Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 21
Contesto storico e culturale.
Il periodo che va dalla morte di Hegel, avvenuta nel 1831, a quella di Marx, avvenuta nel 1883, è caratterizzato da profonde trasformazioni dell’economia durante le diverse fasi della rivoluzione industriale. La situazione economica é inoltre condizionata anche da momenti difficili che Marx stesso aveva previsto, come ad esempio la prima crisi di sovrapproduzione del 1873/1893, che impone radicali trasformazioni nel modello liberistico, basato sulle leggi di mercato e sulla libera concorrenza.
La situazione tedesca.
Il mondo tedesco é protagonista di questi cambiamenti. Dal 1834 si crea un mercato unitario, lo Zollverein, che riduce gli effetti della frammentazione politica. Tuttavia la Germania, interessata solo marginalmente dall’industrializzazione leggera, vede uno sviluppo tumultuoso dell’industria pesante a partire dal 1848, anche grazie alla disponibilità delle materie prime essenziali, come ferro e carbone. Le grandi industrie siderurgiche, sostenute dallo Stato e di proprietà delle famiglie aristocratiche che accettano il processo di modernizzazione, sorgono intorno alla metà del secolo e durante il ventennio dell’unificazione politica sotto la Prussia di Bismarck fanno della Germania la maggiore potenza industriale e militare del continente. Oltre a garantire il predominio continentale della Germania, questo poderoso e velocissimo sviluppo determina anche la nascita del proletariato industriale più numeroso e meglio organizzato d’Europa.
Marx e il proletariato.
Marx nei suoi scritti, sempre orientati verso la traduzione in prassi politica delle sue idee, guarda, oltre che al proletariato inglese, proprio alla realtà sociale di quello tedesco. Marx partecipa alla lotta politica già nel 1848, quando insieme a Engels trasforma la Lega dei giusti nella Lega dei comunisti, l’organizzazione internazionale per la cui costituzione scrive il Manifesto del partito comunista. Per ironia della sorte proprio il proletariato del suo paese sarà il meno propenso a sposare la sua linea politica, seguendo invece prevalentemente le indicazioni più moderate di Ferdinand Lassalle. Solo nel 1875, nel congresso di Gotha, i due partiti socialisti tedeschi, quello di ispirazione moderata e quello marxista, elaboreranno un programma unitario, dando vita alla socialdemocrazia tedesca, la forza politica che sarà protagonista della Seconda Internazionale e importante punto di riferimento del movimento operaio europeo fino alla Prima Guerra mondiale.
Il nuovo scenario socio-economico determina la fine dell’epoca d’oro dell’Idealismo tedesco. Dopo la grande frattura dei primi decenni del secolo tra l’Idealismo tedesco da un lato e l’utilitarismo inglese dall’altro, la filosofia tedesca si avvicina, se non altro per i temi affrontati (economia, società, conoscenza scientifica), a quella francese e britannica.
Destra e Sinistra hegeliana.
Alla morte di Hegel i suoi discepoli si dividono in due diverse linee interpretative, la Destra e la Sinistra, con termini mutuati dalla Rivoluzione Francese ed entrati in uso per indicare rispettivamente un atteggiamento conservatore e un orientamento progressista. La Destra celebra lo Stato prussiano in quanto razionalità realizzata nella storia e riconcilia l’hegelismo con il cristianesimo, mentre la Sinistra sottolinea la dialetticità del reale e considera la religione come alienazione. I due movimenti non hanno uguale fortuna: é infatti la Sinistra a dominare la scena filosofica. Il suo esponente più importante é Ludwig Feuerbach che sostiene un rigoroso materialismo naturalistico, nel quale l’umanità é il vero soggetto degli attributi riferiti solitamente a Dio (onnipotenza, onniscienza, ecc.). Marx farà proprio il materialismo di Feuerbach, ma considera essenziale recuperare l’approccio storico e dialettico proprio del pensiero di Hegel.
L’oggetto della filosofia non deve essere per Marx l’uomo naturale, l’uomo inteso come genere, ma l’uomo storicamente inteso, quindi inserito in un contesto specifico, caratterizzato in particolare dal modo in cui l’uomo produce i propri mezzi di sussistenza. Il modo di produzione si sviluppa storicamente e si trasforma sotto la spinta delle contraddizioni e delle contrapposizioni che nascono fra le classi coinvolte nel sistema stesso di produzione: schiavi e plebei contro patrizi, servi della gleba contro signori, proletari contro capitalisti. Per Marx la lotta di classe costituisce il motore del divenire storico e introduce nella storia l’elemento di dinamicità che Hegel aveva descritto mediante il metodo dialettico.
Se quindi gli esponenti della Destra riprendono l’identità di reale e razionale per giustificare la politica statalista e repressiva del nuovo sovrano prussiano Federico Guglielmo IV, nell’ottica di conservare lo status quo secondo un’ottica prettamente conservatrice, gli esponenti della Sinistra utilizzano la dialettica hegeliana per affermare la necessità del superamento dello stato di cose esistente secondo un’ottica fortemente progressista. Le divergenze tra i due movimenti non sono soltanto di natura politica, ma anche di natura religiosa: mentre gli esponenti della Destra sostengono l’identificazione dello Spirito con Dio e la fondatezza storica dell’incarnazione e della persona di Cristo, individuando nel sistema hegeliano la giustificazione dei dogmi principali del cristianesimo e sostenendo così la complementarietà tra religione cristiana e filosofia hegeliana; per la Sinistra invece lo Spirito si identifica con l’umanità e propone una lettura simbolica e non storica della figura di Cristo, quale metafora dell’unificazione dell’uomo con l’Assoluto, e della religione come strumento di alienazione dell’uomo. Se la Destra sottolinea che la realtà esistente é espressione dello sviluppo dialettico della razionalità e che quindi é statica e non suscettibile di alcun cambiamento, per la Sinistra invece la realtà é dinamica e in continua trasformazione grazie al suo carattere dialettico che la rende suscettibile di cambiamento, cambiamento che via via rende la realtà più razionale e vicina allo sviluppo dello Spirito inteso come umanità totalmente realizzata. Il singolo così non risulta più essere schiacciato dalla predominanza dello Spirito, come aveva affermato Hegel, ma assume un ruolo di centralità nello sviluppo della storia in quanto soggetto di libertà e di autonomia.
Feuerbach: vita e opere.
Ludwig Andreas Feuerbach nasce a Landshut, in Baviera, nel 1804 e muore nel 1872 a Norimberga.
Il padre, Paul Johann Feuerbach, filosofo di diritto, è un insegnante universitario. Seguendo il padre, Ludwig compie gli studi universitari prima ad Heidelberg e poi a Berlino, infine si sposta a Erlangen. Il periodo berlinese, che va dal 1824 al 1827, é senza dubbio il più importante per la sua formazione: egli é infatti un allievo entusiasta di Hegel e rimane fedele al pensiero del maestro fino al 1838. La collaborazione di Feuerbach agli “Annali di Halle”, fondati in quello stesso anno da Arnold Ruge, segna la sua adesione alla Sinistra hegeliana. Questo comporta un ripensamento della filosofia di Hegel, che trova espressione nel saggio del 1839 intitolato La critica della filosofia hegeliana. Nel 1841 Feuerbach pubblica la sua opera più nota, L’essenza del cristianesimo, nella quale fa oggetto di analisi critica la religione, considerata come alienazione.
L’uomo deve negare Dio per ricondurne tutti i predicati all’umanità. La filosofia dunque per Feuerbach deve essere propriamente studio dell’uomo, antropologia, di cui Feuerbach espone i fondamenti nell’opera del 1843 Principi della filosofia dell’avvenire.
L’interesse per la religione resta nel pensiero di Feuerbach molto forte, come testimoniano gli scritti L’essenza della fede secondo Lutero del 1844, L’essenza della religione del 1846 e la Teogonia del 1857. Feuerbach condanna la religione che spiega in termini sociologici, tuttavia ne riconosce l’importanza storica, individuando in particolare nel luteranesimo del periodo della Riforma Protestante una forte carica rivoluzionaria e di emancipazione dei popoli.
Feuerbach e la filosofia come antropologia.
Ludwig Feuerbach, allievo di Hegel, aderisce nel 1838 alla Sinistra, rimproverando ad Hegel di aver invertito il corretto rapporto tra essere e pensiero: mentre infatti secondo Feuerbach il pensiero è predicato dell’essere, per l’Idealismo invece l’essere era il predicato del pensiero. L’oggetto primario e originario della filosofia non é il concetto, ma l’essere concreto e in particolare l’uomo nella sua naturalità. Questa concezione, che fa di Feuerbach il principale rappresentante della Sinistra hegeliana, intende superare definitivamente l’hegelismo con l’elaborazione di un umanesimo naturalistico che costituirà un importante punto di riferimento per il materialismo di Marx. Nel 1841 Feuerbach pubblica la sua opera più nota, L’essenza del cristianesimo, nella quale la religione, concepita come alienazione, é fatta oggetto di analisi critica. Anche la religione, come l’idealismo hegeliano, pone l’astratto (Dio) come soggetto e il concreto (l’uomo) come suo prodotto. Anche in questo caso si tratta di una prospettiva rovesciata, che occorre porre di nuovo nei termini corretti: non é Dio che crea l’uomo, ma l’uomo che crea Dio, che pone fuori di sé e oggettiva le proprie qualità e aspirazioni in questa realtà fittizia e illusoria, alienandosi in essa.
Secondo Feuerbach l’alienazione religiosa determina un impoverimento della natura umana, una scissione dell’uomo con sé stesso. Tuttavia per dare nuovamente integrità all’uomo è necessario in primo luogo individuare le cause da cui la scissione è stata prodotta. Il processo che ha portato all’alienazione dell’uomo in Dio é duplice: da un lato dipende dal sentimento di dipendenza, dal senso del proprio limite che l’uomo prova nei confronti della natura, fatto particolarmente evidente nelle religioni pagane; dall’altro lato dipende dal fatto che nella religione l’uomo esprime la tendenza a superare i propri limiti, la propria impotenza in quanto individuo.
L’uomo quindi percependo in modo inconsapevole il suo desiderio di immortalità e di onnipotenza, ma essendo consapevole di non possedere tali qualità in quanto individuo singolo, tende ad attribuire tali prerogative a Dio. Secondo Feuerbach é invece necessario riconoscere queste caratteristiche come appartenenti non al singolo uomo, ma all’intera umanità nel suo complesso, all’umanità intesa come genere umano. Si ha così la realizzazione di quell’umanesimo naturalistico tanto importante per il filosofo: tutti gli attributi che l’uomo erroneamente ha da sempre attribuito alla divinità, ora devono essere attribuiti all’umanità e alla sua naturalità affinché venga superata l’alienazione e l’uomo torni al centro del proprio universo. Feuerbach approda così a una concezione di ateismo non soltanto sul piano conoscitivo, ma anche sul piano morale: è infatti dovere morale di ogni uomo liberarsi dalla dipendenza alienante sviluppata dall’umanità nel corso dei secoli nei confronti della divinità e delle paure a essa associate. Negare Dio e la sua esistenza ha per Feuerbach il senso di ricondurre l’uomo alla sua vera natura, di renderlo nuovamente consapevole di sé e capace di riconoscere in sé stesso le qualità prima riferite a un essere astratto, di aiutarlo a divenire pienamente umano. Tuttavia per raggiungere tale coscienza è essenziale che l’uomo si percepisca non come singolo, ma come membro dell’umanità: soltanto in essa vengono cancellati quei limiti individuali, per superare i quali l’uomo tende a rifugiarsi nella religione. Se l’uomo come singolo sente il peso infinito della sua fragilità e della sua solitudine, quale membro del genere umano percepisce sé stesso quale partecipe di tutti gli attributi della divinità, non più intesi in modo astratto, ma nel loro pieno significato naturale e reale.
La filosofia deve quindi essere intesa come una teoria dell’uomo, come antropologia, a cui Feuerbach dedica i Principi della filosofia dell’avvenire del 1843, uno dei suoi saggi più importanti e al tempo stesso più complessi. Il superamento dell’alienazione passa attraverso un ritorno alla centralità dell’uomo naturale, inteso sia come soggetto della conoscenza, sia come soggetto etico. Feuerbach insiste in maniera appassionata sulla naturalità dell’uomo, sull’esigenza di contrapporre al soggetto astratto della filosofia tradizionale l’uomo di carne e sangue. Per Feuerbach il mondo è dato all’uomo non come idea, ma come intuizione sensibile: il mondo non esiste in quanto pensato, come sosteneva Hegel, ma in quanto interagisce con il soggetto mediante un rapporto diretto, cioè nella misura in cui induce nell’uomo sensazioni ed é oggetto delle sue passioni. La prova più evidente dell’esistenza delle cose per l’individuo é il fatto che egli le desideri, che la loro presenza provochi in lui amore e la loro mancanza dolore. L’essere del mondo dipende perciò dal fatto che l’uomo lo ama o lo odia, cioè si relaziona a esso in un rapporto immediato.
Secondo Feuerbach esiste inoltre, oltre al rapporto di esperienza diretta che regola il rapporto dell’uomo con le cose, anche un rapporto esperienziale diretto che regola l’interazione dell’uomo con gli altri uomini, assumendo significati più ampi. Il rapporto io-tu, così come lo chiama Feuerbach, rappresenta infatti per il filosofo la certezza conoscitiva, poiché ha come fondamento il fatto che l’altro possiede le nostre stesse conoscenze. L’incontro dell’io con il tu, l’interazione sociale quindi, genera l’esistenza del singolo uomo in quanto essere morale, nello stesso modo in cui l’incontro di due esseri umani genera l’esistenza biologica di un nuovo essere. Feuerbach sostiene che la coscienza di ogni individuo si forma grazie all’interazione con gli altri, l’io si forma cioè mediante il rapporto con il tu, a significare che l’essenza stessa dell’uomo é di carattere sociale. Il filosofo sostiene che l’io conosce i propri sentimenti in quanto li ritrova nel tu, conosce il proprio senso morale in quanto si manifesta nell’interazione, si costituisce come soggetto in quanto si confronta con un altro soggetto. Questa unione viene vista da Feuerbach quasi in chiave religiosa, anche se si tratta comunque di una religione senza alcun Dio. La stessa Trinità viene vista come come una metafora del rapporto io-tu, dalla cui sintesi deriva l’umanità. Proprio per questo motivo Feuerbach afferma che “il principio supremo e ultimo della filosofia é l’unità dell’uomo con l’uomo”.