Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 32
L'Esistenzialismo prima e dopo la Seconda guerra mondiale: contesto storico-culturale.
L'Esistenzialismo compie i suoi primi passi in Germania, con Martin Heidegger e Karl Jaspers, nei primi decenni del Novecento. Verso la fine degli anni Trenta, in Francia, esso si diffonde anche al di fuori degli ambienti accademici e filosofici. Jaspers all'epoca ha già pubblicato opere importanti come la Psicologia delle visioni del mondo1919) e Filosofia (1932), ma è con gli scritti letterari di Jean Paul Sartre, La nausea (1938) e Il muro (1939), che l'esistenzialismo diventa un fenomeno culturale di primo piano. Dopo il secondo conflitto mondiale, esso é destinato a dominare le scene ancora per un paio di decenni. Alla fine della guerra, infatti, l'esistenzialismo ha un grande successo, diventando un fenomeno di costume. Esso esprime bene un profondo disagio diffuso tra le giovani generazioni che si riconoscono nelle parole d'ordine degli esistenzialisti: angoscia, nausea, assurdo. Prima della guerra, il clima soffocante delle ideologie e la disillusione per la progressiva caduta del mito del progresso avevano rappresentato un motivo di spinta verso l'esistenzialismo. In contrasto con le forme di collettivismo della destra nazi-fascista e della sinistra comunista e bolscevica, l'esistenzialismo pone nuovamente al centro il soggetto, l'individuo e la sua aspirazione alla libertà. L'esistenzialismo però non ha un proprio progetto socio-politico da portare avanti, ma rappresenta piuttosto un modo nuovo di guardare all'uomo e alla sua esperienza. Dopo la Seconda guerra mondiale, la popolazione europea è particolarmente ricettiva nei confronti di questo modo di intendere la filosofia. Le terribili sofferenze patite hanno reso tutti ancora più consapevoli della precarietà e della finitezza della condizione umana.
Il ruolo di Nietzsche, Dostoevskij e Kafka.
Nietzsche é il pensatore che ha fissato il quadro di riferimento dell'esistenzialismo, attraverso il suo individualismo, la sua avversione per le riflessioni aridamente accademiche, il rivolgersi all'umano e la proclamazione dell'ateismo come caduta di ogni punto di riferimento. È necessario però riferirsi a Fëdor Dostoevskij e Franz Kafka per trovare importanti antecedenti sul piano squisitamente letterario. Il primo piace agli esistenzialisti per la potenza con cui è capace di tratteggiare il dramma umano di fronte alla possibilità della scelta. Kafka invece è un maestro nel ricreare l'assurdo e lo scacco esistenziale: i protagonisti dei suoi romanzi vivono situazioni senza uscita in cui lottano fino alla fine. Albert Camus spiega bene il metodo di Kafka:"Parimenti, se Kafka vuole esprimere l'assurdo, si servirà della coerenza. Si sa la storia del pazzo che pescava in un bagno. Un medico che aveva idee proprie sui trattamenti psichiatrici e gli chiedeva: "se abboccava all'amo", si sentì rispondere con severità: "Ma no, imbecille! Se è un bagno". Questa storiella é di tipo barocco, ma vi si comprende con evidenza come l'effetto assurdo sia legato a un eccesso di logica. Il mondo di Kafka é, a dire il vero, un universo indicibile, in cui l'uomo si permette il torturante lusso di pescare in un bagno, pur sapendo che non ne ricaverà nulla" (La speranza e l'assurdo nell'opera di Franz Kafka, in Il mito di Sisifo, pp. 180-81).
Introduzione.
Sull'esistenzialismo del Novecento influiscono il pensiero di Kierkegaard e la fenomenologia. Il primo ha lasciato agli esistenzialisti alcuni temi fondamentali, quali il primato del singolo, la critica alla filosofia come sistema (tema che lo poneva in polemica con Hegel), la centralità della scelta, la coscienza della drammatica sproporzione tra l'uomo e la realtà con cui si rapporta, l'angoscia. Si tratta di tematiche che l'esistenzialismo ha fatto proprie in tutti gli autori che lo rappresentavano, pur con accenti diversi. La fenomenologia, anche se per molti aspetti lontana dall'esistenzialismo, lo influenza invece in quanto propone l'indagine filosofica come una descrizione del vissuto intenzionale dell'uomo, sia perché predilige il soggettivismo come approccio alla filosofia, ma anche perché presta particolare attenzione al momento metodologico. È proprio quest'ultima caratteristica a differenziare l'esistenzialismo del Novecento da quello di Kierkegaard. I motivi dominanti dell'esistenzialismo sono: la centralità conferita al tema dell'esistenza, l'aver posto l'uomo al centro della riflessione, la concezione dell'uomo come essere in situazione, finito, capace di scelta e perciò libero. Sono appunto questi due ultimi punti, l'uomo in situazione e la libertà, ad essere sviluppati dalla maggior parte degli autori. I principali protagonisti dell'esistenzialismo si ritrovano in Germania, dove nasce il movimento, e in Francia dove si afferma. Anche in Italia ci sono però alcuni importanti esponenti. In Germania abbiamo Jaspers e Heidegger, anche se Heidegger solo parzialmente. In Francia abbiamo Sartre, Camus, Gabriel Marcel e Maurice Merleau-Ponty. In Italia spiccano le personalità di Nicola Abbagnano e Luigi Pareyson.
Caratteri generali dell'esistenzialismo.
L'esistenzialismo del Novecento ha un grande debito, in primo luogo, con la filosofia di Kierkegaard. Avendone assimilato il pensiero, esso ha, a propria volta, contribuito in maniera rilevante a un rilancio del pensiero di Kierkegaard. Il merito di tale rilancio in Germania va riconosciuto al teologo protestante Karl Barth che, col suo commentario della Lettera ai Romani del 1919, ha introdotto un filone esistenzialista anche in teologia. Tra i temi della filosofia di Kierkegaard largamente ricorrenti nell'esistenzialismo del Novecento si devono citare diversi aspetti peculiari: la categoria del singolo, ritenuta fondamentale; l'affermazione del primato delle filosofie che si occupano del senso dell'esistenza sulle filosofie accademiche tese a costruire sistemi astratti; la centralità del tema della scelta; il tema della drammatica sproporzione tra sé e la realtà in cui il singolo si sente gettato e, infine, il tema dell'angoscia. L'esistenzialismo, in secondo luogo, deve poi molto alla fenomenologia. Essa infatti richiama l'attenzione sul vissuto, proponendo di studiarlo con un'indagine descrittiva. Nella fenomenologia c'é un legame con Cartesio che aveva posto al centro dell'attenzione della riflessione filosofica l'io che pensa, il soggetto che filosofa, facendo della propria coscienza il primo campo di ricerca del filosofare. Tutto ciò porterà Heidegger, in Essere e tempo, all'analitica esistenziale, che spalanca la prospettiva di una nuova metodologia di ricerca. Ha poca importanza se l'esito di questo itinerario spinge molto lontano dalla fenomenologia e che venga poi sconfessato dallo stesso Heidegger, che ribadisce di essere interessato all'essere più che all'esistenza. Nasce così un nuovo modo di fare filosofia, affine a quello di Kiekegaard, ma dotato di maggiore consapevolezza metodologica. Per entrare nella prospettiva esistenzialista, si possono tracciare le seguenti sei tappe tematiche:
Centralità del tema dell'esistenza;
L'esistenza non riguarda un ente tra gli altri, ma viene studiata come caratteristica propria di quell'ente, che è unico e irripetibile, che rappresenta il centro del darsi dell'esperienza: l'uomo, il singolo;
Il problema dell'esistenza non viene presentato a livello puramente astratto, ma come qualcosa che riguarda direttamente la quotidianità del vivere umano, che ha a che fare con l'essere umano che si trova nel mondo qui e ora, cioè con l'essere umano in situazione;
L'uomo si rivela nella sua contingenza, nella sua condizione di finitezza;
Questa condizione di finitezza rivela il dramma umano, se non la condizione tragica dell'uomo, quando questi si trova a fare delle scelte. L'uomo infatti si distingue in virtù della sua capacità di scelta. Si tratta di un atto personale: nessuno può decidere per un altro;
La possibilità della scelta dipende dal fatto che l'uomo è libero e deve esercitare la sua libertà in un progetto rispetto al quale si apre tanto la possibilità dell'autenticità, quanto quella dell'inautenticità.
Nonostante le tematiche comuni tra i diversi filoni delle diverse filosofie esistenzialiste, esistono profonde differenze tra i singoli autori. Un primo tema che le porta allo scoperto è quello della trascendenza: alcuni la prospettano come ciò cui l'uomo anela (Jaspers), altri la ammettono come il mistero cui l'uomo partecipa (Marcel), altri la negano risolutamente (Sartre) e altri ancora vi aspirano quasi senza nominarla (Heidegger). Rispetto al vissuto soggettivo, alcuni (la maggior parte), prospettano un esistenzialismo della crisi, le cui parole d'ordine sono angoscia, nausea, scacco (Heidegger, Sartre, Jaspers), ma vi é anche chi propone un esistenzialismo più positivo (Abbagnano). L'esistenzialismo può essere studiato anche secondo categorie geografiche. Vi è innanzitutto un esistenzialismo tedesco (Jaspers, Heidegger), che rappresenta il momento di origine della storia dell'esistenzialismo. In Francia, invece, questo movimento ha la sua maggiore fase di successo e di popolarità (Marcel, Sartre, Merleau-Ponty), giungendo a mostrarsi come fenomeno culturale in senso ampio, oltre che tecnicamente filosofico (ancora Sartre, ma anche Camus). In Francia si trova anche come esule il principale rappresentante dell'esistenzialismo religioso russo: Nicolai Berdjaev (1874-1948). Infine, vi è un esistenzialismo italiano che trova in Abbagnano il suo nome più illustre, ma che deve molto anche a Pareyson.
Il successo dell'esistenzialismo e la sua popolarità, dovuti anche alle opere teatrali e letterarie dei suoi rappresentanti francesi, verso gli anni Cinquanta volge fatalmente al tramonto. L'etichetta esistenzialista infatti finisce per designare un certo atteggiamento immorale e perfino atti estremi: la cronaca nera, ad esempio, riporta casi di suicidio esistenzialista. Anche per questo, proprio coloro che hanno contribuito al diffondersi dell'esistenzialismo finiscono con il prendere le distanze, in modo più o meno radicale. È importante sottolineare che allo scopo di distinguersi dalla versione sartriana dell'esistenzialismo e in genere della sua versione volgarizzata, tra gli esistenzialisti vi è chi preferisce l'espressione filosofia dell'esistenza.
L'esistenzialismo tedesco.
L'esistenzialismo tedesco vede in Heidegger e Jaspers i suoi massimi rappresentanti. Ma, mentre per Jaspers la qualifica di esistenzialista non crea problemi, Heidegger, nel corso della sua vita, ha sempre rifiutato tale etichetta, volendo distinguere nettamente la propria filosofia, centrata sull'essere, da quella esistenzialista.
Heidegger.
La pratica di definire la filosofia di Heidegger come esistenzialista è piuttosto diffusa. Tra i diversi argomenti che si possono considerare per sostenere tale attribuzione, ad esempio, si può citare il riconoscimento da parte dello stesso Heidegger di essere stato influenzato da Kierkegaard. Inoltre in alcuni passi di Essere e tempo, la sua opera maggiore, vengono trattati temi come la paura, l'angoscia o l'essere-per-la morte. Ma le cose non sono così semplici, come si può comprendere dal seguente episodio: Jean Wahl, nel 1937, in una comunicazione alla società filosofica francese, cita Heidegger come un filosofo dell'esistenza; Heidegger, venutolo a sapere, gli scrive, contestando tale inclusione. Egli infatti sostiene che i propri riferimenti a Kierkegaard e all'esistenza in Essere e tempo sono svolti in chiave ontologica. Per Heidegger il problema centrale non è l'esistenza, ma la domanda sull'essere. Si tratta di un approccio che pone Heidegger al di fuori della filosofia dell'esistenza alla quale egli, pertanto, non si sente di appartenere. Un altro celebre episodio illumina il suo rapporto con l'esistenzialismo: in risposta a Sartre che lo cita quale rappresentante autorevole dell'esistenzialismo nella sua opera intitolata L'esistenzialismo è un umanismo, del 1946, Heidegger scrive una dura risposta nella Lettera sull'umanismo dello stesso anni, in cui prende decisamente le distanze dalle tesi attribuitegli da Sartre, secondo cui l'esistenza precede l'essenza. Se gli episodi citati hanno il positivo risultato di rendere cauti verso le etichettature troppo facili, tuttavia non si può nemmeno affermare che Heidegger sia totalmente estraneo alla filosofia dell'esistenza. Infatti se è sicuramente vero che Heidegger vuole occuparsi soprattutto dell'essere, è però altrettanto vero che in Essere e tempo finisce con l'occuparsi anche dell'esistenza. La filosofia di Essere e tempo ha influenzato in modo profondo la filosofia dell'esistenza, influenzando Jaspers, Sartre, Merlau-Ponty, Abbagnano e Pareyson in modo determinante.
Jaspers: vita ed opere.
Karl Jaspers nasce a Oldenburg nel 1883. Studia medicina, psichiatria e filosofia. Nel 1909 conosce Max Weber, del quale si considera un discepolo. Si occupa inizialmente di medicina: nel 1913 esce il volume Psicopatologia generale. Incomincia l'insegnamento universitario nel 1916 a Heidelberg, come professore di psicologia. Solo più tardi, nel 1921, insegna filosofia. Il suo libro Psicologia delle visioni del mondo (1919) può essere considerato il primo testo dell'esistenzialismo tedesco. La sua opera maggiore però è Filosofia, del 1932, in tre volumi, intitolati rispettivamente: Orientamento filosofico nel mondo, Chiarificazione dell'esistenza, Metafisica. Nel 1937 perde la cattedra. La sua situazione è grave, perché non ha accettato di divorziare dalla moglie colpevole, agli occhi dei nazisti, di essere un'ebrea. Dopo la guerra, riprende l'insegnamento a Heidelberg, dove rimane per un breve periodo. Pubblica le lezioni tenute nel semestre estivo del 1946, col titolo La questione della colpa. Si tratta di un'opera coraggiosa e di grande valore morale. Tra gli altri suoi scritti del dopoguerra è il caso di ricordare La fede filosofica (1948), I grandi filosofi (1957), e La bomba atomica e il destino dell'uomo (1958). Dal 1948 insegna in Svizzera, a Basilea, dove muore nel 1969.
Jaspers: l'esistenza.
La filosofia di Jaspers si presenta come un itinerario speculativo che dal mondo risale verso la trascendenza. La via alla trascendenza è aperta dall'esistenza possibile, che rappresenta sia uno dei fini della ricerca, sia il soggetto che svolge la ricerca. Il soggetto, afferma Jaspers, può affermare: "Io sono esistenza possibile". Questo significa che il soggetto è esistenza, in quanto non può mai essere totalmente oggettivato. In questo senso il soggetto è libertà originaria, come anche esistenza possibile, in quanto non è dato una volta per tutte. Il soggetto quindi è possibilità, è un essere che si rapporta con la propria possibilità. L'esistenza possibile è quel grado del proprio essere che è a metà tra l'essere nel mondo, il proprio esserci, e l'esistenza, la quale in ultima analisi non è afferrabile. Secondo Jaspers questa condizione consente al soggetto di elevarsi dal piano delle cose e di innalzarsi al di sopra di se stesso. Questo è possibile solo nella misura in cui egli accetta il limite contro cui urta il suo intelletto, quindi accettando il naufragio di ogni pretesa di conoscere l'esistenza. Del singolo individuo si possono certo dire molte cose oggettivamente, ma con esse si coglie solo ciò che riguarda l'individualità empirica, l'essere nel mondo. La conoscenza dell'esistenza rimane invece incomprensibile. La ricerca perciò è destinata allo scacco, è destinata a dover riconoscere la propria irrimediabile impotenza. Questo però non chiude ogni possibilità. Quello che prospetta Jaspers è la chiarificazione dell'esistenza attraverso un autentico salto nella fede (espressione che ricorda chiaramente Kierkegaard). Non si tratta però di una fede vissuta attraverso i contenuti di una religione rivelata, ma di una fede filosofica. Tale salto è il frutto di un'esigenza maturata per l'insoddisfazione radicale e ineliminabile che si trova nell'uomo. Questa lo spinge via dal mondo verso qualcosa di più alto ed egli se ne rende conto quando si scontra con le situazioni-limite. L'essere dell'uomo è sempre un essere in situazione. Si esce da una situazione per entrare in un'altra. Vi sono, però, delle situazioni inevitabili, in cui l'uomo non si percepisce più come possibilità e come scelta, ma si trova di fronte a delle impossibilità che lo trascendono: il non poter vivere senza lotta e dolore, il non poter non assumere inevitabilmente la propria colpa, il non poter non morire. In queste situazioni il naufragio diventa inevitabile: ciò che l'uomo può scegliere è solo la modalità in cui viverlo. L'uomo, secondo Jaspers, può esserne schiacciato e subirlo, oppure cercare soluzioni fantastiche ed inutili, o ancora assumere l'atteggiamento di dignitosa accettazione davanti a ciò che per lui rimane inspiegabile.
L'eroe tragico è in questo senso colui che affronta il naufragio. Diventa così chiaro che l'io, come essere possibile, non può diventare qualsiasi cosa: egli può accettare o rifiutare la propria situazione e questa è la scelta fondamentale che deve compiere. Ricompare così in Jaspers l'amor fati affermato già da Nietzsche, l'accettazione incondizionata e serena da parte dell'uomo del proprio destino.
Jaspers: la trascendenza.
Le situazioni-limite portano l'uomo al naufragio. La realtà non è dominabile dall'intelletto, il quale può solo mettere in luce l'assurdo, che inevitabilmente è nel mondo. L'intelletto è messo in scacco dall'assurdo. Il naufragio non é il momento conclusivo dell'esperienza, ma un suo esito ed è segno della trascendenza. Anche l'esperienza della disperazione che accompagna il naufragio è segno di un qualcosa d'altro. Jaspers al riguardo afferma che il naufragio è cifra in quanto rimanda a un oltre. Ogni cosa è cifra: un tramonto, un'opera d'arte, un'amicizia. Vi sono però alcune cose che sono cifra in maniera più forte di altre. Nelle religioni e nella mitologia sono raccolte molte delle cifre più profonde e significative. Paradossalmente, le cifre sono tanto più vicine alla trascendenza, quanto più fanno sentire l'assoluta incapacità dell'esistenza di giungere alla trascendenza stessa. Essa è un totalmente altro e perciò non può che darsi nella cifra. Ogni tentativo da parte dell'uomo di rappresentare la trascendenza, afferma Jaspers, è inadeguato, improprio ed è destinato a fallire. Esso anzi è pericoloso quando alcuni sono convinti di possedere la verità ultima e autentica, mentre di fatto stanno venerando degli idoli che si sono costruiti da soli. Dalla loro pretesa essi traggono la giustificazione per cercare di imporsi sugli altri. Gli uomini allora lottano tra loro e credono di lottare per Dio. La cifra viene così fraintesa e si generano fanatismi e violenza. Lo stesso principio dell'unità di Dio, ad esempio, è una cifra, ma nella storia molte volte è stata intesa come il numero uno, cioè come esclusività. L'uno diventa così ciò per cui ci si combatte, perché la pretesa esclusività nel possesso di Dio genera intolleranza. L'accesso alla cifra è dato nella coscienza, perciò la verità filosofica non ha la possibilità di avanzare pretese di oggettività e universalità, ma è inevitabilmente esistenziale e singola. Questa dinamica, secondo Jaspers, non comporta però il relativismo. La verità è unica, in quanto è personale, ma è anche molteplice, in quanto è propria delle molte singole esistenze. Tutte le verità non sono fra loro opposte, ma insieme sono tese alla ricerca dell'unica verità che è l'orizzonte che le trascende e verso cui esse muovono nella comunicazione. La comunicazione a livello dell'esserci non è autentica, perché rimane sul piano della banalità quotidiana e in essa il singolo non é coinvolto nella sua essenza. Nella comunicazione autentica, invece, il singolo impegna se stesso, esprimendo all'altro ciò che egli veramente è. Nella comunicazione perciò il singolo si realizza nella propria individualità. La comunicazione è una lotta per l'esistenza, ma una lotta solidale e amorosa. Essa, infatti, nasce dal rispetto per l'altro: non ha come fine il suo assoggettamento, bensì il suo risveglio. La morale della comunicazione, sostiene Jaspers, consiste nel lasciar parlare la cosa stessa e l'altro individuo. La comunicazione è una lotta che non divide, ma unisce, tanto che ciascuno si sente responsabile di sé e dell'altro. Essa può però unire a condizione che il singolo sia solo: "Non posso giungere ad essere me stesso senza entrare in comunicazione con l'altro, e non posso entrare in comunicazione con l'altro senza essere solo" (Filosofia, p. 531).