mercoledì 20 dicembre 2023

Lezione 15 - Hegel 8: La Filosofia dello Spirito Assoluto: Arte, Religione e Filosofia.

 Classi 5° A/B/C Linguistico - Lez. 15

 Lo Spirito Assoluto e i suoi momenti: arte, religione e filosofia.

Dopo essersi realizzato come realtà storica nella dimensione collettiva delle istituzioni, lo Spirito arriva alla perfetta autoconoscenza di sé nello Spirito Assoluto. Lo Spirito Assoluto è l'Idea in-sé e per-sé, cioè l'Idea consapevole di se stessa e di tutto il proprio sviluppo. Storicamente essa si realizza attraverso il sapere umano, nel momento in cui il sapere assume come proprio oggetto la totalità, cioè l'Assoluto. I tre momenti in cui si articola lo Spirito Assoluto, cioè l'arte, la religione e la filosofia, hanno quindi tutti l'Assoluto come oggetto, ma si differenziano nella modalità di conoscenza: l'Assoluto, intuito in forma sensibile, nell'esteriorità, è oggetto dell'arte, che rappresenta il momento oggettivo; l'Assoluto interiorizzato è invece oggetto di indagine della religione, che rappresenta il momento soggettivo; l'Assoluto che si conosce in sé e per sé, è oggetto della filosofia, che rappresenta il momento della sintesi.

L'Arte e i suoi momenti: arte simbolica, arte classica e arte romantica.

L'arte è la manifestazione dello Spirito in forma sensibile, cioè in una forma che può essere percepita dai sensi. Nell'Introduzione alle sue Lezioni di Estetica, Hegel dichiara l'intenzione di occuparsi unicamente del bello in quanto produzione umana, escludendo dalla riflessione estetica ogni analisi del bello naturale. In questo modo il discorso si allontana dall'estetica kantiana e dalle concezioni di Schelling e dei Romantici, e rimane coerente con la propria visione negativa della natura. Interpretare l'opera d'arte come manifestazione dello Spirito significa attribuirle una dimensione storica e sociale. Per Hegel, infatti, l'arte non è mai produzione individuale, ma rappresenta sempre la manifestazione dello Spirito di un popolo e di un'epoca, è l'espressione di una civiltà. Essa, insieme alla religione e alla filosofia, è manifestazione di uno Spirito che si autoconosce, dello Spirito autocosciente, mentre l'artista, in quanto individuo, ne rappresenta un semplice strumento. Tale concezione dell'arte influenzerà anche i suoi sviluppi successivi, mettendo l'opera d'arte in relazione al contesto storico-culturale di cui essa è espressione. In quanto manifestazione dello Spirito, l'arte, secondo Hegel, ha in sé stessa il proprio fondamento e il proprio fine: quando viene usata quale strumento per elevare moralmente l'uomo o per rendere più gradevoli alcuni aspetti della vita, essa cessa di essere arte. Presupposto essenziale, infatti, dell'arte, già evidenziata dallo stesso Kant, è la sua autonomia rispetto ad ogni finalità etica o utilitaristica, ad essa esterna. I diversi popoli, nella loro dimensione temporale, costituiscono la manifestazione dello Spirito che, superando la loro particolarità, li comprende tutti all'interno di uno svolgimento universale. Anche le diverse forme artistiche si susseguono l'una all'altra, in uno sviluppo universale che, nella sua totalità, è lo Spirito che diviene autocosciente nella forma sensibile. Proprio in quanto sviluppo dello Spirito, l'arte è razionalità, e dunque è espressione sensibile unita a un contenuto concettuale. Per questo motivo, è necessario per Hegel, che si fondi una scienza dell'arte. L'estetica così, in quanto momento dello Spirito Assoluto, non può quindi coincidere con la sola produzione artistica, ma con la riflessione su di essa e, quindi, con l'analisi filosofica che, nelle sue manifestazioni sensibili, è in grado di cogliere i contenuti razionali e concettuali.
Nello sviluppo complessivo dell'arte, Hegel distingue tre momenti successivi, tali da esprimere in tre forme differenti il rapporto tra l'espressione formale e il contenuto spirituale dell'opera d'arte: l'arte simbolica, l'arte classica e l'arte romantica.
L'arte simbolica rappresenta il momento astratto, l'in-sé dell'arte, in cui la forma domina sul contenuto, in quanto il pensiero umano, la coscienza, pur intuendo l'Assoluto, è incapace di rappresentarlo compiutamente e, dunque, tende a rappresentarlo come qualcosa di immenso e di grandioso, ma in tali opere, come le piramidi e i grandi monumenti dell'antichità, la grandiosità esterna domina sul contenuto razionale che viene espresso: l'uomo ricorre al simbolo perché incapace di comprendere razionalmente un alto contenuto spirituale e di dargli un'espressione adeguata. L'Idea qui è astratta e inconsapevole di sé, e tale astrattezza crea un evidente squilibrio tra l'aspetto esterno, l'esistente sensibile, e quello interno, il reale razionale. Nei suoi scritti di Estetica, Hegel ricorre spesso alla figura mitologica della Sfinge, un essere mitologico che veniva raffigurato nell'antichità con un corpo di leonessa, le ali dell'aquila, il viso e il mezzobusto di donna e la coda di serpente. La Sfinge viene citata da Hegel sia in merito all'indovinello di Edipo, sia in merito alla realizzazione delle grandiose opere di scultura e architettura proprie dell'arte simbolica, sopratutto egizia. Il famoso indovinello che la Sfinge poneva ai viaggiatori per permettere loro l'ingresso nella città di Tebe e che doveva essere risolto, pena la loro morte, chi falliva la risposta veniva infatti da lei divorato, era questo: «Chi è che al mattino cammina con  quattro gambe, a mezzogiorno con due, e alla sera con tre e che diventa più debole, nonostante l'aumentare delle gambe?»; Edipo risponde correttamente «l'uomo» e libera la città di Tebe dal flagello, mandato dalla dea Era per punire la città di Tebe che l'aveva offesa. Hegel vede nella Sfinge egizia e greca il simbolo di una condizione non ancora perfettamente spiritualizzata dell'umanità, in cui l'uomo ancora si confonde con gli animali; non avendo ancora raggiunto lo stadio dell'autocoscienza, infatti, l'uomo non sa capire compiutamente se stesso e la propria razionalità, e la Sfinge diviene il simbolo del passaggio dell'umanità, che si sta compiendo, ma ancora non completamente, all'autocoscienza e, quindi, allo Spirito. Secondo Hegel quando gli egizi costruirono le piramidi, l'umanità non aveva ancora raggiunto la consapevolezza di sé: le loro enormi costruzioni, quindi, non rappresentano il frutto del concorso di molteplici volontà coscienti, quanto invece l'esito di un processo semi consapevole, simile a quello che si realizza all'interno di un formicaio. Hegel, infatti, sottolinea il fatto che Edipo, indicando se stesso, in risposta all'indovinello postogli dalla Sfinge, che equivaleva a chiedergli «chi è l'uomo e qual'è la sua essenza?», chiedeva ad Edipo di riconoscersi come tale. Edipo riesce a risolvere l'enigma della Sfinge perché per Hegel il passaggio all'autocoscienza nell'uomo greco, a differenza di quello egiziano, è ormai avvenuto compiutamente. Hegel vede nella vittoria dell'uomo sulla Sfinge, la conquista da parte dell'umanità della propria consapevolezza razionale e spirituale sulla natura: non a caso, in alcune raffigurazioni pittoriche del racconto mitologico dell'incontro tra Edipo e la Sfinge, come in quello del pittore Moreau del 1864, conservata al museo Metropolitan di New York, la Sfinge vi è raffigurata con la testa di donna cinta da una corona, a significare la vittoria della Natura sull'uomo.
Il secondo momento dello sviluppo dialettico dell'arte è individuato da Hegel nell'arte classica, dove contenuto e forma trovano il loro equilibrio nella rappresentazione della figura umana: qui l'espressione dello Spirito è più adeguata e il canone classico della «giusta misura», cioè l'armonia tra esistente e reale si esprime in modo adeguato. Tale momento rappresenta il momento concreto del movimento dialettico inerente lo sviluppo dell'arte, il per-sé, ed esprime la negazione del momento precedente. Ma Hegel afferma la necessità che astratto e concreto nell'arte si fondano, venendo superati, in un terzo momento, quello dell'arte romantica, nel quale però si produce un nuovo disequilibrio tra contenuto razionale e forma: data la ricchezza esuberante e preponderante del contenuto spirituale, l'uomo non riesce a trovare ad esso una forma di rappresentazione adeguata. La materia, ora, diviene sempre più rarefatta e spirituale e, nonostante l'espressione artistica sia qui più ricca e più varia rispetto ai momenti precedenti, nessuna forma artistica riesce a rappresentare l'Assoluto in forma adeguata.
Se nell'arte simbolica la forma di espressione artistica prevalente era l'architettura e nell'arte classica era la scultura, ora nell'arte romantica le forme artistiche di espressione sono la pittura, la poesia e la musica. Tuttavia Hegel sostiene che, la consapevolezza da parte dell'uomo di non poter esprimere compiutamente l'Assoluto in forma sensibile, determina la morte e la conseguente dissoluzione dell'arte e il suo superamento nella religione.
Se Schelling aveva affidato all'arte, e sopratutto alla poesia, il compito di aprire la strada all'uomo verso l'Assoluto, compito che rendeva l'arte superiore alla stessa filosofia, sottolineando la sua immortalità e universalità, in quanto basata sull'espressione di elementi irrazionali, quali emozioni e passioni, a scapito del pensiero razionale, Hegel invece ne sottolinea il superamento e la dissoluzione proprio per tale motivo: lungi dal voler affidare all'arte il compito di saldare la dicotomia tra natura e pensiero umano, come voleva Schelling, Hegel vede nell'arte il tentativo dell'umanità, fallito peraltro, di raffigurare in forma sensibile l'Assoluto, e lo considera un passaggio necessario, ma insoddisfacente e inadeguato allo scopo.

L'Estetica hegeliana: il bello naturale e il bello artistico.

Nell'Introduzione alle Lezioni di Estetica Hegel affronta il problema del bello naturale e del bello artistico. Egli definisce infatti l'Estetica come la scienza della «bella arte» e quindi il bello naturale, a differenza di quanto sostenevano Schelling e i romantici, non viene da lui considerato oggetto dell'estetica in senso proprio. Secondo Hegel, infatti, mentre il bello della natura è manifestazione dell'Idea, il bello artistico è manifestazione dello Spirito; soltanto nell'arte quindi può realizzarsi l'autocoscienza, cioè la presenza dei momenti soggettivo e oggettivo, che sono peculiari dello Spirito Assoluto.
Per Hegel l'oggetto dell'estetica è il bello in quanto manifestazione dell'Idea. La bellezza, è in un certo senso per Hegel anche verità, per quanto i due termini non si identifichino: mentre il vero è rappresenta l'Idea in sé, il bello rappresenta l'Idea che assume forma sensibile. Nella misura in cui la Natura è rappresentazione dell'Idea, il bello è anche naturale; ma poiché la natura risulta essere inadeguata rispetto all'Idea, ciò comporta che anche la bellezza naturale risulti essere una realizzazione incompleta, un bello imperfetto, rispetto al bello artistico, che è invece perfetto. Hegel spiega tale differenza, affermando che il concetto diventa reale solo quando da universale diviene concreto, dandosi esistenza nei singoli esseri. Tuttavia in questo modo emerge l'insufficienza dell'individuale e del particolare rispetto alla totalità. Ad esempio la natura organica esprime la vita, ma ogni singolo vivente non esprime l'Idea in sé, in quanto singolo risulta separato dall'Idea stessa e dalla totalità che essa esprime. Così avviene anche nell'arte: nel dipinto che raffigura un albero, Hegel sottolinea come l'albero trae la propria bellezza dall'insieme organico delle sue parti, che ne consentono vita, crescita e riproduzione; ma tale bellezza è interna, e rimane invisibile all'occhio dell'osservatore esterno che ne percepisce soltanto l'apparenza sensibile. La natura organica rappresenta l'idea della vita, ma il singolo vivente, l'albero in questo caso, non esprime l'idea in sé: in quanto il singolo è separato dall'idea ed è insufficiente nella misura in cui nega la totalità dell'idea che esprime. Nella rappresentazione artistica quel singolo albero, invece, esso viene privato delle singole determinazioni particolari che lo caratterizzano e viene ricondotto alla forma concettuale, anche se rappresentata solo in forma sensibile: nella forma artistica diventano ininfluenti la specie a cui appartiene, le circostanze concrete dell'esistenza di quel singolo albero, gli aspetti casuali e accidentali che lo riguardano, mentre acquista importanza l'espressione di vitalità, equilibrio e armonia che l'artista, attraverso l'albero, esprime. Per Hegel così, mentre il bello naturale rimane chiuso nella particolarità del singolo albero, il bello artistico esprime il concetto di cui l'albero è manifestazione.  Per Hegel ciò che caratterizza la rappresentazione artistica, è proprio anche della rappresentazione artistica della spiritualità, cioè del mondo umano. Ogni uomo è Spirito ma, in quanto particolarizzato, non si afferma come libera volontà, che è il significato proprio dello Spirito, bensì dipende da influenze esterne (leggi, istituzioni statali, rapporti civili), a cui deve piegarsi, che li percepisca come sue espressioni interne e intenzionali, oppure no. La vita dell'uomo, in quanto determinata dal contingente e dalla accidentalità, presenta una contraddizione tra la spiritualità del suo essere e l'accidentalità delle circostanze della propria esistenza. Nell'opera d'arte tale contraddizione viene risolta in quanto il vero viene staccato dalle sue singole determinazioni, e l'esistente diventa conforme al concetto, cioè all'Idea. Il singolo individuo quindi rappresenta un'individualità chiusa in se stessa, che non è percepibile all'esterno, mentre il personaggio dell'opera d'arte, dal protagonista della tragedia greca a quello del romanzo moderno, non è più l'individuo quotidiano, determinato da circostanze accidentali, ma viene rappresentato dall'artista nei suoi aspetti universali, in ciò che ne fa espressione di realtà comuni di un'epoca o di un popolo, che costituiscono i momenti della realtà umana nel suo sviluppo storico. Anche qui, l'arte è capace di cogliere nel particolare il concetto, cioè l'universale, di cui ogni singolo individuo è espressione. Per raggiungere questo fine, l'artista non deve per Hegel rappresentare la realtà così com'è, Hegel è fermamente contrario al realismo nell'arte e lo ribadirà a più riprese, ma deve selezionarne gli aspetti che permettono di esprimerne la razionalità e la spiritualità. La poesia, per esempio, secondo Hegel, dovrà evidenziare soltanto gli aspetti essenziali e significativi, l'ideale appunto, e non ciò che è semplicemente esistente, trascurando quindi le particolarità dei casi singoli e soggettivi. L'arte quindi, per Hegel, deve operare una fusione tra individualità e universalità, in modo che i personaggi e le situazioni rappresentate esprimano aspetti universali della spiritualità umana.

La religione e i suoi momenti: il concetto di religione, la religione determinata o finita, e la religione manifesta o assoluta.

Se con l'arte si ha l'intuizione dell'Assoluto in forma sensibile, con il passaggio al secondo momento dialettico dello Spirito Assoluto, la religione appunto, si giunge all'interiorizzazione dell'Assoluto, mediante la sua rappresentazione. La religione rappresenta, infatti, l'Assoluto non in forma sensibile, ma nella interiorità della coscienza, cioè in modo soggettivo. Nelle Lezioni sulla filosofia della religione, Hegel descrive le diverse forme di religione nella storia, dal naturalismo, proprio delle religioni orientali, alla rappresentazione di Dio come un'individualità spirituale, tipico delle religioni politeiste greca e romana e del giudaismo, fino alla religione assoluta, il cristianesimo, in cui Dio viene riconosciuto come puro Spirito.
In senso proprio solo la religione rivelata, cioè quella cristiana, viene considerata quale vero momento dello sviluppo dello Spirito Assoluto. Per Hegel, infatti, il cristianesimo rappresenta la manifestazione dell'Assoluto nei suoi tre momenti: l'Idea in sé, Dio Padre, l'Idea fuori di sé, cioè l'Idea che produce se stessa, cioè il Figlio, e l'Idea per sé, cioè lo Spirito. Tuttavia il limite della religione, intesa come sapere dell'Assoluto, risiede nel fatto di fondarsi sulla fede e la devozione; il sapere dell'Assoluto basato sul pensiero sarà, invece, rappresentato dalla filosofia.
Nonostante Hegel abbia dedicato relativamente meno spazio all'indagine del momento religioso rispetto agli altri, tuttavia nella sua filosofia essa occupa un posto di grande rilevanza: essa sarà infatti alla base del dibattito filosofico successivo tra Destra e Sinistra hegeliana, la prima che appoggerà l'ortodossia cattolica nel pensiero di Hegel, la seconda che ne sottolineerà gli aspetti di ateismo, insiti nella filosofia di Hegel.
Alla religione Hegel dedica il ciclo di lezioni universitarie dal 1821 al 1831, che verranno poi pubblicate dai suoi allievi, postume, col titolo di Lezioni sulla filosofia della religione, prima nel 1832, e poi nel 1840. Tali lezioni sono suddivise in tre parti: il concetto di religione, la religione determinata o finita, e la religione compiuta o manifesta, che lo stesso Hegel definisce assoluta.
Nel concetto di religione, Hegel affronta il problema della religione quale rapporto di finito e infinito: l'uomo è infatti finito, ma a differenza degli altri esseri, avverte la propria finitezza e la necessità e l'esistenza dell'infinito. Tale dialettica del finito segna la nascita dell'esigenza religiosa. Inizialmente l'uomo sente l'infinito come altro da sé, secondo la descrizione che Hegel aveva fornito della coscienza infelice nella Fenomenologia dello Spirito.
La religione rappresenta dunque un sentimento, che si esprime come rapporto con l'infinito percepito quale oggettività separata. Questo sentimento si esprime nella devozione, che però non rappresenta ancora la religione in quanto tale. Il sentimento religioso, infatti, per Hegel, rappresenta il tentativo e la pretesa di trovare Dio in modo intuitivo dentro se stessi ed Hegel polemizza con i romantici, affermando che, se Dio è Spirito, è prima di tutto razionalità e deve essere quindi oggetto di comprensione, e non di intuizione. Inoltre Hegel sottolinea come Dio, in quanto Spirito, non può trovarsi all'interno dell'uomo, ma che si manifesta e si sviluppa nel mondo della natura e nella storia. La religione, di conseguenza, non può essere limitata al sentimento, ma deve essere considerata quale concetto, cioè in quanto sviluppo razionale e oggetto di conoscenza. Per tale motivo Hegel sostiene che l'esistenza di Dio è dimostrabile, e per questo motivo egli riprende e sviluppa le prove tradizionali dell'esistenza di Dio: sia le prove che si basano sulla natura, come quelle cosmologica e fisico-teleologica, sia la prova ontologica, basata sul concetto di Dio. Egli sostiene, quindi, che considerare la religione come concetto significa che essa ha uno sviluppo nella storia e che tale sviluppo è la prova della sua stessa esistenza e della sua razionalità.
La seconda parte di lezioni, dedicata alla religione determinata, rappresenta l'analisi dello sviluppo del concetto nelle religioni storicamente esistite. L'argomento chiave, seguito da Hegel, è la ricerca dell'infinito da parte dell'uomo, in quanto finito. In un primo momento, quello della religione naturale, il rapporto con la natura, inteso come identità spirituale di uomo e natura, si esprime attraverso la magia: la natura viene vista animata e dominata da un principio spirituale che, controllato, permette all'uomo di agire sulla natura, o per via diretta (stregoneria), o attraverso degli oggetti che sono ritenuti magici (feticismo), o attraverso la mediazione con i defunti. Nei momenti più evoluti di tale religione naturale, le forze naturali vengono personificate in spiriti individuali, i geni della religione cinese, o in un'unica realtà spirituale, il Brahma dell'induismo, che, pur esprimendo ancora una concezione naturalistica, prepara il passaggio alle religioni dell'individualità. Il secondo momento della religione determinata è quello delle religioni della individualità spirituale. In tale fase l'elemento spirituale viene distinto dalla natura e elevato al di sopra della natura stessa, come razionalità non più immanente alla natura, ma a lei esterna. Nel mondo greco, infatti, la religione si esprime come religione della finalità e della bellezza. Hegel afferma che la natura rimane il contesto in cui lo Spirito si manifesta come necessità e viene colto nella sua forma sensibile come bellezza che, in senso platonico, rappresenta la manifestazione dell'idea. Hegel descrive il Pantheon greco, cioè l'insieme delle divinità greche, dai primi dei della natura (Oceano, Urano, Kronos), sino alla vittoria di Zeus sui Titani, che simboleggia la raggiunta dipendenza della natura allo spirito, fino alla raggiunta consapevolezza dell'uomo della sua spiritualità e divinità, che si esprime negli eroi e semidei, figli di un umano e di una divinità, come Prometeo, Achille, et.
Si giunge così al terzo momento della religione determinata, cioè alla religione della finalità, dove il rapporto tra finito e infinito diventa rapporto tra individuo e società e la totalità coincide con lo Stato: si è giunti alla religione imperiale romana in cui il culto dei Lari, cioè degli spiriti degli antenati defunti, e dei Penati, gli spiriti tutelari e divinità protettrici di una famiglia romana, testimoniano per Hegel il carattere etico di questa religione, ma l'identificazione della divinità con l'individualità dell'imperatore, porta all'annientamento del singolo, alla sua alienazione, e alla conseguente sua scissione da una totalità dolorosa. Tale scissione indica per Hegel l'impossibilità per l'uomo di poter trovare l'infinito nel finito, ma prepara dolorosamente al passaggio alla vera religione, il cristianesimo, quale momento di conciliazione tra finito e infinito.
Si giunge così al terzo momento, quello della religione assoluta o compiuta che occupa l'ultima parte delle sue lezioni. Il cristianesimo è religione assoluta per Hegel, in quanto in essa non c'è la ricerca dell'infinito nel finito, ma è lo stesso Assoluto che si svolge, diventando finito quale momento del suo sviluppo, mediante l'incarnazione. L'Assoluto Spirito (la Trinità), si scinde per Hegel in un soggetto (il Padre) e in mondo creato e la separazione tra finito e infinito trova espressione nella colpa, espressa in modo simbolico con il racconto del peccato originale. Hegel sostiene che, attraverso l'uomo, lo Spirito inizia il proprio percorso di ritorno a sé stesso, movimento che non può realizzarsi senza la mediazione dell'incarnazione, dove lo Spirito infinito diventa accessibile allo Spirito finito, cioè l'uomo. Tuttavia la riconciliazione richiede che le coscienze individuali, mediante l'amore (lo Spirito Santo), si ricompongano nell'unità spirituale rappresentata dalla Chiesa, intesa come comunità legata dai riti e dai sacramenti.
Nella Chiesa la realtà spirituale è attuata, ma non è cosciente di sé: nel suo momento conclusivo la religione rimanda quindi alla filosofia come suo compimento, come conciliazione di ragione e fede e come autocoscienza dello Spirito.

La filosofia.

La religione non è quindi la massima espressione dello Spirito Assoluto: in essa prevalgono la soggettività e il sentimento, non la conoscenza e il pensiero. La sintesi dello Spirito Assoluto è la filosofia che unisce l'oggettività dell'arte, spogliata dalla sensibilità, e la soggettività della religione.
Più precisamente il momento conclusivo dello Spirito Assoluto è la storia della filosofia, che è storia della riflessione umana interpretata da Hegel come lo Spirito che si autoconosce, che è consapevole del proprio sviluppo. La filosofia, infatti, è Spirito consapevole di sé, nella misura in cui esprime la razionalità di ciò che accade e di ciò che esiste nel mondo. Lo Spirito viene da Hegel inteso come la razionalità stessa implicita nell'esistente, cioè come l'esistenza di fatto, spogliata di tutti gli aspetti accidentali e non essenziali, che viene colta nella sua struttura razionale necessaria. La filosofia è quindi conoscenza concettuale dell'Assoluto, quindi ne costituisce il completo svolgimento e la sintesi dei momenti precedenti: la filosofia è il ritorno all'Idea in sé. Ciò significa che, nella filosofia, il pensiero, arricchito di tutto il processo compiuto, è pensiero dello svolgimento dell'Idea, è l'Idea stessa che ha come contenuto il proprio sviluppo e che ha, quindi, raggiunto l'autocoscienza. La storia della filosofia è la storia dello Spirito che cerca se stesso, fino a raggiungere il proprio concetto, con tutta la concretezza del proprio svolgimento. La storia della filosofia rappresenta quindi il cuore pulsante della storia e procede di pari passo con la storia reale. Per questo motivo nessuna filosofia può andare oltre la propria epoca, in quanto ne esprime la razionalità. Di conseguenza la filosofia del presente rappresenta il punto più alto della storia del pensiero e coincide con essa. Così la storia della filosofia assume un ruolo centrale ed è soggetta a un'interpretazione unitaria, secondo la quale i vari sistemi di pensiero si ordinano in un percorso evolutivo, in cui ogni sistema di pensiero costituisce insieme la negazione del precedente e la sua riaffermazione a un più alto livello.
Nell'Introduzione alle lezioni sulla storia della filosofia Hegel sottolinea le contraddizioni che sembrano caratterizzare questa stessa disciplina: la filosofia si occupa infatti per definizione della verità, che è eterna, mentre la verità della storia è necessariamente provvisoria e in divenire; mentre la verità, oggetto della filosofia, è unica, la verità storica, riferita alla pluralità dei sistemi di pensiero, risulta essere molteplice. Da tale difficoltà si esce, se si considera come unitario l'intero sviluppo della storia della filosofia che, nella sua totalità, è unico e definitivo e che esprime, nel suo insieme, la verità, a dimostrazione che «il vero è l'intero». Così la filosofia si identifica con la storia della filosofia, ed è proprio in questo senso che la filosofia è Spirito Assoluto. Da tali premesse Hegel interpreta i diversi sistemi filosofici come correlati l'uno con l'altro, mediante una serie di triplette dialettiche. La filosofia è dunque per Hegel lo Spirito che diventa pienamente consapevole di sé mediante la coscienza del suo intero sviluppo nella storia. Di questo processo unitario i singoli sistemi filosofici rappresentano i singoli momenti parziali che, tuttavia, danno insieme vita al sapere assoluto e universale dell'umanità. È proprio per questo motivo che Hegel afferma che il compito della filosofia è quello di comprendere concettualmente la realtà presente, senza fare previsioni o pretendere di modificare il corso degli eventi: Hegel la paragona alla nottola di Minerva, la civetta, che si leva in volo sul far del crepuscolo, ad indicare che anche la filosofia compare in una data epoca quando questa ha raggiunto il suo pieno compimento e inizia la sua fase di decadenza. La filosofia è quindi coscienza critica di quanto è già accaduto e compare quando un popolo, avendo già realizzato le proprie aspirazioni, sente l'esigenza di riflettere sul proprio percorso storico e culturale appena concluso. Comprendere e conoscere è il compito della filosofia e non provocare la comparsa di nuovi eventi, ma ciò non significa che essa abbia solo un ruolo conservatore o di giustificazione di un'epoca: essa, infatti, mostrando agli uomini l'analisi di un pensiero che risulta ormai aver esaurito il proprio sviluppo nella realtà, prepara l'avvento di eventi nuovi. In quanto pensiero che pensa il mondo, essa può esercitare il suo compito soltanto quando lo spirito si è già concretizzato in un certo popolo e in una certa cultura e il suo sviluppo si è esaurito. Ogni pensiero filosofico risulta più ricco e più fecondo di quelli che lo hanno preceduto, in quanto riassume in sé tutta la comprensione dei momenti precedenti: ecco perché ogni filosofia, che rispecchia il travaglio di pensiero della propria epoca è ugualmente vera, in quanto raccoglie il risultato di tutte le filosofie precedenti e le riassume all'interno di uno sviluppo globale e maggiormente razionale.
Nelle Lezioni sulla storia della filosofia Hegel afferma che il proprio sistema filosofico rappresenta il punto di arrivo e la sintesi completa dell'intera storia della filosofia, riassumendo il percorso storico della filosofia da quella greca sino a quella di Fichte e Schelling. Nella ricostruzione di Hegel la storia della filosofia inizia dall'antica Grecia: egli infatti esclude in modo categorico che il pensiero «orientale» possa essere considerato filosofia in senso proprio, in quanto mancherebbe in tali culture il requisito essenziale della libertà, condizione per lui essenziale perché si possa parlare di una vera filosofia, condizione che si realizza soltanto nella pólis greca.
Hegel, quindi, riconduce l'intero percorso storico della filosofia a due sole età: quella greca e quella germanica. Nella prima Hegel comprende la filosofia greca e romana, pur considerando quest'ultima priva di contenuti di pensiero originali; la seconda, che inizia con il cristianesimo e che comprende geograficamente tutta l'Europa, vede nella filosofia germanica il motivo trainante del pensiero delle altre nazioni. Se la filosofia greca per Hegel rappresenta lo sviluppo e il riconoscimento dell'Idea come forma di pensiero astratta, quella tedesca rappresenta per lui l'affermazione dello Spirito e raggiunge il proprio apice con l'Idealismo: tale Idealismo Hegel lo configura come soggettivo nella filosofia di Fichte, come oggettivo nella filosofia di Schelling, e come assoluto nel proprio sistema filosofico, e quest'ultima rappresenterebbe la sintesi dei momenti precedenti. Due aspetti centrali della concezione hegeliana della filosofia, influenzeranno il pensiero moderno:
- la storia della filosofia intesa quale sviluppo unitario che raccoglie i singoli sviluppi filosofici quali singoli momenti del suo divenire storico;
- ogni concezione filosofica è interpretabile quale espressione della propria epoca e ciò richiede un preliminare inquadramento storico che consenta di coglierne le caratteristiche ad essa peculiari.
Grazie a tale visione hegeliana, dopo Hegel, la storia della filosofia assumerà un ruolo centrale all'interno dello studio della filosofia: tale studio della storia della filosofia sarà considerato come propedeutico allo studio di ogni singolo sviluppo filosofico o di singole tematiche: un esempio di ciò si registrerà in Italia nella Riforma della scuola del 1923, operata dal filosofo Giovanni Gentile, esponente di spicco del movimento dell'Idealismo italiano e ministro della Pubblica istruzione nel governo di Mussolini, che renderà obbligatorio negli istituti superiori lo studio della storia della filosofia a scapito dello studio della filosofia quale disciplina didattica, influenzando così, in modo preponderante, il curriculum scolastico della futura classe dirigente italiana mediante un orientamento filosofico di stampo hegeliano.