Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 19
Contesto storico e culturale.
Kierkegaard si trova a vivere, nello stesso periodo storico, le stesse problematiche filosofiche di Schopenhauer, come il venir meno dell’ottimismo e della fiducia nelle possibilità della ragione, che avevano invece caratterizzato l’Idealismo tedesco, ma anche il Positivismo, con la sua fiducia illimitata che il progresso scientifico avrebbe portato l’uomo alla felicità e a un maggiore benessere economico; a dover criticare i presupposti filosofici delle varie filosofie sistematiche, in modo particolare quella hegeliana, a dover sottolineare l’importanza dell’individuo e la sua concreta condizione esistenziale. Se dunque Kierkegaard condivide con Schopenhauer tali presupposti, tuttavia alcuni aspetti sono in lui particolarmente sviluppati tanto che viene unanimamente considerato il precursore dell’Esistenzialismo.
La Danimarca, patria di Kierkegaard, gravita nell’aria di influenza sociale della Germania e rappresenta una realtà storica non molto diversa da quella di Schopenhauer, visto anche che Kierkegaard si recherà più volte in Germania per i suoi studi, seguendo le lezioni di Hegel e di Schelling.
Danimarca e Norvegia sono all’epoca unite sotto il regno di Cristiano VII, un sovrano illuminato che realizza una serie di importanti riforme quali l’abolizione della schiavitù della gleba e delle corporazioni, la concessione delle libertà individuali e della libertà in materia religiosa.
Nel 1808 gli succede Federico VI, che si allea con la Francia di Napoleone. A motivo di tale alleanza, la Danimarca sarà penalizzata durante il Congresso di Vienna: le verrà tolta la Norvegia, che sarà assegnata alla Svezia, e riceverà a compenso parziale i due ducati tedeschi di Schleswig e di Holstein. In quegli stessi anni, Federico VI continua l’opera di riforma del suo predecessore, rendendo obbligatoria l’istruzione sino ai quattordici anni nel 1814.
Nel 1848 anche la Danimarca è interessata ai moti che stanno sconvolgendo l’Europa e l’anno successivo il nuovo sovrano, Federico VII, concede la costituzione. Contemporaneamente a tali vicende, inizia a diffondersi anche in Danimarca il movimento socialista che accompagna la rivoluzione industriale. Kierkegaard reagirà in modo critico a tali cambiamenti, considerando il regime parlamentare e, in genere, la partecipazione del popolo alla politica, come eventi negativi e pericolosi. Nel 1849 si apre la questione dei ducati, tre territori (tra i quali quelli ottenuti nel 1814 e il Lauenburg), che erano di popolazione tedesca, ma sotto il dominio danese, che chiedono l’annessione alla Prussia. Scoppierà il conflitto che si chiude con la sconfitta della Danimarca, che comunque manterrà la sovranità sui ducati fino al 1864 quando, dopo una nuova guerra, li perderà a favore di Prussia e Austria. Kierkegaard rimane sostanzialmente estraneo alle vicende politiche del suo tempo, a parte la dura condanna dei moti del’48 e del socialismo. Negli ultimi anni della sua vita sarà impegnato, invece, in una lunga polemica con le istituzioni ecclesiastiche danesi per contrastare il cristianesimo quale istituzione a favore di una religiosità più intima e personale.
Vita e opere.
Soren Kierkegaard nasce a Copenaghen nel 1813, quando suo padre ha ormai 56 anni. La figura del padre, definito dal filosofo stesso come un “vegliardo” troppo severo, ne condiziona pesantemente l’infanzia. Per compiacere il padre, Kierkegaard si iscrive nel 1830 alla facoltà di teologia, portando tali studi a compimento nel 1840. L’anno successivo completa i corsi del seminario pastorale e diventa “magister artium” in filosofia con la tesi “Sul concetto di ironia con riferimento costante a Socrate”. Negli ultimi anni di università, Kierkegaard è colpito da una delle esperienze più intense e sofferte della sua vita, che tenterà di rielaborare e di spiegare in molte pagine del suo Diario: si tratta del rapporto con Regina Olsen, che Kierkegaard conosce all’età di 17 anni, nel 1837, e che lascia nel 1841, dopo appena un anno di fidanzamento. Nel 1841/42 si trasferisce a Berlino, dove segue con entusiasmo le lezioni di Schelling, da cui però prenderà presto le distanze. Tornerà infine a Copenaghen, dove si dedicherà esclusivamente alla stesura dei suoi libri.
E’ consuetudine dividere le opere di Kierkegaard in tre grandi periodi:
il ciclo estetico o di Regina;
il ciclo filosofico;
il ciclo religioso.
Questa scansione delle opere del filosofo è sottolineata dal gioco degli pseudonimi con cui Kierkegaard firma i suoi scritti e ai quali dà dei precisi significati a livello teorico: tali pseudonimi hanno, infatti, il compito di illustrare il cammino che va dalla riflessione sulla condizione umana fino alla fede, quale unica soluzione delle contraddizioni tra l’io e sé stesso. Le opere più importanti del primo ciclo, quello estetico, sono Aut-Aut (1843), firmata con lo pseudonimo di Victor l’Eremita, Timore e tremore (1843), firmata con lo pseudonimo di Johannes de Silentio, e Il concetto dell’angoscia (1844), firmata con lo pseudonimo di Vigilius Haufniensis o il Vigilante di Copenaghen.
Il ciclo filosofico comprende invece due opere: le Briciole di filosofia del 1844 e la Postilla conclusiva non scientifica (1846), entrambe firmate con lo pseudonimo di Johannes Climacus. Queste opere del ciclo filosofico costituiscono il momento della riflessione laica di Kierkegaard, in cui il tema della religiosità non occupa ancora un ruolo centrale nel suo pensiero, pur essendo comunque sullo sfondo.
Infine ci sono le opere del ciclo religioso: la Malattia mortale (1849) e L’esercizio del cristianesimo (1850), entrambe firmate in modo significativo con lo pseudonimo di Anti-Climacus. Mentre nelle opere dei due cicli precedenti, il nome di Kierkegaard appare in qualità di editore, soltanto la terza opera del ciclo religioso, intitolata i Discorsi edificanti (1851/52), è l’unica che porta la sua firma come autore. Il filo conduttore e momento che unifica le varie opere sono le riflessioni contenute nei Diari, che saranno pubblicati soltanto dopo la sua morte, avvenuta a Copenaghen nel 1855.
Il rapporto con Regina nelle pagine del diario.
Nelle pagine del Diario é possibile trovare qualche spiegazione del rapporto intenso e sofferto del filosofo con Regina Olsen. Kierkegaard vive la relazione con Regina come scelta tra prospettive esistenziali contrapposte: la sensualità e la passione da un lato, il rigorismo e il suo modo di intendere il cristianesimo dall’altro; da una parte l’assunzione di ruoli sociali, cioè la vita etica che il matrimonio avrebbe comportato, e dall’altra la dimensione solitaria della religione.
Nonostante il suo amore per Regina, Kierkegaard è ben consapevole che la sua scelta di vita è inconciliabile con il matrimonio. Inoltre il padre di Kierkegaard, Michael Pedersen, che prima di diventare un ricco mercante era stato un umile pastorello, aveva lasciato sulle spalle di Kierkegaard una pesante eredità: un giorno, mentre si trovava su una collina dello Jutland, Pedersen aveva maledetto Dio per la sua condizione di umile pastorello e, in seguito, aveva attribuito la morte di tutti i suoi figli, eccetto Soren, alle conseguenze di tale gesto. Forse fu questo il motivo per cui Kierkegaard non sposò Regina Olsen: era profondamente convinto che la maledizione del padre avrebbe eventualmente colpito anche i figli che avrebbe avuto da Regina. Kierkegaard, che aveva visto morire ben cinque fratelli prima di compiere vent’anni, rimase particolarmente sconvolto dalla morte drammatica di suo fratello omonimo, si chiamava anche lui Soren, che era stato colpito da emorragia cerebrale all’età di soli dodici anni, mentre giocava nel cortile di scuola. Tali esperienze drammatiche e la sua educazione pietista, rigida e rigorosa, rendono più comprensibile la scelta di rinuncia del filosofo e il suo temperamento malinconico e riflessivo. La forte convinzione di essere soggetto a una maledizione divina, fortemente inculcatagli dal padre sin da piccolo, completa quindi il quadro desolante che ha pesantemente influenzato le sue vicende private e il suo pensiero. Forse proprio in seguito a questo rapporto matura in Kierkegaard la centralità del concetto di scelta. Elabora infatti questa concezione in Aut-Aut, al quale lavora subito dopo la rottura del fidanzamento e che terminerà nel 1843. Kierkegaard stesso spiegherà che “Allorché lasciai lei, chiesi a Dio una cosa sola, di poter riuscire a scrivere e portare a termine Aut-Aut” (questo era anche per via di lei, visto che il Diario del seduttore era stato scritto allo scopo di respingerla. Kierkegaard dirà in Timore e tremore che, quando il bambino dev’essere svezzato, la madre gli cosparge il petto di aloe, e da qui la sua intenzione di chiudersi in chiesa per concretizzare la sua rinuncia al mondo. Aut-Aut venne portato a termine, ma non riuscì nel suo intento di essere odiato, anzi dovette riconoscere di aver ottenuto un successo splendido. Qualche anno più tardi, Regina si sposa con un funzionario statale, Johan Frederik Schlegel, mentre la vita di Kierkegaard sarà segnata per sempre da questo abbandono, nonostante l’avesse voluto lui stesso. Anche se probabilmente non c’é un legame diretto, non è forse un caso che la morte di Kierkegaard avvenga lo stesso anno (1855) in cui Regina lascia la Danimarca per seguire il marito che era stato nominato governatore delle Antille danesi.
L’esistenza del singolo e la critica alla filosofia sistematica di Hegel.
Kierkegaard prende le mosse da una critica radicale alla filosofia sistematica di Hegel, colpevole di aver considerato l’individuo come un momento dello sviluppo dello Spirito, al cui interno ogni individuo trova la propria dimensione universale, superando in modo dialettico tutte le contraddizioni. Kierkegaard si pone invece dal punto di vista dell’esistenza del singolo, mutando completamente la propria prospettiva: egli afferma che le contraddizioni non vanno risolte e che si presentano come alternative inconciliabili o aut- aut, cioè “o oppure o”. Tali alternative sono delle possibilità esistenziali, che chiamerà stadi, che possono essere percorse in momenti successivi della vita di un individuo; tuttavia il passaggio da uno stadio all’altro può avvenire soltanto tramite una trasformazione radicale della propria esistenza. La scelta operata dal singolo non determina soltanto che cosa egli farà nel proprio futuro, ma anche ciò che sarà. Per questo motivo la scelta apre alla possibilità e alla libertà, ma produce, allo stesso tempo, angoscia, in quanto determina in modo irreversibile il destino individuale: dalla scelta fatta, per Kierkegaard, non si può tornare indietro.
L’uomo si percepisce allora in modo contraddittorio perché, nel momento in cui diviene consapevole di sé, si avverte come un essere limitato, imperfetto e insufficiente a sé stesso.
Secondo Kierkegaard il sentimento della propria precarietà che affligge l’uomo, si traduce in un sentimento di disperazione, dalla quale è possibile uscire soltanto compiendo un salto nel buio della fede, cioè scegliendo Dio. Questa scelta non può essere spiegata per Kierkegaard, né motivata in termini razionali, ma costituisce l’unica possibile soluzione alla condizione esistenziale dell’uomo. Rispetto ai concetti hegeliani di universale e di necessità, Kierkegaard rivendica invece nuove categorie legate al singolo e alla possibilità. Il filosofo, rifiutando per sé il ruolo di pensatore sistematico, parte anzi proprio dalla critica alla filosofia sistematica di Hegel, rivalutando la categoria del singolo quale esistenza concreta e irriducibile a ogni astrazione e che deve essere alla base dell'indagine filosofica della realtà umana. La filosofia di Kierkegaard si configura quindi come una ricerca interiore, di stampo agostiniano, rigorosa e sofferta. L'opera in cui meglio Kierkegaard articola dal punto di vista teorico la sua riflessione é la Postilla conclusiva non scientifica, postilla alle Briciole di filosofia, ma in realtà costituisce un'esposizione autonoma delle premesse essenziali della sua filosofia. Il titolo della Postilla è rivolto polemicamente contro Hegel, poiché la scientificità che vi viene negata è quella del sistema filosofico di Hegel. La filosofia hegeliana pretendeva di dare un senso a tutto: nello sviluppo storico tutto é razionale, le contraddizioni vengono risolte e ogni uomo, in quanto parte dello Spirito universale, ne condivide l'immortalità. Ma se tutto ciò vale per l'intero sistema, non é comunque valido per la prospettiva dell'esistenza del singolo, se la si assume come categoria di interpretazione della realtà e della storia: le contraddizioni restano non risolte, l'eternità, dimensione propria dello Spirito, si risolve in un frammento di poche decine d'anni che hanno termine con la morte, e la stessa necessità storica perde di significato rispetto alle vicende che l'individuo vive in prima persona.
Kierkegaard afferma che il limite dell'Idealismo, così come di ogni forma di razionalismo, é dato dall'incapacità di cogliere la realtà della vita concreta, poiché il singolo non può essere dedotto dall'universale, né la vita concreta dal concetto. Sul piano della conoscenza, il singolo ha una sua conoscenza o riflessione soggettiva, che gli appartiene e che ha per lui un significato personale, mentre la logica e il sistema rappresentano la riflessione oggettiva: queste due forme di riflessione sono per Kierkegaard due piani di realtà tra loro inconciliabili. Kierkegaard invita Hegel a operare un cambio radicale di prospettiva e non una semplice revisione del suo pensiero: al pensiero oggettivo occorre sostituire quello soggettivo, cioè il pensiero che parte dall'esistente e che ha come scopo la spiegazione del singolo. Mentre lo scenario dello Spirito hegeliano era l'eternità, quello del singolo é scandito dal tempo e dal divenire, per cui non é minimamente influenzato, nella sua esistenza, dalle risposte valide, ma possibili soltanto sul piano delle verità eterne. Secondo Kierkegaard il pensatore soggettivo non mette l'esistenza tra parentesi, vivendo l'astrazione, ma introduce il pensiero astratto nella sua esistenza concreta, impegnato com'é a vivere la propria esistenza fino in fondo.
Il pensiero deve quindi confrontarsi con la diversità dei casi e delle situazioni. Kierkegaard, ad esempio, afferma che si può dare una definizione della fede con poche battute, ma se la si considera come fede vissuta, la riflessione diventa inesauribile, perché si modifica in relazione alle infinite scelte con le quali l'individuo si confronta nella realtà quotidiana.
La diversità tra i due diversi tipi di pensiero risulta essere particolarmente evidente sul piano della logica: il pensiero oggettivo, come Kierkegaard chiama la dialettica hegeliana, supera la contraddizione nella sintesi, per cui i diversi momenti della dialettica costituiscono delle singole realtà parziali che acquistano significato e importanza soltanto se sono ricondotte ad una realtà unitaria in grado di ricomporle tutte al suo interno: solo così tali realtà frammentarie diventano per Hegel effettivamente reali. Sul piano dell’esistenza, invece, Kierkegaard sostiene che la contraddizione dell’esistenza fra realtà parziali non si risolve, ma impone all’individuo una scelta tra alternative tra loro inconciliabili. Se la storia è regolata dalla rigida necessità, la singola esistenza invece si muove nell’ambito della categoria della possibilità che implica per l’individuo una scelta pratica e non teoretica, cioè una scelta inerente la propria vita e non le spiegazioni o le teorie filosofiche. Secondo Kierkegaard tale scelta si presenta come irreversibile, poiché il tempo del singolo è lineare e finito e determina non soltanto ciò che l’individuo farà, ma ciò che l’individuo sarà. Si presenta quindi come una scelta tra possibilità che si escludono reciprocamente, senza alcuna possibile mediazione, come un aut-aut, come recita appunto il titolo di una delle opere più note di Kierkegaard.
La concezione di Kierkegaard richiede di ridefinire le categorie stesse con cui l’esistenza può essere pensata e tali categorie sono per Kierkegaard il singolo e la possibilità che ogni uomo può applicare all’interno della propria vita, ma non dall’esterno. Kierkegaard riprende così l’indagine filosofica come ricerca interiore e indagine di sé. Mentre infatti le dinamiche del mondo e della storia si possono individuare dall’esterno, quelle soggettive presuppongono l’analisi della propria esistenza: la singolarità può essere compresa solo divenendo un singolo.
Gli stadi dell’esistenza.
L’individuo, in quanto singolo, si trova davanti a diverse alternative tra loro inconciliabili e riconducibili a due differenti modelli esistenziali che Kierkegaard descrive nell’opera intitolata Aut-Aut: lo stadio estetico e quello etico. A questi due stadi il filosofo ne aggiunge un terzo, quello religioso, che ha una collocazione speciale ed è trattato in un’altra opera intitolata Timore e tremore. Questi tre modelli diversi di esistenza possono essere diversi stadi dell’esistenza in quanto rappresentano dei modi di essere che permangono per tutta la vita dell’individuo, ma anche stadi che costituiscono momenti successivi della vita del singolo. Mentre i primi due stadi risultano essere auto-contraddittori e dialettici, mentre il terzo stadio ne rappresenta il loro superamento.
La dialettica di cui parla Kierkegaard è molto diversa da quella hegeliana perché non raggiunge mai una sintesi, ma si esprime nella forma di un’antitesi radicale, di un aut-aut appunto. Per Kierkegaard non é possibile infatti unire fra loro stadi contraddittori secondo la logica del “e.....e”: scegliere uno stadio implica un salto, una rottura con l’altro. La struttura di Aut-Aut (o Enten-Eller nel titolo originale danese) presenta di per sé una forte valenza simbolica e filosofica. Lo pseudonimo con cui Kierkegaard firma l’opera é Victor Eremita. Nella finzione costruita dall’autore, Victor trova per caso in uno scomparto segreto di una scrivania due pacchi di carte, diversi sia all’apparenza, sia per contenuto, che chiamerà carte di A e carte di B.
Il primo gruppo di carte contiene scritti di estetica su vari argomenti: i Diapsalmata, aforismi di vario tipo; un saggio sul Don Giovanni di Mozart, intitolato Gli stati erotici immediati, ovvero il musicale-erotico; il Diario del seduttore; altri saggi su argomenti vari.
Il secondo gruppo comprende invece due saggi di argomento etico, la Validità estetica del matrimonio e L’equilibrio tra l’estetico e l’etico nell’elaborazione della personalità, e infine, oltre ad alcune lettere indirizzate ad A, un Ultimatum, cioè un breve scritto in forma di preghiera, in cui si afferma che “di fronte a Dio l’uomo ha sempre torto”.
Dalle “carte di A” emerge la caratterizzazione dell’esteta, impersonato dalla figura di Don Giovanni, di Faust ecc. e infine dalla figura inventata, e in parte autobiografica, di Johannes, l’autore del Diario di un seduttore. I diversi personaggi rappresentano altrettanti stili di interpretazione della vita estetica, che è essa stessa infinita possibilità e che può quindi realizzarsi in una molteplicità di modi diversi. L’esteta è colui che decide di non scegliere, che si lascia vivere, rifiutando di assumere ruoli o responsabilità sociali, che passa da un’esperienza ad un’altra senza mai assumere un’identità stabile. In questo modo egli non si costruisce come persona, non costruisce un proprio io, vive nell’istante e perciò rimane privo della continuità che è la base dell’auto-identificazione, della durata. La descrizione degli stadi estetici mediante le carte di A comprende le pagine più note di Aut-Aut. Tra le molte figure che Kierkegaard descrive, la più famosa è quella di Don Giovanni, che riprende dalla lettura generale di Mozart, oltre che dalla letteratura internazionale: nelle carte di A, infatti, le osservazioni su Don Giovanni riguardano la ricerca sull’origine del personaggio e sul suo significato simbolico, oltre che una valutazione dell’efficacia dell’opera di Mozart. Lo stadio estetico non si esprime come individualità: secondo Kierkegaard finché si cerca di interpretare la figura di Don Giovanni come un individuo dotato di una storia e di una personalità non se capisce appieno il significato. L’attività di Don Giovanni, infatti, in quanto legata al godimento estetico privo di qualsiasi continuità e che si ripete in infinite varianti, può esprimersi soltanto nella musica visto che anch’essa è giocata intorno a varianti e a riprese dello stesso motivo, senza alcuna pretesa che l’emozione immediata della musica possa tradursi in una continuità di contenuto o in un discorso concettuale. Secondo l’analisi di Kierkegaard prima del Medioevo la sensualità di Don Giovanni non si era mai manifestata nella storia: essa si presenta infatti come seduzione, un concetto estraneo al mondo classico. Nel mondo greco, infatti, l’amore era psichico e non sensuale ed era rivolto a una persona in modo esclusivo, anche quando accadeva di cambiare spesso donna, al contrario Don Giovanni non ama nessuna donna in particolare, ma tutte le donne, cioè ama la sensualità in quanto tale.
Il seduttore, secondo il filosofo, non ha continuità e per questo motivo non possiede alcuna individualità e la seduzione resta il solo modo in cui l’esteta riesce ad affermare il proprio essere. L’esteta, infatti, si disperde nelle cose e nelle esperienze, non costruisce se stesso, non si autodefinisce e manca quindi di una personalità, di un io che rappresenti un punto di riferimento continuativo della propria esperienza.
Il secondo stadio è quello etico e Kierkegaard lo analizza nelle carte di B descrivendo un unico personaggio, il giudice Guglielmo. La scelta etica, rappresentata appunto dal giudice Guglielmo, rappresenta la possibilità esistenziale che si contraddistingue per il suo carattere di fissità, per l’assunzione di ruoli e di compiti che realizzano in modo univoco l’individuo; vivere eticamente significa essere cittadini, padri e mariti, assumere e far propri quei compiti e quelle responsabilità che rendono ognuno di noi un frammento della struttura sociale, ma anche una persona determinata, con una propria identità. Chi vive eticamente sceglie la propria vita e in questo modo definisce e costruisce se stesso, afferma la propria identità nella continua ripetizione dei propri compiti, costruisce un’identità e una durata: la vita etica ha durata e storia, perché in virtù della scelta ha costruito la propria personalità. A differenza dell’esteta, chi vive in modo etico opera una scelta e, prima di scegliere qualcosa, ha scelto di volere, di determinarsi. Tuttavia anche lo stadio etico risulta essere contraddittorio: l’individuo etico si caratterizza come essere sociale, come portatore di ruoli e coinvolto in rapporti che lo legano ad altri individui, ma lo stadio etico lo porta anche al riconoscimento di sé, che é allo stesso tempo riconoscimento di fronte a Dio e quindi consapevolezza della propria natura limitata e della propria inadeguatezza. Questa presa di coscienza porta alla conclusione necessaria dello stadio etico: il pentimento. L’uomo etico si riconosce, ma riconosce anche la propria inadeguatezza di fronte a Dio, non può quindi accettarsi, ma in quanto consapevole di sé e dei propri limiti non può nemmeno rifiutarsi. Ogni uomo, essendo composto da anima e corpo, che costituiscono elementi diversi e opposti tra loro, utilizza lo spirito quale agente di mediazione tra i primi due e nel momento in cui raggiunge la consapevolezza di sé, diviene anche consapevole della contraddizione esistente tra anima e corpo. Tale contraddizione, invece di essere risolta, diventa consapevole e l’individuo, che si conosce finito, ma che aspira all’infinito, si trova dinanzi a un bivio irrisolvibile: se decide di accettarsi per quello che é, ma in quanto limitato e insufficiente a se stesso, non può realizzare pienamente la propria aspirazione di infinita perfezione, che é obiettivo primario della vita etica; oppure può rifiutare se stesso ed entrare così in conflitto con la propria essenza, annullando la propria dignità dinanzi alla perfezione divina, percependosi inadeguato alla piena realizzazione della vita etica. La contraddizione rimane così irrisolta e genera la disperazione, che é la malattia mortale analizzata nell’opera omonima del 1849. La malattia mortale é un’opera che fa parte, insieme con l’Esercizio del cristianesimo (1850), del cosiddetto “dittico del cristianesimo” che Kierkegaard pubblica con lo pseudonimo di Anti-Climacus, in contrapposizione al Climacus delle Briciole di filosofia e della Postilla conclusiva non scientifica. L’esistenza è dunque per Kierkegaard una condizione di contraddizione irrisolta e irrisolvibile, perché in essa l’individuo o rinuncia a costruire il proprio io, come fa l’esteta, e finisce quindi per non essere, o si riconosce come persona, come avviene nella vita etica, ed entra in contrasto insanabile con sé stesso. La contraddizione non può quindi essere risolta, ma secondo Kierkegaard può essere superata mediante un salto qualitativo che non é spiegabile in termini di ragione, ma soltanto in termini di volontà: questo salto é la fede. La dimensione religiosa non presenta alcuna continuità o passaggio tra lo stato etico e quello religioso, in quanto la religione, e in particolare il cristianesimo, é incomprensibile e a-razionale, é appunto paradosso. La fede, intesa come paradosso, e la rottura con l’etica, sono simboleggiate dalla figura di Abramo che riceve da Dio l’ordine più lontano da ogni principio morale, quello di immolare in sacrificio suo figlio Isacco. All’analisi di questo episodio e dei suoi significati, Kierkegaard dedica l’opera intitolata Timore e tremore (1843). La vicenda di Abramo é incomprensibile se analizzata al di fuori di un contesto di fede, perché con il sacrificio del figlio egli viola ogni norma etica, tradisce i suoi compiti di uomo e di padre, ponendosi al di fuori dell’etica. Questo porsi al di fuori dell’etica é appunto la fede. Nell’etica, e qui Kierkegaard sta riferendosi in modo esplicito ad Hegel, l’individuo é subordinato al generale inteso quest’ultimo come norma, legge o società, e trova in esso il proprio fine; nella fede invece, e da ciò dipende la sua paradossalità, il singolo in virtù del suo rapporto personale e irripetibile con Dio, si pone al di sopra del generale. Kierkegaard sostiene che se così non fosse, la fede non sarebbe nulla di diverso rispetto all’etica e dunque sarebbe sempre esistita anche prima della rivelazione. Il filosofo sostiene che se la fede coincidesse con la ricerca del bene, allora Abramo sarebbe perduto in quanto con il suo gesto andrebbe oltre ogni legge morale; la sua scelta deriva dal rapporto con Dio come persona: si tratta dell’atto di un singolo di fronte a Dio che non cerca giustificazioni al proprio comportamento nel generale, in una legge valida per tutti, ma nel suo rapporto personale con Dio. Abramo quindi non si pone davanti a Dio in quanto membro di un popolo con cui identificarsi, né il comando di Dio é da intendersi come un comando generale in quanto non vale per tutto il popolo: l’ordine di Dio vale esclusivamente per Abramo e solo per lui, infatti non esiste alcuna legge che prescriva ad un padre di sacrificare il proprio figlio; secondo Kierkegaard il comando di Dio si capisce soltanto se posto in relazione con il rapporto di fede personale che Abramo ha costruito con Dio. Hegel invece suggeriva l’esatto contrario: l’individuo si realizza soltanto nella misura in cui si riconduce al generale, identificandosi nell’eticità come Spirito Oggettivo, ma in tal modo l’individuo viene ricondotto al generale e scompare come individuo singolo.
Il diario del seduttore e il diario come genere filosofico.
Il Diario del seduttore fa parte delle cosiddette “carte di A” che sono contenute in Aut-Aut. In queste carte, inerenti lo stadio estetico, si mescolano diversi generi letterari e di essi il più importante é il diario. Per Kierkegaard questo genere filosofico ha un significato particolare: egli si dedica alla stesura del Diario per tutto l’arco della sua vita e le pagine che lo compongono costituiscono poco meno della metà della sua intera produzione. Il diario é individuale, personale, racconta l’esistenza e la rielabora, parla di quel singolo, come recita l’epitaffio che Kierkegaard avrebbe voluto nella tomba. Per tutti questi aspetti il diario si adatta perfettamente al modo in cui il filosofo concepisce la filosofia, come uno sguardo dall’interno, un’analisi interiore del pensiero, non fredda ed esterna. Attraverso il diario, Kierkegaard racconta la propria esistenza e la dimensione filosofica di tale esistenza. Nel Diario del seduttore Kierkegaard affida alla forma del diario l’espressione dello stadio estetico, che riteneva non potesse essere espresso se non dalla musica, come nel caso del Don Giovanni di Mozart. Anche nel caso del Diario del seduttore, come in Aut-Aut, Kierkegaard ricorre all’espediente della scrittura indiretta. Nella finzione il diario viene ritrovato e letto da una persona diversa da chi lo ha scritto; chi legge scopre così la personalità del seduttore. Inoltre il lettore del diario, che é lo stesso Kierkegaard, ha ricevuto anche le lettere della ragazza sedotta, dopo che é stata abbandonata. Può quindi metterle in relazione con il diario, confrontando momenti e situazioni. La figura del seduttore, di cui conosciamo solo il nome Giovanni, non é diversa da quella descritta in altre opere di Kierkegaard: innamorato delle sensazioni e delle emozioni, lascia cadere il rapporto quando la ragazza si é perdutamente innamorata di lui, perché il suo scopo non é l’amore per una persona, ma l’innamoramento in generale, le sensazioni che dà, il vivere nel momento.
Dalla lettura delle lettere e del diario emergono gradualmente le esistenze dei due protagonisti con i loro stati d’animo. Giovanni e Cordelia, la ragazza sedicenne sedotta, si incontrano casualmente per strada e la loro relazione nasce da poche parole e dagli sguardi. Poi gli incontri casuali si ripetono, finché non si giunge lentamente a una conoscenza più diretta, grazie all’amicizia che Giovanni stringe con il fidanzato di Cordelia. Kierkegaard ci mostra le sensazioni e i sentimenti dei protagonisti e ci fa scoprire il loro modo di concepire e di vivere l’amore e il rapporto con l’altro sesso. Il racconto, visto dalla parte del seduttore, a parte alcune lettere della ragazza, descrive in modo minuzioso i progressi della seduzione, i gesti compiuti per suscitare specifiche reazioni, che puntualmente si verificano. Giovanni racconta nei dettagli i suoi stati d’animo e quelli di Cordelia, in una vera e propria anatomia della nascita di un amore.
Dopo un lungo corteggiamento, del quale il diario rivela le tecniche sottili, Giovanni riesce a far innamorare perdutamente di sé Cordelia e a possederla per una notte. A questo punto il suo interesse e il suo amore vengono meno. Il seduttore, o meglio Kierkegaard, liquida tutta la storia in poche parole: “Bello é l’amore solo finché duran contrasto e desiderio, scrive Giovanni nell’ultima pagina del suo diario, dopo tutto diviene debolezza e abitudine. Ed ora del mio amore con Cordelia non voglio più neppure il ricordo” (Diario del seduttore, p. 97).