria identità senza che questa venga influenzata dalle circostanze esterne. Tale tentativo di porre il mondo tra parentesi, di ignorare tutto ciò che non sia se stessa, pone la coscienza nella figura dello Stoicismo, figura che implica un atteggiamento di indifferenza verso la realtà, indipendentemente dal fatto che sia in stato di signoria o di servitù, richiama l'epoché degli stoici che isola la coscienza dal mondo circostante. L'indifferenza per il mondo si traduce in libertà astratta e nella negazione del mondo: la coscienza infatti nel tentativo di conquistare la libertà, in realtà consegue soltanto un'astrazione, un mero desiderio astratto, senza alcun corrispettivo nella realtà, incapace com'è di testare in concreto le proprie capacità di azione modificando in modo efficace e permanente la realtà circostante: la coscienza scambia erroneamente la sua volontaria estraniazione dal mondo come libertà e indipendenza, rimanendone invece estraniata e lacerata in se stessa; il prezzo da pagare per la sua presunta autonomia è la rinuncia a confrontarsi con la realtà, ma in tal modo Hegel sottolinea il fatto che la libertà a cui la coscienza aspira è solo un'idea astratta e non la possibilità concreta di libertà che richiede il confronto dialettico con ciò che la limita, e cioè il mondo: soltanto l'attività intenzionale dell'uomo sugli oggetti può renderlo veramente libero e consapevole di averli prodotti lui stesso col proprio pensiero. L'oggettivazione, estraniazione del pensiero nella materia, e la conseguente alienazione, sono infatti le condizioni necessarie perché la coscienza non sia solo astrattamente, ma concretamente libera dal condizionamento e dalla limitazione imposte dal mondo oggettuale circostante.
È proprio per questo motivo che nel momento dialettico successivo, quello dello Scetticismo, in cui la coscienza non si limita più a mettere il mondo tra parentesi, ma a negarlo, a negarne cioè l'esistenza. Tale negazione porta però a una contraddizione evidente: se dal punto di vista conoscitivo sembra possibile negare il mondo e la coscienza può apparentemente ignorare il problema, tuttavia essa non può astenersi dall'agire in esso. Tutto ciò porta ad una contraddizione: tutto quello che lo scettico afferma è in contrasto con quello che fa. Lo scettico infatti, pur negando qualsiasi validità alla conoscenza sensoriale, proprio alle sensazioni fa riferimento nella sua vita quotidiana; nega la validità di ogni principio etico, ma deve necessariamente dotarsi di alcuni criteri che siano in grado di guidare le proprie scelte: da tutto ciò deriva la contraddizione della coscienza scettica. Ciò prepara la coscienza ad affrontare il momento dialettico successivo: quello della coscienza infelice.

La coscienza infelice.

La contraddizione con se stessa che caratterizza la coscienza scettica, la scinde in due parti contrapposte: da un lato una realtà positiva, immutabile ed uguale, che incarna il desiderio da parte dell'uomo di Infinito e di trascendere se stesso, di superare la sua fragilità e la sua finitezza, il suo bisogno di affermarsi come totalità in grado di comprendere tutto il reale; dall'altro la realtà negativa, legata al divenire e alla dimensione spazio-temporale dell'uomo, alla sua fragilità di essere imperfetto e debole. Nel tentativo di risolvere tale dolorosa scissione, che ricomprende in sé il titanismo e il sehnsucht, aspetti tipicamente romantici, Hegel riprende qui il concetto di alienazione, che aveva già analizzato nei suoi Scritti Giovanili, dandole però un'accezione non più soltanto religiosa, ma metafisica: la coscienza proietta infatti la sua parte positiva fuori di sé, in un Dio trascendente, irraggiungibile, immutabile e perfetto, mentre quella negativa viene associata alla condizione esistenziale umana. La coscienza infelice è dunque la figura della religione, concepita come alienazione, come separazione di finito e infinito, avvertita dalla coscienza come scissione dolorosa.
Partendo dalla nostalgia d'infinito, che costituisce il primo momento dialettico della coscienza infelice, che viene identificato con la divinità e avvertito dalla coscienza come irraggiungibile, si passa al secondo momento in cui la coscienza scinde la propria essenza, separando l'esistente dal reale, con la conseguenza che la coscienza infelice vede la vita e il proprio agire come privi di significato e di valore.
Nel terzo movimento dialettico la coscienza infelice tenta una riconciliazione tra se stessa e Dio attraverso la figura trinitaria del Dio-uomo, ma anche l'incarnazione non risolve il problema: Cristo, assumendo forma umana, separa nuovamente la coscienza, ricreando il dualismo finito-infinito. Se negli Scritti Giovanili Hegel aveva prospettato nel Cristianesimo, e nella figura di Cristo in particolare, la soluzione a tale scissione, nella Fenomenologia invece riconosce tale ipotesi di soluzione come insoddisfacente: poiché il superamento della scissione richiederebbe che la coscienza stessa diventasse Spirito, e ciò non è possibile semplicemente inserendo il trascendente nel finito, diventa necessario favorire il processo inverso e cioè che sia il finito a diventare infinito, cioè Spirito. Ma tale esigenza della coscienza non può compiutamente realizzarsi nella Fenomenologia in quanto si rendono necessarie varie mediazioni dialettiche che non possono risolversi nella sola religione, che è si una tappa importante di tale processo, ma che deve necessariamente preludere sia all'oggettivazione nella natura e sia alle varie tappe di sviluppo dello Spirito che non possono darsi alla coscienza singola, ma soltanto alla totalità del pensiero umano che, da pura astrazione, deve divenire dapprima concreto, per poi ricomprendere tutto il particolare e l'esistente nell'universale del reale.
La nozione di alienazione permette quindi ad Hegel di superare il ragionamento filosofico degli Scritti Giovanili, esaminandone i problemi irrisolti, e di aprire la strada agli sviluppi a cui sarà dedicata la seconda parte della Fenomenologia. Ma perché ciò possa realizzarsi, la coscienza infelice deve completare il proprio percorso dialettico, tramutandosi in ragione, la sintesi dell'autocoscienza singola che prelude al percorso che l'idea compie per divenire Spirito Assoluto.

La ragione.

La coscienza supera la religiosità, vissuta come scissione e infelicità, vedendo nella ragione il principio che è a fondamento della realtà e riconoscendo quindi in se stessa il fondamento del mondo. Anche in questa fase, quella della ragione, Hegel distingue tre diversi momenti o movimenti dialettici: la tesi che è rappresentata dalla ragione osservativa, l'antitesi che è invece rappresentata dalla ragione che agisce e la sintesi data dalla ragione che esamina le leggi.
Nella ragione osservativa la coscienza individua la razionalità nelle leggi della natura, pur rimanendo ancora troppo dipendente dall'oggetto: vorrebbe controllarlo, ma è consapevole della propria fragilità nel controllare e conoscere totalmente la natura, come già Hegel aveva ben descritto negli Scritti Giovanili. Ma ora la coscienza, divenuta ragione, non si accontenta di rifugiarsi nella religione e nel trascendente, alienandosi, ma aspira al sapere assoluto. Nella ragione che agisce, infatti, la ragione cerca di subordinare l'esistente alle proprie esigenze morali, di imporre la propria legge morale al mondo: qui Hegel descrive l'esigenza della ragione attiva di esercitare un controllo razionale sulla realtà ricorrendo all'esempio di Faust, l'eroe romantico che, schiacciato tra piacere e necessità, offre a Mefistofele la propria anima per ottenere il sapere assoluto e l'immortalitá, nel tentativo disperato di esercitare un controllo assoluto sulla realtà circostante e di sconfiggere la propria finitezza e fragilità. Hegel vede in Faust il tentativo della ragione di controllare la natura e le sue leggi mediante l'aiuto del diavolo, simbolo del titanismo romantico, ma anche di quella disperata nostalgia di infinito che schiaccia l'uomo, ma che lo porta anche a superare i propri limiti: la ragione, sentendosi limitata dalla realtà degli oggetti che non può controllare, ora si confronta con essi, pur continuando a percepirli come estranei a sé e alle proprie esigenze. Anche la ragione che agisce affronta così il proprio movimento dialettico: dal piacere e la necessità, che costituiscono la tesi, passa all'antitesi che è rappresentata dalla legge del cuore e dal delirio di presunzione, per poi giungere alla sintesi rappresentata dalla virtù e dal riconoscimento dell'ordine del mondo. Ed è proprio nel delirio della presunzione che Faust rinuncia alla sua parte spirituale, alla sua anima, alla sua specifica essenza umana, per ottenere il dominio supremo: ma che potere è quello che, per dominare le cose, provoca la perdita di se stessi, cioè la propria alienazione, permettendo così che l'uomo si annulli e si perda nelle cose che vuole controllare? Ecco perché Hegel afferma che la ragione, divenuta consapevole del proprio fallimento, rivolge la propria attenzione non più alle cose, ma a se stessa, ora consapevole che la natura non è a lei estranea e nemica, ma che rappresenta il prodotto del proprio pensiero, l'espressione della sua umanità, dalla quale non può prescindere o sfuggire, in quanto è parte della stessa razionalità di cui sia l'uomo, che la natura sono espressione. Hegel vede quindi nella figura di Margherita, personaggio del Faust di Goethe che, salvando l'anima di Faust dal delirio di onnipotenza e dalla perdita della sua umanità, rappresenta la virtù, intesa come l'agire morale espresso secondo ragione, che porta la ragione al momento dialettico successivo: il riconoscersi come una individualità consapevole di aver creato essa stessa l'ordine universale in quanto partecipe del sapere universale nel divenire storico che permette alla ragione di scoprirsi come legge universale che unifica pensiero e azione morale, superando il dualismo delle mediazioni dialettiche precedenti. Infine la ragione comprende che la realtà è razionale in se stessa sia sul piano oggettivo, le leggi di natura, sia sul piano etico, riconoscendo nella realtà una propria produzione. A questo punto la ragione non tenta più di imporre le proprie leggi morali al mondo, ma riconosce in esso, e sopratutto nella storia, la moralità già realizzata. Hegel afferma quindi che nella sintesi, cioè la ragione che esamina le leggi, che la realtà non deve essere plasmata dagli uomini sulla base delle loro esigenze morali, come voleva appunto Fichte, ma che essa rappresenta già un prodotto della ragione umana, che è quindi un bene di per sé.
Compito dell'uomo, secondo Hegel, è solo quello di prendere consapevolezza della razionalità e della finalità presenti nella storia e divenire consapevole di essere parte di tale processo.
A differenza di quanto sostenuto da Kant nella sua morale, in cui sosteneva che l'uomo deve ricercare da se stesso i principi della morale, Hegel sostiene invece che all'uomo spetti solo il compito di riconoscere i principi morali già realizzati nella storia e nelle istituzioni umane.
È proprio questo uno dei motivi che rendono la ragione insufficiente e rendono necessario che vi siano tappe ulteriori e successive che preparano allo Spirito. Con questa consapevolezza si chiude la prima parte della Fenomenologia dello Spirito.
Nella seconda parte della Fenomenologia Hegel affronta il problema della storia dell'umanità e delle istituzioni storiche in cui si incarna lo Spirito.
La prima di queste istituzioni, in cui si realizza la vita etica, è la pólis greca, che è anche il luogo in cui emergono i laceranti conflitti dialettici che vengono rappresentati nella tragedia. L'obiettivo della seconda parte della Fenomenologia è dato dallo sviluppo dello Spirito che conosce se stesso. La coscienza percorre ora la storia come sapere dell'umanità, scandita dai suoi tre momenti di: religione, arte e sapere assoluto. Nelle successive rielaborazioni della Fenomenologia, in cui Hegel la presenterà come parte del suo sistema, le ultime due parti, quelle inerenti lo Spirito oggettivo e lo Spirito assoluto, saranno trattate in modo autonomo, mentre la Fenomenologia, intesa come sviluppo dello Spirito soggettivo, si conclude con la figura della ragione.

La Fenomenologia e la figura di Antigone.

La figura di Antigone ricorre più volte in diverse opere di Hegel, sopratutto nella Fenomenologia dello Spirito e nei Lineamenti della filosofia del diritto. Antigone è un personaggio narrato nella tragedia di Sofocle in cui Hegel vede rappresentato il contrasto stringente tra la pietas familiare e lo Stato, tema a lui particolarmente caro. La vicenda della tragedia di Sofocle è la seguente: Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si uccidono a vicenda, combattendo l'uno contro l'altro, durante l'assedio di Tebe. Antigone, loro sorella, vorrebbe rendere ad entrambi gli onori funebri, ma il re Creonte ordina che Polinice, che aveva combattuto contro Tebe, venga lasciato insepolto come vogliono le leggi della città di Tebe. Per amore fraterno Antigone decide di opporsi al divieto e sarà quindi terribilmente punita da Creonte, che la farà murare viva in una grotta di pietra. Nel contrasto tra Creonte e Antigone, Hegel vede sopratutto rappresentato il principio dialettico. Entrambe le posizioni hanno infatti una propria giustificazione: Antigone infatti onora i vincoli di sangue e si rifà ad una legge divina superiore che impone di onorare i propri morti; Creonte invece onora il bene pubblico, lo Stato e le sue leggi, che devono cercare di impedire, ed eventualmente sanzionare, le lotte fratricide. Le due posizioni, opposte tra loro ed entrambe giuste, sono in contrasto dialettico tra loro: se Creonte rappresenta la legge umana e Antigone la legge divina, entrambi sono però ugualmente colpevoli e saranno entrambi puniti dalla sorte. Infatti Emone, figlio di Creonte, innamorato di Antigone, si ucciderà sotto gli occhi del padre, seguito da Euridice, madre di Emone e moglie di Creonte; Antigone invece morirà sepolta viva per ordine di Creonte. Hegel sottolinea che la grandezza della tragedia greca rappresenta in modo compiuto il conflitto dialettico tra principi etici, determinazioni dello Spirito che, raffigurati sotto forma di personaggi, mettono in scena i conflitti in modo estremizzato: l'unica loro risoluzione è data dalla morte dei protagonisti, un esito tragico, ma reso necessario dalla inconciliabilità delle posizioni in gioco. Hegel sottolinea quindi la spietatezza, ma anche la superiorità della legge dello Stato sulle esigenze del singolo uomo, e l'esigenza che il singolo diventi consapevole che solo riconoscendosi nell'istituzione sovraindividuale può divenire da puro esistente ad individuo razionale e sentirsi parte di un sapere universale che lo inserisce, quale individualità consapevole, nel novero dell'umanità e quindi nel percorso storico dello Spirito. Hegel ricorre spesso a miti o a figure simboliche universali per chiarire punti salienti del proprio sviluppo di pensiero, così come Platone e Kant avevano fatto a loro volta in precedenza. Hegel userà spesso, sopratutto all'interno della Fenomenologia, delle figure universali onde delineare meglio le tappe del processo dello Spirito che, ripercorrendo nella storia dell'umanità le varie mediazioni del proprio percorso verso l'autoconsapevolezza, ricomprende in sé ogni aspetto del reale. Anche la figura di Antigone ricomparirà nella parte inerente lo Spirito oggettivo, cioè lo sviluppo della convivenza sociale e dello Stato, dove sarà ulteriormente sviluppata rispetto alla tripartizione di etica, diritto e moralità.