La scuola di Elea.
La Scuola di Elea fa registrare una svolta importante nella riflessione filosofica: non si cerca più il principio di tutta la realtà, cioè l'Arché, né si indagano i fenomeni naturali, ma l'indagine diventa ontologia, cioè discorso sull'essere delle cose (da logòs= discorso e ontòs= essere).
L' essere non è dato dall'oggetto, ma dalla sua esistenza e può essere colto non dai sensi, ma solo dal pensiero. Ciò porta i filosofi di questa scuola a voler distinguere tra conoscenza dei sensi e conoscenza dell'essere.
Senofane di Colofone.
Uno dei filosofi appartenenti a questa scuola è Senofane di Colofone, ritenuto il fondatore della scuola, ma ciò non è certo. Egli parte dalla critica sia alla religione politeista (da polèis = molti e thèos = dei), greca e sia della tradizione tramandata dai poeti come Omero ed Esiodo sull'origine dell'universo. Affermando che l'uomo, in quanto essere mortale, non può raffigurarsi la divinità, critica la tendenza dell'uomo all'antropomorfismo (da antropòs= uomo e morphè= forma). Egli afferma che la conoscenza non è un dono divino, ma frutto di una ricerca faticosa da parte dell'uomo. La divinità inoltre non è accessibile all'uomo, né tramite il mito, né tramite la religione, ma solo con la ragione e che il pensiero divino è totalmente diverso da quello umano.
Il rifiuto dell'antropomorfismo religioso è motivato da Senofane anche col fatto che se gli animali possedessero doti artistiche e potessero rappresentare artisticamente le proprie divinità, le rappresenterebbero con forme di animali simili a loro. Ma la divinità non ha nulla di umano, ma s’identifica con la Totalità di tutta la realtà, non riconducibile quindi a singoli aspetti dell'uomo. La sua natura di abile poeta e compositore, rende Senofane un filosofo osteggiato dai sacerdoti e da coloro che erano fedeli alle tradizioni e che rifiutavano di metterle in discussione. Il filosofo per Senofane non possiede alcuna strada privilegiata che lo porti alla rivelazione della verità, o della Divinità: egli può contare soltanto sul suo ingegno e la propria capacità di ragionare, come ogni altro uomo, e i sacerdoti che all'epoca rivendicavano il ruolo di intermediari della divinità, per Senofane rivendicano un ruolo inutile e dannoso, illudendo chi li ascolta di possedere la verità e usando tale potere per i propri scopi: Senofane apre così la strada al pensiero e a alla ricerca della conoscenza di ogni uomo senza preconcetti o vincoli di natura religiosa.
Parmenide di Elea e la dottrina dell'essere.
Con Parmenide la strada tracciata da Senofane sul rifiuto di vincoli e di pregiudizi alla libera ricerca dell'uomo della propria verità si acuisce fino a operare una netta separazione tra la ragione e il mondo percepito dai sensi. Parmenide, definito da Platone il "maestro venerando e terribile" che, con l'opposizione tra essere e non essere, sconvolge l'opinione comune e fonda l'ontologia (da ontos = essere e logos = discorso), segna un’ importante svolta nel pensiero occidentale.
Egli parla nel suo poema in versi, intitolato alla dea Verità, del logos come di una verità tutta umana, oggetto della ricerca dell'uomo, e non di rivelazione divina, che s’impone da sé agli uomini, grazie alla sua logica, e che non ha bisogno di conferme da parte dell'esperienza o di tollerare compromessi col mondo dei sensi.
La dea Verità propone a Parmenide le possibili strade per l'indagine della realtà, affermando che, quando si pensa, si pensa al presente, a qualcosa che è, e così pure quando si parla.
L'unica strada per percorrere il cammino dei desti, cioè di coloro che non si fanno ingannare dai sensi o dalle false opinioni, (doxà = opinione, falsa conoscenza) è proprio data dal pensare a qualcosa che è, in quanto non si può pensare o dire qualcosa che non è, in quanto ciò significherebbe pensare al nulla, parlare del nulla e quindi non dire nulla: esprimere infatti qualcosa che è impossibile conoscere e che non esiste, è per Parmenide un assurdo. Pensare equivale a pensare l'essere, mentre pensare il non essere, cioè il nulla, significa non pensare.
L'essere si oppone totalmente al non essere e l'uso del logos permette a Parmenide di dedurre delle caratteristiche della realtà che vanno contro il senso comune basandosi su dimostrazioni per assurdo:
- l'essere non può nascere, se infatti nascesse, vorrebbe dire che prima non era e ora è;
- l'essere non può morire, se infatti esso morisse, significherebbe che allora è nato e che quindi prima era e ora non è più;
- l'essere è completamente immobile, infatti se si muovesse da un posto A a uno B, significherebbe che in un posto è essere, mentre in un altro è non essere;
- l'essere è fuori dal tempo perché se era prima, allora adesso non è più, se dicessimo che sarà, vorrebbe dire che non è ancora;
- l'essere è unico, perché se fosse molteplice, sarebbe uno, ma non sarebbe l'altro essere;
- l'essere non è divisibile, perché se ogni singola parte fosse un essere, allora avremo tanti esseri parziali che accoglierebbero il non essere (noi non diciamo la gamba di Giovanni per indicare l'uomo intero, ma Giovanni e basta, come unità della persona);
- l'essere è omogeneo in tutte le sue parti perché non si danno parti più o meno dense;
- l'essere è finito, così come per Pitagora, anche per Parmenide la perfezione è data dal limite e non dall'illimitato o indeterminato, ed è paragonabile ad una sfera che è per lui la figura perfetta tra tutte le altre.
A motivo del fatto che le caratteristiche dell'essere sono opposte a quelle che ci appaiono con i sensi che affermano il divenire delle cose, tale divenire è per Parmenide qualcosa di indicibile e di impensabile, contrario alla legge necessaria del logos e pertanto il nascere, il morire e il cambiare non sono altro che:
- parole vuote, prive di ogni fondamento;
- frutto di un uso scorretto del linguaggio;
- il punto di vista dei mortali che non comprendono la verità divina del logos;
- il mondo della doxà, delle illusioni e della non verità.
Parmenide stesso cerca di ricondurre il logos e la doxà ad un unico principio affermando che il cosmo è governato da due principi: luce e tenebra che si fondono l'uno nell'altro, ma il suo tentativo non convince, perché non possono ricongiungere l' essere e la verità al non essere e all'opinione.
Dalla famosa affermazione di Parmenide che l'essere è e che non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere, nasce appunto l'ontologia, cioè la scienza che studia le caratteristiche dell'essere in quanto tale e che influenzerà tutti i filosofi successivi.
Dalle idee di Parmenide infatti, Aristotele fonderà due importanti principi della Logica:
- il principio di identità, cioè che una cosa è sempre uguale a sé stessa, cioè A=A;
- e il principio di non contraddizione per cui una cosa è e non può essere contemporaneamente sé stessa e un'altra allo stesso tempo (A diverso da B).
I filosofi successivi criticheranno Parmenide però per non aver distinto tra la sfera dell'essere e quella del pensare e del dire sull'essere:
- il significato predicativo dell'essere, come ad es.: Lucia e' studiosa, dove “è” è una copula o nome del predicato e non ha senso da solo;
- il significato esistenziale dell' essere, cioè nel senso che qualcosa esiste, come ad es. “Lucia è” nel senso che esiste.
Inoltre i filosofi successivi criticheranno Parmenide riguardo al molteplice: dire infatti che A non è B, non significa che A in quanto essere non esiste, che sia non essere, ma semplicemente che A è diverso da B. Come a dire che un alunno che esce dall'aula non cessa di essere, pur non essendo più presente in aula, ma continua ad esistere in un altro posto.
Zenone e la negazione del movimento.
Zenone, anch'egli appartenente alla Scuola di Elea, vuole dimostrare la verità delle tesi sostenute da Parmenide contro le opinioni del senso comune, che sostengono l'esistenza sia del movimento, sia del molteplice.
Utilizza a questo scopo i paradossi, cioè ragionamenti che sono contrari al senso comune, (dal greco paràdoxon= parà doxà= contro il senso comune). Tali ragionamenti, dimostrando la razionalità dei ragionamenti di Parmenide, rendono anche evidenti le conseguenze assurde e contraddittorie dei ragionamenti a lui contrari. Per tale motivo i paradossi sono anche chiamati ragionamenti per assurdo e il loro scopo non è semplicemente quello di convincere gli interlocutori della falsità dei loro ragionamenti, ma bensì, partendo dalle loro ipotesi, dimostrare la loro insostenibilità nel ritenerle vere.
Contro il movimento.
Zenone parte quindi dalla supposizione che il movimento sia reale. Ma se questo è reale, un qualsiasi corpo deve potersi spostare da un punto A a un punto B. Ma prima di poter giungere ad un punto B, esiste comunque sempre un punto intermedio C da superare, e poi un punto D, ecc.: un corpo non può mai raggiungere un punto B poiché dovrebbe percorrere infiniti punti in un tempo finito.
Quest’argomento è noto come il paradosso della dicotomia, cioè della divisione in due parti, il movimento risulta così solo un' illusione perché nessun corpo ha a propria disposizione un tempo infinito per percorrere uno spazio che separa A e B.
Un altro argomento portato da Zenone contro il movimento è il paradosso di Achille e della tartaruga. Se i due facessero una gara di corsa e Achille concedesse alla tartaruga un margine di vantaggio, Achille allora non potrebbe mai raggiungerla: anche se Achille raggiungesse il punto di partenza della tartaruga, perché più veloce di lei, lei avrebbe già percorso un piccolo tratto in più rispetto all'eroe, anche se progressivamente più piccolo, e Achille non potrebbe più raggiungerla; di conseguenza, dice Zenone, il movimento si rivela ancora una volta illusorio e contraddittorio.
Terzo paradosso contro il movimento è quello della freccia: una freccia lanciata verso un bersaglio secondo Zenone non si muove veramente, ma tale movimento è un'illusione.
Se infatti la lanciamo verso un bersaglio la freccia, in ogni singolo istante, occuperà un dato spazio uguale alla propria dimensione e quindi, rispetto a tale spazio, risulterà immobile. Poiché in ogni istante e in ciascuno spazio la freccia risulterà essere ferma, sommare i vari istanti e le posizioni in cui essa è ferma non può portare a generare alcun movimento.
Contro il molteplice.
Se noi supponiamo di avere una torta che sia di grandezza finita e divisibile in parti che siano finite, anzi, che le fette siano solo 2, cioè A e B, se A e B sono distinte, ci sarà un divisore intermedio C. Se poi A è distinto da C, ci sarà un ulteriore divisore intermedio D e così all'infinito. La conclusione paradossale sarà che, se le cose fossero molteplici, allora sarebbero nello stesso tempo finite e infinite, un assurdo.
Se prendiamo, invece, in considerazione l'ipotesi che le fette della torta siano di grandezza infinita e ci chiediamo quanto grande sarà ciascuna fetta, allora se fosse nulla, cioè uguale a zero, come si potrebbe ottenere una quantità precisa sommando tanti nulla pari a zero?
Se invece ognuna delle parti fosse dotata di estensione, allora ogni cosa sarebbe la somma d’infinite parti estese e avrebbe un'estensione infinita. In entrambi i casi, o di parti prive di estensione o dotate di estensione, si cadrebbe nell'assurdo: l'essere di conseguenza non può che essere uno e indivisibile.
Un altro paradosso è quello dello spazio: supponiamo che un qualcosa sia in un luogo, che questo luogo non possa che essere in un altro luogo e così all'infinito: se esistesse un luogo come contenitore distinto dal contenuto e indice di molteplicità, si avrebbero conseguenze assurde, quindi il luogo non esiste.(Ad es. Senorbi è in provincia di Cagliari, ma Cagliari è in Sardegna, la Sardegna è in Italia, ecc.
Secondo Zenone non sono le conclusioni di Parmenide a essere assurde, ma si arriva a tali conclusioni negando il movimento e la molteplicità.
Poiché noi sappiamo però che il movimento e il molteplice esistono e sono razionalmente dimostrabili, i filosofi successivi a Zenone cercheranno di ricomporre la frattura tra logica e esperienza sensibile, ricomponendo il dissidio tra sensi e ragione.
A Zenone si attribuisce anche l'invenzione del metodo dialettico, oggi chiamato ragionamento per assurdo: in un primo momento si prende per buona la tesi dell'avversario, per poi dimostrare che da tali tesi ne derivano conseguenze assurde, allora vista la contraddittorietà di tali tesi, risulterà vera la tesi opposta. Tale metodo argomentativo risulterà essere vincente nella storia del pensiero occidentale.
Melisso e l'infinita' dell' essere.
Così come Zenone cerca di dimostrare la verità delle affermazioni di Parmenide contro gli avversari utilizzando sofisticate dimostrazioni logiche, anche Melisso condivide lo stesso scopo, ma lo fà aggiornando il pensiero di Parmenide, articolando meglio le sue deduzioni e i suoi ragionamenti logici.
Secondo Melisso infatti l'essere è infinito, in quanto non può avere né inizio, né fine, perché non esiste nient'altro al di fuori di esso che lo possa limitare. Da ciò consegue anche la sua unità, perché se ci fosse qualcosa al di fuori dell'essere, l'essere sarebbe delimitato da altro e quindi non sarebbe infinito. Inoltre l'essere non è molteplice, è pieno, in quanto, se contenesse qualche parte di vuoto, questo sarebbe il non essere, ma il non essere non è; inoltre l'essere è anche immobile, perché se si muovesse, avrebbe bisogno di uno spazio in cui muoversi ma, eccetto l'essere, non vi è nulla.
Inoltre esso è incorporeo, perché se fosse dotato di corpo, sarebbe divisibile in parti e quindi molteplice.
Mentre Zenone si assume il compito di svelare gli inganni dell' esperienza sensibile, Melisso spiega meglio le caratteristiche dell'essere di Parmenide, contrarie alla doxà, lasciando ad altri il compito di saldare pensiero e realtà sensibile.