lunedì 2 ottobre 2023

Classi 3°A/B/C Linguistico - I filosofi Pluralisti.

 I Filosofi Pluralisti.

L'indagine filosofica sulla realtà che i filosofi precedenti avevano condotto era giunto alla negazione sia del movimento, che del divenire, col risultato di negare l'esperienza dei sensi e di considerare la molteplicità e il divenire come illusioni contrarie alla ragione del lógos.

L'esigenza che spinge questi filosofi a cambiare orientamento all'indagine filosofica è il tentativo di “salvare i fenomeni”, senza per questo tradire le esigenze della ragione.

Empedocle, Anassagora, Democrito e Leucippo e Ippocrate tentano quindi di conciliare le caratteristiche dell'essere parmenideo con la molteplicità riscontrata dall'esperienza, il divenire della natura con la necessità di salvaguardare l'immutabilità e l'eternità dell'essere.

Per questo motivo, non soddisfatti di un unico principio o elemento naturale con cui poter spiegare l'origine e la destinazione finale di tutta la realtà, l'Arché, rivendicano la necessità di spiegare i fenomeni reali utilizzando più principi e non più uno solo: dal monismo (monós = un solo principio), si passa così al pluralismo (più principi).


Empedocle di Agrigento.


Empedocle nella sua opera in versi intitolata Sulla natura cerca una soluzione che possa conciliare la ragione e i fenomeni, affermando l'esistenza non di uno, ma di più principi, dimostrati dalla stessa esperienza. Tali principi, individuati nei quattro elementi naturali (acqua, aria, terra e fuoco), vengono da lui chiamati radici in quanto danno origine a tutto ciò che esiste.

Sono degli elementi irriducibili tra loro in quanto ognuno di loro non è riconducibile alle caratteristiche degli altri: il caldo e il secco del fuoco non è spiegabile o assimilabile all'umido e al freddo dell'acqua.

Le radici compongono ogni cosa, mescolandosi in proporzioni diverse all'interno di ogni essere: la solidità della terra, la fluidità dell'acqua, la leggerezza dell'aria e il calore del fuoco partecipano e danno origine a tutte le cose secondo proporzioni diverse che differenziano i vari enti (esseri che nascono, vivono e muoiono).

Il nascere e il morire degli esseri é dato dall'aggregarsi e dal disgregarsi delle radici: in tal modo Empedocle sostiene che tali fenomeni non sono illusioni o dóxa (falsa conoscenza), ma fenomeni reali che attestano il divenire della realtà e di cui abbiamo esperienza quotidianamente.

Tuttavia Empedocle salva i caratteri dell'essere di Parmenide: le radici infatti non nascono e non muoiono, sono eterne e immutabili, ma sono eterni. Mentre gli aggregati possono nascere e morire, le radici sono indistruttibili.

Dopo aver conciliato il divenire delle cose con l'eternità dell'essere, Empedocle cerca di spiegare come il molteplice possa conciliarsi con l'unicità dell'essere perfetto: l'esistenza di più radici, ognuna divisibile dal punto di vista quantitativo, mantiene però inalterate le proprie qualità peculiari (ad es. l'acqua di una bottiglia si può suddividere in più bicchieri, ma le sue qualità non cambiano né all'interno della bottiglia, né all'interno dei bicchieri).

Empedocle giustifica così anche la razionalità del molteplice senza però rinunciare all'unicità dell'essere.

La mescolanza delle radici, così come la loro separazione, é spiegata da Empedocle con l'introduzione di due forze: Amore e Odio. Tali forze rappresentano due forze attive, rispetto alle radici che sono invece passive. Mentre l'Amore (Philía) aggrega le radici dando origine alle cose, l'Odio (Neîkos) le disgrega, facendole morire.

Ognuna delle due forze tende ad aver il sopravvento sull'altra, ma la vita é possibile solo quando entrambe si trovano in equilibrio: se l'Amore vincesse sull'Odio non si avrebbero differenze tra gli enti, mentre se vincesse l'Odio tutto sarebbe disordine e caos.

Secondo Empedocle ad una prima fase in cui predomina l'Amore, succede una fase successiva in cui predomina l'Odio: il cosmo, quindi, ha una doppia morte e una doppia nascita. Il cosmo, infatti, muore ogni volta che una delle due forze prevale sull'altra e rinasce nelle due fasi in cui le due forze agiscono contemporaneamente. Il cosmo, quindi, nasce dallo Sfero, una totalità uniforme dove le radici sono unite dall'Amore; gradualmente l'Odio spezza tale unione delle radici, separando gli elementi e dando vita ai singoli individui. Quando questo processo si compie, subentra il caos, con la separazione completa dei quattro elementi; a quel punto subentra di nuovo l'Amore che spinge le radici a mescolarsi, sino a ritornare all'unità dello Sfero e il ciclo prosegue così all'infinito.

Nell'opera di Empedocle intitolata Sulle purificazioni, é presentata una visione religiosa che si rifà sia all'Orfismo, che alle teorie pitagoriche: l'anima, caduta per la colpa originaria, deve espiare il proprio male per accedere alla beatitudine, ricongiungendosi all'Uno, all'Armonia, e poter così sfuggire al regno della violenza. La strada per acquisire tale beatitudine é la purificazione morale e fisica, come ad es. osservare il precetto di non mangiare carne di animali. 

La rivalutazione della conoscenza sensoriale in Empedocle é frutto della riconciliazione tra le caratteristiche dell'essere di Parmenide e la realtà così come viene colta dall'esperienza.

Secondo Empedocle infatti il simile conosce il simile, cioè noi conosciamo la realtà per somiglianza, in quanto particelle degli oggetti si staccano e vengono in contatto con i nostri organi di senso: la conoscenza é quindi possibile perché tra l'uomo che conosce e le cose conosciute esiste una stessa struttura fisica, sono entrambi costituiti dalle radici. Non soltanto la conoscenza sensoriale viene spiegata dalle radici, ma anche quella razionale: il pensiero, infatti, é influenzato dalla circolazione sanguigna che é presente intorno al cuore, sede dove le radici si mescolano nel modo migliore.


Anassagora di Clazomene.


Anassagora, come Empedocle, vuole salvare l'esperienza e, allo stesso tempo, le leggi della ragione. Tuttavia non é d'accordo con Empedocle e il suo tentativo di ricondurre la realtà, con le sue infinite qualità, alle quattro radici. Il problema di poter spiegare qualità come il dolce, l'amaro e l'acido, che l'uomo sperimenta quotidianamente con la propria esperienza, o le infinite gradazioni di una stessa qualità, non sono per Anassagora facilmente riconducibili alla sola mescolanza delle quattro radici.

Soltanto ammettendo nel mondo l'esistenza di infinite qualità é possibile spiegare tali fenomeni non facilmente riconducibili ai quattro elementi naturali.

Anassagora chiama semi o omeomerie (dal greco hómoios = simile e méros = parte), tale infinito insieme di qualità esistenti nel mondo, che sono la base su cui ogni cosa si sviluppa, così come una pianta da un seme.

Le omeomerie o particelle simili, pur presenti all'interno di ogni cosa, predominano per tipologie diverse a seconda del diverso tipo di corpo: ad es. In un tavolo saranno presenti tutti i diversi tipi di semi, ma il seme del legno sarà predominante rispetto al seme della carne, o a quello delle foglie.

Anche per Anassagora sono gli aggregati prodotti dai semi a poter nascere e morire e non i semi stessi che, invece, sono eterni.

Ciò che cambia nelle trasformazioni non sono le qualità, che rimangono sempre uguali a sé stesse, ma le quantità.

Affermare che in natura le trasformazioni non comportano cambiamenti di qualità, ma solo di quantità, significa anche che non esiste differenza qualitativa fra gli alimenti che mangiamo e le qualità delle nostra ossa e dei nostri organi.

Proprio per sottolineare il fatto che ogni qualità é presente in tutte le cose, Anassagora afferma che tutto é in tutto, cioè che i semi del sangue, ad es., sono presenti nel pane insieme a tutti gli altri e il nostro organismo li separa dagli altri semi allo scopo di crescere. Tutti i differenti tipi di semi sono contenuti in tutte le cose, compresi i semi opposti come quelli del caldo e del freddo, del secco e dell'umido: ciò che distingue una cosa dall'altra é la prevalenza di un tipo di seme su tutti gli altri.

A differenza da Empedocle che sosteneva che si conoscesse per somiglianza, per Anassagora si conosce per contrasto: ad es. Noi sentiamo il freddo perché siamo caldi. Tale contrasto avviene di solito per contatto: gli oggetti che hanno una prevalenza di semi del freddo, raffreddano la mia mano calda. Non si tratta di una percezione oggettiva in quanto se avessi la mano fredda, sentirei l'oggetto caldo. Le percezioni sono dunque relative rispetto al soggetto che le percepisce. Le sensazioni sono solo il gradino iniziale della conoscenza: questa si sviluppa grazie a delle sensazioni ripetute e viene conservata dalla memoria. La conoscenza non é fine a sé stessa, ma é  finalizzata alla téchne (come l'attività del medico, dell'artigiano, del mercante, ecc.).

Per Anassagora la téchne rappresenta il vertice più alto della conoscenza umana: grazie ad essa l'uomo può modificare l'ambiente esterno per i propri scopi e può, inoltre, conoscere la natura in modo più approfondito. É questo il senso dell'affermazione di Anassagora secondo cui “l'uomo é più intelligente degli animali grazie all'aver le mani„. 

I semi sono infiniti e infinitamente divisibili in quanto non c'é alcun limite alla loro divisione. Essi, inoltre, sono eterni e indistruttibili, mentre sono solo gli aggregati che nascono, si trasformano e muoiono. In principio tutto é mescolato, tutto é in tutto. La divisione dei semi viene spiegata da Anassagora con l'introduzione di un unico principio chiamato Noûs (Mente, Intelletto).

Il Noûs non è né una intelligenza divina che dà ordine al mondo, né una divinità di natura spirituale, ma Anassagora dice che “è la più sottile e più pura di tutte le cose”.

Non si tratta quindi né di uno spirito, né tanto meno di un dio. Compito del Nôus é quello di rompere il miscuglio originario (mîgma), molto simile all'Àpeiron di Anassimandro e allo Sfero di Empedocle, e di mettere in moto il processo che ha prodotto il cosmo, spostando verso il centro l'umido e il denso, lasciando all'esterno il caldo e il rado, ma ha anche alcune caratteristiche che verranno attribuite più tardi al Divino: il Nôus si colloca a metà strada tra la Scuola di Mileto e gli sviluppi finalistici dei filosofi successivi.

La vita del cosmo, secondo lui, non è ciclica, ma è un processo all'infinito secondo un tempo lineare. Anassagora, infine, non esclude che dalla mescolanza dei semi siano nati altri mondi, possibilmente anch'essi abitati.


Democrito di Abdera e Leucippo di Mileto.


Gli atomi e il materialismo.


Anche Leucippo e Democrito avvertono l'esigenza, come gli altri filosofi pluralisti, di conciliare la sfera dei sensi e quella della ragione, ma contestano ad Empedocle e Anassagora alcuni aspetti poco chiari: non condividono che, nell'indagine della natura ci siano l'Odio, l'Amore o il Nôus, in quanto secondo loro la natura deve essere spiegata esclusivamente sulla base di cause naturali, non facendo ricorso a figure poetiche o mitologiche come quelle messe in campo da Empedocle e Anassagora; inoltre affermano che gli altri pluralisti hanno cercato di spiegare la realtà esclusivamente in modo qualitativo, non facendo tesoro della lezione pitagorica che spiegava la realtà con i numeri e in modo quantitativo.

Zenone aveva già dimostrato in precedenza come la divisione all'infinito creasse problemi insolubili per la ragione umana nell'indagare il mondo reale. L'unico modo per evitare tali problemi, è quello di sostenere l'esistenza di particelle originarie e non divisibili chiamate atomi: se infatti una cosa si potesse dividere all'infinito, allora o si dissolverebbe nel nulla o avrebbe una grandezza infinita. Il termine atòmos (senza divisione, privo di parti), indica infatti la sua natura indivisibile.

Gli atomi sono infiniti, come i semi di Anassagora, ma essendo ognuno di essi non divisibile, costituiscono un'unità. Gli atomi hanno dunque le caratteristiche dell'essere parmenideo, sono ingenerati e indistruttibili, e ognuno di essi é un'unità, proprio come l'essere di Parmenide. Ma, essendo tali unità in numero infinito, per Democrito e Leucippo viene dimostrata l'esistenza della molteplicità.

Gli atomi sono privi di parti, ma entrano come parti a costituire gli aggregati: il divenire é dato dall'aggregarsi e disgregarsi degli atomi che, però sono individualmente immutabili. Essi sono inoltre distinti, a differenza dei semi di Anassagora mescolati in origine nel mîgma, e poiché rappresentano il pieno dell'essere, vengono distinti dal vuoto o non essere. Se non ci fosse il vuoto, infatti, l'atomo perderebbe la propria individualità e non si distinguerebbe più dagli altri; inoltre diverrebbe impossibile qualsiasi loro spostamento e non potrebbero muoversi. Il vuoto (lo spazio) consente non soltanto agli atomi di muoversi, ma permette inoltre di spiegare il nascere e il morire degli aggregati, che è conseguenza del loro aggregarsi e disgregarsi.

Poiché gli atomi sono infiniti, anche il loro contenitore, lo spazio é infinito e non ha alcuna determinazione: non esiste un alto o un basso, non esiste direzione, ciò permette agli atomi di muoversi in ogni direzione in quanto non esiste un giù verso cui cadere.


Il meccanicismo.


Allo scopo di poter spiegare il movimento degli atomi senza per questo ricorrere a cause esterne alla natura, Democrito e Leucippo affermano il meccanicismo, cioè che gli atomi si muovono spontaneamente in uno spazio vuoto: é proprio tale movimento eterno degli atomi in tutte le direzioni che li porta ad urtarsi, creando e scomponendo di conseguenza gli aggregati. Inoltre, visto che gli atomi sono infiniti, essi non possono che dare origine a mondi infiniti che nascono e muoiono di continuo.

Gli atomi, quindi, sono grandezze indivisibili, dotati di movimento e si muovono nello spazio vuoto in ogni direzione: viene così dimostrata la realtà del molteplice e del divenire, accreditata dalla nostra esperienza quotidiana come reale. Se per Anassagora i semi rappresentavano qualità distinte in numero infinito, secondo Leucippo e Democrito, invece, gli atomi non hanno qualità: nessuno di essi si distingue per una qualità che gli altri non hanno. Gli atomi, quindi, sono tutti uguali e si differenziano soltanto per caratteristiche quantitative: 

- per forma geometrica, percepibile solo con la ragione e non con i sensi;

- per grandezza, come peso, volume e massa;

- per ordine e posizione, gli atomi, come le lettere dell'alfabeto, possono differenziarsi per ordine (AN e NA) o per posizione (Z e N, che possono essere fatte ruotare).

 Il modello di Democrito e Leucippo é di tipo meccanicistico in quanto non vi è niente nel mondo che non possa essere spiegato con gli atomi, il vuoto e il movimento.

È, inoltre, un mondo determistico e necessario, dove tutto avviene in modo casuale, senza che ci sia un’intelligenza che ordini l'universo.


La conoscenza o gnoseologia.

 

Tutte le qualità che vengono percepite dall'uomo riguardo alla realtà, non rappresentano proprietà degli atomi: Democrito e Leucippo non negano la realtà della percezione, ma affermano che quando percepiamo delle qualità delle cose grazie ai nostri sensi, tali qualità non appartengono alle cose, né agli atomi. Sono soltanto le forme di alcuni atomi o di alcune loro combinazioni che, a contatto con i nostri sensi, generano certe sensazioni: sapori aspri di forma acuta, li percepiamo come maggiormente irritanti degli atomi rotondeggianti del dolce, o l'aumento dello stato di agitazione degli atomi di un corpo può essere associata ad una sensazione di calore. Le qualità sono soggettive, esistono in quanto percepite dai sensi, e, nello stesso tempo, hanno un riscontro oggettivo, in quanto appartengono alla natura delle cose. Ci sono, quindi, due dimensioni della realtà: una oggettiva e reale (atomi, movimenti e vuoto), e una soggettiva, rappresentata dalla varietà di qualità percepite dal soggetto. Queste due dimensioni non sono nettamente separate tra loro. Nella percezione, poiché tutto è costituito dagli atomi che si muovono nello spazio vuoto, la comunicazione tra soggetto e l'oggetto può realizzarsi solo attraverso il contatto di atomi. 

L' incontro, però, non avviene tra il soggetto che conosce e l'oggetto conosciuto, ma tra il soggetto e  l'immagine dell'oggetto, (eídolon): da ogni corpo si distaccano continuamente atomi superficiali, più sottili degli altri, che danno vita ad un'immagine materiale dell'oggetto; è questa immagine, appunto, che viene a contatto con i sensi del soggetto, determinando così la percezione.

Poiché la percezione presenta spesso delle distorsioni, come nel caso di una matita immersa in un bicchiere d'acqua, o illusioni ottiche, Democrito e Leucippo spiegano tale fatto con la distanza e con il mezzo con cui tali immagini vengono trasmesse.

Inoltre le percezioni sono soggettive, e quindi relative, rispetto al soggetto: proprio perché la percezione non ha a che fare direttamente con le cose, (gli oggetti), ma con il soggetto che percepisce, due persone possono percepire lo stesso oggetto in modo diverso, uno come freddo e uno come caldo, senza che nessuno dei due s’inganni. La percezione quindi non ha alcuna oggettività, ma è strettamente influenzata dal soggetto.


L'anima e l'uomo.


L'esistenza di esseri animati viene spiegata dagli atomisti con l'esistenza di atomi con determinate caratteristiche, sono sferici e ignei (di fuoco), e si differenziano dagli altri atomi in quanto portano la vita negli aggregati in cui entrano: sono i cosiddetti atomi “psichici”, che compongono l'anima (psyché). Questi atomi psichici danno vita ai corpi mediante la respirazione: grazie alla respirazione gli atomi psichici, che continuano a fuoriuscire, vengono compensati, in quanto se il numero degli atomi che escono risulta essere superiore a quelli che entrano, l'organismo muore.

Anche le capacità intellettuali dell'uomo, secondo Democrito e Leucippo, sono riconducibili a un intelletto, ma molto diverso dal Nôus di Anassagora, in quanto il Nôus di Democrito e Leucippo non è un'intelligenza ordinatrice, ma è la parte dell'anima localizzata nel cervello. Anche il Nôus è composto da atomi: grazie ad esso é possibile andare aldilà dell'esperienza, per cogliere la realtà piú profonda degli atomi, del movimento e dello spazio vuoto. L'intelletto supera la sfera sensibile attraverso un processo di astrazione che separa gli aspetti quantitativi da quelli qualitativi: in questo modo è possibile passare dal mondo delle sensazioni a quello meccanico del movimento degli atomi nello spazio. 

Mentre la conoscenza sensoriale viene definita dagli atomisti oscura in quanto è soggettiva e relativa ai fenomeni, quella razionale viene considerata, invece, più affidabile in quanto permette di conoscere gli atomi e la realtà oggettiva. Le due forme di conoscenza sono però complementari in quanto bisogna partire dai sensi per poi conoscere gli aspetti oggettivi e quantitativi della realtà.

L'anima, e quindi anche la mente, pur essendo costituita da atomi speciali, data la sua composizione materiale, si disgrega con il disgregarsi del corpo: quando l'uomo muore, muore tutto, sia il corpo che l'anima. Tuttavia alla morte dell'individuo, gli atomi del suo corpo e della sua anima gli sopravvivono, e costituiranno nuovi aggregati all'infinito.


La civiltà e l'etica.


Democrito e Leucippo non si occupano soltanto dell'indagine naturale, ma anche della vita sociale dell'uomo.

Secondo loro gli uomini, che vivevano come selvaggi senza leggi e cibando si di ciò che la natura offriva spontaneamente, decidono di fondare la società per difendersi dalle belve feroci e per poter meglio soddisfare i propri bisogni. E’ in questa fase di progresso dell'umanità, che vengono inventati sia il linguaggio per comunicare, sia le leggi, che si diversificano da un luogo a un altro, in quanto frutto di convenzione tra gli uomini. La scoperta del fuoco, delle varie arti e tecniche, rendono poi possibile il miglioramento delle condizioni di vita, favorendo un ulteriore progresso che é frutto dell'impegno umano e non dono di qualche divinità. Anche il modello di società proposto da questi filosofi é di tipo meccanicistico: come gli atomi nel cosmo sono gli elementi che danno origine a tutto e i loro aggregati derivano dalla loro unione, così nel mondo umano gli individui sono la parte più importante, mentre la società è un semplice aggregato di cittadini.

Così come la politica, anche l'etica è fondata sull'individuo. Il bene per l'individuo non è il successo, ma è la felicità interiore, la tranquillità: secondo questi Autori è necessario evitare i turbamenti inutili e le paure, l'inseguire sogni irrealizzabili ed é necessario saper dominare le proprie passioni con l'uso della ragione. La misura, l'equilibrio e il controllo razionale, sono gli elementi chiave dell'etica degli atomisti. Pur appezzando l'istituzione della pólis e della democrazia, essi si sentono cittadini del mondo, hanno cioè una visione cosmopolita e moderna della vita sociale.


Ippocrate di Cos: la medicina come scienza.

 

Nel gruppo dei filosofi pluralisti s’inserisce anche Ippocrate, fondatore della scuola medica di Cos, il più famoso medico dell'antica Grecia. Anche lui, infatti, è d'accordo con i pluralisti nel sottolineare come le malattie siano il risultato della rottura dell'equilibrio tra i quattro umori presenti nel corpo umano: il sangue, il flegma, la bile gialla e la bile nera che derivano rispettivamente dal cuore, dal cervello, dal fegato e dalla milza. Ippocrate, come Anassagora con la tecnica, eleva la tecnica medica a scienza.

Si tratta di una svolta molto importante per la medicina

si passa da una concezione magico- religiosa o legata alla filosofia della natura, ad una espressione più matura e articolata che coniuga esperienza e ragione.

L'osservazione appunto dei dati raccolti sul malato (sintomi, dieta, decorso della malattia), devono essere interpretati mediante l'uso di regole e norme ben precise, di un metodo che permette di passare dalle osservazioni alla teoria, di mettere in relazione cause ed effetti, di partire dai sintomi e dalla loro analisi, per giungere a formulare un'adeguata diagnosi e poter procedere alla terapia.

Ribadendo come le cause di ogni malattia siano da ricercarsi esclusivamente in fattori naturali, esclude qualsiasi spiegazione mistica di malattie come in passato era avvenuto per l'epilessia che veniva considerata come un segno di particolare benevolenza divina e denominata morbo sacro.

Ippocrate elabora così una completa visione d’insieme tra influenze fisiche e ambientali, psichiche e sociali che gli permettono di elaborare un approccio alla pratica medica più articolato e moderno che si traduce come attenzione a ciò che viene riferito dal paziente al suo medico, alle condizioni igieniche in cui vive, alle abitudini alimentari, ecc. 

Ippocrate si schiera contro la tradizione per affermare la teoria encefalocentrica secondo cui alla base della vita e del pensiero è il cervello e non il sangue.

Ippocrate, autore di numerose opere di argomento medico che sono giunte fino a noi, anche se non tutte attribuibili a lui, ha lasciato ai posteri il giuramento ippocratico, cioè il codice morale, le norme di comportamento che deve seguire colui che esercita la professione medica: il medico non deve mai procurare la morte, neppure su richiesta del paziente, ne commettere atti contro la vita e il benessere dei propri pazienti, favorendo in ogni modo il bene del paziente.

Classi 3°A/B/C Linguistico - Parmenide e la Scuola di Elea.

 La scuola di Elea.

La Scuola di Elea fa registrare una svolta importante nella riflessione filosofica: non si cerca più il principio di tutta la realtà, cioè l'Arché, né si indagano i fenomeni naturali, ma l'indagine diventa ontologia, cioè discorso sull'essere delle cose (da logòs= discorso e ontòs= essere).

L' essere non è dato dall'oggetto, ma dalla sua esistenza e può essere colto non dai sensi, ma solo dal pensiero. Ciò porta i filosofi di questa scuola a voler distinguere tra conoscenza dei sensi e conoscenza dell'essere.


Senofane di Colofone.


Uno dei filosofi appartenenti a questa scuola è Senofane di Colofone, ritenuto il fondatore della scuola, ma ciò non è certo. Egli parte dalla critica sia alla religione politeista (da polèis = molti e thèos = dei), greca e sia della tradizione tramandata dai poeti come Omero ed Esiodo sull'origine dell'universo. Affermando che l'uomo, in quanto essere mortale, non può raffigurarsi la divinità, critica la tendenza dell'uomo all'antropomorfismo (da antropòs= uomo e morphè= forma). Egli afferma che la conoscenza non è un dono divino, ma frutto di una ricerca faticosa da parte dell'uomo. La divinità inoltre non è accessibile all'uomo, né tramite il mito, né tramite la religione, ma solo con la ragione e che il pensiero divino è totalmente diverso da quello umano.

Il rifiuto dell'antropomorfismo religioso è motivato da Senofane anche col fatto che se gli animali possedessero doti artistiche e potessero rappresentare artisticamente le proprie divinità, le rappresenterebbero con forme di animali simili a loro. Ma la divinità non ha nulla di umano, ma s’identifica con la Totalità di tutta la realtà, non riconducibile quindi a singoli aspetti dell'uomo. La sua natura di abile poeta e compositore, rende Senofane un filosofo osteggiato dai sacerdoti e da coloro che erano fedeli alle tradizioni e che rifiutavano di metterle in discussione. Il filosofo per Senofane non possiede alcuna strada privilegiata che lo porti alla rivelazione della verità, o della Divinità: egli può contare soltanto sul suo ingegno e la propria capacità di ragionare, come ogni altro uomo, e i sacerdoti che all'epoca rivendicavano il ruolo di intermediari della divinità, per Senofane rivendicano un ruolo inutile e dannoso, illudendo chi li ascolta di possedere la verità e usando tale potere per i propri scopi: Senofane apre così la strada al pensiero e a alla ricerca della conoscenza di ogni uomo senza preconcetti o vincoli di natura religiosa.


Parmenide di Elea e la dottrina dell'essere.


Con Parmenide la strada tracciata da Senofane sul rifiuto di vincoli e di pregiudizi alla libera ricerca dell'uomo della propria verità si acuisce fino a operare una netta separazione tra la ragione e il mondo percepito dai sensi. Parmenide, definito da Platone il "maestro venerando e terribile" che, con l'opposizione tra essere e non essere, sconvolge l'opinione comune e fonda l'ontologia (da ontos = essere e logos = discorso), segna un’ importante svolta nel pensiero occidentale.

Egli parla nel suo poema in versi, intitolato alla dea Verità, del logos come di una verità tutta umana, oggetto della ricerca dell'uomo, e non di rivelazione divina, che s’impone da sé agli uomini, grazie alla sua logica, e che non ha bisogno di conferme da parte dell'esperienza o di tollerare compromessi col mondo dei sensi.

La dea Verità propone a Parmenide le possibili strade per l'indagine della realtà, affermando che, quando si pensa, si pensa al presente, a qualcosa che è, e così pure quando si parla. 

L'unica strada per percorrere il cammino dei desti, cioè di coloro che non si fanno ingannare dai sensi o dalle false opinioni, (doxà = opinione, falsa conoscenza) è proprio data dal pensare a qualcosa che è, in quanto non si può pensare o dire qualcosa che non è, in quanto ciò significherebbe pensare al nulla, parlare del nulla e quindi non dire nulla: esprimere infatti qualcosa che è impossibile conoscere e che non esiste, è per Parmenide un assurdo. Pensare equivale a pensare l'essere, mentre pensare il non essere, cioè il nulla, significa non pensare. 

L'essere si oppone totalmente al non essere e l'uso del logos permette a Parmenide di dedurre delle caratteristiche della realtà che vanno contro il senso comune basandosi su dimostrazioni per assurdo:

- l'essere non può nascere, se infatti nascesse, vorrebbe dire che prima non era e ora è;

- l'essere non può morire, se infatti esso morisse, significherebbe che allora è nato e che quindi prima era e ora non è più;

- l'essere è completamente immobile, infatti se si muovesse da un posto A a uno B, significherebbe che in un posto è essere, mentre in un altro è non essere;

- l'essere è fuori dal tempo perché se era prima, allora adesso non è più, se dicessimo che sarà, vorrebbe dire che non è ancora;

- l'essere è unico, perché se fosse molteplice, sarebbe uno, ma non sarebbe l'altro essere;

- l'essere non è divisibile, perché se ogni singola parte fosse un essere, allora avremo tanti esseri parziali che accoglierebbero il non essere (noi non diciamo la gamba di Giovanni per indicare l'uomo intero, ma Giovanni e basta, come unità della persona);

- l'essere è omogeneo in tutte le sue parti perché non si danno parti più o meno dense;

- l'essere è finito, così come per Pitagora, anche per Parmenide la perfezione è data dal limite e non dall'illimitato o indeterminato, ed è paragonabile ad una sfera che è per lui la figura perfetta tra tutte le altre.

A motivo del fatto che le caratteristiche dell'essere sono opposte a quelle che ci appaiono con i sensi che affermano il divenire delle cose, tale divenire è per Parmenide qualcosa di indicibile e di impensabile, contrario alla legge necessaria del logos e pertanto il nascere, il morire e il cambiare non sono altro che:

- parole vuote, prive di ogni fondamento;

- frutto di un uso scorretto del linguaggio;

- il punto di vista dei mortali che non comprendono la verità divina del logos;

- il mondo della doxà, delle illusioni e della non verità.

Parmenide stesso cerca di ricondurre il logos e la doxà ad un unico principio affermando che il cosmo è governato da due principi: luce e tenebra che si fondono l'uno nell'altro, ma il suo tentativo non convince, perché non possono ricongiungere l' essere e la verità al non essere e all'opinione.

Dalla famosa affermazione di Parmenide che l'essere è e che non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere, nasce appunto l'ontologia, cioè la scienza che studia le caratteristiche dell'essere in quanto tale e che influenzerà tutti i filosofi successivi. 

Dalle idee di Parmenide infatti, Aristotele fonderà due importanti principi della Logica: 


- il principio di identità, cioè che una cosa è sempre uguale a sé stessa, cioè A=A;


- e il principio di non contraddizione per cui una cosa è e non può essere contemporaneamente sé stessa e un'altra allo stesso tempo (A diverso da B).


I filosofi successivi criticheranno Parmenide però per non aver distinto tra la sfera dell'essere e quella del pensare e del dire sull'essere:

- il significato predicativo dell'essere, come ad es.: Lucia e' studiosa, dove “è” è una copula o nome del predicato e non ha senso da solo;


- il significato esistenziale dell' essere, cioè nel senso che qualcosa esiste, come ad es. “Lucia è” nel senso che esiste.

Inoltre i filosofi successivi criticheranno Parmenide riguardo al molteplice: dire infatti che A non è B, non significa che A in quanto essere non esiste, che sia non essere, ma semplicemente che A è diverso da B. Come a dire che un alunno che esce dall'aula non cessa di essere, pur non essendo più presente in aula, ma continua ad esistere in un altro posto.


Zenone e la negazione del movimento.


Zenone, anch'egli appartenente alla Scuola di Elea, vuole dimostrare la verità delle tesi sostenute da Parmenide contro le opinioni del senso comune, che sostengono l'esistenza sia del movimento, sia del molteplice.

Utilizza a questo scopo i paradossi, cioè ragionamenti che sono contrari al senso comune, (dal greco paràdoxon= parà doxà= contro il senso comune). Tali ragionamenti, dimostrando la razionalità dei ragionamenti di Parmenide, rendono anche evidenti le conseguenze assurde e contraddittorie dei ragionamenti a lui contrari. Per tale motivo i paradossi sono anche chiamati ragionamenti per assurdo e il loro scopo non è semplicemente quello di convincere gli interlocutori della falsità dei loro ragionamenti, ma bensì, partendo dalle loro ipotesi, dimostrare la loro insostenibilità nel ritenerle vere.


Contro il movimento.


Zenone parte quindi dalla supposizione che il movimento sia reale. Ma se questo è reale, un qualsiasi corpo deve potersi spostare da un punto A a un punto B. Ma prima di poter giungere ad un punto B, esiste comunque sempre un punto intermedio C da superare, e poi un punto D, ecc.: un corpo non può mai raggiungere un punto B poiché dovrebbe percorrere infiniti punti in un tempo finito.

Quest’argomento è noto come il paradosso della dicotomia, cioè della divisione in due parti, il movimento risulta così solo un' illusione perché nessun corpo ha a propria disposizione un tempo infinito per percorrere uno spazio che separa A e B.

Un altro argomento portato da Zenone contro il movimento è il paradosso di Achille e della tartaruga. Se i due facessero una gara di corsa e Achille concedesse alla tartaruga un margine di vantaggio, Achille allora non potrebbe mai raggiungerla: anche se Achille raggiungesse il punto di partenza della tartaruga, perché più veloce di lei, lei avrebbe già percorso un piccolo tratto in più rispetto all'eroe, anche se progressivamente più piccolo, e Achille non potrebbe più raggiungerla; di conseguenza, dice Zenone, il movimento si rivela ancora una volta illusorio e contraddittorio.

Terzo paradosso contro il movimento è quello della freccia: una freccia lanciata verso un bersaglio secondo Zenone non si muove veramente, ma tale movimento è un'illusione.

Se infatti la lanciamo verso un bersaglio la freccia, in ogni singolo istante, occuperà un dato spazio uguale alla propria dimensione e quindi, rispetto a tale spazio, risulterà immobile. Poiché in ogni istante e in ciascuno spazio la freccia risulterà essere ferma, sommare i vari istanti e le posizioni in cui essa è ferma non può portare a generare alcun movimento.


Contro il molteplice.


Se noi supponiamo di avere una torta che sia di grandezza finita e divisibile in parti che siano finite, anzi, che le fette siano solo 2, cioè A e B, se A e B sono distinte, ci sarà un divisore intermedio C. Se poi A è distinto da C, ci sarà un ulteriore divisore intermedio D e così all'infinito. La conclusione paradossale sarà che, se le cose fossero molteplici, allora sarebbero nello stesso tempo finite e infinite, un assurdo. 

Se prendiamo, invece, in considerazione l'ipotesi che le fette della torta siano di grandezza infinita e ci chiediamo quanto grande sarà ciascuna fetta, allora se fosse nulla, cioè uguale a zero, come si potrebbe ottenere una quantità precisa sommando tanti nulla pari a zero?

Se invece ognuna delle parti fosse dotata di estensione, allora ogni cosa sarebbe la somma d’infinite parti estese e avrebbe un'estensione infinita. In entrambi i casi, o di parti prive di estensione o dotate di estensione, si cadrebbe nell'assurdo: l'essere di conseguenza non può che essere uno e indivisibile.

Un altro paradosso è quello dello spazio: supponiamo che un qualcosa sia in un luogo, che questo luogo non possa che essere in un altro luogo e così all'infinito: se esistesse un luogo come contenitore distinto dal contenuto e indice di molteplicità, si avrebbero conseguenze assurde, quindi il luogo non esiste.(Ad es. Senorbi è in provincia di Cagliari, ma Cagliari è in Sardegna, la Sardegna è in Italia, ecc.

Secondo Zenone non sono le conclusioni di Parmenide a essere assurde, ma si arriva a tali conclusioni negando il movimento e la molteplicità.

Poiché noi sappiamo però che il movimento e il molteplice esistono e sono razionalmente dimostrabili, i filosofi successivi a Zenone cercheranno di ricomporre la frattura tra logica e esperienza sensibile, ricomponendo il dissidio tra sensi e ragione.

A Zenone si attribuisce anche l'invenzione del metodo dialettico, oggi chiamato ragionamento per assurdo: in un primo momento si prende per buona la tesi dell'avversario, per poi dimostrare che da tali tesi ne derivano conseguenze assurde, allora vista la contraddittorietà di tali tesi, risulterà vera la tesi opposta. Tale metodo argomentativo risulterà essere vincente nella storia del pensiero occidentale.


Melisso e l'infinita' dell' essere.


Così come Zenone cerca di dimostrare la verità delle affermazioni di Parmenide contro gli avversari utilizzando sofisticate dimostrazioni logiche, anche Melisso condivide lo stesso scopo, ma lo fà aggiornando il pensiero di Parmenide, articolando meglio le sue deduzioni e i suoi ragionamenti logici.

Secondo Melisso infatti l'essere è infinito, in quanto non può avere né inizio, né fine, perché non esiste nient'altro al di fuori di esso che lo possa limitare. Da ciò consegue anche la sua unità, perché se ci fosse qualcosa al di fuori dell'essere, l'essere sarebbe delimitato da altro e quindi non sarebbe infinito. Inoltre l'essere non è molteplice, è pieno, in quanto, se contenesse qualche parte di vuoto, questo sarebbe il non essere, ma il non essere non è; inoltre l'essere è anche immobile, perché se si muovesse, avrebbe bisogno di uno spazio in cui muoversi ma, eccetto l'essere, non vi è nulla.

Inoltre esso è incorporeo, perché se fosse dotato di corpo, sarebbe divisibile in parti e quindi molteplice.

Mentre Zenone si assume il compito di svelare gli inganni dell' esperienza sensibile, Melisso spiega meglio le caratteristiche dell'essere di Parmenide, contrarie alla doxà, lasciando ad altri il compito di saldare pensiero e realtà sensibile.