venerdì 22 dicembre 2023

Lezione 31 - Heidegger 3: Da Essere e Tempo alla svolta.

Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 31

Heidegger e la pittura zen.


Più volte il pensiero di Heidegger è stato accostato alla filosofia zen. In Fenomenologia e teologia, Heidegger dice che se noi siamo seduti in giardino e ci godiamo il profumo delle rose in fiore, non facciamo delle rose un oggetto, qualcosa cioè di tematicamente rappresentato. Se ci abbandoniamo al rosso splendore della rosa e riflettiamo sull'essere rosso della rosa, allora questo essere rosso della rosa non è né una cosa, né un oggetto così come la rosa in fiore. Questa sta in giardino, dice Heidegger, e magari oscilla al vento, eppure noi la pensiamo e ne parliamo in quanto la nominiamo. C'é quindi un pensare e un dire che non ha alcun carattere oggettivante: pensare la rosa o nominarla, non é lo stesso di tenere una rosa in mano. Con queste parole Heidegger dice di non oggettivare la rosa, di non farla diventare semplicemente un oggetto, degradandola a una cosa, ma di viverla, godendone il colore e il profumo per poterne cogliere la bellezza e la verità. Questo é lo stesso atteggiamento consigliato dai monaci buddisti quando si dipingono con inchiostro gli oggetti naturali: consigliano di sospendere il proprio sé e di entrare in intima comunione con il mondo esterno che dovrebbe fluire liberamente e spontaneamente dal pennello.


Heidegger e il nazismo.


Heidegger, pensatore speculativo, nei suoi scritti e a lezione si occupa di ontologia e di metafisica: non deve destare quindi nessuna meraviglia che i suoi allievi, quando vengono a sapere che egli sostiene il nazionalsocialismo, rimangano stupiti. Le sue convinzioni politiche maturano lentamente, stimolate dalla drammatica evoluzione degli eventi politici e rimangano a lungo esterne alla sua attività pubblica di docente universitario. Il fallimento della Repubblica di Weimar era sotto gli occhi di tutti, mentre la crisi del '29 aveva colpito duramente il Paese e il comunismo attendeva il momento più adatto per avviare la rivoluzione. Così la Germania si trova sull'orlo del baratro: disoccupazione, crisi economica, pagamento dei danni di guerra, instabilità politica e sociale. Fin dall'inizio, quello nazista si presenta come un partito che ha un programma politico chiaro, teso alla ripresa economica e politica della Germania e deciso a una dura opposizione al comunismo. Molti vedono in Hitler l'uomo che può cambiare le sorti del Paese e ne idealizzano la figura; tra questi anche Heidegger: interrogato dal suo amico Jaspers (la cui moglie era ebrea) su come un uomo come Hitler possa governare la Germania, Heidegger risponde che basta guardare le sue mani meravigliose. La risposta irrazionale nasce da un'autentica fede nel Führer, in cui egli identifica il destino della nazione. Heidegger sente di dover dare un contributo attivo e così nel marzo del 1933 entra nella Comunità di lavoro politico-culturale dei docenti universitari, il blocco nazionalsocialista degli accademici tedeschi. La sua posizione politica, però, per motivi di convenienza non è ancora pubblica e anche grazie a questo egli viene eletto rettore dell'Università di Friburgo. I nazisti ne conoscono l'amicizia e i moderati sanno che egli è discepolo dell'ebreo Husserl, cui ha dedicato Essere e tempo, e sperano che manterrà una posizione di equilibrio. La votazione gli conferisce la carica di rettore pressoché all'unanimità. La sua adesione al Partito è necessaria e precede di pochi giorni l'assunzione formale della carica che avviene il 27 maggio 1933, quando egli pronuncia il suo discorso: L'autoaffermazione dell'università tedesca. In quel discorso il suo sostegno al nazismo è inequivocabile e, alla fine, imbarazzante. A ogni modo, Heidegger resta in carica molto poco: già nel febbraio1934 egli rassegna le dimissioni. Le ragioni di tale atto sono incerte, forse egli intende così protestare contro le pressioni del Partito sulla sua attività di rettore, forse il Partito non accetta il suo progetto di riforma dell'università. Certo è che da questo momento Heidegger riprende la sua attività di docente, ma si astiene da ogni commento sulla politica e subisce diversi attacchi dai nazionalsocialisti. Alla fine della guerra, Heidegger paga per il suo errore. Subisce tra l'altro il sequestro della casa di Friburgo e della biblioteca, oltre che l'interdizione all'insegnamento, che si conclude nel 1949 per l'intervento di Jaspers. Questi, che nell'immediato dopoguerra aveva testimoniato contro Heidegger aggravando la sua posizione, interviene nuovamente, questa volta a suo favore, perché in nome dei suoi meriti di studioso sia reintegrato e riprenda l'insegnamento.


Da Essere e tempo alla svolta.


In Essere e tempo la ricerca sull'essere, condotta mediante l'analitica esistenziale, porta alla comprensione dell'Esserci attraverso gli esistenziali che trovano unità nella Cura. Certamente con ciò non si esaurisce la domanda sul senso dell'essere. L'indagine è soltanto riuscita a mostrare che esiste una differenza ontologica tra l'Esserci e l'essere. Le ragioni di questo insuccesso risiedono, a dire di Heidegger, nei limiti del linguaggio della metafisica tradizionale. Il passaggio dall'analisi dell'Esserci al discorso sull'essere non é riuscito. La produzione heideggeriana successiva a Essere e tempo si caratterizza per quello che egli stesso, in diverse occasioni, ha definito come una svolta, suscitando un vivace dibattito tra gli studiosi del suo pensiero. Alcuni critici hanno evidenziato gli elementi di rottura tra le due fasi, mentre altri hanno preferito sottolineare la continuità nella filosofia di Heidegger. È un fatto che la domanda sul senso dell'essere sia rimasta continuamente presente al centro della riflessione dell'autore. D'altra parte, la via dell'analitica esistenziale, seguita in Essere e tempo e mai rinnegata da Heidegger, in seguito viene da questi lasciata da parte. Egli la ritiene solo una fase del cammino verso l'essere. Dopo Essere e tempo, egli per un periodo di oltre quarant'anni di intensa attività, riprende quel cammino per altre vie, trattando sopratutto  temi quali la verità, la tecnica e il linguaggio.


La verità.


La migliore via di accesso al significato della svolta sono le riflessioni di Heidegger sulla verità, che si trovano sopratutto in Dell'essenza della verità (1930) e in La dottrina platonica della verità (1931/2, 1940). Da Platone in poi l'Occidente ha assunto una concezione della verità come adeguatezza. Secondo Heidegger, si può ricavare dal mito della caverna, nella Repubblica di Platone, una concezione della verità come conformità tra realtà e idea. Il mito suggerisce che la realtà che ci circonda è comprensibile alla luce delle idee. Questo naturalmente avviene anche se l'uomo è preso dagli impegni quotidiani e, come gli schiavi incatenati del mito platonico, non lo sospetta minimamente. La verità allora non risiede nella cosa che si rivela, ma nell'idea che è la sua forma, o meglio nella correttezza di come viene conosciuta e detta. Allora, solo secondo questo criterio, si può dire che una proposizione è vera o falsa. In questa prospettiva Heidegger afferma che si afferma il primato dell'idea sulla realtà dell'oggetto, un primato dell'intelletto rispetto all'essere. Però nota Heidegger, il termine greco correttamente tradotto come verità, cioè alétheia, alla lettera significa dis-velamento. La verità allora, secondo il significato originario del termine, consiste nell'essere strappato alla velatezza, nel manifestarsi pienamente. Secondo l'etimologia del termine verità, vero è l'essere che si manifesta, si disvela. Da Platone in poi, però, questo modo di comprendere la verità, afferma Heidegger, è stato sostituito dalla teoria della corrispondenza tra la cosa e l'intelletto, cioè dalla definizione di verità come adaequatio rei et intellectus (adeguamento della cosa all'intelletto). Ciò vale sia per Aristotele, sia per san Tommaso e la teologia medievale, i quali ritengono, sostiene Heidegger, che le cose, in quanto sono create, corrispondono alle idee di Dio e solo in questa misura possono definirsi vere. In gradi e forme diversi questa posizione, continua Heidegger, si ritrova poi in Cartesio e persino in Nietzsche, quindi nella tradizione metafisica occidentale. Dopo la svolta Heidegger riprende e approfondisce la polemica contro la metafisica occidentale e la ricerca dell'essere che si vela e si rivela. Con la riflessione sull'essere come dis-velamento, egli si lascia alle spalle l'analitica esistenziale e imbocca nuove direzioni. Esse lo portano a meditare sulla tecnica e, in particolare, sul linguaggio. Da esse emerge che l'uomo non è il padrone, quanto piuttosto il pastore dell'essere. L'uomo, insomma, non è volontà di dominio ma,  come già aveva detto in Essere e tempo, Cura.


La tecnica.


Il fenomeno fondamentale che caratterizza l'epoca contemporanea, secondo Heidegger, è la tecnica. Essa rappresenta qualcosa di nuovo rispetto all'utilizzo di strumenti, che pure si dava anche nel passato. Ciò che è cambiato consiste nella prospettiva del pro-vocare, come dice Heidegger, che contraddistingue la tecnica. Il pro-vocare è un chiamare la natura, manipolandola e inducendola a rientrare nel processo della produzione, retto dalla regola della massima utilizzazione al minimo costo. Così, mentre il contadino di un tempo, ad esempio, curava ed accudiva la terra, affidando alle forze della natura la crescita del grano, oggi la tecnica ha trasformato l'agricoltura in un'organizzata industria dell'alimentazione. E ancora, il fiume che il poeta canta senza secondi fini, nella tecnica diviene qualcosa di incorporato alla centrale elettrica che ne ricava l'energia. Attraverso la tecnica la natura rivela se stessa e viene impiegata in un processo. Le vorticose trasformazioni operate dalla tecnica rivelano l'essere, perché appunto portano allo scoperto la natura. La tecnica però non solo svela, ma anche e, forse sopratutto, nasconde l'essere. Essa comporta il pericolo che l'uomo si senta il signore della Terra e finisca con il credere che tutto ciò che esiste è un proprio prodotto. La tecnica moderna pone l'uomo nella condizione di non riuscire a incontrare altri che se stesso. Essa mette in pericolo il rapporto dell'uomo con se stesso e con tutto ciò che è. Quanto è in gioco è la possibilità per l'uomo di raccogliersi, di cogliere il disvelamento originario dell'essere. Nella tecnica, afferma Heidegger, si realizza pienamente il destino della metafisica occidentale che ha ridotto l'essere all'ente. La tecnica moderna infatti è così presa a utilizzare l'ente che finisce per cadere nell'oblio dell'essere. La posizione di Heidegger, come si vede, è critica, ma non vuole giungere alla demonizzazione della tecnica, né si propone come una idealizzazione romantica del mondo pre-tecnologico. Heidegger piuttosto, pur nel pericolo, vede per la tecnica la possibilità di un nuovo inizio. Perché esso possa avvenire è però necessario un atteggiamento di apertura, di domanda. Un esempio di tecnica applicata all'architettura moderna è data dalla Casa Kaufmann, chiamata anche "la casa sulla cascata" a Bear Run, in Pennsylvania, in America, costruita da F. Lloyd Wright nel 1936. Heidegger sostiene che la tecnica rivela l'essere della natura, ma sopratutto, lo nasconde, inducendo l'uomo a credere di poterla dominare totalmente. L'architettura "organica" di Frank Lloyd Wright cerca di superare questo conflitto, ponendosi come il più alto esempio del Novecento di integrazione fra tecnica e rispetto dell'ambiente naturale.


Il linguaggio e la poesia.


Quella di Heidegger non vuole essere una filosofia del linguaggio, come egli sottolineacon forza nell'opera intitolata In cammino verso il linguaggio, se con tale espressione si intende il fare del linguaggio un oggetto. Secondo Heidegger un tale atteggiamento equivarebbe a un tentativo di dominare il linguaggio, piuttosto che a un mettersi in ascolto, aprendosi alla possibilità che esso riveli la propria essenza. Lo stesso atteggiamento non strumentale, di gratuità, che può salvare l'uomo dalla tecnica viene proposto da Heidegger per comprendere il linguaggio. Il linguaggio, secondo Heidegger, è un bene, ma non nel senso dei beni che si possiedono. L'essenza del linguaggio non consiste, come è facile pensare, nel suo essere uno strumento comunicativo a nostra disposizione, un bene dato all'uomo insieme ad altri beni. Il linguaggio della metafisica, che riduce l'essere all'ente, afferma Heidegger, finisce con il ridurre il linguaggio a un non utilizzabile e proprio per questo si preclude la possibilità dell'accesso all'essere. Si capisce invece cosa è il linguaggio, dice Heidegger, quando si comprende che l'uomo è linguaggio. Il linguaggio non è una fra le tante capacità dell'uomo, piuttosto esso fa dell'uomo quell'essere vivente che egli è. In ogni attività, persino nel silenzio, paradossalmente, l'uomo è linguaggio. Nel silenzio infatti egli, ad esempio, ascolta, legge e pensa: sono atti possibili solo nel linguaggio. Le strutture del linguaggio rendono possibile e condizionano l'accesso dell'uomo all'essere: solo dove esiste linguaggio, c'è mondo. L'evento avviene nel linguaggio: è la parola che nomina e che rende accessibili le cose anche nella loro presenza spazio-temporale. Nessuna cosa è dove la parola manca: gli stessi progetti della tecnica sarebbero inconcepibili senza la parola. In quanto apertura al mondo, il linguaggio è anche condizione di storicità, perché solo dove c'è mondo, c'é storia. Ogni epoca storica si distingue per la propria poesia, per un proprio linguaggio e perciò in essa l'essere si apre in una particolare maniera. L'altro ruolo del linguaggio, però, comporta un pericolo, secondo Heidegger, sia nel senso che nel linguaggio il venire in luce da parte dell'ente può nascondere l'essere, sia nel senso che la parola essenziale può essere confusa con quella inessenziale.L'essere appare nel linguaggio e lo fa nel modo in cui il linguaggio lo lascia apparire. In tal senso, Heidegger dice che il linguaggio é la dimora dell'essere: si tratta di una dimora nella quale l'uomo abita. Nel linguaggio l'uomo scopre l'apertura dell'essere. Questo avviene sopratutto nel linguaggio dei pensatori e dei poeti, perché sono loro ad avere il compito di essere i custodi del linguaggio. Si apre così in Heidegger la riflessione alla poesia: essa è autenticità, non pretende di descrivere l'essere nella sua oggettività di cosa, non ha nulla da spartire con la scienza o con la metafisica, di cui è erede, che riduce l'essere ad ente. La poesia piuttosto é un luogo privilegiato in cui l'essere si mostra e il poeta Sto arrivando! esprimere mediante la parola l'esperienza che fa del linguaggio. La poesia di Hölderlin, lo scrittore tedesco che Heidegger considera il poeta dei poeti, sarebbe quella più alta. La filosofia, secondo Heidegger, ha il compito di portare a lei, come via all'autentico disvelarsi dell'essere. La poesia più alta, afferma Heidegger, non è un risultato della bravura dell'uomo, ma un dono dell'essere: nel linguaggio non è l'uomo a parlare, ma il linguaggio stesso e, in esso, l'essere. All'uomo resta solo di rimanere in ascolto, di abbandonarsi all'essere.


Il linguaggio come essenza dell'uomo.


L'uomo quindi per Heidegger è linguaggio, anche quando tace. Attraverso la parola l'evento accade, esso viene all'esistenza e apre un mondo. La natura originaria di ogni atto linguistico è resa in modo paradossale da Emilio Isgrò (1937-viv.) attraverso le cancellature di pagine o addirittura intere opere (ha cancellato anche l'Enciclopedia Treccani): l'artista italiano, coprendo di nero i segni linguistici, nega l'atto linguistico del testo originale, ma esprime anche un nuovo linguaggio, che apre un nuovo mondo interpretativo. Isgrò, infatti, afferma di cancellare le oarole oer custodirle, in un gesto di salvezza. Le sue tecniche di linguaggio espressivo gli consentono di sparire per poi riemergere, aprendo un nuovo mondo interpretativo e confermando, pure attraverso una iniziale negazione, l'esistenza di un legame originario e necessario che lega uomo e linguaggio: ogni operare per segni implica un'interpretazione e, quindi, ancora una volta, un linguaggio.


Heidegger e Hölderlin.


Heidegger prova un'ammirazione incondizionata per il poeta tedesco Friedrich Hölderlin (1770/1843) la cui influenza su di lui é enorme. A partire dagli anni Trenta i riferimenti a Hölderlin sono frequenti nei testi di Heidegger, che al poeta dedica diversi saggi e tre corsi universitari. Un interesse così ampio per un poeta non é ordinario nella filosofia, dato che solitamente i filosofi o si occupano direttamente dei problemi filosofici, o leggono e commentano altri filosofi. Fa eccezione l'esistenzialismo, in cui la vicinanza tra filosofia e letteratura risulta essere rilevante (come succede per Kierkegaard, Jaspers e per l'esistenzialismo francese). Nell'esistenzialismo però tale vicinanza dipende dal fatto che la forma narrativa, e in genere letteraria, si presta bene ad esprimere il vissuto esistenziale. Per quanto riguarda Heidegger è importante notare come il suo interesse per Hölderlin inizia proprio quando, dopo Essere e tempo, abbandona la via dell'analitica esistenziale per affrontare direttamente il problema dell'essere. Quindi non è Heidegger esistenzialista che si interessa a Hölderlin. I motivi di tale interesse da parte di Heidegger sono dovuti al fatto che egli ritiene che la poesia disveli l'essere, cioè la verità. In questo senso l'attività filosofica, intesa come ricerca dell'essere, converge verso l'attività poetica. Egli giunge a dire che " La poesia è il fondamento che regge la storia" e ancora che "la poesia è il nominare che istituisce l'essere e l'essenza di tutte le cose, non un dire qualsiasi, ma quello grazie al quale soltanto si mostra all'aperto tutto ciò che noi poi discutiamo e trattiamo nel linguaggio di tutti i giorni" (M. Heidegger, La poesia di Hölderlin, pp. 51, 52). Lo strumento fondamentale della poesia è il linguaggio, proprio quello che aveva fatto difetto a Heidegger tanto da impedirgli, come egli dice, di concludere Essere e tempo. Per superare dunque i problemi prospettati dalla parte non scritta di Essere e tempo, egli guarda ad Hölderlin, trovandovi quella parola che il linguaggio della metafisica non gli offre. Heidegger sceglie proprio Hölderlin fra tutti i poeti perché in lui trova un'efficacia straordinaria nell'esprimere l'essere e la poeticità dell'esistenza. Commentando alcuni frammenti di Hölderlin in una famosa conferenza tenuta a Roma nel 1936 su invito di Giovanni Gentile, Heidegger dice: "la poesia di Hörferlin è poeticamente determinata e destinata a poetare espressamente l'essenza stessa della poesia. Hörderlin è per noi in in senso eminente il poeta del poeta" (Heidegger, La poesia di Hörderlin, p. 42). Hördelin infatti, secondo Heidegger, mostra la capacità della poesia di disvelare la poeticità dell'esistente e lo fa in modo poetico.


Gli scarponi di Van Gogh secondo Heidegger.


Nell'opera intitolata L'origine dell'opera d'arte, Heidegger ha scelto un quadro di Van Gogh per mostrare come la rappresentazione artistica abbia la capacità di rivelare la verità delle cose. Non dunque la loro bellezza, ma la loro essenza.

Ecco il commento di Heidegger: "Un paio di scarpe contadine e niente di più. E tuttavia. Dallo scuro dell'involto consumato delle scarpe, si protende la fatica dei ritmi di lavoro. Nella corposa ruvidità della calzatura, si rafferma la durezza dei passi tra i solchi, tesi e sempre uguali, del campo battuto da un freddo tagliente. Sul cuoio restano la freschezza e l'umidità del terreno. Sotto le suole si fa incontro la singolarità del terreno campestre all'imbrunire. Nelle scarpe vibra il richiamo scabro della terra, il maturare silenzioso delle sue messi". La cosa interessante, e che Heidegger stesso non sapeva, é che lo stesso Van Gogh era perfettamente consapevole del significato degli oggetti che aveva scelto di dipingere. Nello sforzo di trovare temi adatti alla sua poetica realistica, aveva appositamente comprato queste scarpe al mercato dell'usato di Parigi e le aveva sporcate per renderle più emblematiche. Certo non avrebbe potuto indossarle perché, questo particolare Heidegger non poteva saperlo, si trattava di due scarpe sinistre. Questi particolari sono comunque ininfluenti per Heidegger, proprio perché egli ritiene che la capacità dell'arte di rivelare la verità consiste nel presentare rappresentazioni e non oggetti. Nel momento in cui vengono dipinte le scarpe perdono la loro materialità, la loro consistenza e ogni riferimento alla vita reale: non importa da chi e quando siano state effettivamente usate, ma le suggestioni che provocano in colui che guarda il dipinto che le raffigura. La lettura di Heidegger delle scarpe di Van Gogh é stata a sua volta commentata da numerosi filosofi ed artisti. Lo stesso pittore americano Andy Warhol, ispirato da quest'opera, ha dipinto nel 1956 un quadro intitolato Judy Garland che riproduce con la tecnica del collage uno stivale (opera esposta al Museo di Brema in Germania).