Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 29
Heidegger e la Fenomenologia.
Vita e opere.
Martin Heidegger nasce in Germania, a Messkirch, nel 1889. Figlio del sacrestano del paese, prende molto sul serio la possibilità di abbracciare la vita religiosa, al punto da diventare novizio della Compagnia di Gesù. Viene però presto congedato. nel 1917 si sposa con Elfride Petri, con cui ha due figli. Conseguita la libera docenza nel 1915, deve attendere fino al 1919 prima di avere una qualche posizione stabile all'Università in qualità di assistente presso il Seminario di filosofia a Friburgo, dove collabora con Husserl. Risale proprio al 1919 la sua rottura con il "sistema del cattolicesimo". Nel 1920 conosce Jaspers. Verso la fine del 1922 costruisce a Todnauberg, nella Foresta Nera, una baita nella quale trascorre i periodi liberi da impegni accademici. Dal 1923 al 1928 insegna all'Università di Marburgo; a questo periodo risale il suo rapporto con il teologo protestante Rudolf Bultmann. Nel 1924 inizia la relazione sentimentale con l'allieva Hannah Arendt. Nel 1927 esce Essere e tempo. Nel 1928 gli viene conferito l'incarico a Friburgo come successore di Husserl, grazie all'interessamento diretto di quest'ultimo. Risale al 1929 la lezione inaugurale dal titolo: Che cos'é metafisica? Quell'anno escono anche Sull'essenza del fondamento e Kant e il problema della metafisica. Nel 1933 viene eletto rettore dell'Università di Friburgo. Si tratta di un episodio della biografia di dell'autore che nel dopoguerra susciterà molte aspre polemiche. Per ottenere il rettorato, Heidegger si era infatti iscritto al Partito nazionalsocialista. Egli resta però in carica molto poco: già nel 1934 dà le dimissioni per dissensi con il regime, un gesto che gli costa restrizioni e umiliazioni da parte del nazismo. Ciò nondimeno, a causa della sua iniziale adesione al Partito, alla fine della guerra gli viene interdetto l'insegnamento, precisamente dal 1945 al 1949, soprattutto a causa di una testimonianza negativa di Jaspers, del quale, però, nel 1949, sarà decisivo un parere a favore della sua reintegrazione nel corpo insegnante. In realtà, Heidegger riprende l'insegnamento solo dal semestre invernale 1951-52. Nel frattempo, nel 1947, pubblica la Lettera sull'umanesimo e nel 1950 pubblica Sentieri interrotti. Tra gli ultimi scritti: In cammino verso il linguaggio (1959) e Segnavia(1967). Muore a Friburgo nel 1976. La raccolta completa degli scritti, le cui prime uscite risalgono al 1975, è tuttavia in corso di pubblicazione e ciò non deve stupire, se si pensa che il piano dell'opera prevede 102 volumi. Per questo motivo, un bilancio completo dell'intera produzione filosofica dell'autore non può essere ancora stilato.
Introduzione al pensiero.
Heidegger è profondamente influenzato dalla fenomenologia di Husserl, senza però accettare il metodo della riduzione fenomenologica. Il problema fondamentale intorno al quale ruota la sua riflessione è quello dell'essere, cioè il problema ontologico. In Essere e tempo, la sua opera più importante, Heidegger affronta la ricerca sull'essere attraverso il metodo dell'analitica trascendentale. In seguito, egli opererà quella che lui stesso definirà una svolta: abbandonata l'analitica trascendentale, si occuperà ancora del problema dell'essere, ma attraverso la discussione di alcuni temi come la verità, la tecnica e il linguaggio. Il nome di Heidegger è inoltre strettamente legato all'ermeneutica, la scienza dell'interpretare, che vanta una storia antica ed è stata sviluppata da teologi, filologi e giuristi. La filosofia di Heidegger si presenta molto complessa e di difficile interpretazione. Non soltanto perché adotta uno stile inconfondibile, ma anche perché mantiene profondi legami concettuali con la tradizione e i filosofi del passato: Aristotele e Platone, da Hegel a Kierkegaard, fino a Dilthey. Si tratta di filosofi il cui pensiero viene da lui rivisitato e interpretato in un'ottica personale, sopratutto Platone e Aristotele, che ha suscitato molte perplessità negli storici della filosofia. Con Husserl, di cui è assistente, Heidegger mantiene poi un rapporto molto stretto, al punto che gli dedicherà la sua opera più importante, Essere e tempo, con ammirazione e amicizia. Se quindi è difficile inserire Heidegger all'interno di una corrente filosofica ben definita, o poterlo definire un esistenzialista vero e proprio, è molto difficile non tener conto degli influssi della fenomenologia e dell'ermeneutica presenti nel suo pensiero.
Heidegger e la fenomenologia.
Definire Heidegger un fenomenologo è molto problematico, anche se non c'è alcun dubbio che il suo pensiero mostri indubbie influenze fenomenologiche. La prima traccia di influenza si trova sicuramente sul fronte della sua storia accademica: Heidegger, infatti, è prima assistente, poi successore alla cattedra di Friburgo, di Husserl, il padre della Fenomenologia appunto. Inoltre i riferimenti alla fenomenologia sono numerosi ed espliciti nei corsi universitari che egli tiene negli anni Venti. Ancora nella sua opera maggiore, Essere e tempo, Heidegger dedica un'ampia discussione al metodo fenomenologico, riferendosi alla fenomenologia come a una metodologia che ispira l'opera stessa che Heidegger dedica con ammirazione e amicizia proprio ad Husserl, il suo maestro. Tutto questo non basta però a fare di Heidegger un fenomenologo, come noterà lo stesso Husserl che, in diverse occasioni private, ma sopratutto nella sua Postilla alle Idee, pubblicata nel 1830, prende le distanze da quello che un tempo aveva ritenuto essere il proprio miglior collaboratore. Si tratta di una rottura rispetto alla quale lo stesso Heidegger, a sua volta, nel semestre invernale 1930-31, prende posizione in modo secco, affermando di considerare fenomenologia d'ora in poi soltanto ciò che lo stesso Husserl scriverà, pur ammettendo di aver molto imparato dal maestro. Heidegger intende la fenomenologia come un lasciare vedere ciò che si mostra, cioè l'essere, e si distacca così dal metodo caratteristico della fenomenologia husserliana, vale a dire l'epoché. Se per Husserl la filosofia deve passare attraverso la riduzione eidetica che consente il passaggio dall'atteggiamento naturale alla via trascendentale della coscienza, per Heidegger, invece, l'indagine filosofica consiste nel passaggio dallo sguardo fenomenologico sull'ente alla comprensione dell'essere dell'ente. La riflessione di Heidegger ha una valenza ontologica - trascendentale che è del tutto nuova rispetto alla riflessione di Husserl. Secondo Heidegger, quindi, l'unico metodo adatto che ci permette di trovare una risposta al senso dell'essere non è la riduzione eidetica, come sostiene Husserl, ma l'analitica esistenziale messa in pratica in Essere e tempo. Anche nella fase del suo pensiero successivi a quest'opera, infatti, Heidegger non adotterà il metodo dell'epoché di Husserl.
Dalla Fenomenologia di Husserl al problema del senso dell'essere in Heidegger.
Per Husserl l'ideale della vera filosofia consisteva nel realizzare l'idea della conoscenza assoluta, basandosi su un fondamento certo e la fenomenologia era il metodo che permetteva di raggiungere questo obiettivo. Per costituirsi come scienza rigorosa, la filosofia non doveva assumere nulla come ovvio e indiscutibile, ma doveva raggiungere criticamente un fondamento dotato di evidenza assoluta. A questo scopo, essa non può partire dall'atteggiamento naturale, che assume il mondo come un insieme di fatti ovvi: le stesse scienze empiriche si fondano su questo presupposto e identificano la conoscenza con l'accertamento dei fatti ritenuti oggettivi e indiscutibili. La scienza, secondo Husserl, analizza il mondo in maniera ingenua, accettandolo acriticamente come esistente e limitandosi ad accumulare sapere su sapere. Ma l'esperienza delle cose é variabile e mutabile e, dunque, non può garantire l'oggettività e la validità della conoscenza, perciò le scienze della natura non possono propriamente risolvere i problemi di una teoria della conoscenza. Dunque Husserl poteva affermare, nella Filosofia come scienza rigorosa, che ogni scienza della natura é ingenua nei suoi punti di partenza: la natura che essa vuole prendere in esame, per essa esiste semplicemente. Secondo Husserl bisogna invece liberarsi da ogni presupposto, sia dalle credenze comuni, sia da quelle proprie di tali scienze, così come dai contenuti dottrinali di tutte le filosofie precedenti. A questo provvede quella che Husserl definisce, con un termine mutuato dallo scetticismo antico, epochè, che letteralmente vuol dire sospensione del giudizio.
L'epochè consiste nel mettere tra parentesi l'atteggiamento naturale e tutto quel ch'esso comporta: ad esempio, l'assunzione dell'esistenza del mondo o la distinzione di soggetto e oggetto quali dati ovvi. Essa però non ha un compito meramente distruttivo nei confronti delle credenze o dei pregiudizi diffusi e, in questo senso, non coincide con il dubbio scettico. La sua finalità é invece costruttiva ed é correlata all'assunzione di un atteggiamento fenomenologico che raggiunge la consapevolezza che la conoscenza di questi dati, che appaiono ovvi all'atteggiamento naturale, é possibile solamente in riferimento alla soggettività. Questo per Husserl non significa negare questo mondo, come fanno i Sofisti, o dubitare della sua esistenza come fanno gli scettici, ma esercitare l'epochè fenomenologica, cioè non assumere il mondo che é costantemente già dato ai nostri sensi in quanto esistente, come avviene nella vita quotidiana in modo diretto e scontato, così come avviene anche nelle scienze positive.
Io non attuo più alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto. Sospendendo l'affermazione della realtà del mondo, il mondo stesso diviene un insieme di fenomeni che si danno alla coscienza e ai quali la coscienza si rapporta come ad oggetti che essa intenziona nei propri atti. Si tratta di apprendere a guardare le cose nel loro costituirsi come fenomeni in relazione agli atti di rappresentazione, di percezione, di ricordo e così via, cioè in relazione alle esperienze vissute, in cui esse si danno. Si capisce allora il significato del programma di Husserl di tornare alle 'cose stesse': messa tra parentesi l'esistenza del mondo come un dato ovvio, verso il quale si prova interesse, l'atteggiamento fenomenologico divienava l'atteggiamento meramente teoretico di uno spettatore disinteressato. Lo sguardo di questo spettatore però é diretto non già verso le cose empiriche nella loro accidentalità, bensì verso le essenze.
L'atteggiamento fenomenologico assume come criterio di validità l'evidenza, con la quale i contenuti intenzionali dalla coscienza si danno nella loro essenza in specifici atti intenzionali. Questo vuol dire che l'analisi fenomenologica mette tra parentesi l'oggetto naturale nella sua singolarità e opera quella che Husserl definisce riduzione eidetica (dal greco eide, 'forme' , 'idee' o 'essenze'), che porta appunto alle essenze quali si danno nell'intuizione della coscienza. Recuperando il progetto di Cartesio, Husserl si proponeva di dare una fondazione assoluta alla conoscenza: e riteneva di poterlo fare con la fenomenologia (che è scienza dei puri fenomeni), grazie alla quale egli dice di essere approdato in un “mondo nuovo”.
La prima mossa della fenomenologia dev’essere, secondo Husserl, la messa tra parentesi delle esistenze, ossia dell’esistenza reale di ciò che continuamente ci si dà alla coscienza. Messe le esistenze tra parentesi, si studiano i puri fenomeni di coscienza, a prescindere dalla loro reale esistenza: la coscienza è sempre una “coscienza di”, è cioè caratterizzata da intenzionalità: si tratta appunto di studiare tutto ciò a cui tende la nostra coscienza: le essenze. Portiamo un esempio concreto del metodo fenomenologico: vedo di fronte a me un tavolo; in opposizione al procedere della scienza, metto tra parentesi l’esistenza reale del tavolo (che, come giustamente notava Cartesio, non è certa), e lavoro sull’essenza del tavolo (infatti, sul fatto che io stia percependo un tavolo non c’è dubbio). Anche Cartesio era, a suo modo, giunto fin qui: solo che, troppo affrettatamente, aveva preteso di dimostrare la reale esistenza del mondo esterno, per di più passando dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio. La fenomenologia è, come Husserl ama esprimersi, un “puro guardare” che va contro la tendenza naturale (e in questo senso essa è un atteggiamento “innaturale”) a concepire le cose come esistenti: posso (e devo) dubitare che il tavolo esista, ma non posso dubitare del fatto che lo sto vedendo. La riflessione é una proprietà fondamentale del vissuto: grazie ad essa ogni vissuto è coglibile e analizzabile. In altre parole si può dirigere uno sguardo riflessivo sugli atti stessi della coscienza e del pensiero: in questo modo, essi diventano oggetti con evidenza assoluta.
Si può infatti sospendere il giudizio sull'esistenza del mondo, ma é evidente che esso appare alla coscienza: non posso sospendere il giudizio sul fatto che io sto pensando. Questo vuol dire che, mentre il mondo naturale e le cose che gli appartengono possono essere o non essere, la percezione immanente garantisce necessariamente l'esistenza del suo oggetto, cioè del vissuto intenzionale della coscienza.
Heidegger, partendo da questi presupposti, sostiene polemicamente che pur essendo la rinascita della metafisica una caratteristica del nostro tempo, il problema dell'essere risulta oggi essere dimenticato. Tutta l'opera Essere e tempo di Heidegger ruota infatti intorno al problema dell'essere e sulla domanda fondamentale del perché esistano gli enti, esseri soggetti al divenire (cioè a nascere e morire), piuttosto che il niente. Per capire come ciò sia potuto accadere, Heidegger esamina i tre pregiudizi che hanno accompagnato la filosofia sin dalle sue origini, ispirando il pensiero da Platone ad Hegel. Tale tradizione secondo Heidegger non è riuscita a produrre una risposta soddisfacente, ma anzi ha prodotto tre pregiudizi che hanno portato a ritenere inutile una riproposizione del problema.
Il primo pregiudizio afferma che l'essere è il concetto più generale di tutti e viene implicitamente compreso nella conoscenza dell'ente. Ma affermare che il concetto dell'essere è il più generale, non equivale a dire che sia anche il concetto più chiaro afferma Heidegger e ciò non significa che non richieda una discussione più approfondita. Secondo Heidegger invece è il più oscuro di tutti e quindi non è superfluo interrogarsi ancora sul suo senso. Il secondo pregiudizio afferma che il concetto di essere è indefinibile. Heidegger sostiene che non possediamo una conoscenza completa dell'ente che ci possa permettere di definire cosa sia l'essere. Ne si può pensare di definire l'essere riducendolo al solo ente, ma ciò non significa che non sussista il problema della ricerca del senso dell'essere, anzi aumenta la necessità di affrontare il problema in termini filosofici. Il terzo pregiudizio, secondo Heidegger, è di ritenere che il concetto di essere sia ovvio: affermazioni comuni come "il cielo è azzurro" o "sono contento" sono esempi comuni e quotidiani di come predichiamo l'essere, ma secondo Heidegger questa comprensione media nasconde una più profonda incomprensione: è infatti difficile da capire il fatto che diamo per scontata la comprensione dell'essere, mentre ci sfugge il suo senso. Heidegger ne conclude che non solo manca ancora una soluzione del problema dell'essere, ma manca persino una corretta impostazione del problema. In Essere e tempo Heidegger propone appunto una nuova impostazione della ricerca sull'essere.
Essere e tempo: un'opera interrotta.
Heidegger pubblica Essere e tempo nel 1927 nell'ottavo volume della rivista curata da Husserl che costituisce il manifesto della Fenomenologia. Il testo non viene pubblicato in forma integrale perché l'autore, nonostante ritmi di lavoro impressionanti, non fa in tempo a completarlo. Heidegger perciò rinvia la parte mancante a un successivo numero della rivista. Tale proposito rimane però irrealizzato, perché egli non completa Essere e tempo nemmeno in seguito. La struttura principale dell'opera mostra come essa sarebbe dovuta essere. Lo si ricava da quanto scrive lo stesso Heidegger nell'Introduzione:
Introduzione - Esposizione del problema del senso dell'essere;
cap. I - Necessità, struttura e primato del problema dell'essere;
cap. II - Il duplice compito nell'elaborazione del problema dell'essere, il metodo della ricerca e il suo piano;
Parte prima - L'interpretazione dell'Esserci in riferimento alla temporalità e l'esplicazione del tempo come orizzonte trascendentale del problema dell'essere.
Sezione prima - L'analisi fondamentale dell'Esserci nel suo momento preparatorio.
Sezione seconda - Esserci e temporalità.
Sezione terza - Tempo e essere.
Parte seconda - Linee fondamentali di una distruzione fenomenologica della storia dell'ontologia: sulla scorta della problematica della temporalità.
Sezione prima - La dottrina kantiana dello schematismo del tempo come avviamento alla problematicità della temporalità;
Sezione seconda - Il fondamento ontologico del cogito sum di Cartesio e l'assunzione dell'ontologia medievale nella prospettiva della res cogitans;
Sezione terza - Lo scritto di Aristotele sul tempo come discrimine della base fenomenica e dei limiti dell'ontologia antica.
Di questa struttura complessiva dell'opera, Heidegger non svilupperà tutta la seconda parte e la terza sezione della prima parte, quella in cui avrebbe dovuto analizzare il problema ontologico dal punto di vista esistenziale per sviluppare la prospettiva dell'essere come evento. Anche se Heidegger rinuncia a completare l'opera, non rinuncia però a presentarne occasionalmente e in forma autonoma alcune delle parti mancanti. In tal modo il tema della terza sezione della prima parte dell'opera è oggetto delle sue lezioni universitarie dell'estate del 1927. Inoltre, il volume Kant e il problema della metafisica, che esce nel 1929, raccoglie i contenuti che sarebbero dovuti confluire nella prima sezione della seconda parte. I temi delle sezioni rimanenti vengono affrontati da Heidegger in altri corsi universitari e conferenze degli anni successivi. Questi materiali hanno una loro organicità interna, ma mancano nel complesso dell'impostazione sistematica unitaria che avrebbero avuto se Heidegger avesse voluto completare l'opera. Si è molto discusso sulle ragioni per cui Heidegger ha lasciato l'opera incompleta. Il fatto di aver ottenuto la prestigiosa cattedra di Friburgo in seguito al ritiro dall'insegnamento di Husserl, gli toglie sicuramente una buona motivazione per finire l'opera. Inoltre le tensioni crescenti che porteranno alla rottura con Husserl sono un'ulteriore motivazione. Queste vicende biografiche sono importanti, ma per comprendere a fondo le ragioni dell'interruzione dell'opera, bisogna cercare motivazioni più filosofiche. Lo stesso Heidegger cerca di spiegare le ragioni che lo hanno spinto a non completare la sua opera più importante, dicendo che Essere e tempo non poteva essere completata perché gli era venuto meno il linguaggio. Secondo Heidegger infatti la tradizione metafisica occidentale è dominata dall'essere come presenza e questa idea ha pesantemente condizionato il linguaggio filosofico, rendendolo insufficiente e inadeguato ai fini dello sviluppo della propria filosofia. Se altri filosofi, come Wittgenstein, quando hanno avuto la possibilità o il compito di parlare dell'essere hanno preferito il silenzio esplicito e teorizzato, Heidegger impone invece il silenzio come un fatto necessario, pur non rinunciando del tutto ad avventurarsi attraverso sentieri di pensiero inesplorati.