Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 23
Marx: lo sviluppo storico dell’Occidente e la lotta di classe.
Marx espone nell’opera il Manifesto del partito comunista, scritta con Engels nel 1848, il suo programma politico, basandosi sulla sua teoria del rapporto tra la base economica e la sovrastruttura. Egli, infatti, colloca il proprio programma all’interno di un’analisi complessa e articolata dello sviluppo storico che ha dato origine al capitalismo.
L’obiettivo di Marx è di dimostrare che la trasformazione rivoluzionaria della realtà economica e sociale in corso nella sua epoca rappresenta una necessità strutturale, dovuta alle contraddizioni che sono insite all’interno dello stesso sistema capitalistico.
Secondo Marx il passaggio nella storia della società occidentale dal sistema produttivo di tipo schiavistico a quello di tipo feudale prima, e a quello capitalistico poi, diventa comprensibile grazie alla trasformazione dei mezzi di produzione che portano a ridefinire sia le istituzioni, sia le ideologie. Secondo Marx è soprattutto nel passaggio dal sistema produttivo feudale a quello capitalistico che la borghesia ha svolto un ruolo di primaria importanza, proponendosi come una forza realmente rivoluzionaria che ha saputo interpretare positivamente le esigenze della società industriale. Nell’analisi di Marx, la borghesia ha infatti avuto la capacità di creare non soltanto un’ideologia e una cultura innovativa, ma anche di rivoluzionare valori e credenze, promuovendo la creazione di nuovi rapporti economici e sociali. Così come mutava il sistema di produzione tipicamente feudale, basato sull’agricoltura e sul feudo, si sgretolavano anche le istituzioni e le ideologie a esso connesse: la dipendenza personale, caratteristica del rapporto signore-servo della gleba, viene sostituita dalla libertà individuale. Questo importante cambiamento sociale per Marx non rappresenta però il frutto di un intento umanitario, ma il bisogno della borghesia che i servi della gleba siano liberi affinché possano diventare degli operai salariati: è così che i valori feudali della fedeltà e dell’onore lasciano il posto ai rapporti fondati sul contratto e il rapporto in denaro diventa il fondamento della famiglia. Marx sostiene quindi che la trasformazione borghese porta nella storia una novità nei rapporti sociali: mentre infatti nello schiavismo e nel feudalesimo le istituzioni erano state costruite al fine di garantire l’immobilismo sociale, il modo di produzione capitalistico richiede ora un completo rinnovamento dei sistemi di produzione e quindi delle istituzioni a essi correlati. In seguito a tutto ciò Marx sostiene che i mezzi di produzione hanno conosciuto uno sviluppo tale che i rapporti borghesi di proprietà, le leggi di mercato e la libera concorrenza non sono più in grado di gestirli, come dimostrano le frequenti crisi di sovrapproduzione, la necessità di distruggere i prodotti e il tentativo di ampliare continuamente nuovi mercati. Quando i rapporti sociali non corrispondono più al sistema produttivo, tendono inevitabilmente a essere superati proprio come è avvenuto nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Marx sostiene quindi che il capitalismo contiene al suo interno le condizioni strutturali perché venga superato, ponendo le premesse per la creazione della classe destinata a gestire tale trasformazione, cioè il proletariato. L’esortazione con cui Marx chiude il Manifesto, cioè “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”, rappresenta quindi la conclusione logica di questa ampia ricostruzione storica che costituisce il fondamento della prassi politica.
L’analisi dell’economia capitalistica.
Marx sostiene che perché una qualsiasi azione politica si dimostri efficace e sia in grado di trasformare la realtà, è necessario che ci sia un’analisi accurata e oggettiva delle dinamiche economiche e dei rapporti di produzione che caratterizzano il capitalismo. Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1848, Marx dedica a questa analisi buona parte della propria attività.
I risultati a cui giunge sono raccolti nei tre volumi della sua opera più importante, intitolata Il capitale, in cui raccoglie le conclusioni di una ricerca durata oltre un decennio. L’elemento principale su cui ruota sia la produzione, che lo scambio, tipici del capitalismo, è il concetto di merce. Secondo Marx nelle società tradizionali la dinamica economica è regolata dal sistema M-D-M, cioè merce/denaro/merce. Tale dinamica prevede che, grazie alla merce, venga prodotto del denaro che, a sua volta, viene utilizzato per acquistare altra merce. Ad esempio un calzolaio userà il cuoio, la merce, per produrre le scarpe che potrà poi rivendere in cambio di denaro e questo denaro sarà utilizzato per acquistare altre merci come pane, abiti, altro cuoio o altro.
Nelle società capitalistiche, invece, vige il modello D-M-D +, cioè denaro/merce/più denaro. Ciò significa che il denaro iniziale investito produce merce, tramite l’industria o la manifattura, e questa merce, una volta prodotta, viene venduta, causando un incremento dell’investimento iniziale di denaro. Marx sottolinea come il problema sia quello di capire da dove deriva quel “più denaro” che garantisce il funzionamento del sistema e il progressivo arricchimento del capitalista.
Nel tentativo di rispondere a questa domanda, Marx distingue un valore d’uso e un valore di scambio, rifacendosi alle teorie tradizionali di economisti come Adam Smith e David Ricardo.
Il valore d’uso si riferisce all’utilità della merce che soddisfa specifici bisogni, mentre il valore di scambio è riferito al valore di mercato della merce. Il valore di mercato di una data merce viene calcolato, secondo Marx, sulla base del lavoro socialmente necessario per produrla, lavoro che si traduce in salario. Se però salario e valore di scambio della merce fossero equivalenti non si potrebbe spiegare l’origine dell’incremento del capitale che il capitalista ottiene alla fine del processo produttivo. Secondo Marx il maggior valore della merce prodotta rispetto agli investimenti sostenuti dal capitalista si deve individuare nella dinamica relativa al lavoro, che viene trattato anch’esso come merce nella società capitalistica. Anche il lavoro quindi, come ogni altra merce, possiede un proprio valore di scambio, il salario, e un valore d’uso, cioè la quantità di lavoro che viene acquistata dal capitalista e che si traduce in aumento del valore della merce, o plusvalore.
Il capitalista corrisponde infatti all’operaio uno stipendio con il quale acquista la sua forza-lavoro basandosi sul suo valore di mercato, che è stabilito dal rapporto tra domanda e offerta. Il fenomeno della disoccupazione, caratteristico e peculiare del capitalismo, fa si che l’offerta di lavoro sia sempre superiore alla domanda e che, di conseguenza, ciò determini bassi salari. Il salario viene quindi reintegrato soltanto con una parte della giornata lavorativa, mentre il resto è pluslavoro, cioè tempo-lavoro non retribuito. Marx sottolinea come durante questo tempo il lavoratore continua a produrre merce, cioè valore che il capitalista non paga. Il lavoro si caratterizza di conseguenza come capitale variabile, poiché il suo valore cambia all’interno del ciclo produttivo. Il lavoro, infatti, viene acquistato come valore di scambio, salario, e produce un valore maggiore in quanto valore d’uso. Marx chiama Saggio del plusvalore il rapporto che esiste tra il plusvalore prodotto e i salari dei lavoratori, mediante la formula:
SAGGIO DEL PLUSVALORE = PLUSVALORE/ CAPITALE VARIABILE
Questo rapporto indica secondo Marx l’efficacia dello sfruttamento capitalistico: in quanto il capitalista ha tutto l’interesse di tenere alto questo saggio, aumentando quanto più sarà possibile il plusvalore (ad esempio allungando la giornata lavorativa o riducendo drasticamente i salari degli operai); l’interesse degli operai, invece, andrà nella direzione opposta, per cui la formula matematica descrive, in termini oggettivi, il conflitto di classe tra il proletariato e la borghesia capitalista. Marx, al fine di calcolare il profitto del capitalista dal plusvalore, cioè il guadagno netto del capitalista, afferma che è necessario sottrarre da tale plusvalore il costo delle spese sostenute per macchinari, fabbriche, materie prime; tutte queste spese vengono dal filosofo definite capitale costante, in quanto esso non varia all’interno del processo produttivo, come avviene invece per il valore del lavoro. Marx definisce tale processo come la formula del Saggio di profitto, la cui formula è:
SAGGIO DI PROFITTO = PLUSVALORE / (CAPITALE VARIABILE + CAPITALE COSTANTE)
Questa formula descrive per Marx rapporti e dinamiche sociali. La formula del saggio di profitto stabilisce un rapporto complementare tra capitale variabile e capitale costante.
Secondo Marx lo sviluppo storico del capitalismo è stato caratterizzato da un aumento progressivo del capitale costante e da una diminuzione del capitale variabile, grazie all’impiego sempre crescente di macchinari a scapito di utilizzo di minore manodopera per la produzione di unità di merce. Marx sottolinea il fatto però che il livello dei salari non può scendere al di sotto della soglia di sopravvivenza, mentre l’investimento sempre maggiore in capitale costante determina, sulla base della formula del saggio di profitto, una diminuzione del saggio di profitto che rappresenta per Marx la maggiore contraddizione del capitalismo: la caduta tendenziale del saggio di profitto.
Tale caduta tendenziale del saggio di profitto genera la concorrenza, perché il minore profitto deve essere compensato da una maggiore quantità di merce venduta: diventa quindi necessario produrre più merce, ma poiché tale esigenza riguarda tutte le industrie, la quantità complessiva di merci immessa sul mercato risulterà superiore alla domanda. Ciò, secondo Marx, produce due conseguenze: da una parte si registrerà una ulteriore diminuzione dei prezzi, e quindi di profitto, e dall’altra si avrà la saturazione del mercato, cioè la sovrapproduzione.
Confrontando il saggio di plusvalore e quello di profitto diventa ancora più evidente la loro contraddizione: mentre il saggio di plusvalore impone di mantenere bassi i salari, assottigliandoli alla semplice sopravvivenza degli operai e delle loro famiglie, il saggio di profitto richiede invece di aumentare le quantità di merce venduta, quindi di ampliare il mercato. Ma i bassi salari producono un abbassamento del potere d’acquisto e quindi le richieste del saggio di plusvalore sono in netto contrasto con quelle del saggio di profitto e viceversa. Secondo Marx diventa così evidente una contraddizione strutturale e quindi irrisolvibile del capitalismo che porterà alla fine al collasso del modo di produzione capitalistico.
Marx e gli studi antropologici.
Nell’esposizione del pensiero di Marx a carattere divulgativo sono esposti cinque stadi dello sviluppo socio-economico dell’umanità: il comunismo primitivo, il modo di produzione schiavistico, quello feudale, quello capitalistico e infine quello socialista.
Questo modello però presenta il limite di riferirsi esclusivamente allo sviluppo economico e storico dell’Europa occidentale e di non tener conto dei diversi sviluppi avuti in altri contesti sociali, diversi da quello europeo. Inoltre l’impronta storicistica con cui Marx stesso connota la sua analisi dei processi socio-economici è totalmente inconciliabile con una ricostruzione generica inerente l’intera umanità. Marx comunque riconosce che la sua non vuol essere una filosofia della storia e che il suo modello non deve intendersi come la descrizione dello sviluppo adattabile a ogni popolo, come se la storia dipendesse da leggi universali: i cinque stadi da lui individuati e descritti si riferiscono al percorso di sviluppo proprio della civiltà occidentale, mentre altri popoli hanno avuto dei percorsi diversi. Marx parla in modo approfondito del modo di produzione asiatico o, meglio, del modo di produzione agrario, legato alla regolazione dei grandi fiumi, come è avvenuto nella civiltà egizia e mesopotamica, così come in alcune regioni dell’India e nelle pianure fluviali della Cina. Marx sostiene che questo modo di produzione prevedeva la necessità di regolare il flusso dei fiumi, di costruire grandi reti di canali per l’irrigazione, un sistema di dighe, ecc. e che tutte queste opere richiedevano un’azione continuativa nel tempo su ampi territori, costituendo la base strutturale per la nascita di grandi imperi dove lo Stato e la burocrazia statale, che si occupavano di realizzare e di curare la manutenzione di queste opere, svolgevano un ruolo predominante.
Secondo Marx sarebbe impensabile aspettarsi una fase feudale, come quella che si è verificata in Europa occidentale dalla caduta dell’impero romano al Rinascimento, in quanto il Feudalesimo richiede un territorio non troppo vasto e che possa essere gestito in modo capillare, con piccole unità territoriali poco estese.
Anche se Marx non ha potuto svolgere adeguate ricerche sul campo, ha tuttavia approfondito la conoscenza del sistema indiano in veste di collaboratore del New York Daily Tribune dal 1851 al 1862. Nel 1853 alla Camera dei Comuni viene discusso il problema del rinnovamento della legislazione della Compagnia delle Indie orientali e sorge un acceso dibattito sull’intera legislazione delle Indie. Marx, per commentare questi dibattiti, raccoglie una ricca documentazione sulla realtà economica e sociale dell’India allo scopo di descrivere in modo dettagliato il modo di produzione asiatico, dopo averlo teorizzato in linea generale. I risultati di questa indagine vengono esposti sia in alcuni articoli del Daily Tribune, sia in alcune lettere scritte a Engels nel 1853.
La teoria di Marx è che, quando con la conquista britannica è venuta meno in India un’autorità centrale in grado di mantenere il complesso sistema di irrigazione, l’economia indiana è andata incontro a una rapida e disastrosa decadenza, determinata anche dalla concorrenza del tessuto inglese nei confronti dell’artigianato locale, prima fiorente.
Lo scritto più ampio che Marx ha dedicato alle società precapitalistiche è contenuto nei manoscritti, noti con il titolo Lineamenti fondamentali dell’economia politica, e intitolato Forme precedenti la produzione capitalistica. In questo scritto Marx ricostruisce la storia economica dell’Europa occidentale a partire dall’economia di caccia e pastorizia, in cui non esisteva ancora una proprietà fondiaria e il punto di riferimento dell’individuo era la comunità. Ripercorrendo le diverse fasi storiche fino agli inizi del capitalismo, Marx evidenzia il rapporto tra le trasformazioni economiche da un lato e i cambiamenti nella forma sociale, nel diritto e nel costume nell’altro.
Secondo Marx ogni società è legata al proprio modo di produzione e costruisce su questa base una struttura socio-economica coerente che le conferisce un’identità specifica, diversa da altre forme di organizzazione sociale legate ad altri modi di produzione.
In accordo con le tendenze positiviste ed evoluzionistiche dell’epoca, Marx considera l’Europa occidentale come un’unica civiltà, senza stabilire differenze tra i popoli o tra le diverse aree geografiche. Dalla sua analisi emerge l’unità di aspetti differenti, da quello economico a quello politico, all’organizzazione sociale, ai costumi, e così via. In tal modo Marx anticipa il concetto di cultura che verrà sviluppato in seguito, nel 1871, dall’antropologo Edward Burnett Tylor in un’opera intitolata Cultura primitiva.
Il lavoro minorile nelle analisi del Capitale.
Il Capitale di Marx si propone come l’analisi scientifica della struttura e delle dinamiche del modo di produzione capitalistico e prende quindi in considerazione i meccanismi generali del funzionamento dell’economia. Tuttavia le analisi di Marx hanno sempre come riferimento i rapporti sociali concreti e nell’opera il filosofo evidenzia a più riprese la condizione di vita dei lavoratori, allo scopo di dimostrare come le formule del plusvalore e del saggio di profitto si traducano di fatto in condizioni di lavoro disumane. Marx dedica in particolare a questo argomento le sezioni III e IV del Libro I dell’opera, intitolate rispettivamente La giornata lavorativa e Macchine e grande industria. L’analisi della giornata lavorativa è compresa nella sezione dedicata al plusvalore e si estende per un’ottantina di pagine. Inizialmente Marx chiarisce la differenza tra il lavoro destinato a reintegrare il salario e il pluslavoro, che produce il plusvalore. Marx mostra come la ricerca dell’aumento del plusvalore determini un prolungamento della giornata lavorativa per uomini, donne e bambini al di là di quanto sia umanamente e fisicamente sopportabile. Marx documenta le proprie analisi facendo riferimento puntuale alla stampa e agli atti delle commissioni d’inchiesta del tempo e, in particolare, si sofferma:
sulla descrizione del lavoro minorile, inerente il lavoro di bambini di sette-otto anni, impegnati in giornate lavorative che vanno dalle sei del mattino alle nove di sera;
sulle conseguenze fisiche e sanitarie del lavoro dei vasai;
sulle richieste paradossali, che danno il senso della gravità del problema, di limitare a 18 ore di lavoro al giorno per gli uomini.
Un esempio drammatico è quello inerente alla manifattura dei fiammiferi, nella quale metà degli operai sono minorenni e in cui l’intossicazione da fosforo provoca malattie gravi, tanto che, nota Marx, “Dante avrebbe trovato che questa manifattura supera le sue più crudeli fantasie infernali” (da Il Capitale, I, pag. 268).
Marx si sofferma inoltre sul lavoro femminile, in particolare quello delle crestaie, cioè le fabbricanti di capellini da donna. Marx sottolinea che queste operaie lavorano oltre !6 ore giornaliere, che arrivano a 30 ore consecutive quando la richiesta è più alta, sostenendosi con dello sherry o del caffè e spesso si verificano casi di morte per il sovraccarico di lavoro.
Nella sezione intitolata Macchine e grande industria, Marx analizza le conseguenze della meccanizzazione, cioè l’aumento del plusvalore, la semplificazione del lavoro che consente l’assunzione di donne e bambini, l’aumento della disoccupazione e, di conseguenza, il peggioramento delle condizioni di lavoro, con orari più lunghi e salari più bassi.
In Inghilterra erano stati emanati alcuni provvedimenti allo scopo di controllare il lavoro minorile. Il primo Factory Act, risalente al 1833, vietava in alcuni tipi di fabbriche, in particolare in quelle tessili, il lavoro per i bambini al di sotto dei 9 anni e poneva un limite di 8 ore lavorative per i ragazzi dai 9 ai 13 anni e di 12 ore per quelli dai 13 ai 18 anni.
Un secondo Factory Act, del 1844, proibiva nelle stesse fabbriche il lavoro per i bambini fino agli 8 anni, limitandolo a 6 ore e mezza per quelli dagli 8 ai 13 anni e a 12 ore per le donne adulte. Nel 1847 un nuovo Factory Act fissava a un massimo di 10 ore la giornata lavorativa per gli adolescenti dai 13 ai 18 anni e delle donne. Tra il 1860 e il 1863, infine, il Factory Act, limitato fino ad allora ad alcuni tipi di industrie, veniva esteso a molte altre, tra cui quelle della ceramica e dei fiammiferi. Nonostante tutto ciò la legge era spesso disattesa con il consenso delle famiglie che avevano bisogno del lavoro dei bambini per sopravvivere. A volte la legge veniva aggirata con vari espedienti: Marx stesso riporta il testo di alcuni annunci pubblicati sui quotidiani locali circa la richiesta di assunzione di ragazzi “che possano passare per tredicenni” pur essendo minorenni.
Molte famiglie, spinte dal bisogno, evitavano di far lavorare i bambini piccoli nelle fabbriche che rispettavano le leggi vigenti che limitavano il lavoro minorile, e sceglievano invece quelle che sfruttavano i dodicenni come se fossero degli adulti.
Marx, oltre che esaminare le condizioni materiali della vita dei lavoratori, e in particolare dei bambini, analizza le conseguenze negative del lavoro meccanico e ripetitivo e lo stesso parlamento inglese, sensibile al problema, emana nel 1844 un emendamento al Factory Act allo scopo di rendere obbligatori tre anni di istruzione elementare. Tuttavia Marx denuncia come spesso anche questa legge viene aggirata con attestati di frequenza falsi che permettono alle famiglie e agli imprenditori di continuare a impiegare mano d’opera infantile. Anche quando tali scuole venivano effettivamente attivate, venivano affidate a degli insegnanti semianalfabeti e le classi risultavano essere talmente numerose da rendere impossibile qualunque insegnamento. Marx stesso racconta di un caso in cui si contavano ben 75 bambini di diverse età stipati tutti in una stessa aula.
Inoltre la legge prevedeva la frequenza di 150 ore per semestre, che venivano solitamente concentrate in un solo mese, trascorso il quale i bambini riprendevano il proprio lavoro a tempo pieno. La meccanizzazione del lavoro ha come conseguenza l’aumento dell’intensità del lavoro, con ritmi sempre più serrati e una sempre maggiore concentrazione di macchinari.
La moltiplicazione delle macchine secondo Marx, oltre a un elevato tasso di mortalità sul lavoro a causa dell’aria resa irrespirabile dai miasmi emessi dalle materie prime e dall’ammucchiarsi delle macchine poste vicinissime una all’altra, nonché i ritmi di lavoro ripetitivi e massacranti, porta a una diminuzione di manodopera e all’aumento della disoccupazione che condizionano negativamente la vita degli operai dal punto di vista economico e sociale: la grande disponibilità di manodopera porta a salari di ingaggio molto bassi e totalmente inadeguati a sostenere il costo della vita. Marx così mostra una sensibile e moderna attenzione verso le condizioni tragiche rappresentate dallo sfruttamento del lavoro minorile e contribuisce, come molti intellettuali del suo tempo, nella denuncia di questo grave problema sociale legato allo sviluppo dell’industrializzazione sopratutto in Inghilterra.
Socialismo e comunismo.
Secondo Marx, quindi, sono proprio le contraddizioni interne al capitalismo che porteranno, attraverso un’evoluzione necessaria della struttura economica, al socialismo e al comunismo.
La situazione esistente contiene quindi le condizioni per il suo necessario superamento e per l’affermazione del comunismo anche se ciò di fatto non esclude per Marx l’importanza dell’azione politica che, con la nozione di prassi, il filosofo teorizza come conseguenza naturale del suo pensiero e come impegno costante durante tutta la sua vita. Il compito della filosofia è infatti per Marx quello di trasformare la realtà, così come aveva già affermato in precedenza nelle Tesi su Feuerbach. Sul tema dell’avvento del comunismo Marx torna in molte sue opere, anche se le caratteristiche della futura società comunista non vengono mai adeguatamente approfondite. Nell’ultima parte del Manifesto egli descrive una serie di tappe che dovranno scandire il passaggio dal capitalismo al comunismo. In un primo momento la classe operaia sarà ancora contrapposta alla borghesia: essa dovrà impadronirsi del potere statale e usarlo come strumento di classe contro i capitalisti. Tale fase costituirà il momento del socialismo. In esso i mezzi di produzione saranno statalizzati mediante una serie di riforme radicali: lo Stato diventerà l’unico imprenditore e di conseguenza tutti i cittadini diventeranno proletari. Una volta realizzata tale condizione, lo Stato, in quanto espressione del dominio di una classe sull’altra, avrà esaurito la propria funzione e sarà destinato ad estinguersi. Al suo posto rimarrà una società senza classi che realizzerà il comunismo.
La differenza tra socialismo e comunismo viene illustrata dallo stesso Marx nella Critica al programma di Gotha del 1875: il socialismo, in quanto momento di passaggio che deve tener conto ancora dei condizionamenti che il capitalismo esercita sulla mentalità, deve essere regolato da una giustizia distributiva di tipo borghese, cioè a ciascuno deve essere dato secondo i suoi meriti, mentre il comunismo inaugurerà un’epoca di giustizia assoluta in cui verrà dato a ciascuno secondo i suoi bisogni.
Le teorie di Marx , con le loro implicazioni politiche e filosofiche, sono tuttora al centro di un dibattito che non si è ancora esaurito. L’influenza di Marx esula comunque dal semplice marxismo e riguarda discipline come la sociologia, l’antropologia culturale, la storiografia e l’economia. Tale pensiero da un lato ha creato un insieme di scienze sociali definibili come marxiste, dall’altro ha prodotto un’influenza diffusa in contesti non marxisti. Aspetti come il concetto di classe, l’influenza dell’ambiente, la struttura economica intesa come stratificazione sociale basata sul concetto di classe, sono tutti presupposti che hanno permesso una maggiore comprensione dell’uomo e dell’individuo che nessuna teoria delle scienze umane pone più in discussione, anche se oggi non viene più attribuito a tali meccanismi un ruolo esaustivo. Inoltre il pensiero di Marx esercita un’influenza determinante in alcune scuole filosofiche e autori del Novecento, dimostrandosi più attuale che mai e non legato esclusivamente alle problematiche presenti nel secolo scorso, quali la Scuola di Francoforte e l’Esistenzialismo di Sartre e di altri esponenti.