Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 9
La filosofia hegeliana a confronto con le altre filosofie precedenti.
Hegel, prima di delineare il proprio sistema filosofico, prende in esame il pensiero sia dei Romantici, sia di Fichte e Schelling, allo scopo di individuare i punti critici della filosofia sviluppatasi prima del suo sistema.
Partendo dal problema del rapporto tra finito e infinito, che Hegel giudica come non risolto dalle filosofie che l'hanno preceduto, il suo intento è quello di preservare gli sviluppi soddisfacenti del pensiero che lo ha preceduto, senza però raccoglierne le criticità, allo scopo di operare una sintesi critica che possa sfociare in un sistema organico e coerente di pensiero.
A tale scopo prende in considerazione il tentativo di Fichte di porre le premesse per una filosofia dell'infinito che, abolendo la cosa in sé, aveva come obiettivo di sanare la dicotomia tra finito e infinito. Secondo Hegel però, il tentativo di Fichte è da considerarsi insoddisfacente nella misura in cui, quello di Fichte, rimane un «cattivo infinito». Infatti nella dinamica tra Io e Non-Io, il limite che l'Io pone, non viene mai superato o risolto, ma semplicemente spostato all'infinito. Il rapporto tra essere e dover essere non si risolve mai e la morale, che ha come obiettivo di riappropriarsi completamente del Non-Io da parte dell'Io, non si realizza mai completamente, ma si dilaziona in un processo all'infinito. Anche per quanto riguarda l'aspetto della dialettica di Fichte, da Hegel molto apprezzata, non lo soddisfa completamente, in quanto il momento negativo, il Non-Io, non viene mai risolto e superato dall'Io, ma soltanto rimosso. Viene quindi a mancare il vero momento della sintesi, inteso quale superamento di tesi e antitesi, che permette la nascita di una realtà nuova dalle precedenti, mentre invece nella dialettica fichtiana tale superamento non avviene, col risultato che si ha una semplice riproposizione della tesi, già affermata in precedenza. Se l'Idealismo soggettivo di Fichte non soddisfa pienamente Hegel, neppure l'Idealismo oggettivo di Schelling sembra privo di problemi. Schelling, infatti, nel tentativo di dare una definizione univoca dell'Assoluto, è caduto, secondo Hegel, in un Assoluto indifferenziato: manca totalmente il momento negativo dell'antitesi, per cui l'Assoluto, inteso come unità di finito e infinito, risulta appunto indifferenziato, rendendo impossibile comprendere come possa avvenire il passaggio dall'infinito al finito. Hegel paragona la definizione di Assoluto di Schelling a una notte in cui tutte le vacche sono nere, per sottolineare sia l'impossibilità di far derivare il finito dall'Assoluto, sia di spiegare dove risiedano i limiti della Natura e dove quelli dello Spirito: i vari tentativi operati da Schelling in questo senso sembrano confermare le critiche mossegli da Hegel, le varie definizioni di Assoluto infatti, non soltanto risultano essere frammentarie e disorganiche, ma non riescono a risolvere il dualismo tra finito e infinito che, invece, Hegel intende ricomporre e superare. Come aveva riconosciuto a Fichte il merito dell'utilizzo del mezzo dialettico, per quanto utilizzato in modo non organico, Hegel riconosce a Schelling il merito di aver tentato di definire l'Assoluto come identità tra soggetto e oggetto, ma gli rimprovera di aver presentato tale identità come un dato acquisito, già raggiunto, senza preoccuparsi di spiegare le fasi del processo che ha permesso tale risultato.
L'obiettivo dichiarato di Hegel sarà, di conseguenza, unire l'Idealismo soggettivo di Fichte e quello oggettivo di Schelling allo scopo di superarli entrambi, dando vita ad un Idealismo assoluto.
Hegel considera quindi il pensiero dei suoi predecessori come una preparazione al proprio sistema filosofico, in cui verranno superate le criticità del loro pensiero, grazie al fatto che la filosofia è per lui l'Assoluto nel suo stesso sviluppo storico, contenente le varie tappe di avvicinamento progressivo allo Spirito Assoluto.
Per molto tempo la rilettura critica delle filosofie di Fichte e Schelling è stata condizionata da tale visione di Hegel e considerata in modo subalterno al suo pensiero: in realtà oggi la critica filosofica ne ha riscoperto sia l'originalità, che l'autonomia rispetto al pensiero hegeliano, e quindi il loro valore intrinseco.
Un altro movimento di pensiero che viene analizzato da Hegel è quello del Romanticismo, sopratutto in merito alla concezione di Assoluto. Secondo Hegel è necessario prendere le distanze dal metodo conoscitivo proprio del Romanticismo, fondato esclusivamente sull'intuizione e sul sentimento, piuttosto che sulla ragione e sulle sue articolazioni.
Nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, Hegel ribadisce il proprio distacco dal movimento romantico, nonostante la sua vicinanza giovanile al movimento e la presenza di tematiche comuni al Romanticismo, presenti negli Scritti Giovanili.
Il limite maggiore che Hegel rimprovera ai Romantici è il fatto di non aver aver saputo riconoscere l'importanza della funzione del concetto, il fatto cioè di aver intuito l'Assoluto, ma di non averlo concepito, cioè definito in termini razionali. La pretesa che il Romanticismo nutre di cogliere l'Assoluto nella sua immediatezza, di slancio, senza preoccuparsi di declinarlo nel suo sviluppo processuale, cioè in quanto frutto di un processo graduale e progressivo, di uno sviluppo che si realizza nell'esistente, per Hegel si configura come irrazionalismo, impedendo al pensiero umano di poter riconoscere il percorso che porta l'Assoluto a riconoscere se stesso nel mondo. Secondo Hegel quindi il movimento romantico preclude alla conoscenza umana, e quindi alla ragione, la comprensione di cosa sia in realtà l'Assoluto, in quanto avulso dal processo e dalle tappe in cui esso si sviluppa e che solo la ragione, con i suoi strumenti, è in grado di cogliere.
I presupposti della filosofia hegeliana.
Allo scopo di meglio comprendere e delineare il percorso procedurale della filosofia hegeliana, è necessario partire dalla razionalità del reale e descrivere quelli che risultano essere i presupposti, i fondamenti cardine che stanno alla base del suo pensiero. Partendo da tale razionalità del reale che si sviluppa, Hegel presuppone che il reale derivi da una razionalità preesistente che, declinandosi via via, produce la realtà: tale progetto complessivo, o rappresentazione razionale della realtà, è appunto l'Idea. Fin dai suoi Scritti Giovanili, nel periodo di Jena, Hegel sottolinea come il suo pensiero sia caratterizzato come un sistema unitario che, partendo da delle premesse, svolge poi nei singoli contenuti: ciò richiede l'analisi di tali premesse allo scopo di poterne cogliere, in modo organico, gli sviluppi successivi.
Il primo presupposto che Hegel utilizza quale fondamento del proprio sistema filosofico è dato dall'affermazione che “Ciò che è razionale, è reale; e ciò che è reale, è razionale”.
Richiamandosi alla visione platonica dell'interpretazione della realtà, Hegel definisce tutta la realtà come sviluppo della razionalità, dell'Idea, che risulta essere preesistente alla realtà. Compito della filosofia non è quindi determinare tale processo, ma bensì riconoscerlo e comprenderlo: la realtà con cui l'uomo si confronta quotidianamente, presenta una struttura razionale che la ragione umana è in grado di cogliere, da cui ne scaturisce che la filosofia è, come dirà Hegel, «il proprio tempo appreso con il pensiero». L'aspetto complementare alla razionalità del reale, è rappresentato dalla necessità che il pensiero razionale deve farsi mondo, deve realizzarsi nel mondo, è il mondo stesso, è il compito della filosofia è quello di cogliere la razionalità non in astratto, ma nella realtà.
Ecco perché Hegel distingue tra ciò che è reale e ciò che, invece, è esistente.
Esistente e reale infatti non sono coincidenti, in quanto mentre l'esistente ha razionalità, ma non è razionalità, la razionalità rappresenta invece l'aspetto essenziale e necessario della realtà, ciò che permette l'esistenza di ciò che esiste e che permette all'uomo di conoscere la realtà: l'Idea nel mondo. È proprio nella frattura che si viene a creare tra reale, espressione dell'Idea nel mondo, ed esistente, ciò che semplicemente ne è il prodotto e la conseguenza, che la filosofia si può inserire, in quanto suo compito è di riconoscere il reale nell'esistente, e dunque il manifestarsi dell'Idea nel mondo.
Se per Platone il rapporto tra le idee e le cose rendeva necessaria la mediazione dell'anima, quale veicolo che permetteva il riconoscimento della razionalità nelle cose reali, copie imperfette delle Idee perfette e immutabili, in un processo che vedeva l'uomo condannato a dover poi ricordare la perfezione del razionale per poterne cogliere i singoli frammenti nella realtà, per Hegel invece non è più necessaria tale mediazione obbligata, in quanto la realtà non può non rispecchiare in modo fedele la razionalità dell'Idea che si declina nella realtà stessa, ricomponendo quella insanabile frattura tra finito ed infinito che il dualismo platonico aveva creato.
Tuttavia la razionalità per Hegel non risiede nel singolo esistente, ma costituisce la struttura e la connessione delle esistenze, ed è dunque processo. Questa processualità consente, riprendendo un esempio ripreso dallo stesso Hegel, di comprendere la realtà della pianta soltanto se la si riconduce alla nozione di organismo vivente, se si pone tale nozione in collegamento alla nozione di organismo e così di seguito. Si tratta di un processo circolare che permette di comprendere la singola cosa, cogliendola come momento di una realtà complessiva che, nel suo insieme, spiega le singole esistenze, ma spiega anche se stessa come totalità. Il razionale è l'universale che diventa individuale, cioè reale, e che da esso non può essere distinto, così come la frutta non può essere distinta dalle pere, dalle mele e da ogni altra tipologia di frutta.
Sulla base di questa premessa, Hegel considera come centrale il problema del passaggio dal l'universale al particolare, la loro relazione e il definirsi dell'«universale concreto».
Con questa definizione, di universale concreto, Hegel intende che l'universale non è separato dalla realtà, come invece sostenevano i romantici, ma che si esprime nel concreto e nelle cose esistenti, che devono però essere considerate nella loro dimensione generale e ricondotte quindi all'universale, di cui sono l'espressione.
L'universale non coincide dunque con nessuno dei momenti particolari in cui si articola, ma non esisterebbe tuttavia senza di tali singoli momenti.
Da una parte non si può pensare alla frutta prescindendo dai frutti specifici, ma d'altra parte non è neppure possibile identificare il concetto con una solo delle sue determinazioni.
Hegel stesso chiarisce bene tale rapporto che costituisce il punto di partenza del suo sistema: non è possibile considerare il particolare come qualcosa che si esaurisce in se stesso, ma bisogna considerarlo come sviluppo completo di questi riferimenti.
Nell'esempio portato dallo stesso Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, in cui afferma che se prendiamo in considerazione il bocciolo, il fiore e il frutto in quanto realtà individuali, è chiaro che ognuno é diverso dagli altri e da essi distinto: il bocciolo deve scomparire perché possa nascere il fiore, il fiore deve dissolversi perché possa nascere il frutto e svilupparsi. Ognuna di queste realtà deve potersi sviluppare negando l'altra, ma la verità non risiede in nessuno di questi singoli momenti, presi singolarmente, ma nel processo complessivo della pianta che li comprende tutti come un processo unitario: il movimento che caratterizza il passaggio fra i diversi momenti, che si oppongono l'uno all'altro, rappresenta il processo che Hegel chiama dialettica.
La dialettica hegeliana si articola in tre momenti, che ripropongono quelli di tesi, antitesi e sintesi teorizzati da Fichte:
- il momento intellettivo-astratto, in cui l'intelletto astrae il singolo momento e lo considera come una realtà esistente indipendentemente dal resto (ad es. il fiore come diverso dal frutto);
- il momento dialettico, o negativo- razionale, che rappresenta la negazione del momento singolo e isolato, per riaffermare il processo (ad es. il fiore sparisce per far posto al frutto);
- il momento speculativo, o positivo-razionale, dove l'unione dei momenti precedenti, offre la sintesi della totalità della cosa, intesa come processo (ad es. il fiore e il frutto vengono considerati entrambi quali momenti dello sviluppo della stessa pianta).
Dialettica.
Fin dall'antichità il termine dialettica si associa da un lato ad un significato gnoseologico, in quanto indica nel pensiero di Platone e di Aristotele, un metodo di conoscenza, dall'altro assume un significato metafisico, nella misura in cui la dialettica rappresenta la struttura stessa del reale, come ad es. in Eraclito. Per molti secoli, a partire dalla Scolastica, prevale il significato aristotelico di dialettica, che la identifica con la logica, e la definizione che la presenta come semplice arte retorica. Solo con la filosofia di Fichte la dialettica viene riaffermata come struttura del reale e come metodo di conoscenza allo stesso tempo. Se Hegel critica la dialettica di Fichte, che si limita a rimuovere il momento del negativo, affermando l'Io sul Non-Io, tuttavia riconosce a Fichte il merito di aver rivalutato la dialettica dalla connotazione negativa che ne aveva dato Kant. Kant, infatti, nella sua Critica della Ragion Pura, aveva parlato di dialettica trascendentale per indicare le antinomie e i paralogismi in cui incorrerebbe la ragione quando avanza la pretesa di andare aldilà dell'esperienza concreta: per Kant la dialettica risultava essere privata di ogni valore conoscitivo e la conoscenza era stata limitata alle determinazioni dell'intelletto. È proprio questa posizione che Hegel critica in quanto l'intelletto coglie la cosa come determinata e compiuta in sé, ma non ne coglie la verità, che è data dal superamento di ogni particolare riunito nell'universale. Se l'universale per Kant si colloca aldilà dell'esperienza ed assume soltanto una funzione regolativa della conoscenza, per Hegel l'universale è, invece, il vero di ogni realtà determinata. Per Hegel quindi la ragione, che conserva in senso positivo il significato kantiano di facoltà in grado di conoscere l'universale, diventa in Hegel la funzione conoscitiva per eccellenza: la dialettica, come espressione della ragione, ne costituisce il metodo.
Poiché la dialettica è capace di cogliere il carattere processuale della realtà, poiché il punto di partenza, la tesi o momento intellettivo astratto, viene negato nell'antitesi, o momento negativo razionale, per essere di nuovo riaffermato, insieme con l'antitesi, nella sintesi, o momento positivo razionale. A differenza di Fichte, Hegel considera la sintesi come rapporto dinamico tra tesi e antitesi, in cui entrambi i momenti rimangono intatti (ad es. la sintesi tra essere e non essere è data dal divenire, che non si limita semplicemente a riaffermare l'essere, ma che esplica l'interazione tra essere e non essere, un continuo passaggio dall'uno all'altro.
Allo scopo di sottolineare che il momento negativo supera, ma al tempo stesso conserva e arricchisce quello positivo, Hegel usa il termine di «Aufhebung», che ha il duplice senso di togliere e di conservare: nel processo dialettico, ogni momento dialettico è superato da quello successivo, che non lo cancella, ma lo ripropone trasformato dall'unione con il momento che lo precede.
La dialettica: il vero è l'intero.
Se da un lato la realtà della pianta, come quella di ogni altro essere, è data dalla totalità dei suoi momenti, dall'altra ogni singolo momento nega se stesso e solo così può affermarsi nella sua totalità. Tale dinamica, che è il fondamento della concezione dialettica, caratterizza sia ogni esistenza particolare, sia lo stesso Assoluto.
In accordo con Schelling anche Hegel concorda col dire il vero è l'intero, è il tutto e non la parte, e quindi è la pianta ad essere la realtà concreta e dotata di significato, e non i diversi momenti, ciascuno dei quali è parziale e circoscritto. È proprio il rapporto parte-tutto a costituire il divenire dialettico, per il quale la totalità, come insieme delle parti, è il processo che ricompone le singole parti in un intero. Il secondo presupposto del sistema hegeliano, il vero è l'intero, significa intendere l'Assoluto come la totalità dei suoi singoli momenti. Parlare di tutti gli animali, ad es., significa per Hegel considerare tutti i possibili oggetti della zoologia come impliciti ed inseriti all'interno di un singolo termine: per quanto si possa procedere ad osservazioni empiriche di singole specie di animali, tuttavia non potremo estendere il termine tutti gli animali sino a quando non li avremo conosciuti specie per specie: analizzare una singola specie significa negare però l'espressione universale comprendente tutti gli animali, per introdurre lo studio di una specie particolare, cioè una mediazione. Via via che si prosegue con l'analisi di più specie animali, quindi di più mediazioni, che rappresentano momenti parziali di un'unico processo, si ritornerà ad affermare la totalità, l'Assoluto, ma questa volta come risultato di un processo in cui, dopo aver analizzato e compreso tutte le singole determinazioni di animale e averle ordinate, si avrà la conoscenza puntuale di tutti i singoli momenti particolari, per arrivare all'affermazione di un Assoluto non più astratto, ma reale, cioè razionale. Secondo Hegel l'unico metodo per giungere a tale risultato, ad una conoscenza universale e con garanzie di scientificità, è proprio il metodo dialettico.
La dialettica: la sostanza è soggetto.
Se la dialettica rappresenta la dinamica del ricongiungimento dell'individuale con l'Assoluto, inteso non come qualcosa separato dai suoi momenti, ma come appunto la totalità di tali momenti, come l'intero, allora si rende necessaria una nuova definizione della nozione di sostanza, non più considerata in termini aristotelici quale realtà statica e capace soltanto di nascere e morire, ma secondo l'accezione hegeliana di processualità.
La filosofia aveva tradizionalmente indicato nel termine di sostanza ciò che rimaneva immutato nel divenire. Kant aveva ridefinito la sostanza, considerandola non come una realtà oggettiva, ma come una forma di conoscenza. La sostanza infatti per Kant è un concetto a priori dell'intelletto, in quanto rappresenta una delle quattro categorie kantiane ed è espressione di relazione. Hegel estremizza tale posizione kantiana definendo la sostanza come soggetto e facendone il suo terzo presupposto del proprio sistema filosofico. La realtà per Hegel non è più statica e immutata, ma è soggetto, qualcosa che diviene continuamente, che è processo e movimento, dove ogni singola parte è riferibile ad un intero, ogni particolare rimanda sempre ad una totalità, costituendo la realtà. Da tutto ciò ne risulta modificata anche la nozione di sapere: la singola realtà diventa conoscibile solamente in quanto momento di un sistema che comprenda la totalità delle parti.
L'autocoscienza e il sapere.
Poiché la filosofia ha senso per Hegel solo in quanto sistema, e il vero non può essere rappresentato da un Assoluto astratto, ma dall'Assoluto nel suo sviluppo, il sistema ne deve ripercorrere i diversi momenti. L'Assoluto non può quindi essere intuito, come volevano Schelling e i Romantici, ma può essere compreso soltanto attraverso le sue mediazioni. Poiché, inoltre, è la totalità del reale, l'Assoluto è dato anche dal conoscersi nella sua totalità, cioè è autocoscienza, che viene raggiunta attraverso la filosofia, momento essa stessa dell'Assoluto.
A motivo del fatto che l'Assoluto è cosciente di sé e del proprio sviluppo, si qualifica come Spirito, dove l'autocoscienza è il risultato di un processo, di un divenire storico che si manifesta nella conoscenza umana.
L'Idea così si trasforma in Spirito, attraverso tre passaggi:
- l'Idea si realizza, diventando realtà;
- l'Idea, nella misura in cui diviene, si riconosce nella realtà che ha prodotto, realizzandosi come Spirito, o Idea autocosciente, dove l'Idea riconosce se stessa, producendo il sapere proprio della storia dell'umanità;
- tale sapere, che ora è Spirito, da sostanza alle coscienze individuali, coscienze che devono anch'esse raggiungere l'autocoscienza, ripercorrendo dentro di sé il cammino fatto dallo Spirito nella storia.
Mentre i primi due livelli riguardano il sistema in generale, il terzo riguarda invece la singola coscienza che deve confrontarsi con l'universale e il processo che porta la coscienza singola ad essere parte dell'universale, è descritto nella Fenomenologia dello Spirito.
L'Idea che si sviluppa attraverso il mondo e la storia, ma si riconosce e diventa consapevole di sé anche attraverso il singolo.
Si può spiegare il rapporto esistente tra sapere e coscienza individuale facendo riferimento alla nozione di sapere implicito: in tutti gli individui di una stessa epoca risulta essere condiviso un patrimonio di conoscenze acquisite, considerate ormai ovvie, che non vengono mai messe in discussione e di cui, spesso, non ci si rende conto. È ciò che Hegel chiama il noto (bekannt).
Il sapere appreso, non considerato banale e scontato, di cui invece si è consapevoli, è ciò che Hegel chiama il conosciuto (erkannt). Ciò che per noi è noto è stato, in altre epoche, oggetto di conoscenza intenzionale e problematica. Il noto è un sapere ormai consolidato, mentre il conosciuto è ancora oggetto di analisi e discussioni, rappresenta un sapere in fieri, ancora in via di costruzione.
L'obiettivo di Hegel è quello di rendere di nuovo fluido e vitale, dentro ogni uomo, ciò che viene considerato come ormai generalmente acquisito, per riscoprire il percorso che ha portato alla costruzione di un sapere che è divenuto patrimonio universale dell'intera umanità. Hegel è convinto che nel sapere della coscienza comune sia presente, in modo inconsapevole, l'intero sviluppo della conoscenza umana e che, attraverso l'analisi della propria coscienza, ogni uomo possa diventare consapevole di questo patrimonio implicito, riconoscendosi come parte del processo universale che tale patrimonio ha prodotto nella storia umana.