venerdì 22 dicembre 2023

Avviso creazione Blog Aggiuntivo e Link di collegamento per tutte le classi.

Classi 3°/4°/5°  A/B/C Linguistico - Avviso Blog Aggiuntivo.

Avviso tutti i miei Alunni dei Trienni A/B/C del Linguistico di aver creato un secondo Blog, che non sostituisce quello ufficiale già esistente, in cui chi volesse può trovare materiali aggiuntivi rispetto al Blog normalmente utilizzato in classe: materiali con disegni, o materiali di filosofi non trattati in classe, etc. Ve lo metto a disposizione in caso vi sia utile. Anche in questo Blog non avrete bisogno di loggarvi. Il link di collegamento è il seguente:

Link Blog Nuovo

Un saluto a tutti da Profanedda e Buone Vacanze a tutti!!!

N.B. I mesi di Settembre, Ottobre e Novembre sino al 17/11 sono dedicati alle classi Terze; il mese di Novembre dal 17/11 in poi è dedicato alle classi Quarte; il mese di Dicembre è dedicato solo alle classi Quinte!!!

Lezione 34 - Esistenzialismo 3: L’Esistenzialismo italiano e Abbagnano.

Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 34

La pittura di Soutine e la nausea di Sartre.


Sartre ha descritto con grande efficacia le sensazioni causate dalla nausea. Tale efficacia descrittiva é legata alle modalità espressive di Sartre che privilegiano una descrizione fisiologica e potentemente sensoriale di quello che in realtà é uno stato di vuoto esistenziale. Il pittore francese di origine bielorussa Chaim Soutine (1893-1943), amico di Modigliani, ha raffigurato, con una pittura visionaria ed espressiva, le deformazioni dello spazio fisico di chi é in preda a un'angoscia simile alla nausea, che rende tutto fluttuante e molle. Dal confronto tra i quadri di Soutine e il seguente passo di Sartre: " Fluttuavo, ero stordito nelle nebbie luminose che mi tiravano da ogni parte contemporaneamente. Maddalena fluttuando é venuta a togliermi il soprabito [...] Guardavo le sue grandi guance che si prolungano fino alle orecchie. Nel cavo delle guance, sotto gli zigomi, v'erano due macchie rosa, ben isolate, che sembravano annoiarsi su quella carne povera. Le guance si prolungavano, si prolungavano verso le orecchie [...] Allora la nausea m'ha colto, mi son lasciato cadere sulla panca, non sapevo nemmeno più dove stavo; vedevo girare lentamente i colori attorno a me, avevo voglia di vomitare" (La nausea, p. 32).


Sartre: il dramma teatrale Porta chiusa.


Porta chiusa é un dramma teatrale in atto unico, scandito in cinque scene, scritto da Sarrtre nell'autunno 1943. Esso costituisce un tipico esempio di "teatro di situazione": il motore della storia é costituito dalla situazione in cui si trovano i protagonisti. La prima teatrale viene messa in scena a Parigi il 27 maggio 1944. Il testo, che ha una grande intensità, tra le righe affronta il tema della natura del rapporto intersoggettivo e costituisce l'espressione lucida e tenebrosa del pessimismo di Sartre. Il pensatore francese non tratta in quest'opera temi per lui nuovi, ma riprende in chiave letteraria alcune intuizioni che aveva già svolto nel saggio L'essere e il nulla (1943). Nei suoi lavori successivi ci sarà una svolta: Sartre abbandona il tono disperato di Porta chiusa e, nel suo L'esistenzialismo é un umanismo (1946), presenta l'esistenzialismo in termini di impegno e di responsabilità sociale. I protagonisti del dramma sono Ines, Garcin ed Estella. Il primo ad entrare in scena é Garcin e attraverso di lui lo spettatore é inserito nel luogo in cui il dramma si consuma. Si tratta di una stanza ammobiliata e all'inizio non é chiaro cosa stia succedendo. Lo spettatore é condotto lentamente verso la verità in un crescendo drammatico, reso via via più acuto dall'entrata in scena dei protagonisti, accompagnati dalla figura sinistramente ordinaria del cameriere che, composto il trio, esce definitivamente di scena. I primi motivi di conflitto si avvertono quando arriva Ines nella stanza. Con l'entrata di Estella poi la situazione si stabilizza e si capisce che i tre sono morti e che ciascuno sarà per gli altri lo strumento della pena eterna: sono all'inferno e sono condannati a stare insieme per sempre. Ciascuno si professa inizialmente innocente, ma con il tempo finisce per confessare la propria colpa. Il peso che inquina i loro rapporti, ciò da cui non riescono a staccarsi e che li spinge a cercarsi e a detestarsi é ciò che hanno commesso di terribile quando erano in vita. Si tratta di atti del passato, che ciascuno di loro si porta dentro, perché dipendono strettamente dal modo di essere di ciascuno di loro. Il conflitto tra i protagonisti é uno strano miscuglio di attrazione e repulsione e culmina nella scena in cui la porta si apre. Potrebbero uscire da lì e forse terminare il tormento dello stare insieme, ma decidono di rimanere, ciascuno per le sue ragioni, ciascuno per il suo peccato, sia esso la codardia, un bisogno distorto di essere amati o la malvagità. La porta chiusa di cui parla il titolo non é dunque una barriera fisica che imprigiona, ma il proprio modo di essere, il proprio sguardo sulla realtà che riduce l'altro al proprio progetto. L'assenza di specchi nella stanza, del resto, tormenta i protagonisti che non possono guardarsi da soli e sono perciò condannati a vedersi attraverso gli occhi degli altri. Ciascuno dei protagonisti si sente ridotto, violentato dal progetto che gli altri hanno su di lui, ma allo stesso tempo é protagonista di un proprio progetto sugli altri. Con una scenografia relativamente semplice e con soli quattro personaggi, Sartre riesce a mettere in scena un dramma umano universale, sul suo bisogno di amare, sulla sua volontà di non essere ferito e sulla tentazione sempre viva di crearsi un mondo di illusioni per giustificare la propria miseria. Soprattutto resta impresso il grido di Garcin:"Nessun bisogno di graticole: l'inferno sono gli altri". È un giudizio durissimo e disperato, che non si può fare proprio, ma che ha il merito di far riflettere.


Sartre: dall'individuo al noi collettivo.


I Quaderni per una morale sono stati pubblicati postumi, nel 1983, ma risalgono agli anni 1947-48 e sono quanto resta di un materiale più ampio andato in buona parte perduto. Come spesso capita alle opere incompiute, sono privi di una struttura organica e si possono trovare in essi sia intuizioni folgoranti, sia passi di scarsa attrattiva. Il libro tratta di temi molto eterogenei: la storia, la creazione, la violenza, la preghiera, il rifiuto, la stupidità e lo scacco. I Quaderni ruotano intorno al tentativo di derivare dalle nozioni di altro, di coscienza e di essere, la tesi che la libertà di ognuno é necessariamente implicata in quella di ogni altro. Tuttavia quest'opera non riesce nel suo intento di passare dall'individuo al noi collettivo, tentativo che a Sartre riuscirà solo molto più tardi nella Critica della ragione dialettica del 1960. Nella prefazione di quest'ultima opera Sartre afferma che l'esistenzialismo é stata una reazione al fatto che il marxismo ha esaurito la propria spinta culturale, perché in esso é avvenuta una scissione fra la teoria e la prassi. La teoria per Sartre é stata difesa ad ogni costo dai dirigenti comunisti, per paura che la messa in discussione della teoria minasse l'unità della lotta. Sartre, in modo deciso e a volte caustico, non attacca però il marxismo, ma l'ideologia marxista che ha forzato la realtà all'interno del sistema ideologico e che ha riassorbito l'uomo in un'idea astratta, riprendendo la stessa polemica che si era sviluppata tra Kierkegaard ed Hegel. La ribellione esistenzialista contro la volontà ideologica di sistema non impedisce però a Sartre di salvare sia la lettura marxiana del conflitto come motore della storia, sia il materialismo storico, secondo cui il modo di produzione della vita materiale domina in generale lo sviluppo della vita sociale, politica ed intellettuale. Nella Critica della ragione dialettica, Sartre sviluppa una vera e propria filosofia sociale attraverso un'analisi del fenomeno dei gruppi. Prima di studiare il gruppo, Sartre analizza il tipo di rapporti che spingono il gruppo a costituirsi e che rappresentano sia la conservazione, che il superamento del gruppo stesso: il collettivo. Il collettivo si caratterizza per Sartre come una pluralità di solitudini inserite all'interno di uno stato potenziale di ostilità. I membri del collettivo sono legati tra di loro da rapporti puramente formali ed occasionali, che sono frutto della convivenza quotidiana (aspettando l'autobus, facendo la spesa etc.) che crea quella che Sartre chiama condotta seriale. Si tratta di modi di rapportarsi formali, routinari e impersonali, e di conseguenza alienanti. L'impossibilità di vivere nella serialità porta il singolo alla costituzione del gruppo che è frutto di un'aggregazione libera. I membri del gruppo diventano presto in grado di agire secondo finalità collettive, senza che nessuno possa accampare pretese di autorità sugli altri. Succede però, prima o poi, che l'iniziale momento eroico della fusione venga meno e il gruppo rimanga unito solo grazie al terrore e al dispotismo. La serialità dalla quale si fuggiva entrando nel gruppo ricompare ora nel gruppo stesso e con lei il senso di estraneità. Le analisi di Sartre sono venate da profondo pessimismo. Egli le svolge a partire da alcuni modelli storici ben precisi tra i quali vi è, sopratutto quello della rivoluzione bolscevica.


Camus e il mito di Sisifo.


Albert Camus (1913-60) nel 1936 ottiene il diploma in studi superiori di filosofia con lo scritto Metafisica cristiana e neoplatonismo, dedicato ai rapporti tra ellenismo e cristianesimo. In seguito pubblica diversi romanzi di successo, tra cui Lo straniero (1942) e La peste (1947) e la raccolta di saggi Il mito di Sisifo (1942). Il saggio L'uomo in rivolta (1951) suscita aspre polemiche e porta Camus all'isolamento. Nel 1957 ottiene il premio Nobel per la letteratura. Non é un filosofo nel senso accademico del termine, ma é importante inserirlo nell'esistenzialismo francese come testimonianza della rottura dei confini tra letteratura e filosofia, riprendendo anche in questo senso Kierkegaard le cui opere presentano pensiero e letteratura fortemente legati, piuttosto che saggi accademici. Secondo Camus esistono soltanto due alternative esistenziali per il singolo: la fede e l'ateismo, cioè l'universo religioso o la rivolta. La scelta di Camus é per l'universo della rivolta: si tratta della ribellione, del dire di no. Tra Agostino e Sisifo Camus sceglie Sisifo. A Sisifo Camus dedica un breve saggio che da il nome ad un'intera raccolta. Secondo la leggenda, Sisifo, il più astuto tra i mortali, viene condannato dagli dei a una pena terribile: deve far rotolare senza posa un masso su per un pendio, sino alla cima del monte, per poi ricominciare tutto daccapo, quando la pietra finisce per rotolare giù nell'altro versante. La punizione di Sisifo consiste in un lavoro interminabile e senza speranza, la cui tragicità dipende dalla piena coscienza che l'eroe ha dell'inutilità del lavoro che svolge. La mitologia greca racconta che Sisifo si era macchiato di colpe molto gravi: tradì Giove, imprigionò la Morte mandata per punirlo. In seguito, anche da morto, riuscì ad ingannare gli dei degli inferi. In lui Camus vede l'incarnazione esemplare dell'uomo: "si é già capito che Sisifo é l'eroe assurdo, tanto per la sua passione che per il suo tormento. Il disprezzo per gli dei, l'odio contro la morte e la passione per la vita, gli hanno procurato l'indicibile supplizio, in cui tutto l'essere si adopera per nulla condurre a termine. È il prezzo che bisogna pagare per le passioni della terra" (Il mito di Sisifo, p. 168). 

Sisifo è superiore al proprio destino, secondo Camus, perché non esiste destino che non possa essere superato dal disprezzo. Questo sentimento egli lo può vivere anche nel supplizio quando, dalla cima, dopo aver osservato il masso rotolare a valle, scende per ricominciare nuovamente la sua fatica. Questa discesa può essere gioiosa, afferma Camus, perché il destino di Sisifo gli appartiene: il macigno gli appartiene: la coscienza del proprio destino si accompagna, nell'eroe tragico, all'accettazione. Così, per esempio, un altro eroe tragico, Edipo, al vertice della tragedia, può dire:"io reputo che tutto sia bene". Si tratta di un amor fati capace di donare a Sisifo una gioia silenziosa, secondo Camus, egli é l'eroe che ritrova sempre il proprio fardello e che ha un compito da svolgere, per cui lotta, perché " anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo" (Il mito di Sisifo, p. 172). Il Sisifo di Camus rappresenta il momento più tragico della concezione esistenzialista dell'uomo. Sisifo, condannato, é pienamente consapevole della sua inferiorità nei confronti della divinità, con la quale tuttavia ha cercato di competere con la sua astuzia. Il Sisifo di Camus accetta però la propria condizione con un volontarismo assoluto e, pur di non piegarsi e riconoscere l'umiliazione di essere stato condannato a svolgere un compito inutile e privo di senso, in una rivolta insopprimibile abbraccia fino in fondo l'assurdo della pena inflittagli.


Merleau-Ponty.


Maurice Merleau-Ponty (1908-61) studia alla Scuola Normale Superiore di Parigi. Insegna poi filosofia nei licei. Durante il periodo dell'occupazione nazista partecipa alla Resistenza, nel gruppo "Socialismo e libertà" in cui milita anche Sartre. Insegna all'Università di Lione, alla Sorbona e, dal 1952, al Collegio di Francia e fa parte del comitato direttivo della rivista Le Temps Modernes, insieme a Sartre e Simone de Beauvoir. Tra le opere principali: La struttura del comportamento (1942), Fenomenologia della percezione (1945). Di orientamento socialista, si confronta in modo critico con il marxismo in Umanismo e terrore (1947), Senso e non senso (1948), Le avventure della dialettica (1955). È uscito postumo e incompleto Il visibile e l'invisibile (1964).

Merleau-Ponty é profondamente influenzato dalla filosofia di Husserl, di cui non condivide però l'impostazione cartesiana: egli rifiuta l'opposizione tra anima e corpo, respingendo sia il modello materialista, che quello spiritualista. Rifiutando qualsiasi forma di dualismo antropologico, afferma che lo spirito non utilizza il corpo, come se questo fosse un suo strumento, ma si realizza attraverso di questo. Egli è anche critico riguardo alla distinzione operata da Sartre tra in-sé della coscienza e il per-sé, in quanto vede in tale distinzione una forma di dualismo. L'esistenzialismo è da Merleau-Ponty considerato in termini heideggeriani, come l'espressione dell'essere-nel-mondo. Concetto che chiarisce con l'uso del termine percezione che non riguarda il processo di elaborazione visiva dei dati sensoriali, secondo il significato comune, ma un'apertura originaria, prelinguistica, dell'uomo nei confronti del mondo, dove coscienza e mondo sono così strettamente intrecciati da rendere inutile e artificiale ogni distinzione o dualismo. Ia relazione col mondo da parte dell'individuo quindi non avviene nel pensiero, ma nel corpo e nella sua corporeità: é attraverso il corpo che il soggetto è al centro del mondo. Secondo Merleau-Ponty é il concetto di carne e di corporeità che ci mettono in collegamento con il mondo nella sua concretezza.

Anche Merleau-Ponty, in Fenomenologia della percezione, presenta l'uomo come un essere libero ma, diversamente da Sartre de L'Essere e il nulla, egli non é disposto a parlare per l'uomo di libertà incondizionata. Egli ritiene infatti che la libertà sia inserita in una rete di condizionamenti e di possibilità. Il fatto che l'uomo sia in situazione, afferma Meleau-Ponty, rende impossibile ammettere una libertà assoluta. Inoltre se la situazione da una parte condiziona, non impedisce ma anzi consente alla libertà di esprimersi grazie alla situazione concreta in cui viene esercitata. La libertà si esprime quindi non in senso individualistico, come sosteneva Sartre, ma come un essere-con-gli-altri.


Marcel.


Gabriel Marcel (1889-1973) é il principale esponente dell'esistenzialismo cristiano. Nato a Parigi, di origine ebrea, si converte al cattolicesimo all'età di quarant'anni. Insegna filosofia nei licei, in un primo tempo, poi svolge con successo l'attività di drammaturgo e di critico teatrale. Tra le sue opere principali ci sono Giornale metafisico (1927), Essere e avere (1935), Homo viator (1944), Il mistero dell'essere (1951), L'uomo problematico (1955).

Marcel considera un orribile vocabolo il termine esistenzialista e rifiuta questa etichetta. Solitamente però viene annoverato tra gli esistenzialisti per il carattere personale, diaristico e intimistico delle sue opere e per la sua analisi dell'esistenza umana che Marcel considera l'unico fondamento filosofico valido di una ricerca filosofica che non voglia essere astratta.

Marcel ritiene che l'io e Dio non sono problemi che la ragione umana può indagare facendo uso di processi dimostrativi. Marcel mette in discussione la pretesa del razionalismo di tipo scientifico di ridurre l'essere al verificabile. In realtà, afferma Marcel, Dio, la persona, la fede possono essere indagati con la ragione, anche se non con quella scientifica, attraverso esperienze come l'amore, la fedeltà e la speranza. Egli distingue perciò tra problema e mistero.

Il problema, secondo Marcel, è qualcosa che ė stato oggettivato. Un problema è qualcosa che ci sta di fronte, che sbarra la strada, é qualcosa in cui il pensiero viene a urtare nel corso della ricerca. Quando ci si trova davanti un problema, si tenta di risolverlo sostituendo al disordine che ostacola un certo ordine che soddisfi le proprie esigenze. Con una adeguata tecnica il problema é sempre risolvibile, mentre il mistero trascende per definizione ogni tecnica concepibile. Il mistero é una condizione che non può essere oggettivata: ogni tentativo di ridurre il mistero a una spiegazione razionale, si traduce in un problema che non può essere risolto, visto che il mistero rappresenta un piano di realtà che trascende il piano della razionalità. Un esempio in questo senso é il rapporto dell'individuo con il proprio corpo: noi siamo un tutt'uno con il nostro corpo e non possiamo definirci ne padroni del nostro corpo, ne tanto meno schiavi o proprietari di esso; tutte queste relazioni sono vere tutte insieme, questo vuol dire che ognuna di esse presa isolatamente è falsa, tradisce l'intera verità della situazione. Il mondo contemporaneo, nota Marcel, é dominato dall'avere e dalla tecnica che hanno preso il sopravvento sull'essere. La drammatica alternativa data all'uomo é quella tra avere ed essere: l'uomo crede di poter dominare l'avere, così come nel problema egli domina tutti i fattori in gioco, eppure, secondo Marcel, la situazione finisce per ribaltarsi e l'uomo si trova immancabilmente soggiogato da ciò che possiede. L'uomo deve dunque scegliere: o perdersi nel mondo del possesso e della tecnica, oppure vivere il mistero dell'essere nel quale é immerso. La tecnica, infatti, considera il mondo come un luogo da sfruttare e l'uomo come un suo oggetto. Il desiderio, legato all'avere, brama il possesso, nella frustrazione del non avere. Al contrario, l'uomo può ritrovarsi nell'amore, che consiste nel riconoscersi subordinati a una realtà superiore. La fede si mostra allora una via d'uscita alla disperazione: essa si apre alla rivelazione dell'essere, attraverso il mistero.


L'esistenzialismo italiano.


L'esistenzialismo importato in Italia dalla Germania e dalla Francia ha un crescente successo che lo rende una delle correnti filosofiche dominanti negli anni Quaranta. Esso viene studiato con molta attenzione dagli oppositori dell'idealismo come il personalista Luigi Stefanini e il fenomenologo Enzo Paci, ma soprattutto da Nicola Abbagnano e Luigi Pareyson.


Abbagnano.


Nicola Abbagnano (1901-90), docente di Storia della Filosofia all'università di Torino, di impostazione laica e razionalista, é il primo esponente dell'esistenzialismo in Italia. Fra le sue opere: La struttura dell'esistenza (1939), Introduzione all'esistenzialismo (1942), Storia della filosofia (1946-50), Esistenzialismo positivo (1948), Dizionario della filosofia (1961). I suoi scritti sull'esistenzialismo sono stati raccolti in Scritti esistenzialisti di Nicola Abbagnano (1988).

Abbagnano si accosta all'esistenzialismo fin dagli anni Trenta, finendo con il proporre, però, una propria versione positiva, che offre come alternativa più equilibrata a quelle elaborate dai pensatori tedeschi e francesi. Se la filosofia di Heidegger ha un impianto nichilista, il cui esito é l'angoscia, quella di Jaspers é dominata dall'inspiegabilità della trascendenza e dallo scacco, mentre l'esistenzialismo di Sartre é segnato dalla nausea, Abbagnano invece rompe l'identificazione tra filosofia dell'esistenza e filosofia della crisi, mostrando che quest'ultima non é affatto una necessaria conseguenza della prima. Il fatto che l'uomo sia possibilità significa che di fronte a lui si aprono tanto le vie della deiezione e dell'inautenticità, quanto quelle della realizzazione di sé. L'uomo é possibilità di scelta del proprio destino, ed é un essere alla ricerca della propria realizzazione.

Poiché l'uomo nasce dall'uomo, egli é originariamente disposto alla socialità: egli non basta a se stesso e si apre perciò alla solidarietà umana che costituisce, nell'amore e nell'amicizia, l'orizzonte nel quale egli può realizzarsi con pienezza. Abbagnano contrappone la categoria della possibilità a quella della necessità che, egli afferma, domina invece nell'Idealismo romantico e nel Positivismo dell'Ottocento. La possibilità di realizzarsi deve portare l'uomo, secondo l'autore, a un serrato confronto con la realtà concreta. A partire da quest'esigenza Abbagnano si é avvicinato al pragmatismo americano, cercando di conciliarlo con l'esistenzialismo, in una prospettiva neoilluminista.

Lezione 33 - Esistenzialismo 2: Esistenzialismo francese e Sartre.

Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 33

L'esistenzialismo francese.


Sartre: vita e opere.


Jean Paul Sartre nasce a Parigi nel 1905. Comincia a lavorare come insegnante nei licei di Le Havre e Parigi. Si reca in Germania, tra il 1933 e il 1934, per studiare la fenomenologia. La conoscenza della fenomenologia e del pensiero di Heidegger sono decisivi per la maturazione in Sartre di un suo proprio pensiero. La prima opera di Sartre, nata dallo studio dei filosofi tedeschi, è La trascendenza dell'ego (1933-34) cui seguono altre opere minori. Egli giunge al successo grazie a due testi letterari: il romanzo La nausea, del 1938, e la raccolta di racconti Il muro (1939). Essi in qualche modo esprimono quell'esistenzialismo che Sartre va elaborando e che vede la sua formulazione filosofica compiuta in L'essere e il nulla (1943) e la sua versione divulgativa in L'esistenzialismo è un umanismo (1946), frutto di una famosa conferenza che egli tiene nell'ottobre 1945. Nel frattempo, durante la Seconda guerra mondiale, Sartre viene richiamato alle armi. Catturato dai tedeschi, viene deportato in Germania. Fuggito e ritornato in patria, Sartre fonda con Merleau-Ponty il gruppo di resistenza "Socialismo e libertà". Nel 1944 é eseguita la prima della sua pièce teatrale Porta chiusa. Dopo la liberazione, nel settembre 1944 fonda"Le Temps Modernes", la rivista che egli dirige con Merleau-Ponty. Tra i suoi pamphlet politici, uno dei più importanti è I comunisti e la pace (1952). Esso segna il suo avvicinamento al Partito comunista e la rottura dell'amicizia con Merleau-Ponty. Quanto alla sua produzione letteraria, tra i titoli più importanti nel dopoguerra si devono ricordare: Il diavolo e il buon Dio (1951), I sequestrati di Altana (1960), Le Troiane (1965), L'idiota della famiglia. Flaubert dal 1821 al 1857 (1972). Nel 1960 esce la Critica della ragion dialettica, la sua opera filosofica della maturità. Nel 1964 rifiuta il premio Nobel. Sartre muore nel 1980. La sua più importante opera postuma sono i Quaderni per una morale (1983).


Sartre: la filosofia e la vita.


Filosofo e romanziere, la figura di Sartre è forse la più nota tra quelle degli esistenzialisti. Tenace fautore di una filosofia che riguardi la vita, ha restituito una delle più tragiche visioni dell'uomo nel romanzo La nausea, che rende drammaticamente concreta, nella figura di Antoine Roquentin, la situazione dell'uomo che coglie l'assurdità del reale. Ciò che sta davvero a cuore a Sartre è un filosofare che c'entri con la vita. La filosofia più diffusa in Francia, al tempo della sua formazione filosofica, è però lo spiritualismo di Bergson, che non sembra però in grado di soddisfare l'aspirazione di Sartre. È così che rimane profondamente colpito dal filosofo e sociologo Raymond Aron, quando questi gli dice che ciò che lui cerca esiste davvero: si tratta della fenomenologia. Sartre decide perciò di andare a Berlino a studiare la fenomenologia in modo approfondito. Una filosofia che c'entri con la vita deve dare conto della libertà. Esiste in Sartre un profondo e insopprimibile anelito alla libertà, all'assenza di ogni legame vincolante imposto dall'esterno. Tale bisogno è in Sartre, prima che una teoria, un modo di concepire se stesso. La proclamazione della libertà - innanzi-tutto porta Sartre da un lato ad uno strenuo individualismo, che è la vera radice della sua simpatia per l'anarchia, intesa come una società senza poteri; dall'altro, all'acuta esigenza di lottare contro la cultura borghese, che egli avverte piena di compromessi e di obblighi sociali. Entrambi questi elementi sono presenti nei suoi scritti, sia in quelli strettamente filosofici, sia in quelli letterari. L'espressione più lucida, matura e originale del periodo trascorso da Sartre a Berlino è il libro La trascendenza dell'ego. In esso Sartre polemizza con quelle filosofie che hanno conferito all'Io una funzione privilegiata. È questo il caso, ad esempio, di Cartesio, di Kant, dell'Idealismo. In realtà, sostiene Sartre, l'Io non è indispensabile né come centro, né come fondamento dei processi coscienti. L'Io insomma non deve essere concepito come un supporto dei fenomeni psichici. Ogni istante della vita rappresenta il momento di una creazione ex nihilo, dal niente, in cui però il singolo non svolge il ruolo di creatore. Su tali basi, Sartre rimprovera a Husserl di aver introdotto un Io trascendentale che, oltre ad essere superfluo, lo ha portato all'intimismo e al solipsismo e che ha tradito l'originario progetto di un ritorno alle cose stesse, relegando la fenomenologia a una indagine sul piano della coscienza. Con Heidegger, però, secondo Sartre, il programma della fenomenologia, per come lo intende Sartre, è ancora possibile: l'Io è pro-getto, non è più un abitante della coscienza, ma è fuori, nel mondo, tra le cose, tra gli altri. Su questa base, ritiene Sartre, la filosofia davvero può trattare della vita.


Sartre: l'ontologia esistenzialista.


Sartre, nel 1938, pubblica il suo primo romanzo, La nausea: si tratta dell'opera che apre un nuovo genere, il romanzo esistenzialista". Antoine Roquentin, il protagonista, è preda di frequenti attacchi di nausea ed è subito chiaro che non si tratti di un problema fisiologico. Nel corso del romanzo, la verità gli si disvela progressivamente. La nausea colpisce colui che  coglie l'essenziale contingenza e assurdità della realtà. Non vi è nessun motivo perché le cose siano ciò che sono: ogni cosa è gratuita. Questa è la radice della nausea: ogni cosa ha la consistenza del nulla, il nulla é il senso delle cose. La realtà é priva di scopo, é assurda, non vi sono punti di riferimento. La vita del protagonista si rivela così priva di senso, senza alcuna ragione d'essere e senza nessuna possibilità di attribuire legittimamente un significato alle singole cose. Il romanzo contiene una serie di intuizioni che l'autore svilupperà in seguito in L'essere e il nulla, la sua opera filosofica principale. 

Nell'ontologia che Sartre sviluppa in L'essere e il nulla, egli distingue tra l'in-sé e il per-sé. Il primo é sinonimo di fenomeno, ribaltando così completamente la terminologia hegeliana. Lin-sé è l'essere, é il mondo nella sua fatticità, le cose brute nella loro opacità. Senonché, nessuna delle cose che sono date alla coscienza é la coscienza stessa: ecco la ragione per cui Sartre introduce il concetto di per-sé, che designa la coscienza nella sua libertà di attribuire significati alle cose. Se l'in-sé designa l'essere, il per-sé é il nulla, perché il tentativo della coscienza di superare la mera fatticità non ha alcuna consistenza. La coscienza infatti  non é qualcosa nel senso dell'in -sé, dell'essere: essa allora é il nulla. Secondo Sartre, il nulla é un'esperienza di non essere radicale e pervasiva che il soggetto compie di continuo. Il nulla, mentre in Heidegger é in qualche modo separato dall'essere, in Sartre é invece intrinsecamente legato ad esso, in quanto é legato alla coscienza. Per comprenderlo a fondo, bisogna però capire cosa é la libertà. Il legame tra il nulla e la libertà, nella riflessione di Sartre, é intimo. Egli infatti ritiene che essa sia la possibilità che l'uomo ha "di secernere un nulla che lo isoli" (da Essere e nulla, p. 59). Il fatto che la coscienza dica sì a qualcosa e no a qualcos'altro, mostra il suo potere nullificante ed é, allo stesso tempo, espressione della libertà che la caratterizza. Quando, ad esempio, si decide di prestare attenzione a qualcosa, si decide anche di non osservare qualcos'altro: ogni atto che apre all'essere é allo stesso tempo nullificante: la libertà, infatti, realizzando alcune possibilità, ne nullifica infinite altre in ogni momento. Secondo Sartre, sia Kierkegaard che Heidegger esprimerebbero due aspetti di quella verità unitaria che egli invece ritiene di aver finalmente formulato: se per Kierkegaard l'angoscia era conseguenza della libertà di scelta e per Heidegger era invece l 'intuizione del nulla, per Sartre l'angoscia é l'esperienza compiuta della scelta possibile e quindi della libertà col suo potere nullificante. L'uomo è quindi libero, al punto che l'unico limite alla sua libertà consiste nel fatto che non può non essere libero. Per Sartre l'uomo é condannato a essere libero. Da ciò deriva il famoso detto sartriano: " L'esistenza precede l'essenza" in quanto la libertà é originaria e non é condizionata da alcun progetto a priori e vincolante. La libertà si esprime in un progetto che l'uomo realizza. Si tratta però di una scelta che non è data una volta per tutte, ma che si rinnova continuamente, perché il soggetto potrebbe mutare. L'uomo dunque sceglie e quello che avviene è il frutto di una sua scelta. Il soldato che viene mandato al fronte, ad esempio, in fondo ha scelto: poteva magari disertare. Se invece ha scelto di partire, vuol dire che ha preferito così e quindi non ha nulla da recriminare. L'uomo, scegliendo, conferisce senso alla sua azione. Il senso delle cose dipende dal progetto che l'uomo persegue attraverso le sue scelte e che si esprime nelle sue azioni. Lo stesso atto, ad esempio un bacio, trarrà il suo sensi, come espressione d'amore, o come tradimento, dalla scelta che ha portato alla sua realizzazione. L'uomo insomma è sempre responsabile della propria scelta. Capita, però, che egli fugga da se stesso e cerchi in qualche modo di ingannarsi. Sartre parla allora di malafede. Essa consiste nel superare l'angoscia causata dal peso della propria libertà, rifugiandosi in un ruolo sociale rigidamente prestabilito. In questo modo, il soggetto si costruisce un'immagine di sè che non é autentica, ma che può essere tanto verosimile da risultare convincente. Sartre fa l'esempio di un cameriere provetto: questi si muove con tanta rapidità e destrezza, da sembrare quasi un automa. È come se il cameriere recitasse una parte, così come altri recitano quella del sarto o del droghiere. Egli, anche per compiacere gli altri, si esprime teatralmente per realizzare un ruolo definito. Il cameriere cerca così, senza pensarci, di chiudere in un rassicurante ruolo definito il proprio angosciato essere, apertura alle possibilità. Ogni uomo, però, in fondo sente di eccedere rispetto alla parte che si è scelta, essendo irriducibile a qualsiasi ruolo che egli stesso o gli altri possono attribuirgli. Il rapporto con l'altro é concepito da Sartre come una drammatica conflittualità tra due soggettività che si negano reciprocamente. Si scopre l'esistenza dell'altro quando si nota che alcune cose del proprio ambiente vengono organizzate secondo una prospettiva di senso non propria. È come se le cose tendessero verso un punto di fuga che mina il tentativo dell'io di centralizzarle rispetto a sé. Sopratutto, tra l'altro si dà nello sguardo: quando l'io si avverte guardato, si sente oggettivato e in tal modo diviene un oggetto del mondo dell'altro. L'altro insomma é colui che riduce a mera oggettività il per-sé, che é libertà originaria. Anche nell'amore, afferma Sartre, avviene la reciproca negazione di sé come oggetto: nel momento in cui, desiderando l'altro, lo si vuole sedurre, ci si riduce inizialmente a oggetto attraente per lui per cercare così di piegare l'altro, rendendolo a sua volta un oggetto. Secondo Sartre, non é possibile amare l'altro salvando anche sé e l'altro come libertà originarie. La riflessione di Sartre è contrassegnata da un pessimismo radicale che prevale sull'elemento ottimistico, anche se presente, che consiste nell'affermazione della libertà originaria e insopprimibile dell'uomo. Sartre avverte la tensione dell'uomo a trascendersi, ma la considera una spinta che lo porterà a perdersi. Sartre stesso nella celebre chiusura de L'essere e il nulla esprime una delle più lucide affermazioni del suo pessimismo radicale: " Così la passione dell'uomo é l'inverso di quella di Cristo, perché l'uomo si perde in quanto uomo perché Dio nasca. Ma l'idea di Dio é contraddittoria e ci perdiamo inutilmente; l'uomo é una passione inutile" (in L'essere e il nulla, p. 682).


Esistenzialismo e arte informale.


L'arte informale é spesso stata accostata all'esistenzialismo. Il critico francese Michel Tapié la usò negli anni Cinquanta per la prima volta a indicare quelle opere di artisti che davano un particolare valore al gesto e al conseguente segno pittorico, senza che vi fosse alcuna pretesa di figurazione. L'artista italiano Alberto Burri, esponente del cosiddetto "informale materico", usa materiali eterogenei (sacchi, legni bruciati, plastica, ferro), li accosta e li cuce, lasciando visibili i buchi e gli squarci che si creano. Il dramma e le sofferenze umane, che vuole esprimere non hanno alcun riferimento iconico: essi sono espressi solo dal gesto dell'artista e dal trattamento subito dai materiali usati. Nell'opera di Faurier, invece, esistono ancora residui di figurazione, che, secondo il critico De Bartolomeis, rappresentano uno stato di sofferenza della figurazione. Proprio i residui di figurazione e non la sua cancellazione totale danno il senso di "ciò che sono non solo gli esseri umani, ma anche la natura, embrioni impossibilitati a svilupparsi nella materia che opprime e blocca"; le opere di Faurier rappresentano così "la condizione dell'uomo aggredita, deturpata, soffocata: metamorfosi in atto e non il suo compimento" (F. De Bartolomeis, L'arte contemporanea e noi. L'amore è figurativo o astratto?, p. 242).


Sartre e la Seconda guerra mondiale.


Sartre, arruolato nel settembre del 1939 nell'esercito francese come meteorologo, con la rapida disfatta della Francia, cade prigioniero dei tedeschi il 21 giugno del 1940. Dopo qualche tempo viene trasferito nel campo di prigionia di Treviri, in Germania, ove rimane fino all'aprile 1941, quando riesce a fuggire facendosi passare per civile. La guerra non indebolisce la sua attività di scrittore, anzi gli fornisce nuovi stimoli: prima della cattura, finiti i turni di servizio, ha molto tempo libero e scrive molto (tra l'altro le prime pagine de L'essere e il nulla e la parte conclusiva del romanzo L'età della ragione). Anche a Treviri, durante la prigionia, sistemato nella baracca degli artisti, trova un ambiente favorevole: riprende la stesura de L'essere e il nulla; scrive e mette in scena Bariona o il figlio del tuono e tiene un corso su Heidegger ai parroci prigionieri (un ufficiale tedesco, con suo grande stupore, gli fa avere Essere e tempo). Su di lui l'esperienza dell'arruolamento, della vita militare e soprattutto della prigionia ha un effetto dirompente: già individualista radicale comincia a capire e ad apprezzare la dimensione sociale dell'uomo. Si tratta della premessa fondamentale del suo impegno politico nella sinistra, che diventa per lui un'urgenza a guerra finita, ma che già al tempo della resistenza costituisce un elemento qualificante della sua azione. Riuscito in qualche modo a rimpatriare, partecipa al gruppo di resistenza "Socialismo e libertà". La sorveglianza dei tedeschi, però, è molto stretta e paralizza l'attività del gruppo. Quando si viene a sapere dello sbarco alleato in Normandia, Sartre e Simone de Beauvoir tornano a Parigi per partecipare alle parti culminanti della lotta di liberazione della capitale. Nel complesso, Sartre attraversa il periodo della seconda guerra mondiale senza traumi, ma profondamente cambiato. I tragici eventi di quegli anni, la necessità della ricostruzione e della ripresa del paese umiliato, provocano in Sartre il senso dell'urgenza di un impegno diretto. Egli lo svolge da intellettuale, scrivendo, facendo filosofia e letteratura. Nascono così le sue opere teatrali, si era appassionato di teatro nel campo di Treviri, presenta la sua famosa conferenza sull'esistenzialismo, raccolta in L'esistenzialismo è un umanismo, e fonda e dirige la rivista Le Temps Modernes. L'esistenzialismo che propone diventa presto un fenomeno di moda, anche se dai più è assunto come un etichetta di grido piuttosto che come una prospettiva filosofica meditata. Così, la fine della guerra gli porta una stagione di successo come filosofo, fama e denaro per la sua attività di letterato.


La figura di Simone de Beauvoir.


Simone de Beauvoir (1908-86) è una scrittrice francese atea e socialista, famosa per le sue battaglie sociali, sopratutto come femminista, e per il suo rapporto con Sartre. Dopo gli studi alla Sorbona, la de Beauvoir insegna prima in alcuni licei di provincia e poi a Parigi fino al 1943, quando lascia l'insegnamento. Con l'uscita in quell'anno del suo romanzo L'invitata, che ottiene buona accoglienza da parte della critica, lei capisce che la sua vocazione di scrittrice è ormai matura. Di ciò è in debito con Sartre che da un lato l'aveva incoraggiata e dall'altro l'aveva spronata a migliorarsi, dicendole di mettere se stessa nei propri libri. Il consiglio le era giunto come una vera rivelazione e lei stessa dirà: "La cosa mi ha profondamente toccata e persino intimidita perché ho pensato che se ci si dedicava alla letteratura con un impegno così totale, essa diventava qualcosa di molto serio, come l'amore, la vita, la morte" (Simone de Beauvoir. Un film di Malka Ribowska e Josée Dayan, p. 20).

Infatti il suo impegno letterario diventa in lei un tutt'uno con la vita, con le lotte per la giustizia, col suo amore per Sartre e col desiderio di libertà e di verità. Durante la Seconda guerra mondiale gli eventi incalzano e l'occupazione tedesca della Francia la porta ad aderire alla resistenza con Sartre e Camus, nel gruppo "Socialismo e libertà". Finita la guerra, entra a far parte del comitato di redazione della rivista "Le Temps Modernes", insieme a Sartre e a Merleau-Ponty, impegnandosi in una battaglia culturale e politica di sinistra. Per mantenere la propria indipendenza, però, non entra nel Partito Comunista. Dal 1947 la de Beauvoir viaggia molto: Stati Uniti, Brasile, Cuba, Cina e Russia. La sua opera più ampia e matura è Il secondo sesso del 1949, in cui discute la situazione di ingiustizia in cui versa la donna nella società contemporanea maschilista. Il libro all'epoca dell'uscita fa scandalo, ma è anche oggetto di consensi. Nel filone delle sue opere di impegno sociale, nel suo libro La terza età (1970), Simone de Beauvoir denuncia duramente le discriminazioni e l'emarginazione degli anziani. Una parte poderosa dei suoi scritti consiste nelle opere autobiografiche: Memorie di una ragazza perbene, 1958; L'età forte, 1960; La forza delle cose, 1963; A conti fatti, 1972. Il suo ultimo libro, La cerimonia degli addii, esce nel 1981 e descrive gli ultimi anni di Sartre, fino alla morte. L'autrice chiude il testo con un paradossale tono di tranquilla disperazione: "Ci separa la sua morte. La mia morte non ci riunirà. Così è; ed è già bello che le nostre vite abbiano potuto tanto a lungo procedere all'unisono" (La cerimonia degli addii, p. 126). Sartre e Simone de Beauvoir, in effetti, non si sono mai sposati e nemmeno hanno convissuto, troppo attaccati alla propria indipendenza per rinunciarvi; tuttavia, fin dai tempi degli studi universitari alla Sorbona il loro legame affettivo e intellettuale è forte, tanto da segnare le loro vite.


Sartre: l'altro come "il mio inferno" e la "svolta umanistica"


L'individualismo in Sartre, che trova lucida espressione ne L'essere e il nulla, lo porta a far dire a Garcin, uno dei personaggi del suo dramma teatrale Porta chiusa, "l'inferno sono gli altri". Si tratta, probabilmente, del punto più intenso del pessimismo sartriano. Dopo Porta chiusa, vi è in Sartre una svolta le cui ragioni sono ben sintetizzate dallo stesso filosofo: "Mi trovavo sufficientemente ben collocato nella mia situazione di scrittore antiborghese e individualista. Quel che ha mandato in frantumi tutto questo è stato l'aver ricevuto, un giorno di settembre del 1939, un foglio di mobilitazione; [...] è questo che ha introdotto il sociale nella mia testa: ho capito improvvisamente ch'ero un essere sociale" (Autoritratto a settant'anni, pp. 54-55). La svolta, descritta qui come improvvisa, in realtà matura molto lentamente, dato che ne L'essere e il nulla, uscito nel 1943, non la si percepisce. Essa, invece, è evidente nella conferenza che Sartre tiene a Parigi nel 1945 e che è riportata in L'esistenzialismo è un umanismo. Durante questa famosa conferenza, Sartre riprende alcuni temi fondamentali de L'essere e il nulla come, ad esempio, l'affermazione della libertà come un assoluto e l'ateismo. Il titolo della conferenza suona però paradossale a chi abbia letto La nausea e conosca quindi le posizioni anti umaniste presenti nel romanzo. Sartre, nella conferenza,chiarisce che la sua condanna dell'umanismo classico rimane totale: esso infatti esalta un uomo che è fine e valore superiore. Un tale uomo però, afferma Sartre, non esiste da nessuna parte e chi lo esalta, in realtà, si entusiasma per un'idea. L'umanismo esistenzialista di cui Sartre é promotore nasce invece dalla constatazione della libertà assoluta attraverso la quale l'uomo può realizzarsi e può essere capace di gesti che manifestano l'assunzione di una grande responsabilità, dato che ciascuno deve dire: "scegliendomi, io scelgo l'uomo". L'esistenzialismo di Sartre propone quindi una morale dell'impegno. Inoltre, per Sartre, l'esistenzialismo é assolutamente ottimistico, perché sostiene che il destino dell'uomo é nell'uomo stesso.

Lezione 32 - Esistenzialismo 1: Caratteri generali ed Esistenzialismo tedesco.

Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 32

L'Esistenzialismo prima e dopo la Seconda guerra mondiale: contesto storico-culturale.


L'Esistenzialismo compie i suoi primi passi in Germania, con Martin Heidegger e Karl Jaspers, nei primi decenni del Novecento. Verso la fine degli anni Trenta, in Francia, esso si diffonde anche al di fuori degli ambienti accademici e filosofici. Jaspers all'epoca ha già pubblicato opere importanti come la Psicologia delle visioni del mondo1919) e Filosofia (1932), ma è con gli scritti letterari di Jean Paul Sartre, La nausea (1938) e Il muro (1939), che l'esistenzialismo diventa un fenomeno culturale di primo piano. Dopo il secondo conflitto mondiale, esso é destinato a dominare le scene ancora per un paio di decenni. Alla fine della guerra, infatti, l'esistenzialismo ha un grande successo, diventando un fenomeno di costume. Esso esprime bene un profondo disagio diffuso tra le giovani generazioni che si riconoscono nelle parole d'ordine degli esistenzialisti: angoscia, nausea, assurdo. Prima della guerra, il clima soffocante delle ideologie e la disillusione per la progressiva caduta del mito del progresso avevano rappresentato un motivo di spinta verso l'esistenzialismo. In contrasto con le forme di collettivismo della destra nazi-fascista e della sinistra comunista e bolscevica, l'esistenzialismo pone nuovamente al centro il soggetto, l'individuo e la sua aspirazione alla libertà. L'esistenzialismo però non ha un proprio progetto socio-politico da portare avanti, ma rappresenta piuttosto un modo nuovo di guardare all'uomo e alla sua esperienza. Dopo la Seconda guerra mondiale, la popolazione europea è particolarmente ricettiva nei confronti di questo modo di intendere la filosofia. Le terribili sofferenze patite hanno reso tutti ancora più consapevoli della precarietà e della finitezza della condizione umana.


Il ruolo di Nietzsche, Dostoevskij e Kafka.


Nietzsche é il pensatore che ha fissato il quadro di riferimento dell'esistenzialismo, attraverso il suo individualismo, la sua avversione per le riflessioni aridamente accademiche, il rivolgersi all'umano e la proclamazione dell'ateismo come caduta di ogni punto di riferimento. È necessario però riferirsi a Fëdor Dostoevskij e Franz Kafka per trovare importanti antecedenti sul piano squisitamente letterario. Il primo piace agli esistenzialisti per la potenza con cui è capace di tratteggiare il dramma umano di fronte alla possibilità della scelta. Kafka invece è un maestro nel ricreare l'assurdo e lo scacco esistenziale: i protagonisti dei suoi romanzi vivono situazioni senza uscita in cui lottano fino alla fine. Albert Camus spiega bene il metodo di Kafka:"Parimenti, se Kafka vuole esprimere l'assurdo, si servirà della coerenza. Si sa la storia del pazzo che pescava in un bagno. Un medico che aveva idee proprie sui trattamenti psichiatrici e gli chiedeva: "se abboccava all'amo", si sentì rispondere con severità: "Ma no, imbecille! Se è un bagno". Questa storiella é di tipo barocco, ma vi si comprende con evidenza come l'effetto assurdo sia legato a un eccesso di logica. Il mondo di Kafka é, a dire il vero, un universo indicibile, in cui l'uomo si permette il torturante lusso di pescare in un bagno, pur sapendo che non ne ricaverà nulla" (La speranza e l'assurdo nell'opera di Franz Kafka, in Il mito di Sisifo, pp. 180-81).


Introduzione.


Sull'esistenzialismo del Novecento influiscono il pensiero di Kierkegaard e la fenomenologia. Il primo ha lasciato agli esistenzialisti alcuni temi fondamentali, quali il primato del singolo, la critica alla filosofia come sistema (tema che lo poneva in polemica con Hegel), la centralità della scelta, la coscienza della drammatica sproporzione tra l'uomo e la realtà con cui si rapporta, l'angoscia. Si tratta di tematiche che l'esistenzialismo ha fatto proprie in tutti gli autori che lo rappresentavano, pur con accenti diversi. La fenomenologia, anche se per molti aspetti lontana dall'esistenzialismo, lo influenza invece in quanto propone l'indagine filosofica come una descrizione del vissuto intenzionale dell'uomo, sia perché predilige il soggettivismo come approccio alla filosofia, ma anche perché presta particolare attenzione al momento metodologico. È proprio quest'ultima caratteristica a differenziare l'esistenzialismo del Novecento da quello di Kierkegaard. I motivi dominanti dell'esistenzialismo sono: la centralità conferita al tema dell'esistenza, l'aver posto l'uomo al centro della riflessione, la concezione dell'uomo come essere in situazione, finito, capace di scelta e perciò libero. Sono appunto questi due ultimi punti, l'uomo in situazione e la libertà, ad essere sviluppati dalla maggior parte degli autori. I principali protagonisti dell'esistenzialismo si ritrovano in Germania, dove nasce il movimento, e in Francia dove si afferma. Anche in Italia ci sono però alcuni importanti esponenti. In Germania abbiamo Jaspers e Heidegger, anche se Heidegger solo parzialmente. In Francia abbiamo Sartre, Camus, Gabriel Marcel e Maurice Merleau-Ponty. In Italia spiccano le personalità di Nicola Abbagnano e Luigi Pareyson.


Caratteri generali dell'esistenzialismo.


L'esistenzialismo del Novecento ha un grande debito, in primo luogo, con la filosofia di Kierkegaard. Avendone assimilato il pensiero, esso ha, a propria volta, contribuito in maniera rilevante a un rilancio del pensiero di Kierkegaard. Il merito di tale rilancio in Germania va riconosciuto al teologo protestante Karl Barth che, col suo commentario della Lettera ai Romani del 1919, ha introdotto un filone esistenzialista anche in teologia. Tra i temi della filosofia di Kierkegaard largamente ricorrenti nell'esistenzialismo del Novecento si devono citare diversi aspetti peculiari: la categoria del singolo, ritenuta fondamentale; l'affermazione del primato delle filosofie che si occupano del senso dell'esistenza sulle filosofie accademiche tese a costruire sistemi astratti; la centralità del tema della scelta; il tema della drammatica sproporzione tra sé e la realtà in cui il singolo si sente gettato e, infine, il tema dell'angoscia. L'esistenzialismo, in secondo luogo, deve poi molto alla fenomenologia. Essa infatti richiama l'attenzione sul vissuto, proponendo di studiarlo con un'indagine descrittiva. Nella fenomenologia c'é un legame con Cartesio che aveva posto al centro dell'attenzione della riflessione filosofica l'io che pensa, il soggetto che filosofa, facendo della propria coscienza il primo campo di ricerca del filosofare. Tutto ciò porterà Heidegger, in Essere e tempo, all'analitica esistenziale, che spalanca la prospettiva di una nuova metodologia di ricerca. Ha poca importanza se l'esito di questo itinerario spinge molto lontano dalla fenomenologia e che venga poi sconfessato dallo stesso Heidegger, che ribadisce di essere interessato all'essere più che all'esistenza. Nasce così un nuovo modo di fare filosofia, affine a quello di Kiekegaard, ma dotato di maggiore consapevolezza metodologica. Per entrare nella prospettiva esistenzialista, si possono tracciare le seguenti  sei tappe tematiche:


Centralità del tema dell'esistenza;


L'esistenza non riguarda un ente tra gli altri, ma viene studiata come caratteristica propria di quell'ente, che è unico e irripetibile, che rappresenta il centro del darsi dell'esperienza: l'uomo, il singolo;


Il problema dell'esistenza non viene presentato a livello puramente astratto, ma come qualcosa che riguarda direttamente la quotidianità del vivere umano, che ha a che fare con l'essere umano che si trova nel mondo qui e ora, cioè con l'essere umano in situazione;


L'uomo si rivela nella sua contingenza, nella sua condizione di finitezza;


Questa condizione di finitezza rivela il dramma umano, se non la condizione tragica dell'uomo, quando questi si trova a fare delle scelte. L'uomo infatti si distingue in virtù della sua capacità di scelta. Si tratta di un atto personale: nessuno può decidere per un altro;


La possibilità della scelta dipende dal fatto che l'uomo è libero e deve esercitare la sua libertà in un progetto rispetto al quale si apre tanto la possibilità dell'autenticità, quanto quella dell'inautenticità.


Nonostante le tematiche comuni tra i diversi filoni delle diverse filosofie esistenzialiste, esistono profonde differenze tra i singoli autori. Un primo tema che le porta allo scoperto è quello della trascendenza: alcuni la prospettano come ciò cui l'uomo anela (Jaspers), altri la ammettono come il mistero cui l'uomo partecipa (Marcel), altri la negano risolutamente (Sartre) e altri ancora vi aspirano quasi senza nominarla (Heidegger). Rispetto al vissuto soggettivo, alcuni (la maggior parte), prospettano un esistenzialismo della crisi, le cui parole d'ordine sono angoscia, nausea, scacco (Heidegger, Sartre, Jaspers), ma vi é anche chi propone un esistenzialismo più positivo (Abbagnano). L'esistenzialismo può essere studiato anche secondo categorie geografiche. Vi è innanzitutto un esistenzialismo tedesco (Jaspers, Heidegger), che rappresenta il momento di origine della storia dell'esistenzialismo. In Francia, invece, questo movimento ha la sua maggiore fase di successo e di popolarità (Marcel, Sartre, Merleau-Ponty), giungendo a mostrarsi come fenomeno culturale in senso ampio, oltre che tecnicamente filosofico (ancora Sartre, ma anche Camus). In Francia si trova anche come esule il principale rappresentante dell'esistenzialismo religioso russo: Nicolai Berdjaev (1874-1948). Infine, vi è un esistenzialismo italiano che trova in Abbagnano il suo nome più illustre, ma che deve molto anche a Pareyson.

Il successo dell'esistenzialismo e la sua popolarità, dovuti anche alle opere teatrali e letterarie dei suoi rappresentanti francesi, verso gli anni Cinquanta volge fatalmente al tramonto. L'etichetta esistenzialista infatti finisce per designare un certo atteggiamento immorale e perfino atti estremi: la cronaca nera, ad esempio, riporta casi di suicidio esistenzialista. Anche per questo, proprio coloro che hanno contribuito al diffondersi dell'esistenzialismo finiscono con il prendere le distanze, in modo più o meno radicale. È importante sottolineare che allo scopo di distinguersi dalla versione sartriana dell'esistenzialismo e in genere della sua versione volgarizzata, tra gli esistenzialisti vi è chi preferisce l'espressione filosofia dell'esistenza.


L'esistenzialismo tedesco.


L'esistenzialismo tedesco vede in Heidegger e Jaspers i suoi massimi rappresentanti. Ma, mentre per Jaspers la qualifica di esistenzialista non crea problemi, Heidegger, nel corso della sua vita, ha sempre rifiutato tale etichetta, volendo distinguere nettamente la propria filosofia, centrata sull'essere, da quella esistenzialista.


Heidegger.


La pratica di definire la filosofia di Heidegger come esistenzialista è piuttosto diffusa. Tra i diversi argomenti che si possono considerare per sostenere tale attribuzione, ad esempio, si può citare il riconoscimento da parte dello stesso Heidegger di essere stato influenzato da Kierkegaard. Inoltre in alcuni passi di Essere e tempo, la sua opera maggiore, vengono trattati temi come la paura, l'angoscia o l'essere-per-la morte. Ma le cose non sono così semplici, come si può comprendere dal seguente episodio: Jean Wahl, nel 1937, in una comunicazione alla società filosofica francese, cita Heidegger come un filosofo dell'esistenza; Heidegger, venutolo a sapere, gli scrive, contestando tale inclusione. Egli infatti sostiene che i propri riferimenti a Kierkegaard e all'esistenza in Essere e tempo sono svolti in chiave ontologica. Per Heidegger il problema centrale non è l'esistenza, ma la domanda sull'essere. Si tratta di un approccio che pone Heidegger al di fuori della filosofia dell'esistenza alla quale egli, pertanto, non si sente di appartenere. Un altro celebre episodio illumina il suo rapporto con l'esistenzialismo: in risposta a Sartre che lo cita quale rappresentante autorevole dell'esistenzialismo nella sua opera intitolata L'esistenzialismo è un umanismo, del 1946, Heidegger scrive una dura risposta nella Lettera sull'umanismo dello stesso anni, in cui prende decisamente le distanze dalle tesi attribuitegli da Sartre, secondo cui l'esistenza precede l'essenza. Se gli episodi citati hanno il positivo risultato di rendere cauti verso le etichettature troppo facili, tuttavia non si può nemmeno affermare che Heidegger sia totalmente estraneo alla filosofia dell'esistenza. Infatti se è sicuramente vero che Heidegger vuole occuparsi soprattutto dell'essere, è però altrettanto vero che in Essere e tempo finisce con l'occuparsi anche dell'esistenza. La filosofia di Essere e tempo ha influenzato in modo profondo la filosofia dell'esistenza, influenzando Jaspers, Sartre, Merlau-Ponty, Abbagnano e Pareyson in modo determinante.


Jaspers: vita ed opere.


Karl Jaspers nasce a Oldenburg nel 1883. Studia medicina, psichiatria e filosofia. Nel 1909 conosce Max Weber, del quale si considera un discepolo. Si occupa inizialmente di medicina: nel 1913 esce il volume Psicopatologia generale. Incomincia l'insegnamento universitario nel 1916 a Heidelberg, come professore di psicologia. Solo più tardi, nel 1921, insegna filosofia. Il suo libro Psicologia delle visioni del mondo (1919) può essere considerato il primo testo dell'esistenzialismo tedesco. La sua opera maggiore però è Filosofia, del 1932, in tre volumi, intitolati rispettivamente: Orientamento filosofico nel mondo, Chiarificazione dell'esistenza, Metafisica. Nel 1937 perde la cattedra. La sua situazione è grave, perché non ha accettato di divorziare dalla moglie colpevole, agli occhi dei nazisti, di essere un'ebrea. Dopo la guerra, riprende l'insegnamento a Heidelberg, dove rimane per un breve periodo. Pubblica le lezioni tenute nel semestre estivo del 1946, col titolo La questione della colpa. Si tratta di un'opera coraggiosa e di grande valore morale. Tra gli altri suoi scritti del dopoguerra è il caso di ricordare La fede filosofica (1948), I grandi filosofi (1957), e La bomba atomica e il destino dell'uomo (1958). Dal 1948 insegna in Svizzera, a Basilea, dove muore nel 1969.


Jaspers: l'esistenza.


La filosofia di Jaspers si presenta come un itinerario speculativo che dal mondo risale verso la trascendenza. La via alla trascendenza è aperta dall'esistenza possibile, che rappresenta sia uno dei fini della ricerca, sia il soggetto che svolge la ricerca. Il soggetto, afferma Jaspers, può affermare: "Io sono esistenza possibile". Questo significa che il soggetto è esistenza, in quanto non può mai essere totalmente oggettivato. In questo senso il soggetto è libertà originaria, come anche esistenza possibile, in quanto non è dato una volta per tutte. Il soggetto quindi è possibilità, è un essere che si rapporta con la propria possibilità. L'esistenza possibile è quel grado del proprio essere che è a metà tra l'essere nel mondo, il proprio esserci, e l'esistenza, la quale in ultima analisi non è afferrabile. Secondo Jaspers questa condizione consente al soggetto di elevarsi dal piano delle cose e di innalzarsi al di sopra di se stesso. Questo è possibile solo nella misura in cui egli accetta il limite contro cui urta il suo intelletto, quindi accettando il naufragio di ogni pretesa di conoscere l'esistenza. Del singolo individuo si possono certo dire molte cose oggettivamente, ma con esse si coglie solo ciò che riguarda l'individualità empirica, l'essere nel mondo. La conoscenza dell'esistenza rimane invece incomprensibile. La ricerca perciò è destinata allo scacco, è destinata a dover riconoscere la propria irrimediabile impotenza. Questo però non chiude ogni possibilità. Quello che prospetta Jaspers è la chiarificazione dell'esistenza attraverso un autentico salto nella fede (espressione che ricorda chiaramente Kierkegaard). Non si tratta però di una fede vissuta attraverso i contenuti di una religione rivelata, ma di una fede filosofica. Tale salto è il frutto di un'esigenza maturata per l'insoddisfazione radicale e ineliminabile che si trova nell'uomo. Questa lo spinge via dal mondo verso qualcosa di più alto ed egli se ne rende conto quando si scontra con le situazioni-limite. L'essere dell'uomo è sempre un essere in situazione. Si esce da una situazione per entrare in un'altra. Vi sono, però, delle situazioni inevitabili, in cui l'uomo non si percepisce più come possibilità e come scelta, ma si trova di fronte a delle impossibilità che lo trascendono: il non poter vivere senza lotta e dolore, il non poter non assumere inevitabilmente la propria colpa, il non poter non morire. In queste situazioni il naufragio diventa inevitabile: ciò che l'uomo può scegliere è solo la modalità in cui viverlo. L'uomo, secondo Jaspers, può esserne schiacciato e subirlo, oppure cercare soluzioni fantastiche ed inutili, o ancora assumere l'atteggiamento di dignitosa accettazione davanti a ciò che per lui rimane inspiegabile.

L'eroe tragico è in questo senso colui che affronta il naufragio. Diventa così chiaro che l'io, come essere possibile, non può diventare qualsiasi cosa: egli può accettare o rifiutare la propria situazione e questa è la scelta fondamentale che deve compiere. Ricompare così in Jaspers l'amor fati affermato già da Nietzsche, l'accettazione incondizionata e serena da parte dell'uomo del proprio destino.


Jaspers: la trascendenza.


Le situazioni-limite portano l'uomo al naufragio. La realtà non è dominabile dall'intelletto, il quale può solo mettere in luce l'assurdo, che inevitabilmente è nel mondo. L'intelletto è messo in scacco dall'assurdo. Il naufragio non é il momento conclusivo dell'esperienza, ma un suo esito ed è segno della trascendenza. Anche l'esperienza della disperazione che accompagna il naufragio è segno di un qualcosa d'altro. Jaspers al riguardo afferma che il naufragio è cifra in quanto rimanda a un oltre. Ogni cosa è cifra: un tramonto, un'opera d'arte, un'amicizia. Vi sono però alcune cose che sono cifra in maniera più forte di altre. Nelle religioni e nella mitologia sono raccolte molte delle cifre più profonde e significative. Paradossalmente, le cifre sono tanto più vicine alla trascendenza, quanto più fanno sentire l'assoluta incapacità dell'esistenza di giungere alla trascendenza stessa. Essa è un totalmente altro e perciò non può che darsi nella cifra. Ogni tentativo da parte dell'uomo di rappresentare la trascendenza, afferma Jaspers, è inadeguato, improprio ed è destinato a fallire. Esso anzi è pericoloso quando alcuni sono convinti di possedere la verità ultima e autentica, mentre di fatto stanno venerando degli idoli che si sono costruiti da soli. Dalla loro pretesa essi traggono la giustificazione per cercare di imporsi sugli altri. Gli uomini allora lottano tra loro e credono di lottare per Dio. La cifra viene così fraintesa e si generano fanatismi e violenza. Lo stesso principio dell'unità di Dio, ad esempio, è una cifra, ma nella storia molte volte è stata intesa come il numero uno, cioè come esclusività. L'uno diventa così ciò per cui ci si combatte, perché la pretesa esclusività nel possesso di Dio genera intolleranza. L'accesso alla cifra è dato nella coscienza, perciò la verità filosofica non ha la possibilità di avanzare pretese di oggettività e universalità, ma è inevitabilmente esistenziale e singola. Questa dinamica, secondo Jaspers, non comporta però il relativismo. La verità è unica, in quanto è personale, ma è anche molteplice, in quanto è propria delle molte singole esistenze. Tutte le verità non sono fra loro opposte, ma insieme sono tese alla ricerca dell'unica verità che è l'orizzonte che le trascende e verso cui esse muovono nella comunicazione. La comunicazione a livello dell'esserci non è autentica, perché rimane sul piano della banalità quotidiana e in essa il singolo non é coinvolto nella sua essenza. Nella comunicazione autentica, invece, il singolo impegna se stesso, esprimendo all'altro ciò che egli veramente è. Nella comunicazione perciò il singolo si realizza nella propria individualità. La comunicazione è una lotta per l'esistenza, ma una lotta solidale e amorosa. Essa, infatti, nasce dal rispetto per l'altro: non ha come fine il suo assoggettamento, bensì il suo risveglio. La morale della comunicazione, sostiene Jaspers, consiste nel lasciar parlare la cosa stessa e l'altro individuo. La comunicazione è una lotta che non divide, ma unisce, tanto che ciascuno si sente responsabile di sé e dell'altro. Essa può però unire a condizione che il singolo sia solo: "Non posso giungere ad essere me stesso senza entrare in comunicazione con l'altro, e non posso entrare in comunicazione con l'altro senza essere solo" (Filosofia, p. 531).